when you are young they assume you know nothing

LARS FT. SAMANTHA | BESAID UNIVERSITY | 17.11.2020

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    Lars Aeron Berg | '88 | Daily News journalist | sheet
    All'ingresso dell'edificio lo invase il riconoscibilissimo odore di infinite risme di carta stampata, e la confusione del vociare dei ragazzi nelle hall che si riversavano nelle aule.
    Era difficile che non facessero capolino alla sua memoria ricordi di un tempo che gli sembrò straordinariamente lontano. Era tornato in università, si, così possiamo dire. Poteva rivedersi nei corridoi di un edificio molto simile, appoggiarsi in pausa svogliato ad uno degli armadietti, a correre tra le aule con uno zaino in spalla e gli appunti su carta nell'altra mano; le mani sempre sporche di inchiostro da biro che oramai avevano assunto un colorito bluastro perenne, indelebile.
    Non scriveva più su carta da quando aveva finito gli studi universitari: si guardò le mani, quasi colpevole di non aver più alcun segno violaceo a testimoniare sulle dita di aver passato ore a sgualciare la carta dei suoi appunti. Poi, come per associazione logica, squadrò l'anulare della mano destra per accorgersi che nei dieci anni passati a scrivere articoli al computer il callo della scrittura era quasi sparito. C'era solo un rigonfiamento minuscolo a farsi beffa di lui, che nel corso degli anni aveva cominciato a dimenticare penne e portarsi in giro solo il suo Mac. Era davvero passato tantissimo tempo, non era un eufemismo.
    Si trovava all'università di Besaid. Lui quei corridoi li aveva varcati poche volte, perché la carriera universitaria l'aveva fatta a Bergen e poi ad Oslo, destreggiandosi tra i viaggi che doveva fare per non rimanere fuori dall'influenza di Besaid. Era stato un modo per rimanere vicino, a portata di mano dei suoi, per non scordarsi da dove provenisse, ma la voglia di andare all'estero bruciava ancora da qualche parte, nel suo orgoglio, a rimarcare che quel tempo non sarebbe tornato più indietro, ed era fatta.
    Una pressione alla spalla lo fece voltare. Un ragazzo si era avvicinato troppo a lui, aveva indietreggiato distratto senza accorgersi di essere andato pericolosamente vicino ad un'altra persona.
    « Ehi. Stai attento quando ti muovi. » Mormorò, più perentorio con la scelta del vocabolario utilizzato che nel tono, che sembrava solo vagamente annoiato, come se l'avesse detto più per riflesso incondizionato che per fastidio. « Scusi professore! » Saettò il ragazzo, alto quanto lui, sentendosi punzecchiato dall'adulto che non conosceva, intuendo vagamente il falso. Lars non si preoccupò di dirglielo, meno sapevano chi fosse e perché si trovasse lì meglio era. Fece un gesto della mano molto vago, alzando il palmo aperto come a dirgli che non importava, e poi fece dietrofront cambiando direzione per andare lontano, per cercare un posto dove aspettare senza per forza rimanere in piedi in un angolo qualsiasi dell'ingresso della struttura.
    Camminò per una decina di metri percorrendo il corridoio principale dello stabile prima di intuire che forse avrebbe fatto meglio a bere del caffè in attesa di Samantha.
    Curioso, che l'avesse richiamata alla mente con il nome intero. Sam era immediato, semplice da ricordare, e lui non si perdeva in fronzoli quando doveva riferirsi ad una persona, tantopiù che era una nuova collega in stage. Si era presentata così, qualche tempo prima, con il faccino colorato dall'emozione del primo giorno e una mano tesa per presentarsi in maniera formale. Lars aveva un soprannome per tutti in ufficio, e raramente distribuiva conoscenza sui soprannomi che dava a chiunque, era un pò un modo per categorizzare tutti senza dimenticare nessuno. Talvolta ci metteva tanto a memorizzare un nome, talvolta meno, talvolta serviva semplicemente associarli a qualcosa. Perciò nella sua mente l'immagine del primo giorno della ragazza che faceva capolino nel suo campo visivo era Samantha, pulcino. Probabilmente era un'espressione così tenera che ci avrebbe fatto lui una figuraccia a divulgare in giro le sue abitudini, perciò pregò mentalmente che Samantha lo perdonasse, anche perché gli ricordava un pò la Liv di qualche anno prima, sua sorella, tutta occhioni e voglia di mettersi in gioco. Impossibile che gli stesse antipatica, non gli dispiacque pensare che avrebbe dovuto passare la mattinata con lei e lo stratega che dovevano intervistare, Joseph Stiglitz, un colosso dell'economia americana che arrivava lì a Besaid per un semestre in scambio.
    Dio solo sapeva quanto profumatamente fosse stato pagato.
    Aveva già bevuto del caffè? Quante, tre tazze? Aveva la particolare attitudine a dimenticare sempre le cose a cui non dava peso, perciò avrebbe potuto provarci ore anche ricostruendo i passi fatti nella mattina fino ad arrivare lì ma difficilmente avrebbe indovinato il numero effettivo dei caffè bevuti, anche perché era cresciuto a forza di caffèlatte e con gli anni scolava caffè senza accorgersene.
    Doveva aver percorso l'itinerario dalla sala coffee room del Besaid Daily al suo ufficio, tante volte quanti passi avrebbe dovuto percorrere per tornare a piedi a Parigi oramai. Altro must dell'ufficio con i bizzarri comportamenti di Lars, i colleghi ridevano sempre rendendosi conto che portava dietro con sé inconsapevole tutta la brocca contenente il caffè appena fatto che doveva bastare per una mattinata per il piano intero. Nessun segno collaterale, malgrado tutto.
    E per quei quindici minuti desiderava sedersi, riaprire il pc, e trovare un diversivo alla perdita di tempo. Aveva fatto il passo più lungo della gamba come suo solito, presentandosi in anticipo per più di mezz'ora, ma era insita in lui la necessità di non permettere agli altri di arrivare prima. Poteva definirsi una malattia cronica oramai, più facile che definirla un'abitudine.
    Si diresse a tentoni avanzando nelle sale che non conosceva in direzione della mensa, guidato da qualche cartello che spuntava qua e là appeso ai lati dei corridoi e dal profumo di croissant appena sfornati. La sala mensa gli corse incontro facilmente, quasi fosse stato guidato dalla fiumana degli studenti in pausa tra una lezione e l'altra che si dirigevano verso il suo stesso obiettivo.
    Ordinò il caffè americano in cartone e prese posto all'ultimo bancone della fila, al di là dell'ingresso della sala, oramai felicemente consapevole che chiunque l'avesse incrociato l'avrebbe scambiato per un professore che preparava la prossima lezione: aveva la giacca degli incontri formali grigia in tweed, spezzata da un jeans blue classico e scarpe Church's color mogano, costate una fortuna. Sempre presente con lui, oramai gettato sulla sedia accanto, il trench lungo in lana color cammello, il suo classico da intervista.
    Imbracciò il fidato Mac dallo zaino e preparò il file con il giusto template domanda-risposta già utilizzato da anni da usare come bigino all'intervista. Poi gli vennero in mente due cose. Primo, scrisse un messaggio al cellulare della ragazza, ricordandosi di non averla avvisata del suo spostamento e di trovarsi in mensa, per cui poteva anche essere introvabile per lei.
    CITAZIONE
    Message @Sam: Buongiorno! Mi sono spostato in caffetteria, è un problema raggiungermi qui?

    Fatto.
