Just another birthday party

James & Sky

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    L’aria fresca tra i capelli gli dava una sensazione di pace. Il silenzio, spezzato solo dal canto di alcuni uccellini, circondava tutto lo spazio attorno a lui. Chiuse gli occhi per un istante, mentre continuava a correre dritto davanti a sé, con il battito del cuore accelerato e il respiro che si faceva pesante per la fatica. Aveva approfittato del suo giorno libero per prendersi qualche ora solo per sé. Quella mattina, quando si era alzato, con il sole ben alto nel cielo, c’erano soltanto due cose certe nella sua testa: voleva farsi una bella corsa e doveva ricordarsi di arrivare in orario al compleanno di Jessy. Aveva pensato di andare di persona a sceglierle un regalo, qualcosa che gli sembrasse adatto, ma con il poco tempo a disposizione, alla fine, si era convinto a partecipare al regalo di gruppo organizzato dagli altri ragazzi della palestra. Non ricordava neppure per che cosa avessero optato, si era limitato ad accettare qualunque suggerimento gli sembrasse quanto meno decente, per evitare di prolungare i tempi e finire con l’avere nulla da darle, ma ora si chiedeva se avesse fatto bene. Forse avrebbe dovuto cercare di ritagliarsi qualche ora per pensarci da solo, coltivare le amicizie era l’unica cosa che lo avrebbe tenuto al sicuro da altri preoccupanti sbalzi d’umore. Non voleva ricadere in quell’oblio. Nei primi tempi gli era sembrato di impazzire, incapace di tenere a bada la sua particolarità, di trovare un senso a quello che gli era accaduto. Non capiva come sua cugina Freya avesse potuto convivere con quelle stranezze, come avesse fatto a non dare di matto quando era ancora una bambina. Ma forse il suo problema era stato proprio quello: inserirsi in una realtà che non era la sua e farlo troppo tardi per potersi integrare davvero. Ci provava, giorno dopo giorno, e anche se riusciva ad intravedere dei miglioramenti con il passare dei mesi, sentiva che ancora gli mancava qualcosa, che il suo viaggio non si era concluso. Aveva persino cercato aiuto, in primis, ovviamente, da sua cugina, ma aveva poi tentato di lasciarla tranquilla e di non tediarla con i suoi problemi. Faceva un lavoro impegnativo, non voleva che dovesse pensare anche a fare da baby sitter a lui. Così, cercando in lungo e in largo tra varie voci di corridoio e cercando annunci tra i più vari, si era imbattuto in un piccolo gruppo di persone che tentavano di venire a patti con le proprie particolarità grazie a rimedi naturali. In un primo momento aveva creduto veramente alle loro parole, al fatto che potessero “guarirlo” in qualche modo, senza ricorrere a medicinali o strane operazioni, come invece decantavano altre persone. Poi, aveva capito che quello che potevano offrirgli e che gli stavano offrendo non era altro che un aiuto mentale, o forse spirituale lo avrebbero definito loro. Il problema, dopotutto, stava nella sua testa, dentro di lui. Se non era abbastanza forte da mantenere il lume della ragione, sarebbe di nuovo finito nel baratro.
    Gli unici modi che aveva trovato, in quegli anni, per non impazzire ulteriormente, erano innanzitutto cercare di evitare il più possibile di utilizzare la sua particolarità, in secondo lui cercare di andare a correre regolarmente per allontanare lo stress e poi concedersi tutto il tempo possibile insieme agli amici. Certo, un medico gli avrebbe detto che quelle non erano davvero delle soluzioni e che prima o poi la bomba sarebbe esplosa se avesse continuato a tenerla in una angolo, senza neppure guardarla, ma al momento riusciva a gestire la situazione e gli stava bene così. In fondo se gli altri imparavano a conviverci allora prima o poi ci sarebbe riuscito anche lui! O almeno era questo che sperava mentre continuava a correre per il parco, sentendo la fatica via via aumentare. Gli piaceva la scarica di adrenalina che gli riempiva il corpo e la stanchezza che solo arrivare al limite sapeva trasmettergli. Aveva bisogno di consumare tutte le sue energie per poter davvero liberare la mente e smettere di pensare. Sorrise nel vedere in lontananza alcuni bambini giocare, poco distanti dai loro genitori. Le loro risate riempirono l’aria per qualche istante, fino a che non si allontanò anche da quella zona. Gli sarebbe piaciuto poter tornare ad essere bambino, rivivere la pace e la tranquillità che aveva provato in quegli anni, eliminare un po’ delle preoccupazioni e dei brutti ricordi, ma non sarebbe mai riuscito a farlo. E non soltanto perché abbandonando quella città avrebbe eliminato soltanto il tempo trascorso lì dalla sua mente, ma anche perché riteneva che fossero i ricordi a forgiare le persone, le loro esperienze. Senza quelle dopotutto non si era che dei gusci vuoti, senza delle reali intenzioni. Sollevò lo sguardo verso l’alto, iniziando a notare il sole prendere una parabola discendente e allora diede un ultimo sprint, per arrivare alla fine di quel sentiero che lo avrebbe condotto verso l’uscita del parco. Era ora di tornare a casa e di iniziare a prepararsi. Virò quindi di lato, uscendo dal cancello principale e tirando il cappuccio a coprirgli la testa mentre, con una corsetta più leggera e posata, prendeva la strada di casa.
    Tolse la felpa e il resto degli indumenti e si infilò sotto la doccia, aveva ancora poco più di un’ora per rendersi presentabile e raggiungere il locale dove si sarebbe tenuta la cena di compleanno. Sebbene fosse una persona piuttosto espansiva e abituata a stare a contatto con la gente, non si sarebbe mai abituato del tutto all’idea di stare seduto attorno ad un tavolo con tante persone, di cui forse ne avrebbe riconosciuto la metà. Preferiva le feste più casual, quelle deve ognuno poteva raggiungere il tavolo del buffet ogni volta che voleva e stare seduto sul divano, oppure fare qualche sciocco gioco per mettersi in ridicolo davanti agli altri invitati, trascinando con sé il festeggiato o la festeggiata. In Irlanda persino quello sembrava più semplice, insieme agli amici di una vita da cui ormai sapeva sempre che cosa aspettarsi, anche quando tramavano qualcosa che cercavano di non far trasparire. Gli mancavano i suoi amici di sempre e le telefonate su Skype non erano certo la stessa cosa e neppure i due o tre giorni in cui riusciva a prendere un aereo e raggiungerli per stare un po’ con loro, fingendo di essere lo stesso ragazzo che aveva abbandonato Dublino anni prima. Infilò un paio di jeans scuri e una camicia bianca, giusto per dare la parvenza di poter essere una persona elegante e poi afferrò dall’armadio una giacca. Il clima si faceva sempre più freddo in Norvegia e lui ancora non aveva capito bene come vestirsi per contrastarlo. Non era uno che soffriva troppo le basse temperature, ma in alcuni casi persino lui sentiva quel freddo pungente entrargli nelle ossa e fargli desiderare di infilarsi sotto le coperte. Sistemò le chiavi dell’auto dentro la tasca della giacca insieme al portafoglio e, dopo aver cercato le chiavi di casa, si mosse verso la sua meta.
    Lieto all’idea di essere puntuale si trovò davanti già un cospicuo numeri di invitati, notando solo in quel momento che sembravano esserci anche delle persone che non facevano parte del loro gruppo. Che fossero i compagni di yoga di Jessy? Avrebbe chiesto sicuramente qualche informazione utile nel corso della serata, giusto per tenersi al passo con gli eventuali legami tra i partecipanti. Salutò qualche amico con delle amichevoli pacche sulla spalla per poi arrivare finalmente alla festeggiata, radiosa nel suo vestito blu notte. -Eccola finalmente! - mormorò, abbracciandola e dandole un leggero bacio sulla guancia, continuando a sorridere nella sua direzione. -Sei puntualissimo, non lo avrei mai detto! E’ un piacere vederti James. - rispose lei, prendendolo un po’ in giro, come erano soliti fare anche durante le lezioni. Jessica era una ragazza molto spigliata e allegra, era praticamente impossibile riuscire a non rivolgerla la parola neppure una volta se si stava con lei nella stessa stanza per più di un giorno. Le piaceva creare un clima sempre molto tranquillo, di gruppo ed era anche grazie a lei che si trovava così bene durante le sue sessioni di allenamento, era un po’ come essere a casa. -Così mi ferisci, ma per oggi te la passo visto che è il tuo compleanno. Non mi aspettavo così poca gente. - ribattè quindi, scherzando a sua volta e rivolgendole un leggero occhiolino. -Ah non preoccuparti, ne mancano ancora parecchi ovviamente! - rispose quindi, prontamente, mentre faceva cenno a cui era già arrivato di iniziare ad accomodarsi e prendere posto, così da poter controllare più comodamente quanti invitati mancavano e chi. Si prospettava una serata tranquilla e all’insegna dell’allegria, o almeno così sperava.
     
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    Skylar May Lundberg

    Il passato è un gentiluomo, prima ti fa l’inchino e poi ti colpisce.

    Il letto di Skylar era un campo di guerra, una dozzina di maglioni imbrattavano il piumone come chiazze di colore sparate da una pistola ad aria compressa. Si voltò a guardare il disordine che aveva generato con la sua ricerca del maglioncino rosa che aveva riportato dal suo ultimo viaggio in Giappone, circa quattro anni fa. Non riusciva a trovarlo da nessuna parte, quello era il suo capo d’abbigliamento preferito, con le maniche larghe come le camicie degli attori del teatro shakespeariano. Sbuffò guardandosi intorno con aria smarrita, non era abituata a tutto quel caos, di solito la sua camera era sempre perfettamente ordinata. Come se quel pensiero avesse attraversato la casa arrivando a Petra, sua sorella si affacciò dalla porta per dirle che stava per uscire anche lei. ”Woah, sis’, è passato un tornado da queste parti? Eppure nella mia camera c’è il sole. Duh, forse c’è un po’ di monsone, dai.” entrò con cautela, notando l’espressione smarrita di Skylar, la quale teneva le braccia ben strette al petto. Senza aggiungere altro Petra iniziò a piegare il primo maglioncino che le capitò a tiro e lo ripose al suo posto nel primo cassetto in alto, dove sapeva che sua sorella teneva i capi invernali. Skylar seguì il suo esempio in silenzio, insieme fecero pulizia finché il piumone tornò ad essere monocromatico. ”Hai visto il mio maglioncino rosa, quello giapponese?” chiese con un sospiro stanco, era stata una giornata abbastanza impegnativa, la mattina aveva lavorato e il pomeriggio era stata da Helen per la sua seduta di psicoterapia. Alcune volte andare allo studio di Helen la metteva più a dura prova di altre, non era così semplice mostrare i propri demoni interiori a qualcun altro. Quel pomeriggio aveva pianto parecchio seduta a gambe incrociate sul divanetto della sua terapeuta, erano passati diversi mesi dal massacro dell’arena, ma negli ultimi giorni erano tornati gli incubi notturni. Forse per quel motivo Petra ci era andata così cauta con lei e non le aveva detto che stava facendo una tragedia per un maglioncino. L’aveva sentita gridare quella notte e si era infilata nel letto con lei per farle compagnia, al loro risveglio erano attorcigliate tra di loro come due contorsioniste del circo. Tra un ahi! e un oplà si erano alzate e avevano fatto colazione assieme prima di separarsi per gli impegni quotidiani. Anche se era spesso vestita di nero, Petra era il suo raggio di sole.
    Il famoso maglioncino scomparso, non era esattamente scomparso, si trovava nascosto tra la pila di panni che ancora non avevano avuto tempo di stirare. Aveva solo giocato a nascondino col cuore di Skylar, ma adesso era pronto per essere indossato e sfoggiato alla festa di compleanno a cui era diretta la sua padrona. ”Grazie Pepi.” le rifilò un bacio veloce sulla guancia, poi afferrò la borsetta e le chiavi della macchina. Si guardò attorno cercando di capire se stava dimenticando qualcosa, ma era certa di aver preso tutto. Lei e sua sorella uscirono assieme, si salutarono con un cenno della mano una volta fuori, poi si separarono, ciascuna in direzione dei propri impegni per la serata.

    La festeggiata aveva scelto un ristorante che a lei piaceva molto, riuscì a parcheggiarsi abbastanza vicina, all’inizio di una traversa a pochi metri dal punto d’incontro. Jessy era una ragazza con cui frequentava le lezioni di yoga al B-side, si erano conosciute al bar davanti a un caffè, per poi scoprire che andavano nella stessa sala attrezzata. Era difficile non trovarsi a proprio agio con Jessy, era una persona solare che profumava di risate fresche. La vedeva parlare sempre con tanta gente in palestra, persino con le segretarie e gli istruttori di altri corsi. Skylar si era sempre chiesta quante classi differenti seguisse lì dentro, forse girava direttamente tutto il suo stipendio al B-side stando alle apparenze. Le venne da sorridere a quel pensiero, scosse il capo mentre camminava nella penombra della sera in direzione del ristorante. Quando arrivò vide la sua amica che indirizzava gli invitati verso il tavolo che aveva prenotato all’interno. La raggiunse alle spalle e si schiarì la voce prima di parlare. ”Signorina, ha aperto bene i chakra? Mi sembra che oggi abbia più voglia di chiacchierare che di meditare.” l’imitazione della loro istruttrice di yoga doveva esserle riuscita meglio del solito, perché Jessy si voltò scusandosi con lei per poi scoppiare a ridere quando la riconobbe. ”Per un attimo ho creduto davvero che fossi la signora Olsen!” si abbracciarono ancora avvolte da un velo di ilarità, ”sono contenta che tu sia arrivata! Manca ancora un po’ di gente, puoi sederti alla tavolata più lunga del ristorante, vedrai che non puoi sbagliarti! Sicuro troverai già qualche viso familiare!” Jessy la accompagnò all’ingresso, poi dovette tornare indietro visto che stavano arrivando altri invitati, non era di certo una sorpresa che quella sarebbe stata una cena davvero affollata. Chissà se arrivavano alla trentina o se era troppo poco per gli standard della sua amica di yoga. Skylar si avviò all’interno seguendo le indicazioni di Jessy ed in effetti la sua tavolata era inconfondibile, c’erano già seduti in ordine sparso almeno una quindicina di persone. Da lontano la salutò Lesley, un’altra compagna di corso con cui aveva stretto amicizia grazie alla festeggiata. ”Ciao, Les, come stai?” un bacio sulla guancia, poi si tolse di dosso la giacca e la poggiò sullo schienale della sedia accanto alla ragazza assieme alla sua borsetta. ”Immaginavo che saremmo stati parecchi, ma non immaginavo che sarebbe stato come una cena di matrimonio!” ridacchiarono in sincro della sua battuta che aveva un fondo di verità. Skylar si sistemò meglio sulla sedia e si guardò attorno alla ricerca di visi conosciuti, salutò un paio di ragazze del corso di yoga che non sopportava, fortunatamente erano piuttosto lontane da loro. Era certa che Lesley avesse scelto con cura il suo posto, aveva persino messo una borsa sulla seduta alla sua destra per tenere il posto a Celia. Loro tre assieme a Jessy erano il quartetto più chiassoso delle lezioni di yoga, venivano spesso riprese perché perdevano la concentrazione e trascinavano le altre allieve a fare lo stesso. La signora Olsen a volte le faceva posizionare distanti tra di loro, come se fossero ragazzine delle scuole elementari, ma anche così era inutile perché trovavano sempre il modo di eludere il suo sguardo da mastino. Dopo aver salutato qualche altro conoscente, Skylar si voltò verso il ragazzo che era seduto al suo fianco per presentarsi visto che avrebbero passato la serata insieme, ma quando i suoi occhi si ritrovarono ad accarezzare i suoi lineamenti rimase di sasso. ”James.” disse senza preamboli. Per un attimo il cuore aveva mancato un battito, iniziò a guardarsi attorno con un senso di ansia alla bocca dello stomaco. Sapeva perfettamente che Andrew non frequentava la B-side, ma il suo inconscio aveva una paura irrazionale di vederlo spuntare da un momento all’altro. Aveva incrociato James qualche volta in palestra, ma era sempre riuscita ad evitare contatti prolungati, invece quella sera si era fregata con le proprie mani. Perché non si era seduta dall’altro lato? Era sempre in tempo a cambiare posto, ma proprio quando pensava di alzarsi e di prendere la sedia riservata per Celia, la sua amica arrivò ad occuparla. Il destino si faceva beffe di lei. Salutò Celia con un abbraccio veloce ed irrequieto, poi si accomodò di nuovo, notando che James la guardava e le stava dicendo qualcosa sulla sorpresa di trovarla lì. ”Proprio una sorpresa…” biascicò, ci mancava solo James a completare la sua giornata nata storta. ”Sei qui da solo o in compagnia?” il timore di incrociare Andrew si tradusse in parole ancor prima che lei potesse filtrarlo. Si rese conto che in compagnia poteva sembrare ambiguo, come se volesse sapere se aveva una ragazza. ”Intendo con qualche amico in comune…” si affrettò ad aggiungere arrossendo leggermente. Notando il suo imbarazzo, la sua amica Lesley si affacciò e si presentò senza essere interpellata. ”Io sono Lesley, puoi chiamarmi Les, come mai vi conoscete voi due?” chiese con una spruzzata di curiosità sulla lingua. ”Lei, invece, è Celia. Facciamo tutte yoga con Jessy. Non mi sembra di averti mai visto a lezione, mi sarei sicuramente ricordata di te…” sfacciata come sempre. La moretta era la classica ragazza che non passava inosservata, i suoi tratti latini la rendevano una bellezza esotica in una cittadina come Besaid, dove lo stereotipo delle ragazze era lontano anni luce dal suo. Inoltre aveva dalla sua una parlantina svelta e sin troppo schietta, un altro punto a favore che la rendeva una delle ragazze più corteggiate della palestra. Skylar avrebbe voluto pestarle il piede per farle capire che doveva smetterla, ma sarebbe stato troppo evidente se avesse alzato la tovaglia per fare centro con il suo stivaletto chiaro. Quel siparietto imbarazzante venne interrotto dall’arrivo della festeggiata che si sedette accanto a Celia, ”Finalmente siete arrivati tutti quanti, sono molto contenta di essere riuscita a radunare la maggior parte di voi in questa serata! Sta per arrivare l’antipasto, quindi riempite i bicchieri e aspettatemi che c’è un pezzetto di Jessy per tutti!” l’intera tavolata scoppiò a ridere, alcuni applaudirono quel discorso dal finale un po’ licenzioso. Skylar prese il bicchiere di vino che le aveva riempito prima Lesley e mandò giù tutto d’un fiato. Aveva bisogno di molto alcool per sopravvivere a quella serata!
     