    Seconda cosa, si rese conto che sarebbe stato molto più utile per lei se l'avesse preparata all'intervista che dovevano fare dandole qualche base di contesto in più. Avrebbe voluto organizzare un incontro più strutturato, ma il collega che aveva in carico la nuova stagista aveva scordato di fissare una riunione con lui per una formazione per quella giornata. Lars rimase inebetito per un pò prima di ponderare cosa poter fare, pignolo come era. Non perché Sam dovesse per forza avere una parte attiva nell'intervista, ma lui voleva fare le cose per bene, lasciare alla ragazza il modo di capire e prevedere perché dovesse lui chiedere o proferire una domanda specifica.
    Si prese il tempo di pensarci su, bevendo un sorso di caffè mentre la aspettava.

    Edited by wanderer. - 1/8/2021, 16:30
     
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    Da qualche mese ormai aveva finalmente smesso di fare costantemente avanti e indietro da Bergen a Besaid. Aveva scelto di frequentare l’università in una città diversa da quella natale per illudersi di fuggire dalla maledizione di quella città. Si sentiva stretta là dentro, con la consapevolezza di non potersi mai allontanare troppo, perché se avesse tardato a rientrare in città tutta la sua vita sarebbe crollata come un castello di carte, finendo nell’oblio. Aveva avuto così tanta voglia di fuggire in passato, di vivere la sua vita lontana da tutto e da tutti, ma il pensiero di poter davvero dimenticare l’aveva sempre frenata. Amava troppo la sua famiglia e i suoi amici per accettare il pensiero di cancellarli con un semplice colpo di spugna, per sempre, senza alcuna possibilità di recuperare tutto. Quindi aveva cercato una via di mezzo, un luogo che le permettesse di tornare tutte le settimane o quasi, senza spendere troppo denaro e troppo tempo. Bergen era stato il compromesso perfetto, anche se a lungo andare trascorrere tutti quegli anni viaggiando da una all’altra città aveva iniziato a diventare pesante. Negli ultimi anni aveva seriamente pensato di lasciar stare, di chiedere il trasferimento della carriera a Besaid e cercare di assestarsi un po’, soprattutto dopo la sua spiacevole avventura amorosa con Fred, ma alla fine aveva deciso di proseguire, di portare a termine quello che aveva iniziato con i docenti a cui si era affezionata. Aveva stretto i denti, per evitare che gli eventi spiacevoli potessero abbatterla più del dovuto e convincerla a mollare. Che cosa le assicurava infatti che studiare a Besaid le avrebbe dato le stesse possibilità? Che sarebbe riuscita a trovare un docente adatto a cui chiedere la tesi senza conoscerli? Era stata quasi una liberazione quindi, ad aprile, conseguire la laurea in Letteratura e tornare a casa. Aveva pianto quando aveva messo tutte le sue cose all’interno di svariate valigie, liberando una volta per tutte la sua stanza del dormitorio. Aveva trascorso tra quelle quattro mura gli anni più belli e più brutti della sua vita ed era strano pensare che non sarebbe più tornata lì dentro. Si era fatta forza però, si era asciugata le lacrime, aveva abbracciato le sue amiche, che l’avevano raggiunta per darle una mano con le sue cose e aveva scattato un’ultima foto insieme a loro in quella stanza, per tenere sempre a mente ogni dettaglio. Un nuovo percorso la aspettava a Besaid, pieno di diramazioni che ancora non conosceva e non vedeva l’ora di iniziare.
    Era stata proprio la voglia di buttarsi e di portare un cambiamento alla sua vita che l’aveva spinta a proporsi al Besaid Daily per un periodo di stage. Stavano cercando alcuni collaboratori per un breve periodo, con la possibilità di prolungare la collaborazione più a lungo qualora lo stage fosse andato per il verso giusto, e lei aveva pensato di tentare. Non aveva sperato in una loro risposta, aveva mandato la candidatura semplicemente per non lasciare nulla di intentato e quando aveva visto la loro mail di risposta per poco non si era messa a urlare, in preda all’euforia. Era sempre stato il suo sogno quello di lavorare nel mondo del giornalismo e proprio per questo diversi anni prima aveva aperto un piccolo blog, dove raccogliere alcuni pensieri su ciò che accadeva nella città. Mettere finalmente piede in una vera redazione, anche se soltanto per pochi mesi, era quello che le serviva per riportare un po’ di equilibrio all’interno della sua vita. Le serviva la giusta spinta per chiudere definitivamente il capitolo appena concluso. Quel giorno avrebbe lavorato a stretto contatto con il Capo redattore, Lars Berg, ed era incredibilmente emozionata all’idea di aver avuto quella grande opportunità. Fino a quel momento non aveva avuto modo di scambiare molte parole con lui, se non qualche fugace saluto mentre si muovevano per i corridoi della redazione, o nelle pause caffè. Si sarebbero incontrati all’Università di Besaid, dove avrebbero intervistato un pezzo grosso dell’economia americana. Lei di economia non aveva mai capito granchè, visto che non era un ramo che le interessava particolarmente, ma nel momento in cui le era stato fornito il nome di Joseph Stiglitz aveva cercato di fare qualche ricerca sul suo conto, per non farsi trovare troppo impreparata.
    Non aveva mai frequentato l’Università di Besaid, ma si era recata qualche volta presso quella struttura per fare visita ad amici e amiche quando tornava in città. Non poteva dire di conoscere a memoria ogni suo corridoio, ma aveva quanto meno imparato come orientarsi in mezzo a tutto quel marasma. Aveva passato una buona ora davanti allo specchio mentre si provava praticamente qualunque capo all’interno del suo armadio, alla ricerca del giusto outfit per quella importante giornata. Non voleva presentarsi in maniera troppo formale, ma neanche troppo casual perché il loro ospite probabilmente sarebbe arrivato in giacca e cravatta. E Lars? Non poteva certo scrivergli un messaggio per chiedergli che cosa indossare, quindi si era immersa dentro l’armadio per poi uscire con un pantalone scuro e una camicia, a cui avrebbe aggiunto un golfino e un semplice cappotto a mezza misura che probabilmente non si sarebbe mai tolta. Aveva quindi preso le chiavi dell’auto e si era messa in marcia verso l’università. Non le piaceva molto guidare all’interno della cittadina, ma non voleva rischiare di fare tardi o di beccare un temporale che avrebbe mandato all’aria la sua acconciatura e la sua scelta degli abiti. Si stava mettendo più problemi del dovuto, ma non riusciva a farne a meno in quelle prime settimane, sperava soltanto che, con il tempo, tutto sarebbe diventato molto più semplice e naturale. Sentì il suo telefono vibrare nella tasca del cappotto non appena accostò con la macchina per parcheggiare poco distante dall’ingresso. Lesse velocemente il messaggio di Lars che la invitava a raggiungerlo nella caffetteria e si affrettò a rispondere “Nessun problema, ti raggiungo lì. Arrivo tra pochi minuti!” scrisse, mentre faceva mente locale per cercare di ricordare dove si trovasse la caffetteria. Una volta ricevuta l’illuminazione giusta quindi saltò giù dall’auto e si mosse velocemente tra i corridoio, schivando i vari studenti che si muovevano in direzione contraria alla sua, probabilmente intenti a tornare nelle loro aule per proseguire le lezioni. Un po’ le mancava quella vita, avere degli orari precisi da rispettare, sempre nuove cose da imparare.