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    Si sorprendeva a volte di quanto fosse stato semplice per lui farsi dei nuovi amici in quella cittadina. Aveva pensato che sarebbe stato molto più difficile ambientarsi, riuscire a ritagliarsi un proprio posto all’interno di una realtà consolidata come quella di una piccola città e invece era rimasto piacevolmente sorpreso dal calore delle persone che la popolavano. Non aveva quasi neppure avuto bisogno dell’aiuto di sua cugina per capire come muoversi in quel posto dato che aveva trovato subito persone cordiali e disponibili che gli avevano dato molti consigli, come ad esempio il posto migliore dove mangiare il salmone, il bar più bello della città, quello che serviva i drink più buoni, quello più frequentato. In effetti aveva sempre avuto una passione per i bar, forse dovuta al suo lavoro e tendeva sempre a catalogarli in diverse tipologie. Era quasi maniacale in quello. Stilava sempre delle liste molto dettagliate dei locali delle città che frequentava e ormai quello era divenuto un aneddoto piuttosto noto ai suoi amici storici che, prima di partire per un viaggio, gli chiedevano sempre un resoconto dei luoghi dove andare a bere o a mangiare. Ogni volta che sorgeva un nuovo locale a Besaid quindi la curiosità era tale da spingerlo sempre a farci un salgo. Ovviamente se qualcuno gli avesse chiesto dove andare a mangiare in quella città avrebbe consigliato ad occhi chiusi il Rainbow, il ristorante dove aveva iniziato a lavorare da qualche mese. Aveva fatto il colloquio perché voleva buttarsi in una nuova avventura, cambiare un po’ la sua routine e cercare qualcosa di diverso, che potesse dargli nuovi sbocchi ed era poi rimasto piacevolmente colpito dal brio delle proprietario di quel nuovo ristorante e dalla forza che avevano messo nel loro progetto. Mettevano una passione incredibile nel loro lavoro e il clima che si respirava in cucina e in sala era un clima comunque pacato. Kaja e Inga sapevano farsi rispettare e imporre delle regole decise ma non le aveva mai viste uscire di testa con un dipendente davanti a tutta la clientela, se avevano qualcosa da dire lo facevano sempre con rispetto, prendendoti da parte e questa era una cosa che apprezzata. Gli era capitato in passato di fuggire a gambe levate da locali dove invece i datori di lavoro erano soliti fare dei grandi show. Il Rainbow era un luogo l’arredamento colorato e caloroso, che scaldava subito il cuore di chi faceva il suo ingresso la prima volta e lui era molto lieto di aver potuto prendere parte a quel progetto.
    Il locale dove avrebbero cenato quella sera si trovava in una posizione abbastanza centrale, non aveva mangiato molte volte lì, ma poteva dire che la cucina fosse comunque buona. All’interno il chiasso dovuto alla grande affluenza di persone lo lasciò disorientato per un momento mentre, chiudendo gli occhi per un istante e cercando di concentrarsi su qualcosa di diverso da quei rumori, cercava poi Jessy e gli altri invitati. Si vedeva che era nata e cresciuta in quella città e che conosceva quindi tutti i locali di grido, era impossibile capitare in un posto semi vuoto quando si trattava di lei. La sua amica sembrava attirare tantissime persone attorno a sé, anche in maniera del tutto casuale, come se fosse un magnete per gli esseri umani. Sorrise, mentre andava a prendere posto, osservandola salutare tutti i vari invitati con il suo immancabile sorriso. Era una ragazzina carina esteticamente, ma la cosa che lo aveva sempre colpito di lei e su cui si era soffermato a lungo era proprio la sua espressione sorridente e tranquilla. Sapeva mettere il buon umore con un semplice sguardo e ci teneva sempre a rendere leggera l’atmosfera intorno a sé. Anche lui ci provava spesso, cercava sempre di tenere i problemi dentro di sé e di non coinvolgere le persone che aveva attorno. Si mostrava sempre tranquillo, sorridente, come se nulla potesse colpirlo, ma la verità la conoscevano soltanto i pochi amici molto stretti. Socializzava piuttosto in fretta e gli piaceva frequentare tante persone, ma non era il tipo disposto a rivelare tutto di sé a coloro che conosceva appena. Ci metteva molto tempo a dare davvero fiducia agli altri, forse per via delle scottature che si era preso nel corso degli anni o forse perché quella era una dote di famiglia. Aveva sempre preso in giro sua cugina per il suo essere sempre un po’ restia nell’aprirsi, ma in fin dei conti lui non era mai stato da meno. Si ripetevano di continuo di non avere davvero nulla in comune, di essere terribilmente diversi, ma entrambi sapevano che non era così e tutto sommato ne era felice. Era bello sapere di avere qualcuno in cui potersi rispecchiare, che lo capiva, che non gli avrebbe mai chiuso la porta in faccia.
    Un vociare allegro nei pressi del tavolo gli fece sollevare il volto, incuriosito dall’arrivo di un trio piuttosto allegro in cui non fu difficile riconoscere Skylar. Era stata la ragazza di un suo amico per qualche anno, prima che i due si lasciassero, anche se Andrew non era stato molto dettagliato nel proporre quel racconto. Gli aveva detto che lei era semplicemente cambiata, che era uscita un po’ fuori di testa e che lo aveva lasciato senza motivo. Gli era dispiaciuto un po’ apprendere di quella separazione, gli erano sempre sembrati una bella coppia ma non si era mai impicciato nelle loro faccende. Quello che aveva notato invece era che, dopo l’accaduto, Sky aveva iniziato a ignorarlo ed evitarlo, come se le avesse fatto qualcosa di male. Aveva provato a interrogarsi su cosa poteva aver fatto, su qualche parola o comportamento sbagliato, ma non era mai riuscito a darsi una risposta e così aveva fatto finta di nulla. Era una ragazza simpatica e gli dispiaceva non poterle rivolgere neppure la parola, ma forse Andrew aveva ragione e qualcosa in lei era cambiato di punto in bianco. Perso nei suoi pensieri quindi, in quegli interrogativi senza risposta, quasi non si accorse neppure che lei aveva finito con il sedersi accanto a lui, fino a che la sua voce lo ricollocò a quel tavolo. -Skylar. - rispose lui, con un sorriso tranquillo sul volto, facendo quasi da eco al modo in cui lei lo aveva salutato. La vide guardarsi attorno, come se si aspettasse di vedere qualcun altro. -Che sorpresa, non mi aspettavo di vederti qui. Conosci Jessy quindi. - le disse, provando a procedere con la conversazione. Sembrava un po’ preoccupata, come se avesse appena visto un fantasma. Furono interrotti dall’arrivo di un’altra sua amica, probabilmente un altro componente del gruppo di yoga di Jessy, che sembrava folto quasi quanto quello della sala pesi. -Dire che sono da solo in mezzo a tutta questa gente non sarebbe proprio corretto. - aggiunse lui, con l’accenno di un sorriso sul volto, mentre lei si ritrovò quasi ad arrossire e a puntualizzare che si chiedeva se dovesse arrivare qualche amico in comune. -Non saprei, conosci qualcuno dei tipi loschi da quella parte del tavolo? - domandò, indicando i suoi amici della palestra, con cui trascorreva più tempo rispetto ad altri. -Ma no, nessun altro che potremmo conoscere. - aggiunse poi, non sapendo se quello fosse uno strano modo di chiedergli se avrebbe incontrato Andrew quella sera, dopo tanto tempo.
    Dalla sua sinistra comunque fece presto capolino un’altra testa sorridente, stavolta mora, che si presentò come Leslie, chiedendo incuriosita come i due si fossero conosciuti, per poi presentargli anche Celia, l’ultima del trio, che notò con una certa attenzione il fatto che lui non seguisse le lezioni di yoga. -No, temo di non essere così paziente da poter seguire delle lezioni di yoga. - rispose lui, divertito. Non aveva mai pensato a quello come uno sport adatto a sé. I movimenti erano troppi calmi, troppi dolci, per non parlare di tutte quelle musiche rilassanti che lo avrebbero fatto addormentare sul tappetino in men che non si dica. No, preferiva cose diverse. -Abbiamo avuto delle amicizie in comune, ma ci siamo un po’ persi di vista. - aggiunse poi, in risposta all’altra domanda, per cercare di togliere Sky dall’imbarazzo, rivelando giusto il necessario. -Io sono James comunque. - si presentò poi, rendendosi conto di non aver ancora rivelato il suo nome alla simpatica Leslie. La festeggiata prese quindi posto giusto a qualche sedia da loro, invitando tutti ad alzare in aria i loro bicchieri per brindare prima dell’arrivo dell’antipasto. Mandò giù un sorso di vino anche lui, notando con la coda dell’occhio Sky bere il suo tutto d’un fiato. Arricciò appena il naso, un po’ confuso da quel comportamento, non l’aveva mai vista alzare troppo il gomito nelle precedenti occasioni in cui l’aveva incontrata. -Va tutto bene? - domandò quindi, avvicinandosi al suo orecchio per sussurrare quelle parole per evitare che altri potessero sentirle. Sembrava trovarsi davvero a disagio e non comprendeva quale fosse il motivo che lo aveva scatenato. Era forse lui? -Vuoi che chieda a qualcuno di sedersi al mio posto? - aggiunse quindi, offrendole una veloce via d’uscita. Si sarebbe velocemente inventato una scusa per far spostare uno dei suoi amici, in caso di necessità. Sarebbe stato inutile, da parte di Sky, fingere di essere felice di vederlo visto che aveva sempre fatto dietro front quando lo incrociava. -Ho fatto qualcosa che non va? - domandò ancora, decidendo di cogliere quell’occasione anche per togliersi quel sassolino che era rimasto troppo a lungo nella sua scarpa. Se c’erano dei problemi avrebbe preferito saperli piuttosto che ignorarli, almeno gli sarebbe stato possibile scusarsi.
     
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    Spezzata tra camminare e volare. (cit.)

    Le sembrava così strano partecipare a un evento normale come un compleanno di una compagna di palestra, nonostante ormai fosse passato un anno da quando aveva ancorato i propri piedi a terra, alcune volte ancora si sentiva strana, come un pesce fuor d’acqua. Il suo passato era stato costellato di feste a bordo di aeromobili con destinazione anywhere, senza limiti o confini geografici. I suoi Natali erano stati sempre legati al fuso orario o alle culture, non agli affetti, ancora ricordava il coloratissimo Natale che aveva trascorso in India con Andrew, persino meglio quello in California. In quegli anni le poste di tutto il mondo erano la sua salvezza, spediva pacchi in Norvegia per le sue amiche e per la sua famiglia, escludendo sua madre da quella tradizione. Per la maggior parte della sua vita Skylar aveva vissuto coi piedi sulle nuvole, sostenuta dalla leggerezza della gravità, per poi scoprire che quest’ultima poteva essere pesante come un’intera montagna, al punto di annientarla. Quella nuova consapevolezza l’aveva portata a preferire l’asfalto alle stelle, certe volte sollevava la punta del naso verso il cielo e rimaneva senza fiato, quando era alla guida degli aerei, non aveva mai notato quanto fosse imponente e terrificante al tempo stesso. Si era sempre sentita la padrona lassù, invece le era stata impartita una lezione che non avrebbe dimenticato facilmente, la presunzione ti seppellisce. Per molto tempo Skylar aveva pensato di poter sovvertire le leggi umane, di poter vivere in alto, seduta su un’altalena di astri per dimenticare tutto ciò che si trovava al di sotto della pianta dei suoi piedi. Il divorzio dei suoi genitori, la sofferenza di sua sorella… e la sua. Scappare le era sembrata la soluzione migliore, ma il Destino aveva deciso per lei che doveva tornare a casa. Quando questo era accaduto si era sentita soffocare, aveva dovuto imparare nuovamente a camminare, in maniera piuttosto letterale. Aveva avuto bisogno di diversi mesi di riabilitazione dopo il dirottamento, le stampelle erano state le sue migliori amiche, ma non sapeva che le avrebbe incontrate di nuovo l’anno dopo. Pareva che Skylar non appartenesse né al cielo, né alla Terra. Non importava dove fosse, la vita la metteva alla prova nei modi peggiori che potesse immaginare, l’incidente aereo e poi l’arena. Avrebbe mai smesso di essere trascinata verso la tana della morte? L’aveva incontrata due volte da vicino, in entrambe le occasioni la sua voglia di vivere era stata molto più forte, era andata avanti solo grazie a quella. Skylar era una piccola guerriera bionda, lo aveva dimostrato ampiamente, adesso meritava di godersi solo un po’ di pace.
    Il ristorante era gremito di gente, la tavolata di Jessy aveva riempito la maggior parte dei coperti, le sembrava di essere a una cena di matrimonio. Non c’era da aspettarsi nulla di meno dalla sua compagna di yoga, conosceva davvero tutti nel B-Side, persino gli addetti alle pulizie. Si chiedeva come facesse ad avere una riserva di voce così grande per parlare ininterrottamente con chiunque, non l’aveva mai vista in silenzio, se non durante le sessioni di meditazione in classe. Jessy era un vulcano di energia, correva da una lezione all’altra sempre col sorriso sulle labbra, mai una lamentela o una cattiveria per qualcuno. Era impossibile non volerle bene, infatti quella sera c’erano moltissime persone. Skylar prese posto accanto alla sua amica Lesley, senza rendersi conto di aver scelto la sedia sbagliata per accomodarsi, alla sua sinistra James ‘O Neill le sorrideva con una sincerità disarmante. Ormai non c’era più modo di cambiare posto, dovette rassegnarsi all’idea di mantenere dei toni cordiali con quel ragazzo che la legava con un filo invisibile a una parte del suo passato che voleva dimenticare.
    ”Sì, facciamo yoga insieme.” gli diede una risposta essenziale, così da non dargli modo di farle troppe domande. ”In effetti non siamo soli…” era certa di essere arrossita per avergli chiesto indirettamente di Andrew, prima. Ormai era tardi per occultare la sua reazione troppo istintiva alla sua vista, avrebbe potuto utilizzare un esercizio di respirazione veloce per calmarsi, così da non finire immediatamente sommersa dall’imbarazzo. ”No, conosco solo le ragazze del corso di yoga, non frequento altre lezioni.” le sfuggi un mezzo sorriso quando James definì loschi i ragazzi dall’altra parte del tavolo, ma lo dissimulò in fretta. Chissà se aveva capito che parlava di Andrew, dalla sua risposta non le era facile capirlo. Rimase a guardarlo per qualche secondo, indecisa se essere diretta o meno, ma sarebbe risultata sgarbata e anche un po’ disperata. Quale ragazza chiedeva ad un altro, per prima cosa, se aveva visto il proprio ex dopo un anno che non si vedevano più? Gli avrebbe fatto pensare che voleva tornare con Andrew o qualcosa di simile, la cosa più lontana dalla verità. Preferì tacere. Fortunatamente venne interrotta da Lesley, che come al suo solito doveva farsi notare e scoprire tutti i pettegolezzi migliori del B-Side. Era appena partita col suo interrogatorio, spruzzato da quel sentore di malizia che era la sua caratteristica principale. Quando la conobbe per la prima volta, Skylar si chiese se per caso non ci stesse provando con lei, poi comprese che era parte del “pacchetto Lesley”. Osservò James risponderle divertito dal suo atteggiamento spigliato. ”Abbiamo avuto delle amicizie in comune, ma ci siamo un po’ persi di vista.” era stato onesto, nulla di diverso da quello che avrebbe detto lei davanti a quella domanda. Strinse le labbra tra di loro, rimanendo semplicemente in ascolto, magari sarebbe riuscita a defilarsi da quella conversazione scomoda se avesse continuato così. Per sicurezza afferrò il bicchiere che Les le aveva riempito di vino e lo mandò giù tutto d’un sorso, se James le avesse rivolto ancora la parola almeno sarebbe stata meno cosciente. Skylar non reggeva molto l’alcool, principalmente perché non ne aveva mai fatto molto uso, preferiva di gran lunga gli analcolici. Nell’ultimo anno doveva ammettere di aver pensato spesso di diventare un’alcolizzata, così avrebbe smesso di pensare troppo, ma non le piaceva la sensazione di annebbiamento che le velava tutti i sensi dopo un’intera bottiglia di vino. Aveva provato una sola volta, sotto la supervisione delle sue amiche, ma l’esperimento era fallito miseramente, si era addormentata sul tappeto di casa di Lesley.
    ”Hey, vacci piano!” esclamò Celia, affacciandosi per rimproverarla, ricordavano tutte come era finita l’ultima volta. Skylar annuì in sua direzione, poi si voltò verso James che non aveva colto la sua tattica del silenzio. ”Va tutto bene?” le chiese avvicinandosi al suo orecchio, c’era troppa confusione ora che era arrivata anche Jessy al tavolo. ”Vuoi che chieda a qualcuno di sedersi al mio posto?” era davvero molto evidente che non si sentiva a suo agio, altrimenti non le avrebbe fatto quella domanda, ne era certa. Puntò i suoi occhi chiari in quelli di James, stupita da quella schiettezza, ma soprattutto dal suo desiderio di capire cosa la spingesse ad evitarlo in tutte le occasioni. Chissà se anche quel momento non rientrava nei disegni del Destino che si divertiva sadicamente a prenderla in giro e a metterla in difficoltà. ”No, non devi cambiare posto per me.” non sapeva bene come proseguire, in quel momento un’interruzione da parte di Lesley sarebbe stata perfetta, invece con la coda dell’occhio la vide intenta a parlare con Celia e Jessy. ”Ti sbagli, tu non c’entri nulla.” si sentì nuovamente in imbarazzo, ma stavolta era differente, era dispiaciuta perché James non le aveva fatto nulla. Cosa poteva dirgli? Che siccome conosceva Andrew non lo sopportava di riflesso? Un comportamento veramente immaturo da parte sua. Si avvicinò piano all’orecchio di James, non gli doveva nessuna spiegazione, eppure sentiva che dirgli la verità le avrebbe permesso di stare meglio a sua volta. ”Lo vedi, ancora? Lui, dico…” si allontanò per guardare la sua reazione, come se gli avesse appena fatto una grande rivelazione, in realtà aveva risposto a una domanda con un’altra domanda. Era stata così vaga che “lui” avrebbe potuto essere chiunque, persino il nonno di Jessy che nessuno dei presenti conosceva. Stava per aggiungere qualcosa, quando uno dei ragazzi “loschi” si alzò in piedi per fare un brindisi. ”Auguri alla ragazza più popolare di tutta la B-Side! Jessy, poi ci aspettiamo una serie da 20 flessioni, ovviamente ad ogni flessione un sorso di vino!” a quegli auguri seguirono schizzi di bevande su tutto il tavolo e versi di entusiasmo e approvazione per la proposta. Skylar si voltò a guardare l’amica che si alzò in piedi col bicchiere alzato. ”Grazie a tutti per gli auguri! Ingvar certo che accetto la sfida!” ci fu un mormorio generale, accompagnato da fischi e applausi. Il gruppo della palestra sapeva come farsi notare, molti commensali seduti ad altri tavoli si erano girati a guardarli. ”Jessy, dimmi che qualcuno ti ha portata qui e che non guidi tu!” si allungò per sincerarsi che la sua amica non facesse sciocchezze, così da temporeggiare per un attimo con James. Sentiva di avere bisogno di aria, erano arrivati solo gli antipasti a tavola, e lei già scalpitava per andarsene. Tornò a guardare il ragazzo alla sua sinistra, lo scrutò per qualche istante in silenzio, poi si alzò in piedi e prese la propria giacca dallo schienale. ”Les, per favore, dì a Jessy che esco a prendere una boccata d’aria. Il vino ha fatto effetto subito.” non era esattamente la verità, ma era un’ottima scusa per defilarsi per qualche istante. Si accostò all’orecchio di James, ”Ti aspetto fuori, qui dentro c’è troppo casino.” il suo istinto aveva preso la parola per lei, o forse era stato davvero il bicchiere di vino bevuto troppo in fretta. Non rimase ad aspettarlo, attraversò il locale ed uscì all’aria aperta, respirando a pieni polmoni il fresco della sera. Skylar si appoggiò con la schiena al lampione di destra che illuminava l’ingresso del ristorante, si strinse meglio nella giacca e rimase in attesa. Chissà se James avrebbe accettato il suo invito a seguirla.

    Edited by Aruna Divya - 15/12/2020, 17:05
     
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    Gli mancava viaggiare. Gli anni precedenti, insieme ai suoi amici storici, aveva esplorato molti luoghi, lasciandosi guidare dall’istinto. Non erano mai stati viaggi troppo organizzati, ma ispirati soltanto dal prezzo basso dei biglietti. Quando uno di loro trovava un’offerta la mandava subito al resto del gruppo e organizzavano i viaggi con naturalezza, decidendo poi sul momento che cosa visitare. Non era la destinazione ad essere importante per lui dopotutto, quanto piuttosto la compagnia. Negli ultimi anni invece era rimasto molto più fermo nella stessa città, la paura di dimenticare lo aveva come congelato. Era stato in Irlanda in qualche occasione, ma erano stati sempre viaggi di una settimana, in cui aveva visto di sfuggita giusto i parenti stretti e gli amici a cui era più legato. Aveva sempre detto di avere pochi giorni di ferie, di dover tornare a lavoro, non poteva certo dire che altrimenti avrebbe persino dimenticato di averne uno di lavoro. La sua vita era stata stravolta senza che lui potesse avere il tempo di accettarlo, di prepararsi psicologicamente ad un cambiamento così radicale. Era sempre stato uno che si buttava nelle avventure senza pensare troppo, guardando sempre avanti, ma in quel caso si trovava come incatenato, bloccato da paure che non poteva scacciare con un semplice gesto della mano. Aveva conosciuto delle bellissime persone in quella città e vissuto dei momenti che non avrebbe mai voluto dimenticare, ma sarebbe stato sciocco da parte sua non ammettere che quei ricordi gravavano come macigni su di lui, impedendogli di essere libero. Sarebbe stato senza dubbio molto più semplice se non avesse mai scelto di trasferirsi in quella città, di fuggire dalla sua vita e ricominciare, ma aveva fatto quel passo e ora avrebbe dovuto convivere con le conseguenze, con l’aiuto di chi, come lui, viveva con le stesse regole. Era sicuro che ci fosse solo bisogno del giusto tempo per abituarsi e trovare il proprio equilibrio, anche se si chiedeva quanto tempo ci sarebbe voluto per lui prima di sentirsi davvero a suo agio con quella faccenda. Viveva giorno per giorno, cercando di reagire a un problema per volta, senza crearsene troppi da solo.
    Quella sera tuttavia sperava di riuscire a liberare la mente da tutti quei pensieri un po’ grigi che minacciavano sempre di trascinarlo a fondo. Voleva tornare il ragazzo allegro e spensierato di un tempo, almeno per un giorno, almeno per Jessy, che era stata così carina da invitarlo alla sua festa. I suoi sogni di trascorrere una serata all’insegna delle risate e di una bella chiacchierata tuttavia dovette abbattersi in fretta contro la realtà quando Skylar si sedette al suo fianco, mettendo su un’espressione che gli fece intuire che non sembrava più molto felice di essere lì. Come aveva immaginato aveva conosciuto Jessy al corso di yoga, probabilmente insieme alle altre ragazze che occupavano una buona metà del tavolo. Non avrebbe mai detto che così tante persone potessero seguire un corso di yoga. Ma ci stavano tutte in quella saletta che gli era sempre sembrata così piccola? Più parlavano e più gli sembrava evidente che lei non fosse a suo agio, anche se davvero non capiva che cosa potesse essere successo nel loro passato per causare simili reazioni. Era forse accaduto qualcosa che aveva dimenticato nei suoi viaggi? Sperava vivamente che non fosse così oppure davvero avrebbe messo l’ancora su quella città senza più uscirne, neppure per un giorno! Cercò di fare qualche battuta per smorzare un po’ di quella tensione, riuscendo fortunatamente a strapparle un sorriso, anche se breve. Era comunque un passo avanti dal suo punto di vista, uno spiraglio di miglioramento. Rispose alle domande delle sue amiche, mentre lei iniziava a sorseggiare il vino presente nel suo bicchiere, cogliendo l’occasione per rimanere in silenzio. La osservò con la coda dell’occhio, alla ricerca di un segnale, di un gesto, di qualunque cosa potesse fargli comprendere che cosa stava accadendo, senza tuttavia riuscire a trovare nulla. sarebbe stata una lunga serata, probabilmente, se le cose fossero continuate in quel modo. notò una delle sue amiche rimproverarla per il vino che aveva mandato giù tutto d’un fiato e allora, approfittando del chiasso attorno a loro, si avvicinò a lei per cercare di porle delle domande senza che altri potessero sentirli. Dopotutto immaginava che, qualunque fosse il problema, non gliene avrebbe di certo parlato davanti a tutti.
    Sky puntò i suoi occhi azzurrissimi dritti nei suoi, come se fosse rimasta spiazzata da quelle domande. Lui non si mosse, continuando ad osservarla in attesa di una risposta, qualunque essa fosse. Nel tempo aveva imparato a incassare notevoli colpi a parole, non lo spaventava quindi l’idea di poter ricevere in cambio una pessima risposta. Gli disse che non voleva che cambiasse posto per lei, anche se tutto nei suoi gesti sembrava suggerire l’esatto contrario, ma lasciò continuare, senza interromperla. Arricciò appena il naso, un po’ confuso, quando disse che il problema non era lui, guardandosi attorno, forse alla ricerca di qualcuno che potesse toglierla fuori da quell’imbarazzo, senza però riuscire a trovare alcun tipo di supporto. Fu lei ad avvicinarsi in quel caso, sussurrando al suo orecchio l’ultima delle domande che si sarebbe aspettato di sentire quella sera. Era Andy il problema? Quella si che era un’informazione strana. Non lo aveva detto espressamente, ma visti i loro trascorsi gli sembrava la persona più plausibile a cui collegare quella domanda. Sapeva che si erano lasciati, anche se lui era stato molto vago sulla faccenda. -Qualche volta, non più come un tempo. - rispose, permettendole così di sapere ciò che prima aveva provato a chiedere in maniera molto più indiretta. -E’ sempre molto evasivo, come se avesse qualcosa da nascondere.. - continuò, venendo però interrotto da uno dei suoi amici che, già un po’ alticcio, si era alzato in piedi per indire un brindisi in onore di Jessy, accompagnato da una sfida alcolica pensata solo per l’occasione. Rise nel sentirli rivolgersi quelle parole, partecipando poi al coro di fischi, urla e applausi che fece girare tutte le persone sedute agli altri tavoli verso di loro. Se speravano di trascorrere una serata silenziosa avevano sicuramente sbagliato ristorante quel giorno. L’arrivo degli antipasti fu accolto con entusiasmo e anche lui, come i suoi amici al suo fianco, iniziò a mangiare senza farselo ripetere due volte, terminando quindi il suo primo bicchiere di vino. Si voltò verso Jordan al suo fianco, che dava un morso ad un bel pezzo di pane, masticando senza neppure preoccuparsi di chiudere bene la bocca. -Ma secondo te c’è già un volontario per riportare Jessy a casa? La vedo già su di giri, non credo che arriverà a fine serata da sola. - mormorò, un po’ preoccupato per l’amica, che continuava a brindare senza curarsi del numero di bicchieri che le venivano versati.
    Sentì di nuovo lo sguardo della bionda su di lui per qualche momento, prima di vederla prendere la sua giacca e alzarsi in piedi. Mormorò qualcosa in direzione di una delle sue amiche per poi avvicinarsi a lui e invitarlo a raggiungere all’esterno, muovendosi poi velocemente verso l’uscita, senza aspettarlo. La guardò per un istante, sorpreso da quell’invito e attese qualche momento. Era evidente che lei non volesse dare nell’occhio e pensò fosse quindi meglio aspettare alcuni istanti prima di uscire. Terminò l’antipasto, si versò un bicchiere d’acqua e poi recuperò la sua giacca. -Ho bisogno di una sigaretta, torno subito. - disse, rivolgendosi all’unico dei suoi amici che non fumava, così che non si offrisse di fargli compagnia. -Raccontami cosa mi sono perso poi. - aggiunse, con un occhiolino, battendo appena con una mano sulla sua spalla, per poi allontanarsi velocemente dal tavolo e puntare verso l’uscita. Si sentiva un po’ nervoso per quella conversazione, ma era genuinamente sollevato all’idea di poter risolvere finalmente quella faccenda e poter avere un dialogo diverso da quel momento in avanti. Il fresco dell’esterno sferzò sul suo viso, disorientandolo per un istante. Si era abituato al clima più caldo dell’interno e rabbrividì quindi per un momento a contatto con quell’aria più fredda. Notò Sky poco distante, con la schiena appoggiata contro un lampione, alla destra dell’ingresso, la giacca stretta davanti a sé per proteggersi dal freddo. -Skylar? - la chiamò quindi, per farle notare la sua presenza senza spaventarla. Aveva un’aria triste e gli dispiacque vederla così, lei che era sempre stata solare e piena di vita. Si morse le labbra, non sapendo da dove cominciare quel discorso che forse avrebbe voluto iniziare lei, ma non era mai stato bravo in quel genere di cose, non quando si trovava dall’altra parte rispetto a un bancone da bar. -Senti.. non so che cosa sia successo tra te e Andy, lui non ha mai voluto parlarne. - disse, senza troppi preamboli, partendo subito da quello che gli era parso essere il problema. -Ha detto soltanto che è stato lui a lasciarti perché le cose erano diventate strane… - continuò, non avendo idea di quanto sbagliato fosse quello che stava dicendo in quel momento. Non conosceva gli ultimi retroscena della loro relazione, non sapeva quale fosse stato il vero motivo scatenante della loro rottura. -Ma.. ad ogni modo.. non credo che dovresti rimanere aggrappata a quella storia. Sei una ragazza meravigliosa, non rimanere ancorata a lui, anche lui si sta rifacendo la sua vita. - disse ancora, avvicinandosi di un passo a lei. Era convinto che lei fosse ancora innamorata di lui e soffrisse quindi per la loro separazione, non poteva immaginare invece quanto sbagliata fosse la sua versione dei fatti.
     