    Non fu difficile individuare la figura di Lars, comodamente seduto nell’ultima fila, un po’ defilato rispetto al resto degli avventori di quel locale. Le piaceva la scelta della posizione, avrebbe dato loro modo di chiacchierare senza che il vociare degli altri ospiti li disturbasse troppo. Lo raggiunse in fretta, con un sorriso sereno sul volto accompagnato da una certa curiosità. -Buongiorno Signor Berg. - lo salutò, cercando di mantenere un atteggiamento formale, visto che non aveva ancora ricevuto disposizioni in merito a come avrebbe dovuto chiamarlo e rivolgersi a lei. -Prendo un caffè e la raggiungo. - aggiunse poi, appoggiando la sua borsa su una sedia, per poi raggiungere il bancone e ordinare un caffè. Non le piaceva l’idea di sfruttare gli spazi di un locale senza acquistare nulla, non era mai stato nel suo stile. Poi, dopo aver atteso un cenno o un invito da parte sua, si accomodò al tavolo, nella sedia accanto alla sua, per poter osservare lo schermo davanti a Lars e seguire quindi passo passo quell’intervista. Estrasse dalla borsa un piccolo taccuino con la copertina azzurra e una penna e si preparò a prendere appunti. Non aveva intenzione di perdersi neppure un dettaglio di quello che Lars avrebbe potuto dirle. -A che ora ci raggiungerà il Signor Stiglitz? - chiese, preoccupandosi prima di tutto si capire quanto tempo avessero a disposizione per discutere di alcuni concetti, anche se immaginava che sarebbe stato il Capo redattore a condurre l’intervista e lei non aveva alcuna intenzione di imporsi o di fare una pessima figura. Mandò giù un primo sorso di caffè, osservandolo con attenzione mentre attendeva una risposta. Si sentiva come una bambina al suo primo giorno di scuola e sperava che quell’emozione non fosse troppo evidente sul suo viso.
     
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    Il suono del cellulare lo distolse dai suoi pensieri. Gli arrivò il messaggio di Sam, che cinque minuti scarsi dopo averlo inviato lui, gli aveva già risposto. L'avrebbe raggiunto presto. Si guardò intorno aspettando di vedersela spuntare da un momento all'altro, proprio mentre un suono simile a quello di una campanella riecheggiò tutt'attorno, dichiarando la fine dell'ora di lezione e decretando inconsapevole l'uscita dalle sale degli studenti che cominciarono a riversarsi in sala mensa e tra gli altri corridoi per raggiungere le aule della lezione successiva.
    Nonostante l'intralcio causato dal cambio d'ora, Sam lo raggiunse subito. La vide arrivare da lontano, una cascata di capelli al seguito e due occhioni visibili man mano che gli si avvicinava.
    « Buongiorno Signor Berg. » mormorò avvicinandosi a lui. Le sorrise, soppesando l'educazione con cui aveva scelto di rivolgerglisi. « Buongiorno Samantha. Non farmi sentire troppo vecchio, puoi chiamarmi Lars. » Aggiunse poi, facendo un gesto eloquente con la mano, come a mimarle che poteva stare tranquilla, non si sarebbe aspettato che lo chiamasse per cognome. Però non nascose certo di essere stato contento della sua attenzione: non era tanto la formalità, quanto il mostrare di essere propensi ad un certo tipo di dialogo che faceva la differenza sul luogo di lavoro, e lui avendolo imparato sulla propria pelle era soddisfatto che Sam la pensasse già in tal maniera all'inizio della crescita lavorativa. « Mi hanno appena dato del professore, pensa te. » Aggiunse, facendole spazio tra le varie cose che aveva sparpagliato di qua e di là sul tavolino e sulla panca e la sedia accanto a lui. Prima che potesse aggiungerle altro la ragazza sentenziò di voler andare a prendere un caffè, e la osservò andare al bancone ed attendere il suo ordine. Quando ritornò accanto a lui aspettò un pò in piedi, e Lars la guardò con un'occhiata perplessa prima di riscuotersi e farle cenno di venire lì vicino, proprio sulla sedia accanto. Aveva aspettato il suo permesso prima di sedersi, gli diede un pò una sensazione di déjà-vu. Già vista, già provata, e decisamente vissuta, appena qualche anno prima. Ma riuscì a far breccia nella sua memoria, assieme al ricordo, anche il suo capo redattore del tempo.
    Sam si sedette, e lui le spostò il portatile in modo da farle vedere meglio lo schermo del pc. La vide prendere un quaderno per gli appunti, e sorrise al pensiero che aveva formulato poco prima, quando si era guardato le mani per cercare tracce di inchiostro tra le dita e il callo della scrittura ormai svanito. « A che ora ci raggiungerà il Signor Stiglitz? »
    « Tra poco meno di due ore. » Le rispose, guardando l'orologio in cerca di conferma. « In effetti ti ho fatto venire qui presto, ma ho pensato che non avesse molto senso cominciare se ancora non avessimo parlato un pò prima. »
    Ripensò all'ultima volta che aveva portato un ragazzo in stage in giro, totale fiasco. La mancanza di tatto e capacità di adattarsi alla situazione, avevano minato la possibilità di Lars di riprenderlo sotto la sua aula benevola. Quando invece, si rese conto, bastava così poco in un rapporto lavorativo a mantenere il controllo anche quando non si giocava come mano vincente, anche nel rapporto stagista superiore.
    Si girò verso il pc, guardo Sam, e poi tornò a dare un'occhiata ai suoi appunti, stili diversi e frasi scritte in nero su fondo bianco. « Sai, in effetti ho portato dietro qualche appunto per strutturare l'intervista alla maniera classica di domanda risposta pilotate, essendo un'intervista per un professore, un'icona del suo settore. Ma possiamo prenderci un pò di spazio per ripensare il tutto fuori dalle righe. »
    La chiave per farsi avere a benvolere da Lars era sempre stata mostrarsi curiosi e partecipi, ma di saper stare al proprio posto e saper intervenire al momento giusto. Poi spesso, l'alchimia tra i caratteri la faceva da padrone, e lì le simpatie e le affinità si soppesavano tutte in equilibrio sulla bravura innata e l'intraprendenza dello stagista da valutare. Guardò Sam, mostrando inconsapevole le fossette ai lati delle labbra chiuse in un sorriso appena disegnato in viso.
    « Ma prima di chiederti cosa chiederesti tu a Stiglitz se dovessi condurre il gioco da sola.. parliamo io e te. » Lasciò il Mac aperto, avrebbero solo aspettato un pò prima di riprendere a parlare della carriera del professore e di cosa pensasse dell'economia norvegese. Aveva bisogno anche lui di riprendere le fila di un altro discorso, visto che a conti fatti aveva visto Sam solo al suo ingresso in azienda e nulla più.
    « Come ti stai trovando al Besaid Daily? » Tornò a guardarla, aspettando una sua risposta. Di solito lui era famoso e risaputo per fare domande molto dirette. Non gli era mai piaciuto girare attorno alle questioni. Anche tenendo alla riservatezza degli altri, e sapendo che il tatto fa sempre la differenza in tutti i contesti, alcune domande non hanno bisogno di essere poste in altro modo, perché perderebbero solo di importanza. Era quello il caso. Era giusto che si conoscessero un pò prima di cominciare a lavorare insieme, e poi era anche suo dovere sapere come si trovassero i colleghi più giovani man mano che ricopriva ruoli di responsabilità con un suo gruppo da gestire.