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    ”Avete mai sentito parlare del filo rosso del destino, Skylar - san?” le chiese l’uomo di nome Hiroshi sorridendole attraverso il calice pieno di champagne. Skylar scosse la testa in segno di diniego, poggiando le labbra sulla sua tazza tradizionale che conteneva una discreta dose di sakè, mentre lei avrebbe preferito di gran lunga un buon matcha caldo. Hiroshi, il pilota della Japan Airlines, si era offerto di pagare il suo drink e lei non era stata in grado di dire di no quando le aveva proposto di assaggiare il loro nettare degli dei, il sakè. Non voleva offenderlo, ma per lei era troppo forte, così lo sorseggiava pianissimo come se fosse bollente e per il suo stomaco lo era davvero.
    ”E’ una leggenda famosissima qui in Giappone. Si dice che le anime gemelle siano legate sin dalla nascita da questo filo rosso che si allaccia saldamente al mignolo sinistro delle due persone che sono destinate ad incontrarsi e ad amarsi.” l’uomo alzò la mano verso il cameriere chiedendo un bicchiere di sakè per se’ e qualche snack per la sua nuova amica che vedeva in difficoltà a terminare la sua bevanda. ”Troppo forte per voi europei, eh? Eppure credevo che col freddo della Norvegia foste abituati a cose più intense.” le disse Hiroshi con la voce singhiozzante nel tentativo di nascondere una risata. Skylar sollevò gli occhi chiari sull’uomo con aria desolata, ”La verità è che avete a che fare con una norvegese anomala, reggo poco l’alcool, infatti cerco di bere sempre quelle poche cose che so che non mi rendono troppo molesta, Hiroshi – san.” poggiò la tazza sul bancone e allungò le mani verso le bacchette al suo fianco, spezzandole prima di intingerle nella scodella fumante che aveva appena portato il cameriere. Non sapeva bene cosa ci fosse all’interno, ma sapeva che in Giappone erano tutti molto formali per quanto riguardava l’educazione, così mise in bocca una pallina morbida dal colore bianco. ”Mhmh… oishi!” sfruttò una delle poche parole che conosceva nella lingua locale in segno di apprezzamento, non andava molto lontana dal “buongiorno” e dal “come stai?”. ”Parlavate di un filo rosso che collega le anime destinate a stare assieme, io non ci credo, altrimenti dove finirebbe il nostro libero arbitrio? E poi voi vedete alcun nodo rosso al mio mignolo, Hiroshi – san?” prese un'altra di quelle palline dal sapore meraviglioso, ignara di quanto quel discorso si sarebbe dimostrato vero nel suo futuro. Il suo filo rosso iniziò a vibrare quando dietro le sue spalle comparve Andrew per portarla via con se’, salutarono Hiroshi che non rispose subito, i suoi occhi passarono dalla mano sinistra di Skylar a quella di Andrew in rispettoso silenzio. ”Skylar – san, quando ci rincontreremo porterete un anello diverso al dito. Buonanotte ad entrambi.” Hiroshi li salutò con un mezzo inchino prima di sparire nella hall dell’albergo e poi dalla loro vita, portando via con se’ il mistero delle sue parole.