    Edited by wanderer. - 1/8/2021, 00:40
     
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    Non stava nella pelle Sam all’idea di poter finalmente collaborare con Lars Berg. Erano tante le voci che aveva sentito su di lui al giornale in sua assenza, che avevano contribuito a delineare una figura misteriosa, ma piuttosto affascinante ai suoi occhi. Sapeva ovviamente che le voci di corridoio non corrispondevano quasi mai al vero, ma da brava appassionata di storie non aveva voluto perdersi neppure un dettaglio di quei racconti, lasciando che la sua fantasia iniziasse a comporre le forme di ciò che poi avrebbe verificato per conto suo. Alcuni suoi colleghi lo definivano uno squalo nel campo del giornalismo, un uomo in grado di carpire notizie anche dal più restio dei soggetti ed era stato quello a colpirla più di tutto. Era curioso di vederlo agire sul campo, di osservare ogni dettaglio dei suoi atteggiamenti, il modo in cui modulava la voce per porre le domande, come osservava il suo intervistato e in che modo si poneva nei suoi confronti. Per il giornale dell’Università di Bergen lei aveva intervistato soltanto i campioni di sport, il miglior studente, qualche professore, niente a che vedere con quello che si faceva al Besaid Daily. Aveva grattato appena sotto la superficie in tutti quegli anni e lei voleva invece esplorare ogni elemento di quella professione, immergendosi fino a vederne gli abissi più affascinanti. Era ancora all’inizio ma nei giorni aveva iniziato a vedere sempre più limpido quel futuro che aveva sempre sognato per se stessa e aveva iniziato a credere che, con la giusta dedizione, sarebbe riuscita ad afferrarlo. Doveva solo imparare il più possibile da chi aveva più esperienza di lei, appuntare ogni più minuscolo dettaglio, anche quelli che a lei potevano sembrare inutili e studiarli a fondo, per poi trarre le sue conclusioni. Nessuno era uguale agli altri, questo lo sapeva bene, ma tutti potevano insegnarti qualcosa, se avevi abbastanza pazienza da permettergli di farlo.
    Affrettò il passo quando il suo capo le scrisse un messaggio, modificando il luogo del loro appuntamento. Non fu difficile individuarlo all’interno della sala e, con un sorriso radioso sul volto, si avvicinò a lui salutandolo. Annuì, abbassando appena il capo a mo’ di scusa quando la invitò a chiamarlo per nome. -D’accordo. Sam, allora. Nessuno mi chiama Samantha di solito. - gli disse, invitandolo a usare quella forma più breve, decisamente meno pomposa di tutto il suo nome intero, che non le era mai piaciuto troppo sentire. Soltanto sua madre la chiamava Samantha quando voleva sgridarla. Visto che lui aveva chiesto di abbandonare le formalità anche lei preferiva che lui utilizzasse quel diminutivo con cui anche lei si trovava molto più a suo agio. Se avesse continuato a chiamarla “Samantha” avrebbe pensato di aver fatto qualcosa che non andava e che quello fosse l’inizio di una bella ramanzina. -Ho avuto doventi appena più grandi di me a Bergen, quindi direi che non sarebbe poi così assurdo da immaginare. - disse, quando lui le fece sapere che qualcuno lo aveva scambiato per un professore, poco prima. In effetti doveva ammettere di vedercelo abbastanza bene, aveva anche gli abiti adatti! Lo vide spostare alcune delle cose che aveva già sparso in giro per il tavolo e la panca, facendole posto, e lei si mosse velocemente per andare a recuperare un caffè, prima di accomodarsi. Era da anni ormai che si era convinta di non riuscire a carburare bene se non aveva un caffè bollente tra le mani. Alcuni dei suoi amici affermavano che ci fosse più caffeina che sangue in circolo dentro di lei ed era abbastanza d’accordo con quella teoria. Rimase in piedi, ferma, per qualche istante, con quel contenitore caldo tra le mani, senza sapere bene dove accomodarsi prima che lui le fece cenno di sedersi proprio accanto a lui, per poter vedere meglio. Posò il caffè ad almeno venti centimetri dal computer di Lars, preoccupata di poter combinare uno dei suoi soliti disastri e rovesciare la bevanda su quel preziosissimo oggetto. No, non sarebbe stata una bella presentazione quella, meglio stare attenta.
    Osservò i file aperti sul computer di Lars prendendo carta e penna per iniziare a segnarsi alcuni appunti. Avevano due ore prima dell’arrivo del loro ospite, quindi c’era un po’ di tempo per parlare dell’intervista. Sorrise, annuendo appena quando lui le spiegò la sua idea, felice di poter essere messa al corrente di alcune cose e di non dover stare semplicemente a guardare senza saperne nulla. Lars stava già scalando la classifica dei suoi boss preferiti, anche se l’anziano proprietario della libreria in cui aveva trascorso tutte le estati e molte ore nei fine settimana gli anni precedenti sarebbe sempre rimasto nel suo cuore, difficile da scansare dalla prima posizione. Lars aveva ovviamente già dato un’impostazione all’intervista, con delle domande pronte per poter seguire il filo del discorso, diede un’occhiata veloce, cercando di leggere alcune di esse e di capire come aveva intenzione di improntare la cosa. Era lì per imparare, per vedere da vicino chi in quel campo lavorava già da tempo e aveva quindi trovato la sua strada. Si aspettava di continuare a discutere di quello, delle domande, delle curiosità che i loro lettori avrebbero potuto avere su quell’importante figura nel campo dell’economia, invece l’attenzione di Lars si spostò su di lei, cogliendola un po’ impreparata. Non si era aspettata di dover rispondere a delle domande personali quel giorno e per un momento pensò di aver già commesso qualche errore. Le avevano detto che lui era un tipo molto diretto, che raramente girava attorno alle questioni, ma si era aspettata di doverne discutere dopo il lavoro e non prima. Si grattò appena la base della nuca, dietro il collo, prima di rispondere. -Dire che lavorare in questo campo è sempre stato il sogno della mia vita sarebbe troppo sdolcinato non è vero? - chiese, dicendo quindi indirettamente quelle parole, prima di lasciarsi andare ad una leggera risatina e farsi poi più seria, sistemandosi meglio sulla sedia. -E’ la prima volta per me in un giornale che non sia quello dell’Università ma sono stati tutti molto cordiali e disponibili con me, pronti a mostrarsi dove trovare tutto quello che mi serviva e a rispondere alle mie domande. - disse, iniziando a parlare prima di tutto dell’ambiente, della situazione all’interno del giornale e dei colleghi. Lei aveva stretto subito un buon rapporto con Cat, l’altra ragazza che faceva lo stage insieme a lei, anche se non si erano ancora trovate a lavorare sullo stesso progetto. -Sono ancora all’inizio ma.. è un ambiente stimolante e spero di non combinare qualche guaio anche se, come ti avranno forse detto, tendo a non stare mai zitta. - terminò, quasi con un leggero rimprovero a se stessa, per poi rivolgere un leggero sorriso al suo interlocutore. -Posso fare una domanda io ora? - domandò, attendendo una risposta da parte di lui, che fosse anche soltanto un leggero cenno con il capo. -Perché scegliere il Besaid Daily? - chiese, curiosa di capire che cosa lo avesse spinto a lavorare in quel giornale, visto che a Besaid ce ne erano anche altri, che cosa avesse quello di speciale.

    Edited by 'misia - 1/1/2021, 21:45
     
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    «D’accordo. Sam, allora. Nessuno mi chiama Samantha di solito. » In realtà Lars l'aveva immaginato. Era risaputo che fosse questa la sua specialità, saper attribuire tratti ed associare una personalità tutta loro alle persone che non conosceva. Quantomeno, sembrava averci sempre indovinato parecchio. Prima di avere una sua indipendenza economica ed essere passato a preferire utilizzare la macchina comprata pochi anni prima - sudata migliaio per migliaio del suo stipendio - per ogni tragitto da compiere, aveva passato anni a fare su e giù da Besaid a Bergen, e da Bergen ad Oslo. Aveva preso l'abitudine di sedersi sui mezzi pubblici nei posti più lontani dalle uscite e sulla parte posteriore di ogni vagone di tram o metro, per osservare le persone che non conosceva salire e scendere dai trasporti ed immaginare che vita potessero fare. Qualcuno - non ricordava più chi, forse un suo professore? Una ragazza che doveva averlo sfidato in qualche impresa particolare o un collega di studio che aveva associato ad un rivale? - doveva avergli consigliato di fare quell'esercizio creativo, stimolando la sua curiosità. Ci avrebbe potuto scrivere una quantità infinita di temi, pagine su pagine di momenti passati ad indovinare le loro professioni, i loro interessi, i loro difetti, se amassero con tutto il cuore o fossero infelici. Era come immaginare piccoli frammenti delle loro vite.
    Samantha aveva il volto di una ragazza pulito, poteva sembrare una ragazzina indifesa, e lui non sapeva ancora se avesse la grinta e quel tanto di passione tale da portarla sulla strada di una carriera spietata come quella del giornalista. Di una cosa poteva essere certo. Non sembrava una ragazza che si desse tante arie, una di quelle persone sulle quali si poteva dipingere legittimamente sopra un nome impegnativo. Lars aveva un nome secco e preciso, non gli era mai stato possibile pensare di storpiarlo in qualcosa di diverso da quella parola di quattro precise lettere, messe in fila una dopo l'altra a comporre una sillaba unica. Sam in questo doveva essere proprio come lui, e rivedersi per tale.
    « Va bene, Sam allora. » rifrasò, come a legittimare la loro scelta in quel tacito accordo. Niente formalismi ingiustificati, almeno sul nome. In realtà non era proprio così tanto sicuro del perché non ci tenesse ad essere chiamato signore, ma poi pretendesse altri piccoli accorgimenti che fossero tali a non allontanare troppo il rispetto dalla sua persona. Forse era vero, non aveva intenzione di immaginarsi come un uomo troppo grande o in età avanzata, e non aveva alcuna intenzione di crescere, né sembrare in qualsiasi modo di stare a crescere troppo in fretta. In effetti le parole che pronunciò Sam poco dopo suonarono come un velato allarme, e non trattenne una seconda risata divertita, scuotendo lievemente la testa da una parte all'altra. Si, Lars, disse tra sé e sé. Era già passato il tempo in cui avrebbe potuto essere considerato ragazzo per sempre. O non considerato grande quanto un professore, o una carica equivalente associata a persone mature. Lars aveva voglia di continuare a macinare passi di carriera sotto ai suoi piedi scalando, come già aveva dimostrato di saper fare, ruoli e gerarchie in meno tempo possibile. Ma non aveva mai avuto fretta di crescere. Non gli piaceva per forza identificarsi in qualcosa, o identificare una qualsiasi sua inclinazione in uno schema, e gli fece disgusto immaginarsi in un novello Peter Pan norvegese. « Non posso non darti ragione. Per quanto non mi piaccia rientrare in uno stereotipo, mi viene detto spesso che sembro un professore o un avvocato. » Soprattutto quando era in compagnia di Taylor, voleva aggiungere alla sua risposta per Sam, ma lei non poteva - sperava vivamente per lei - conoscerlo. In compagnia dell'amico, loro ci scherzavano ampiamente su, quindi quando glielo avrebbe raccontato non si sarebbe certo offeso, sembravano un avvocato e il proprio cliente, coinvolto in chissà quale discutibile faccenda. In realtà tra i due, Lars credeva sempre di essere il più scettico, cinico, e tremendamente ancorato al realismo dei due. Si guardò, abbassando il capo sulla giacca del completo spezzato e girandosi a guardare il suo immancabile cappotto lungo. Aveva sempre avuto un debole per le cose belle, istintivamente, ed erano quelle le cose che ispiravano fiducia e simpatia, purtroppo anche il rispetto, da parte degli altri. Non era il caso di dire anche quello a Sam, chissà forse l'avrebbe capito leggendo nella sua espressione un'occhiata critica e pensosa. Anche lei aveva sicuramente scelto il suo abbigliamento per quel giorno in modo da non indossare la prima cosa che le fosse capitata a tiro. Nessun lavoro poteva mai essere lontano dagli stereotipi, era quella la dura verità.
    Aspettò che Sam si sedesse accanto a lui, guardandola riposizionare le proprie cose sul tavolino posando il caffè ad una distanza sufficiente da non avvicinare troppo caffè e computer, e lui ricordandosene, decise che fosse meglio finire quello che restava del suo caffè prima che si freddasse troppo. Sorseggiò piano la bevanda, nel frattempo che Sam potesse prendere i suoi appunti, carta e penna, prima di proseguire. O meglio, non proseguire. Aveva colto Sam di sorpresa, se ne accorse dai suoi gesti, dal modo in cui aveva fatto cadere lo sguardo prima di riportarlo su di lui, e poi dal fatto che avesse portato le mani sul capo, alla nuca, partendo dal presupposto di dover giustificare la sua domanda. Non avrebbe potuto pensare diversamente da lei. Come poteva non tradirsi? Non aveva di certo voglia di raccontarle stupidaggini, di fingere qualcosa che non fosse. Anche questa era una legge non scritta al giornale. Lars Berg era un appassionato cronico, appunto, parafrasando, appassionato solo di cronaca, con l'abitudine di pensare e parlare abitualmente del lavoro. Aveva tantissimi interessi correlati al suo lavoro, ma sembrava catalizzare con una forza incredibile tutta l'attenzione di cui disponeva su di esso, e le persone che gli stavano attorno sembravano accorgersene senza che lui potesse farci nulla a riguardo. Si, certo, se avesse cominciato a lavorare con meno dedizione o se avesse cercato di parlare d'altro magari ogni tanto con i suoi colleghi sarebbe andato tutto per il meglio, ma si tradiva così facilmente che non poteva avere modo di nascondersi dietro quella che era una verità. L'altra legge non scritta, quella che gli faceva più paura, era Lars Berg ama solo il suo lavoro. E quello era l'unico sillogismo che non gli stava bene. Non tutti amano in egual misura, non tutti sono in grado di amare. Ci sono persone a cui è sempre interessato possedere una bella macchina, ma non volere disperatamente amare. Non si preoccupava che gli altri lo dipingessero con questi colori, era lui a preoccuparsi di quanto fosse incline ad amare o a disprezzare cose che non poteva reputare di degno gusto, rispetto, valore. Qualche volta aveva dubbi, era anche lui umano. « No, non è sdolcinato. E' una cosa bella, una frase che rispetto. » Mormorò, tornando a guardarla in viso, dopo aver abbozzato un sorriso gentile. « E' una cosa che ti fa onore, ma è anche una cosa che non tutti possono minimamente sognare di avere, la passione per il proprio lavoro. Siamo fortunati, io e te. » Va bene Lars, zero a uno per Sam che con una frase romantica dedicata al lavoro che amavano entrambi, si conquistava un posticino speciale tra tutti i colleghi che gli ruotavano attorno. Non poteva stressare quella sua opinione più di così, perciò decise di non dire a parole quanto quel lavoro fosse importante per lui, era troppo per il suo cuore per quella mattina e troppo per le povere orecchie di Sam - che poi non avrebbe minimamente considerato temibile il suo nuovo, per così dire se proprio bisognava pensare ad una gerarchia in ufficio nel ventunesimo secolo, capo.