    Il compleanno di Jessy era uno dei più chiassosi a cui avesse mai partecipato, non riusciva nemmeno a sentire i propri pensieri tante erano le voci e le vibrazioni euforiche che le arrivavano addosso. L’unica vibrazione stonata era seduta al suo fianco e portava il nome di James, il quale le aveva appena chiesto per quale motivo lo evitava con grande determinazione da quando frequentavano la stessa palestra. Skylar si sentì in difficoltà davanti a tanta sincerità, non sapeva come spiegargli che la sua era una colpa di riflesso o meglio un’amicizia sconveniente. A quel punto cercò un modo di affrontare l’argomento, ma lo prese talmente alla larga che non era certa che James comprendesse di chi stesse parlando. ”Qualche volta, non più come un tempo.” la stupì quella risposta, credeva che si sentissero ancora lui ed Andrew, li ricordava molto uniti prima che la sua vita fracassasse al suolo. ”Ah.” fu l’unica cosa che riuscì a dire per qualche istante, i suoi occhi chiari incontrarono quelli di James senza riuscire a leggervi una qualche traccia di inganno. Le sembrava così diverso dal suo ex ragazzo, come erano riusciti ad essere amici? ’Allo stesso modo in cui tu hai quasi sposato Andrew?’ le disse una vocina nella sua testa, ricordandole che per molto tempo lei non era riuscita a vedere chi aveva accanto per davvero, presa com’era dal cercare a tutti i costi la felicità. ”Io credevo che foste rimasti in buoni rapporti.” aggiunse dopo quella che a lei parve un’eternità, avrebbe voluto proseguire il discorso, ma vennero interrotti da uno dei ragazzi dall’altro lato del tavolo per un brindisi che scatenò l’ilarità generale. La sua proposta di una sfida alcolica per la festeggiata venne accolta con schiamazzi e applausi, facendo voltare gli altri clienti del ristorante, c’era troppa euforia nell’aria per badare agli altri. Skylar si unì applaudendo senza troppo entusiasmo, era preoccupata per la sua amica che aveva bevuto già troppo per essere arrivati solo agli antipasti. Colse l’occasione per distogliere l’attenzione da James e per chiedere a Jessy come sarebbe tornata a casa visto che era venuta con la sua macchina. Non ottenne una risposta soddisfacente, ma se la fece bastare, pensando che a fine serata si sarebbe accertata che Jessy fosse seduta sul sedile del passeggero di qualche volontario al suo rientro. Quella pausa non sarebbe andata avanti per tutta la sera, persino in musica la pausa più lunga durava solo quattro quarti. Decise di non tirarsi indietro dall’argomento che avevano intavolato, invitando James a raggiungerla all’esterno del ristorante per avere un po’ di privacy. Si alzò e uscì fuori, l’aria fredda della sera era esattamente ciò di cui aveva bisogno, sentì la mente svuotarsi come se il vento fosse arrivato a soffiare nella sua scatola cranica. Non era certa di aver fatto bene a chiedere a James di raggiungerla, aveva seguito l’istinto spinta dall’unico bicchiere di vino che aveva bevuto e dal desiderio di chiarire la situazione una volta per tutte. La sua terapeuta le aveva ripetuto sin troppe volte che sbagliava ogni volta che non affrontava una parte del suo passato, scappare serviva solo a rimandare un confronto che prima o poi sarebbe avvenuto lo stesso. A quel punto era meglio che fosse lei a scegliere dove e quando farlo.
    Rimase in ascolto dei suoni della città in procinto di addormentarsi, qualche macchina ancora passava a intermittenza lungo la via, mentre dall’altra parte della strada i negozianti stavano chiudendo le serrande con la stessa indolenza con cui si chiudono gli occhi prima di affondare nei sogni. Era passato già qualche minuto da quando era uscita, forse James non l’avrebbe raggiunta e aveva tutte le ragioni per non alzarsi dalla sedia. In un moto di inquietudine Skylar iniziò a giocare con l’anello che portava sul mignolo sinistro, glielo aveva regalato Petra per lo scorso compleanno, era un cerchietto d’argento con la trama di una cartina geografica in rilievo. Tutto d’un tratto i suoi dubbi vennero fugati da una voce che riconobbe immediatamente. ”Skylar?” il ragazzo la raggiunse con pochi passi proprio quando lei aveva rinunciato ad aspettarlo. Si morse il labbro inferiore incerta su cosa fosse meglio dire, ma James la sollevò dall’onere di dire qualcosa per prima. Lo ascoltò in silenzio lasciando che l’espressione del suo viso parlasse per lei, una serie di sentimenti contrastanti si diedero il cambio sui suoi lineamenti, contraendo e rilassando muscoli di cui nemmeno sapeva il nome. Skylar rimase letteralmente a bocca aperta quando il ragazzo concluse il suo discorso dicendole che non era il caso di rimanere ancorata ad Andrew e di rifarsi una vita esattamente come lui. Parlava sul serio? Doveva essere uno scherzo di pessimo gusto il suo, eppure nel suo sguardo ci si poteva riflettere tanto era limpido. La sicurezza di Skylar nel voler affrontare quella conversazione vacillò, credeva che non avrebbe dovuto scavare a fondo nella questione, la loro doveva essere una chiacchierata veloce e invece si preannunciava un pozzo senza fondo. Si portò entrambe le mani sul viso, lateralmente usciva qualche sbuffo di vapore per il freddo. Lui avrebbe lasciato me! Santo cielo, ti ha davvero detto così?” lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, muovendo un passo verso James che svettava su di lei di parecchi centimetri. Si mise in punta di piedi per sentirsi più sicura e lo spintonò piantando le sue mani esili contro il suo petto. ”Premi gli inversori di spinta su tutta la linea, James! Noi… lui… oddio che fastidio!” scese dalle punte e si discostò di qualche passo senza voltare le spalle al ragazzo. ”Non è colpa tua, lo so… devo solo trovare il modo di spiegarti tutto senza aprire un buco nero, sai cosa intendo?” incrociò le braccia al petto moderando il tono di voce, non se ne era resa subito conto, ma aveva strillato più di quanto fosse necessario. Odiava il senso di agitazione che la pervadeva, le palpitazioni riusciva a sentirle fin dentro le orecchie, mentre l’aria era rarefatta come se fossero saliti di quota. Fece un respiro profondo sperando di riprendere il controllo delle sue emozioni, gridare contro James non avrebbe risolto i suoi problemi, ma forse poteva farle bene all’umore. ”Quindi tu non sai cosa è successo un paio di anni fa? L’incidente, la denuncia… speravo di dirti solo che odio Andrew con tutto il mio cuore e che se non lo frequenti più allora possiamo anche salutarci in palestra, invece…” fece un breve pausa, in quei momenti avrebbe voluto essere una fumatrice per temporeggiare in modo sensato, invece a quel modo ogni suo silenzio aveva un peso e un significato che non poteva nascondere. ”Un paio di anni fa c’è stato un incidente che ha fatto notizia su tutti i giornali, io ero la pilota che ha portato tutti in salvo hanno scritto, non è vero. Ci siamo salvati perché i dirottatori avevano delle particolarità impressionanti.” scrollò le spalle con non curanza, come se stesse parlando della vita di qualcun altro. ”Io e il mio equipaggio eravamo in pessime condizioni. Andrew non si è mai perdonato di non aver fatto quel volo con me, sai? Quando veniva a trovarmi in ospedale era diventato le mie gambe e le mie braccia, persino quelle sane…” si fermò, voleva davvero raccontare a quel ragazzo che non conosceva fino in fondo tutta la sua storia? Si strinse di più nelle braccia che teneva incrociate al petto, puntò i suoi occhi chiari in quelli di James e ancora una volta ebbe l’impressione che le sue intenzioni fossero pulite. ”Posso fidarmi di te?” chiese senza preamboli, non sapeva perché, ma sentiva il forte bisogno di sentirselo dire a voce alta prima di proseguire… prima di permettergli di entrare nel suo mondo.

    Edited by Aruna Divya - 6/1/2021, 16:58
     
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    La vita era una strana successione di eventi, non sempre del tutto prevedibili. Lui ad esempio quando aveva conosciuto Julia aveva pensato che la loro storia d’amore sarebbe durata per sempre. Aveva immaginato una piccola casetta insieme a lei, dei bambini, persino un cane che faceva loro le feste ogni volta che tornavano a casa dal lavoro. Aveva trascorso chissà quante ore a fantasticare un futuro insieme che invece non era mai arrivato. Si era illuso di avere in mano la sua vita, di sapere come sarebbe andata a finire, salvo poi rendersi conto di essere su una strada completamente sbagliata. Certo, se fosse stato per lui la loro relazione non sarebbe finita. Sarebbe stato disposto a seguirla in qualunque angolo del mondo, ad appoggiarla nella sua carriera e stare al suo fianco, ma lei aveva preferito tagliare i ponti, concentrarsi sull’unica cosa che per lei era sempre stata davvero importante. Aveva visto la sua foto su alcune riviste qualche anno prima, felice, mentre danzava nei migliori teatri d’Europa. Era stata la scelta giusta la sua, era arrivata dove voleva, aveva coronato i suoi sogni, ma questo non lo aveva fatto stare meno male. Era andato avanti, testardo e ostinato come era sempre stato, eppure a volte continuava a ripensare con malinconia a quegli anni. Chissà come sarebbe stata la sua vita se avesse scelto comunque di seguirla, se si fosse opposto alla sua decisione, o se lei avesse accettato di tenerlo con sé e di dargli una possibilità. Non si potevano compiere certe scelte da soli, non si poteva lottare contro forze troppo più grandi di un semplice essere umano e aveva imparato a farci i conti, ad accettare ciò che il destino aveva in serbo per lui. Forse c’era una ragione se era finito a Besaid, anche se ancora non riusciva a vederla con la giusta lucidità, o forse semplicemente ancora non l’aveva scoperta.
    Quando quindi Sky gli chiese indirettamente di Andrew pensò che anche per lei, come per lui, fosse stato difficile uscire da una relazione in cui aveva creduto davvero. Stavano per sposarsi, anche lui era stato invitato al loro matrimonio, e poi, all’improvviso, tutto era cambiato. La notizia aveva lasciato basito tutto il loro gruppo di amici e immaginava che anche per loro non doveva essere stato semplice voltare pagina, forse ancora non erano riusciti a farlo, anche se erano passati quasi due anni. Certe ferite erano difficili da rimarginare. Cercò di rispondere con estrema sincerità alle sue domande, sperando di non aver male interpretato le sue parole, notando una certa sorpresa sul volto di lei quando ammise di non vederlo più come un tempo. Probabilmente Skylar era convinta che nulla tra lui e l’amico fosse cambiato dalla loro separazione, ma purtroppo non era così. Andrew era cambiato dopo quella rottura, si era fatto più schivo, più riservato, come se ci fosse qualcosa che lo impensieriva, anche se non aveva mai voluto farne parola. Scosse appena il capo quindi, senza dilungarsi troppo su quella faccenda, cercando giusto di farle capire che, se pensava che lui sarebbe andato a ridire a Andy ogni dettaglio delle loro conversazioni, si sbagliava. Era già un miracolo che riuscissero a vedersi per più di cinque volte all’anno o sentirsi per più di qualche minuto. Partiva spesso, più di quanto avesse fatto in passato insieme a Sky. Inizialmente non lo aveva trovato poi così strano, visto il suo lavoro di pilota, ma con il tempo si era fatto delle domande e l’atteggiamento un po’ strano della ragazza al suo fianco non faceva che alimentare i suoi dubbi. Che ci fosse qualcosa che i due non avevano rivelato? Cercato di concentrarsi su qualcosa di diverso, come la cena di compleanno ad esempio e le varie sfide, lasciando a Skylar un po’ di tranquillità visto che sembrava un po’ presa dai suoi pensieri. Lo stupì quindi il suo invito a raggiungerla all’esterno. Non gli aveva dato una spiegazione a riguardo, ma immaginava che volesse uscire per parlare di Andrew e mettere almeno un punto al discorso che avevano iniziato poco prima.
    Si prese qualche minuto prima di alzarsi, terminando il suo antipasto e poi usando la scusa della sigaretta, così da non dare troppo nell’occhio. Qualunque cosa lei volesse dirgli di sicuro non voleva farlo davanti ad altre persone, o non gli avrebbe chiesto di seguirla, quindi meglio passare inosservato. Non fu difficile individuare una figura bionda un po’ infreddolita a qualche metro dall’ingresso del locale, appoggiata ad un lampione per non farsi invadere dall’oscurità. Si incantò per un istante a guardarla, i riflessi della luce gialla che emettevano uno strano colore sui suoi capelli biondi. Lei invece si guardava le mani, giocherellando con qualcosa che aveva al dito, forse un anello, forse le chiavi della macchina, da quella distanza non avrebbe saputo dirlo quindi si avvicinò di qualche passo prima di fare il suo nome. Attese che lei lo guardasse prima di prendere parola, iniziando a dare consigli che nessuno gli aveva chiesto e che forse stava dando più a se stesso che a lei. Era lui che faceva fatica a dimenticare le relazioni, a lasciarsele alle spalle, a ricominciare. Eppure in quel momento gli era sembrato di cogliere una somiglianza con lei, un bagliore che aveva visto nei suoi stessi occhi anni prima e che forse ancora non si era spento del tutto. Se aveva però sperato di ottenere una reazione positiva da parte sua, un cenno del capo o comunque qualcosa che gli facesse intuire di aver colto nel segno, lo sorprese vedere invece il suo cipiglio farsi decisamente più corrucciato. Si coprì il viso con le mani, mentre una leggera nuvoletta di vapore fuoriuscì lateralmente, mostrando forse il risultato di uno sbuffo o di un respiro particolarmente profondo. Riportò le mani lungo i fianchi poi per parlare, rivolgendogli lo sguardo più serio che avesse mai visto sul volto di lei mentre avanzava fiera nella sua direzione, sconvolta da quanto aveva appena sentito.
    Le sicurezze di James iniziarono a vacillare quando Sky chiese conferma di quanto aveva appena sentito, lasciando intendere, senza tuttavia dirlo apertamente, che le cose non erano andate esattamente in quel modo. Annuì appena, senza emettere un fiato, come a voler confermare quanto detto, mentre la figura minuta di lei si ergeva sulle punte nel porsi di fronte a lui, spintonandolo appena. Il suo busto si mosse appena all’indietro, attutendo quella leggera spinta che però non era riuscita ad allontanarlo da lei. La guardò con il sopracciglio inarcato, terribilmente confuso da quella reazione che di certo non si era aspettato. -Ma che? - mormorò, prima che lei iniziasse a dire qualcosa di assolutamente incomprendibile per lui. -Come scusa? Temo di non aver afferrato. - le disse quindi, senza cancellare l’espressione confusa dal suo volto mentre ancora continuava a fissarla. Che cosa diavolo erano gli inversori di spinta? Era forse un’offesa? Perché lui di certo non l’aveva capita. Si allontanò di qualche passo da lui, continuando però a fronteggiarlo. Assunse un’aria poco convinta mentre lei continuava a parlare. -So che hai avuto un incidente, anni fa. Qualcosa di vago ovviamente, nulla nei dettagli. Ma no, nessuna denuncia. - le disse, forse più per farle prendere tempo che per risponderle davvero, visto che alla fine non aveva fatto altro che ripetere alcune delle sue parole, senza sapere davvero che cosa dire. Continuava a non capire, tuttavia, perché affermasse di odiare Andrew più di ogni cosa, anche se sembrava che quello fosse il fulcro di tutta la questione. Iniziò con il chiarire l’incidente, che l’aveva vista direttamente testimone di un dirottamento da cui si erano salvati non per le sue abilità come pilota, ma per via delle particolarità di chi li aveva attaccati. Aveva subito delle complicazioni piuttosto gravi in seguito che l’avevano costretta in ospedale per qualche tempo e Andrew era andato spesso a trovarla per aiutarla, per cercare di farsi perdonare di non essere stato insieme a lei in quel volo. Annuì appena, come a dirgli che aveva saputo qualcosa di vago su quella questione e che lei non era tenuta a parlargliene, non se non voleva farlo. Lui dal canto suo non sapeva cosa dire, dopo quegli anni aveva senso dire che gli dispiaceva per quello che le era successo? O sarebbe suonata solamente come una frase di circostanza che era quindi meglio tenere per sé? La ragazza si fermò, stringendosi nelle spalle come a prendere coraggio, le braccia incrociate davanti al petto in segno di difesa. La domanda successiva lo colpì come una secchiata d’acqua gelida, tanto che corrucciò appena la fronte nel guardarla, come a chiederle se lo avesse detto davvero. -Io.. sì, credo di sì, non.. - iniziò, senza sapere neppure lui come dovesse prendere quella faccenda né per quale motivo glielo stesse chiedendo. -E’ perché non vuoi che ne parli con lui? Fidarti in che senso? - domandò, per poi sospirare appena, tremendamente confuso da tutta quella storia. -Sky.. – iniziò, abbassando appena lo sguardo sul pavimento prima di riportarlo su di lei, utilizzando il diminutivo che aveva usato per parecchio tempo con lei prima che le loro strade si allontanassero. -Non devi dirmi queste cose se non vuoi, non devi aggiungere nulla. - le disse, come a volerla rassicurare sul fatto di non essere tenuta a raccontargli tutta la sua vita e i suoi problemi, anche se l’avrebbe ascoltata se lo avesse voluto. -Dimmi solo se posso fare qualcosa, se.. non lo so.. c’è un modo per risolvere.. questo.. tra me e te. - disse, indicando i centimetri che li dividevano, volendo intendere la distanza che si era venuta a creare non a livello fisico ma dal punto di vista sociale. Notò una panchina con la coda dell’occhio, a soli pochi metri da loro, che però gli avrebbe permesso di allontanarsi ancora un po’ dall’ingresso e stare più tranquilli. -Andiamo a sederci, ti va? - le chiese, indicando con un leggero cenno la panchina e aspettando una sua risposta prima di muoversi. Potevano anche restare in silenzio per tutto il tempo di cui aveva bisogno, sarebbe rimasto lì, accanto a lei, fino a che non fosse stato il momento di tornare all’interno.
     