    « Mi fa piacere che tu ti sia trovando bene. » Sam lo travolse con l'entusiasmo di una ragazza alla prima esperienza lavorativa, per di più, un'esperienza che si stava rivelando al di là delle proprie aspettative che dato il suo interesse dovevano aver alzato l'asticella dell'accettabilità di un bel pò. Era una grande soddisfazione, per il giornale, ma era anche una bella conquista per lui pensare di avere persone motivate nella sua squadra. Non aveva voglia neanche un pò di dover motivare una persona in dubbio sulla professione scelta, purtroppo non era il suo compito, non lo sarebbe mai stato. Lasciò che finisse di parlargli, guardandola per tutto il tempo senza pensare di interromperla. Era un bel cambiamento piuttosto che dover essere costretto a tirare fuori di bocca parole e opinioni da parte di una persona insicura o semplicemente timida. Dovette constatare con un sorriso di non essere stato nel giusto della sua valutazione: Sam non sembrava per niente il tipo di persona indifesa che poteva aver tirato ad indovinare sulle tracce del suo viso candido. « No, non mi era ancora arrivata voce ammetto, ma tendo ad annoiarmi se una persona non mi parla molto, perciò hai campo libero e tutto il mio appoggio. E fammi tutte le domande che vuoi in qualsiasi momento, non solo oggi per l'intervista, sempre. » Cercò di sottolineare con l'inclinazione di voce la sua risposta, soprattutto quel sempre stressato visivamente nell'aria nel momento in cui l'aveva pronunciato. Perciò quando gli chiese di farle una domanda annuì, malcelando un altro sorriso sincero, a labbra strette, le fossette tirate nella loro espressione più visibile che Lars, inconsapevole e senza che potesse farci niente a riguardo, possedeva.
    « Perché scegliere il Besaid Daily? » La domanda del secolo. Distolse il contatto visivo, poggiando il gomito sul tavolino per poi poggiarcisi su di esso. Voleva dire tante cose a Sam, aveva un pò paura di dirle troppo, di spaventarla, di farla riflettere su cose che sicuramente poteva aver già pensato, ma sentirsele dire dalla figura di un mentore poteva essere tanto. Sospirò, prima di cominciare a spiegarsi. « Il nostro Daily è un ottimo giornale. Abbiamo lavorato duramente negli ultimi dieci anni per portarlo allo status di uno dei migliori del suolo norvegese. Siamo competitivi su carta e nel digitale, che abbiamo iniziato a curare prima degli altri in Norvegia, molto prima del resto di altri in nazioni europee più tardive. » Fece una pausa, mettendo in fila i concetti che voleva illustrarle nel giro di quella manciata di secondi che gli servisse per prendere aria e respirare. « Siamo riusciti ad essere tra le prime fonti per i servizi televisivi, quindi una carriera al giornale potrebbe aprirti le porte al mondo del reporting, e a pensare alla conduzione di un programma sulla rete televisiva. Mi occupo spesso dei servizi di economia estera e aggiungo materiale agli speciali sul tg quotidiano. Se devo essere sincero ci sono molti pro e davvero pochi contro, se pensi al territorio scandinavo in generale continuiamo ad essere i migliori. » Soppesò mentalmente il resto del discorso con un pò di amarezza e qualche pensiero che aveva fatto tanto spesso anche in prospettiva della sua carriera, e della sua vita. « Siamo molto bravi, quello che ci manca è essere più competitivi dei quotidiani inglesi o di qualche settoriale tedesco, ci manca un taglio che sia solo nostro ma non possiamo averlo perché abbiamo una popolazione numerata, e stiamo sopravvivendo grazie all'immigrazione. » Stava valutando esattamente come stavano le cose. In Norvegia erano pochi, non avevano un numero assoluto di persone che occupavano il territorio tale da poter attirare l'attenzione di lettori stranieri all'estero. Se sul loro mercato erano riusciti ad imporsi dovevano ancora lavorare sul resto del mondo, e non era facile. « Mi sarebbe piaciuto lavorare in una redazione gigante, non è detto che non lo saremo mai, ma per ora se non vogliamo allontanarci da Besaid non possiamo pensare di reinventarci una carriera al Times, ma ammetto che mi sarebbe piaciuto più di ogni altra cosa.. eccetto dimenticarmi della mia vita qui. » Concluse, dandole molti spunti a cui pensare. Non era soltanto la scala del loro lavoro, l'idea di lavorare al Times e trasferirsi dall'altra parte del mondo costituiva un'attrattiva incredibile, ma lui non poteva pensare di lasciare dietro di se una scia di rimpianti e dimenticare le persone che - si, anche lui lo poteva dire - amava. Tornò a guardarla, curioso di quello che potesse rispondergli.

    Edited by wanderer. - 1/8/2021, 00:40
     
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    Sorrise quando l’altro accettò di chiamarla semplicemente Sam, come facevano la maggior parte delle persone. Soltanto coloro che proprio non sopportava non potevano farlo. A loro, ad un uso scorretto del suo diminutivo, scacciava delle terribili occhiatacce che da sole sapevano far intendere che avevano commesso un grosso errore. Non era una persona a cui piaceva litigare, ma era una che faceva valere le sue idee, soprattutto quelle in cui credeva davvero. Era sempre stato difficile scoraggiarla, aveva camminato a testa alta nei corridoi della scuola sin da quando era una ragazzina, non certo tra le più popolari, ma forse una delle più sveglie. Negli ultimi anni qualcosa di quella fiamma si era spento, distrutto da una relazione che aveva abbattuto ogni sua certezza. Fred era un narcisista egoista, solo con gli anni lo aveva capito, soltanto quando lui era sparito dalla sua vita senza lasciare traccia, trasferendosi lontano insieme ad un’altra ragazza. Non aveva mai voluto vedere più a fondo di quello che lui cercava di mostrarla, non lo aveva mai guardato davvero, accecata com’era da un sentimento che era sempre stato solo suo. Aveva impiegato diverso tempo prima di aprirsi di nuovo con qualcuno, non soltanto in una relazione ma anche in un’amicizia. Era sempre stata convinta di capire le persone, di sapere come leggerle soltanto guardandole molto attentamente, ma il fatto di non essere riuscita a farlo con lui l’aveva convinta di non esserne mai stata capace. Conoscere nuove persone però, imparare di nuovo a fidarsi di che le stava attorno, l’aveva aiutata a recuperare un po’ di fiducia in se stessa, a vedere che al mondo c’erano ancora tante meravigliose persone che non aveva avuto modo di incrociare e che non c’erano soltanto quelle brutte, pronte solo a ferirti e a prenderti in giro. Adam era stato per lei il tassello più importante per andare oltre, per guarire da ciò che aveva vissuto e ritagliarsi di nuovo un posto accanto a sé per qualcuno di diverso. Aveva creduto che tra loro le cose sarebbero durate, ci aveva sperato con tutto il suo cuore, ma purtroppo non sempre le persone era fatte per stare insieme e avevano quindi preferito interrompere la loro storia, rendendosi conto di provare ormai un puro sentimento di amicizia e nulla più.
    Erano stati bene però nei mesi che avevano trascorso insieme e tutto le era sembrato così assolutamente naturale da non esserci neppure il bisogno di pensare. Forse avrebbe dovuto farlo, capendo così molte più cose sul suo conto, molto prima, ma a volte nella vita bisognava solo lasciarsi andare e fare in modo che le cose prendessero naturalmente il loro corso. Le aveva dato la giusta spinta per ributtarsi nel mare della vita, immergersi fino alle sue profondità e poi cercare di risalire, lentamente, trattenendo con sé soltanto le gocce che, ostinate, non volevano andare via. La mail di presentazione che aveva mandato al giornale ad esempio era stata una di quelle, una goccia che da anni rimaneva adagiata sul suo viso, sulla punta del naso, a ricordarle che era quella la strada che aveva sempre sognato e che non le era permesso arrendersi prima di averci provato davvero. -E ti ci vedresti così male? - domandò, incuriosita, quando Lars affermò che in effetti erano in tanti a scambiarlo per un professore o per un avvocato. -Io ho riflettuto sull’idea di insegnare, per un certo tempo, ho anche provato a dare delle lezioni private e non me la sono cavata poi così male. - ammise, con un sorriso sereno, ripensando a Yoongi e alle loro lezioni di norvegese che li avevano fatti diventare amici in un baleno. Certo, non era come insegnare davanti a un pubblico decisamente più ampio, ma era trasmettere le proprie conoscenze doveva essere una passione, secondo lei, per poterle insegnare nel modo giusto. -Poi però sono tornata alla mia prima idea, dovevo provarci prima di poterci rinunciare. - aggiunse, lasciandosi andare ad una risatina leggera. Combattere per i suoi sogni era qualcosa che i suoi genitori avevano cercato di insegnarle sin da bambina e anche se si era allontanata da loro per un po’, certi insegnamenti erano rimasti.
    Lo osservò guardare silenziosamente il suo abbigliamento e poi il suo cappotto, segno che stesse riflettendo su qualcosa, ma non gli chiese che cosa. Non avevano ancora abbastanza confidenza perché lei potesse pensare di immischiarsi in questioni private. Forse, con il tempo, si sarebbero raccontati qualcosa di più, ma un primo incontro non era certamente il momento opportuno per farlo. Si chiese per un momento se anche lei avrebbe dovuto vestire in maniera elegante per andare al giornale e un brivido le salì lungo la schiena. Non aveva mai amato le scarpe con il tacco, né i vestiti stretti e aderenti, ma immaginava che, se fosse stato necessario, avrebbe sopportato anche quello pur di imparare. Per il momento comunque nessuno le aveva fatto storie per il suo modo di vestire e lei aveva semplicemente evitato di chiedere, così da non ricevere una risposta indesiderata. Quello che non sarebbe riuscita a evitare, invece, era la domanda che Lars le aveva rivolto, chiara e dritta al punto. Si era presa qualche momento prima di iniziare a parlare, cercando le parole migliori per esprimere il fiume di pensieri accavallati che aveva per la mente. Sam non era mai stata una persona timida, eppure parlare di se stessa non le era mai venuto molto semplice, tanto meno nell’ultimo periodo in cui aveva dovuto riprendere in mano la sua vita e cercare di trovare una quadra che le permettesse di recuperare ciò che aveva perduto. Sorrise però quando lui cercò di rassicurarla, con tono sereno e un sorriso gentile, paragonandosi persino a lei in quella passione comune. Dubitava che loro fossero davvero simili. Lars era senza dubbio molto più vicino a quel sogno, a quella passione comune dove però lui aveva già trovato una sua strada, che stava percorrendo ormai da anni. Lei era all’inizio, ma avrebbe senza dubbio preso silenziosamente spunto da quella figura di cui tutti parlavano al giornale. Era onestamente curiosa di conoscerlo sotto l’aspetto lavorativo. -Non sempre i sogni si realizzano, ma lottare affinchè questo avvenga è tutto ciò che abbiamo. - aggiunse, sentendosi ora un po’ più tranquilla seduta lì, accanto a lui. Non sembrava più una figura così austera e inavvicinabile, sembrava quasi un uomo normale, per quanto circondato da un’aura che lo distingueva da molti altri. Forse era proprio quella passione, l’ardore che era in lui, a farlo brillare in quel modo.
    Andò avanti quindi, parlando più nello specifico dell’ufficio e di quelle che erano state le sue prime impressioni riguardo il team. Mise subito le mani avanti, sul fatto di poter diventare facilmente una persona dalla parola facile e fu sollevata di sentirgli dire che la cosa non gli dispiaceva, perché tendeva ad annoiarsi quando gli altri attorno a lui stavano in silenzio. Tirò un sospiro di sollievo, all’interno della sua mene, nel sentire quella buona notizia. Avrebbe comunque conservato il timore di dire la cosa sbagliata al momento sbagliato, ma almeno l’idea di essere considerata un po’ troppo logorroica avrebbe potuto metterla da parte, quanto meno con lui. Dopo aver messo le sue carte sul tavolo quindi, cercò di avere qualche notizia in più sul giornale, cose che dall’esterno non era semplice comprendere e che sicuramente il Capo redattore del giornale, avrebbe saputo sintetizzare al meglio. Certo, il suo pensiero sarebbe stato un po’ di parte, visto che da tempo lavorava in quel luogo, ma se neppure chi ne gestiva in qualche modo i fili credeva nella sua opera, allora chi mai avrebbe potuto farlo? Mandò giù un lungo sorso di caffè, tenendo lo sguardo puntato su di lui, mentre Lars lo distolse per un istante, poggiando il gomito sul tavolo, forse componendo all’interno della sua mente la giusta successione di frasi che avrebbero centrato al meglio il punto di quella questione. Le sarebbe piaciuto molto poter scorgere nella mente delle altre persone, poterne seguire i ragionamenti, ma Besaid aveva preferito donarle una particolarità molto diversa.
    Seguì il suo racconto sui cambiamenti che erano stati apportati al Daily negli ultimi dieci anni, facendolo diventare uno dei giornali migliori nel loro Paese, ruolo che avevano conquistato con delle idee all’avanguardia, come quella di puntare, prima di molti altri, sul digitale. In effetti aveva sempre potuto trovare le loro notizie online, anche dall’Università di Bergen, senza il bisogno di recarsi in edicola. Era un dettaglio sul quale, prima di quel momento, non si era mai concentrata. Le sue labbra si incurvarono leggermente all’insù, nella vaga ombra di un sorriso, quando notò il tentativo di Lars di puntare su una possibile collaborazione con il telegiornale per convincerla a puntare proprio su quel giornale. In effetti lei doveva sperare che loro volessero investire su di lei, tenendola nel loro team, ma anche loro dovevano sperare che lei volesse restare, se l’avessero ritenuta idonea, e che non andasse invece da qualche altro concorrente. Lei davanti ai riflettori, mandata in onda davanti a migliaia di persone, non ci si vedeva affatto, ma Lars invece ce lo vedeva bene, con quel suo modo elegante e la parlantina fluente. Era sicura che, sebbene parlasse di economia estera, ci fossero molte persone che lo seguissero soltanto per il suo charm. L’interesse per gli argomenti, di norma, arrivava dopo l’interesse per il soggetto che li esprimeva. Aggiunse un’attenta analisi di ciò che mancava al loro giornale e di ciò che la Norvegia, purtroppo, non poteva offrire e ancora meno la città di Besaid, con tutti i suoi segreti e tabù. Ed eccola lì infatti, la malinconia generata dalla maledizione a cui tutti i cittadini erano da sempre sottoposti: la memoria. Abbassò appena il capo, un sorriso un po’ più triste a oscurare il suo volto in quel caso. -Già, il fardello invisibile che aleggia su tutti noi. - mormorò, stringendosi nelle spalle per un momento, come a volersi fare forza da sola. -E’ la cosa che mi ha sempre trattenuta dallo scoprire il mondo, la paura di non riuscire a tornare indietro. - aggiunse, per poi terminare il suo caffè, come a voler chiudere anche quella faccenda meno divertente che di sicuro non avrebbe allietato il loro pomeriggio. -Detto ciò, non penso di vedermici davanti alle telecamere, sono più il tipo di persona a cui piace mostrare se stessa attraverso ciò che scrive, piuttosto che dal vivo. - ammise, senza però giudicare in alcun modo chi invece la pensava diversamente da lei. Il mondo era bello proprio per quelle differenze e ognuno poteva portare qualcosa di suo, persino in una redazione. Erano le specificità di ognuno, a creare, tutte insieme, qualcosa di ancora più incredibile e impossibile da replicare sino in fondo. -Potremmo pensare a un blog, o una rubrica. Valutare che cosa la gente, i cittadini in primis, potrebbero volere da un giornale, e partire da quello. - propose. Probabilmente i cittadini avrebbero voluto qualcuno a cui rivolgersi per le loro particolarità, ma un giornale non era un luogo adatto per quello, anche perché avrebbero dovuto limitarsi a pubblicare quelle cose in modo cartaceo, a tiratura limitata, all’interno della città. Se la notizia si fosse diffusa sarebbe stato un macello. -Tornando al Signor Stiglitz, invece, se non hai altre domande da farmi.. che tipo di approccio intendi usare? Che cosa vogliamo raccontare sul suo conto? - domandò ancora, lasciando a Lars la possibilità di fare a lei altre domande, ma chiedendo allo stesso tempo qualcosa in più sull’intervista che sarebbe poi stata il cuore del loro incontro. Avevano ancora del tempo, ma era meglio utilizzarlo fino in fondo, avrebbero potuto parlare di loro mano a mano che andavano avanti, nella definizione della strategia.