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    Il monitor delle funzioni vitali era l’unico rumore nella stanza, quel bip ritmico era diventato quasi confortante per Skylar. Ne conosceva le dinamiche come se fosse stata una canzone, sapeva quando doveva allertarsi e quando tutto era stabile, persino quando era solo un’agitazione passeggera che dava un po’ di beat al suo cuore. In quel momento era tranquilla, il calore dei raggi del sole che entravano dalla finestra le davano un piacevole senso di sonnolenza che accolse socchiudendo gli occhi. Fuori era primavera già da un po’, mentre all’interno dell’ospedale l’inverno sembrava perenne. A volte il bel tempo all’esterno riusciva a raggiungere la sua camera e a ricordarle che ogni stagione muore per far nascere la successiva, ma tra quelle quattro mura il ciclo delle stagioni si era interrotto da un pezzo. Skylar sorvolò quei pensieri come un Boing in alta quota, a centinaia di miglia dai banchi di nubi che creavano tempesta sulle città sottostanti. Respirava lentamente, muovendo leggermente il capo a tempo col bip del monitor alla sua destra. Un sorriso storto le rilassò le labbra, finalmente sentiva il sonno rallentarle i movimenti, aprì gli occhi un’ultima volta prima di cedere alla stanchezza, ma non riuscì più a chiuderli. Davanti a lei c’era Andrew che la fissava sulla soglia della porta della sua camera. Deglutì rumorosamente, ci vollero diversi istanti prima che riuscisse a muoversi di nuovo, la paura si era aggrappata alle sue spalle, era così pesante da sentirsi schiacciata sul letto. ”Non puoi stare qui.” sussurrò, il bip leggero e costante si era trasformato in un ritmo forsennato completamente fuori controllo. Vide Andrew fare un paio di passi all’interno della sua stanza, richiudendosi la porta alle spalle. Skylar si allungò verso la pulsantiera appesa al muro sopra al suo letto, si attaccò col dito al tasto che serviva per chiamare gli infermieri in caso di emergenza. Rimase ancorata a quel pulsante come se fosse l’autoespulsione del sedile in cabina di pilotaggio, sentiva che le dita iniziavano a farsi appiccicaticce sulla plastica bianca, sudava freddo. Non riusciva a muoversi, teneva la schiena addossata alla parete dietro di lei e gli occhi fissi su Andrew che avanzava. Ci mise qualche istante a notare che la porta era stata spalancata e che due infermiere erano entrate a passo svelto, riconobbe Lucy, la ragazza che si occupava dei suoi pasti e dei suoi controlli di routine. Lasciò che finalmente le lacrime le scorressero sul viso libere come sottili fiumi di dolore, non distolse mai lo sguardo da Andrew temendo che si accostasse troppo a lei, aveva paura che la rendesse di nuovo il suo burattino menomato. Ma lei stava bene, glielo avevano detto i dottori, a breve potevano dimetterla, invece il suo ex fidanzato era convinto che necessitasse della sua vigilanza costante, persino per le cose basilari come respirare o mangiare. Lucy rimase ferma sulla porta, mentre la sua collega era andata a chiamare la sicurezza, con la quale tornò pochi istanti dopo. Da quel momento in poi la memoria di Skylar vacillava sotto il peso delle emozioni che si davano battaglia nel suo petto, Andrew venne portato fuori di peso, Lucy che le correva incontro e poi il buio.

    Un semplice compleanno si era trasformato in un incontro ravvicinato col passato, un imprevisto in cui Skylar era inciampata senza volerlo. Aveva deciso di non tirarsi indietro dal confronto con James, infatti si trovavano appena fuori dal ristorante a discutere di come Andrew avesse manipolato la verità sulla loro rottura. Si era sentita dire che doveva andare avanti e che doveva rifarsi una vita come lui. Tutti commenti non richiesti e completamente fuori traiettoria rispetto alla realtà, era così fuori di se’ che spintonò James con le mani, col risultato di smuoverlo a malapena. ”Quale parte del discorso non ti è chiaro? Santo Cielo!” era irrequieta come non le capitava da tempo, odiava quella sensazione di agitazione che le attraversava il corpo come un flusso continuo di scariche elettriche. ”Gli inversori di spinta fanno da freno per gli aerei, quando si atterra viene utilizzato l’inversore per rallentare la discesa e per espellere i gas dei turboreattori al verso opposto rispetto a quello di marcia. Ecco… ho dato per scontato che si capisse, i miei amici ormai non ci fanno più caso quando lo dico.” si passò la mano dietro la nuca con un vago senso di imbarazzo non necessario, non le piaceva risultare saccente su determinati argomenti perché era ovvio che avendo studiato per ottenere il brevetto da pilota, per lei certe informazioni fossero essenziali come l’ossigeno.
    La prepotenza della rabbia per le bugie di Andrew sulla loro rottura non accennava a diminuire, dopo tanti anni passati insieme alla persona sbagliata si chiedeva come avesse fatto a non capirlo prima. Era stata cieca all’evidenza, aveva osservato la propria relazione nel modo in cui lei desiderava che fosse e non per quello che era davvero. Skylar rimase a distanza di sicurezza e iniziò a parlare di quello che era successo diversi anni prima, dell’incidente e della degenza in ospedale, ma arrivata a quel punto la sua lingua parve farsi arida al punto da non poter proseguire. Come poteva spiegare a James qualcosa di così intimo e personale? Non si vedevano da molto tempo e recuperare in un solo istante una confidenza che ormai era solo un eco remoto, le sembrava davvero difficile se non impossibile. Il suo istinto la spinse a chiedere a voce alta se poteva fidarsi di lui, non era certa di quello che stava facendo, lo si poteva leggere nelle sue iridi chiarissime. A pelle sentiva che James era una persona pulita, ma non si fidava delle proprie capacità di comprendere gli altri da molto tempo ormai. ”Sì, anche quello. Santo Cielo, bisogna spiegarti proprio tutto, eh?” mantenne le braccia incrociate al petto come uno scudo di carne ed ossa, puntò gli occhi cerulei in quelli di James quando la chiamò col nomignolo che le riservavano solo gli amici più stretti. ”Ti ho messo in difficoltà, non è così? Io credevo che tu sapessi cosa è accaduto realmente…” s’interruppe per lasciarlo parlare, sorpresa dal fatto che volesse mettere apposto le cose tra di loro invece che mandarla all’inferno, ne avrebbe avuto tutto il diritto. Si erano fraintesi sin dal primo sguardo che si erano rivolti in palestra, il non detto si era insinuato tra di loro creando più confusione di un pettegolezzo. Skylar annuì senza dire nulla in seguito alle sue parole, accettando di andarsi a sedere su una panchina poco distante da lì. Lo seguì e si accomodò al suo fianco, lasciò che il silenzio s’infilasse sotto la pelle, poteva sentirne la presenza scricchiolante nelle ossa, il silenzio faceva rumore. ”Mi dispiace di averti reso tutto più difficile, ho pensato di odiarti per tutto questo tempo perché sei… eri amico di Andrew, un fantasma del passato difficile da scacciare. Credo che dovrai sentire la fine della mia storia prima di capire perché ti ho chiesto se posso fidarmi di te…” poggiò le mani sulle assi di metallo della panchina, vi strinse le dita attorno fino a far diventare le nocche bianche in cerca di una quiete interiore che tardava ad arrivare. ”Beh, veniva a trovarmi spesso, troppo spesso. Lo avevano notato anche mio padre e mia sorella, finché un giorno non mi decisi a parlare con loro del fatto che Andrew non mi permetteva più di fare nulla da sola. Persino andare in bagno era diventato imbarazzante, non potevo vivere senza di lui, era questo che aveva cercato di inculcarmi in testa. Invece erano solo i suoi stramaledetti sensi di colpa. Così mi sono decisa a lasciarlo, ma ad Andrew non andava bene. Abbiamo dovuto chiedere un’ordinanza restrittiva perché continuava a venire in ospedale, faceva scenate e certe volte si approfittava del fatto che non fossi ancora totalmente in grado di camminare… sleale, non trovi?” aveva parlato con poche pause, sapeva che se si fosse interrotta non avrebbe più proseguito, aveva scelto di muovere dei passi incerti verso James e non aveva intenzione di tornare indietro. Anche se non gli aveva detto esplicitamente che poteva fidarsi di lui, c’era qualcosa nel suo sguardo che la spingeva ad aprirsi, una scintilla che non era in grado di tramutare in parole. Abbassò lo sguardo sul marciapiede, lasciando che la vista sgranasse e rimettesse a fuoco le sue scarpe più e più volte. Non aveva ancora lasciato andare la presa sulle assi della panchina, teneva le dita ancorate come ganci, sentiva che sarebbe volata via col vento se avesse aperto la mano. Fece una lunga pausa che non necessitava di essere riempita per forza, era orgogliosa di se stessa per essere riuscita a parlare di Andrew senza avere un attacco di panico, l’unico accenno di sforzo era il fiato corto, in altri momenti sarebbe stata sdraiata al suolo sopraffatta dalla forza gravitazionale della vita. Finalmente si decise a spostare lo sguardo dalle proprie scarpe agli occhi di James, "lo so è una storia triste, ma finisce più o meno bene. Io e te siamo un lieto fine?” domandò con ingenuità. ”Non intendo come Biancaneve e il Principe Azzurro, più come Woody e Boo Beep? Lei non sta con quel figaccione di Buzz alla fine?” ridacchiò, sentendosi improvvisamente più leggera. Solo per un istante sperò che il suo comportamento non facesse scappare James, doveva essergli sembrata una pazza furiosa, prima lo aveva spintonato e ora parlava di lieto fine. Non poteva negarlo, un po’ strampalata in fondo lo era, come ogni persona in risalita dal fondo, tentava di tutto sbagliando. Chissà se anche quella sera aveva sbagliato tutto...

    Edited by Aruna Divya - 16/2/2021, 16:55
     
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    Allungò la mano, andando a sfiorare in maniera quasi impercettibile il volto sereno di Julia, che ancora dormiva accanto a lui. Si era svegliato da pochi minuti e da quando aveva aperto gli occhi, tirandosi appena su sui gomiti, non era riuscito a smettere di guardarla neppure per un istante. Sorrideva, felice come non pensava di poter essere. Quando si erano incontrati la prima volta, al bar, aveva pensato che non sarebbe durata a lungo, non sapeva neppure se e quando si sarebbero rivisti. Era rimasto subito colpito da lei, dal suo modo di muoversi così elegante e leggiadro, come se fluttuasse. Ancora ricordava chiaramente la prima volta che l’aveva vista e ora che erano insieme e condividevano lo stesso appartamento da diversi mesi, sperava che quei momenti insieme sarebbero durati per sempre. Sognava ad occhi aperti uno o due bambini che correvano per la casa, che si buttavano sul letto per svegliarli la domenica mattina affinchè cucinassero loro la la colazione. Le avrebbe chiesto di sposarlo, continuava a pensarci giorno dopo giorno senza tuttavia riuscire a trovare il momento perfetto per fargle la proposta. Ancora doveva scegliere l’anello poi, non si poteva fare una proposta senza il giusto anello. Si sentiva un completo cretino nel tenersi dentro tutti quei pensieri, ma temeva che, pronunciandoli ad alta voce, sarebbero spariti in una nuvola di fumo. Accarezzò piano il volto della sua ragazza, rivolgendole un sorriso dolce quando lei aprì piano gli occhi. -E’ ora di svegliarti, o farai tardi. - le disse, dandole un leggero bacio sulle labbra, sentendola mugugnare appena. Sarebbe rimasto per ore intere a fissarla se soltanto non avessero avuto entrambi altri impegni. -Ti preparo al colazione. - aggiunse, alzandosi poi per primo, lasciandole qualche altro attimo per svegliarsi prima di essere costretta a prepararsi. Aveva dormito pochissimo lui, era tornato tardi la sera prima, ma era così emozionato per lei che quasi non era riuscito a chiudere occhio, nonostante la stanchezza. Quello era il grande giorno, avrebbe dovuto fare un’audizione per un’importante compagnia e lui non stava nella pelle. Era felice per lei e sperava tanto che tutto andasse per il meglio. Voleva vederla felice e sperava che il suo sogno si sarebbe realizzato. Non poteva certo sapere che quello sarebbe stato l’inizio della fine della storia e che non c’era posto per lui nel futuro che lei stava cercando di crearsi.

    Skylar lo guardava furibonda come se, con quelle parole, avesse appena scoperchiato il Vaso di Pandora, facendo fuoriuscire da esso ogni cosa. Non riusciva a comprendere per quale motivo fosse così arrabbiata e perché avesse iniziato a parlare utilizzando delle metafore che lui di certo non era stato in grado di cogliere. Era un linguaggio codice tra piloti per caso? Si sforzò di dargli delle spiegazioni tuttavia, vedendolo palesemente troppo confuso per poter tenere il filo del discorso. Lui annuì, come per dirle che aveva capito, anche se temeva di essersi perso nel mezzo delle sue spiegazioni, ma non gli sembrò il caso di indagare oltre. In fondo non poteva essere quello il motivo per cui lei si era arrabbiata, doveva avere a che fare con Andrew e non con gli.. come li aveva chiamati? Inversori di spinta? Era in imbarazzo, si poteva intravedere in mezzo alla furia che sembrava avvolgerla, facendola quasi tremare. La lasciò parlare quindi, rimanendo quasi a bocca aperta davanti ai suoi racconti sull’incidente e su come le cose poi con Andrew avevano iniziato a peggiorare, andando verso la rovina. La strada domanda sulla fiducia che gli rivolse non fece altro che lasciarlo maggiormente di stucco e confuso. Aveva creduto che quella sarebbe stata una serata tranquilla, un compleanno come tanti in compagnia di qualche amico, invece aveva finito con il trascinare Sky in una spirale di rabbia e tristezza da cui non sapeva come tirarla fuori. Non voleva che lei si sentisse obbligata a parlare, a riportare alla luce cose che l’avrebbero fatta stare peggio, ma non voleva neppure che ci fossero quegli strani silenzi tra di loro, causati da colpe che non erano le sue.
    Si accomodarono su una panchina poco distante, lasciandosi per qualche momento alle spalle il ristorante e la festa che si stava celebrando al suo interno. Sky gli spiegò di aver creduto che lui sapesse tutto e di essere stata arrabbiata con lui soltanto perché pensava che tra lui e Andrew i rapporti non si fossero mai sfreddati molto. Portò un braccio attorno alle sue spalle, stringendola appena a sé, mentre lei raccontava del suo periodo di guarigione, di come fosse quasi diventata succube del suo ex ragazzo prima di cercare di reagire, scatenando però delle brutte reazioni da parte lui che l’avevano portata a chiedere un ordine restrittivo, perché non potesse più darle fastidio. La strinse un po’ di più quando la sentì cercare di smorzare i toni di quanto aveva appena raccontato con una leggera battuta, come se questo potesse bastare a cancellare ciò che aveva provato e che aveva dovuto sopportare. -Continua ancora a starti addosso? - fu l’unica cosa che riuscì a chiederle, guardandola in volto, un po’ preoccupato. Sperava che avesse finalmente capito, che le misure che lei e la sua famiglia avevano messo in atto fossero state sufficienti, ma conosceva Andrew e sapeva quanto potesse essere testardo quando si metteva in testa qualcosa. Lei abbassò lo sguardo, mentre con le mani si aggrappava alla panchina, come se necessitasse di un punto fermo, in mezzo a tutto quanto, per non cadere. Quando risollevò il volto, per guardarlo, se ne uscì con una strana frase sul lieto fine e poi dei paragoni con dei personaggi dei cartoni che gli strapparono un sorriso. -Ehi ehi piano, stai dicendo che io dovrei essere Woody? - domandò, come se fosse stata una cosa particolarmente importante su cui concentrarsi e che non poteva certo passare inosservata. -No, io non credo. – aggiunse, con un’aria particolarmente seria, che presupponeva che volesse prendersi il ruolo del più figo della storia. -Io credo di essere molto più simile a Rex, sai, il tirannosauro verde, che distrugge tutto.. - continuanò, piegando appena il braccio libero e la mano per cercare di imitare il dinosauro, iniziando ad emettere anche qualche strano verso, nella speranza di farla ridere un po’. Una signora anziana che passava di lì si voltò verso di loro, scoccando un’occhiataccia nella sua direzione. Lui le sorride, intercettando il suo sguardo. -Oh salve signora, una splendida serata, non trova? - le domandò, ma quella non rispose, accelerando il passo per evitare di essere messa in mezzo, o forse solo spaventata da una risposta che non si era aspettata. Lui si strinse nelle spalle, assumendo di nuovo un’aria tranquilla. -Dici che l’ho spaventata? - domandò incuriosito, senza tuttavia sembrare troppo dispiaciuto per l’accaduto. -Ad ogni modo, va bene, accetterò di essere un Rex con il costume da Woody, affare fatto? - chiese, giusto per dirle, a modo suo, che gli piaceva quella sua idea di lieto fine e che sperava che le cose andassero davvero in quella direzione.
    -Forse è il caso di rientrare. - disse, dopo qualche altro istante, guardando verso l’ingresso del locale da cui entrambi erano usciti. -Credo che gli altri là dentro stiano iniziando a chiedersi che fine abbiamo fatto e se aspettiamo ancora verranno a cercarci. - aggiunse, ridacchiando appena. Già immaginava i commenti divertiti che avrebbero tirato fuori i suoi amici nel vederlo tornare dentro insieme a lei, quando era uscito da solo, ma ad essere onesto non gli importava poi molto. L’unica cosa che gli interessava era che Sky fosse un po’ più tranquilla. Era felice di sapere che, se si fossero incontrati di nuovo nei corridoi della palestra, avrebbe potuto salutarla senza paura di vederla scappare a gambe levate. Si alzò in piedi, offrendole la mano per aiutarla a fare lo stesso. -Secondo te quanti altri bicchieri hanno fatto bere a Jes? Io voto per cinque. - propose, tentando di allontanare dalla mente di lei quanto gli aveva appena raccontato. Sapeva che quei ricordi non se ne sarebbero mai andati davvero, che quei pensieri avrebbero continuato a ferirla con il passare degli anni, ma sperava che, almeno per quella sera, potesse metterci una pietra sopra per qualche ora e pensare soltanto a divertirsi un po’.

    Edited by 'misia - 24/3/2021, 22:52
     
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8 replies since 15/10/2020, 10:55   288 views
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