     
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    Lars Aeron Berg | '88 | Daily News journalist | sheet
    « Mi ci vedrei molto bene. Ma non è quello che sono. » Mormorò, a due spanne dal suo viso, con una espressione che molte delle persone che facevano parte dell'entourage di Lars avrebbero giudicato decisamente irritante. No, non aveva mai pensato a prendere in considerazione un'altra carriera da quando aveva scoperto la passione per la scrittura, ma questo non significava che disprezzasse o giudicasse come meno importanti le persone che perseguivano anche ideali differenti dai suoi. Purché fossero ideali. Lars faceva invece molta più fatica ad accettare l'idea che ci fossero individui che perseguivano lavori senza avere una vera ambizione a crescere professionalmente, ma sapeva bene che non sempre le persone sono in grado o hanno le possibilità economiche e serenità d'animo tali da trovare effettivamente quello per cui si è nati. Occupare il posto nel mondo che nessuno potrebbe designare e compiere se non tu. E anche se lui era solo un giornalista di una provincia norvegese, seppur molto particolare come Besaid, era senz'altro uno dei tanti, ma per quel piccolo qualcosa faceva la sua differenza giornaliera. In qualche modo aveva già espresso il suo punto di vista a Sam, ed era quasi soddisfatto a pensare di averle lasciato qualcosa su cui riflettere per quel giorno, a parte il loro incontro per l'intervista.
    « Riguardo l'insegnamento, credo sia anche un'altra professione per cui devi davvero aver voglia di passare ore e giornate a ripetere lezioni e ripassarle prima di esporle agli studenti, forzarti ad avere una mente aperta ed un animo sereno da accettare anche l'indisposizione degli altri. Io avrei probabilmente trovato più piacevole una carriera come ricercatore. » Abbozzò un sorriso, mentre esponeva la sua visione sulla materia nuda e cruda, senza provare ad eviscerarla in maniera meno immediata per Sam. Era quello il momento che avevano per aprirsi l'un l'altro come colleghi sul gruppo di lavoro, lui di certo non si era mai fatto problemi a raccontare agli altri il suo modo di pensare, ma era sempre molto discreto e attento affinché non emergesse troppo su di lui. Socievole si, arguto senz'altro, ma riservato al punto giusto. Oh si, sarebbe stato un perfetto avvocato se avesse scelto l'altra carriera, ma non lo sarebbe mai stato oramai a quel punto della sua vita.
    Aspettò che Sam finisse di parlare silenziosamente, portando una mano sul mento per appoggiare volto e peso sopra il bracciolo della sedia su cui era seduto, per ascoltare le sue parole man mano che venivano pronunciate, lo sguardo sembrava assorto come se Lars fosse perso in un pensiero tutto suo. Lo divertì l'idea di averle fatto una impressione burbera e anche di averla tranquillizzata in merito alla sua tendenza a parlare molto, una tendenza che si rese conto con gli anni doveva aver in qualche modo toccato anche lui, che cominciava a dispensare conoscenza, informazioni, commenti, in maniera molto più ripetuta sistemica ed elaborata che in passato, e per molti dei frangenti che gli venivano in mente, erano tutte situazioni che esulavano dall'ordine lavorativo, dalla più precisa tendenza che aveva di concentrare la sua attenzione sul lavoro e tralasciare tutto ciò che facesse parte della sfera personale anche a scapito di se stesso. Quegli anni a tu per tu e continuo contatto con le relazioni umane seppur delimitate dall'ambito lavorativo dovevano aver scosso anche lui in maniera più profonda in tutto il suo essere al di fuori del mondo del lavoro. Era così, ed era un dato di fatto visibile per tutti.
    Seguì i cambi di espressione di Sam man mano che lui aveva raccontato la sua visione delle cose per poi concentrarsi a sua volta nelle espressioni che mostrava man mano che si adoperava lei a rispondergli, e si ritrovò incuriosito a leggere divertimento e concentrazione nei suoi commenti, nel modo in cui piegò le labbra prima di soffermarsi su di un pensiero in particolare. Quando arrivò a toccare l'argomento della discussione che aveva a che fare con la memoria e l'anatema di Besaid la vide incupirsi e corrucciare lo sguardo. Si, era un argomento scomodo a tutti i ragazzi del posto. Era per questo che il governo e la politica locale cercavano di investire tantissimo sul territorio. Prima o poi Besaid si sarebbe trasformata in un posto abitato da fanatici e dimenticato dalle persone per bene, e gli elementi di distruzione che stavano spuntando fuori da tutte le inchieste portavano a dimostrare proprio quello. « E' utile per noi viaggiare. Si, soprattutto noi. Ogni volta, partito e tornato, rientro pieno di dubbi sulla nostra condizione ma più vedo il mondo più penso di non essere per forza imbrigliato. Abbiamo il tempo dalla nostra. Se siamo bravi a gestirlo possiamo sempre andare e tornare, ed imparare, e vedere le cose con i nostri occhi senza accontentarci degli specchi. » Ammise, commentando la frase di Sam. Era giusto pensare di avere limitazioni fin tanto che bastava a provare di superare l'incontenibile per spingersi un pò più in là. Ogni volta per Lars significava spingersi ancora più in là, ancora un passetto più vicino a pensare di essere libero di rimanere mesi in un posto lontano da quello a cui rimanevano ancorati. Ma non era sempre così facile ricordarlo. Talvolta aveva vacillato anche lui.
    Tornò all'attenzione di quello che raccontava Sam come esperienza personale, in merito alla sua possibilità di pensare una carriera più incentrata sullo scrivere che sul mostrarsi in giro. Mise da parte le sue opinioni per recepire quelle informazioni su possibili percorsi di carriera per Sam: un buon team leader deve essere in grado proprio di capire quali possibilità ci sono per i membri del gruppo di lavoro e sapere come instradarli. Ne avrebbe parlato con il collega che aveva assunto Sam per portarla sul suo team in modo da direzionare i suoi settori su qualcosa di tangibile. Pensò, ma non condivise il suo pensiero ad alta voce, che lei e Cat sarebbero state due buone risorse da instradare su percorsi diversi, ma non per questo esclusivi, e immaginò di mettere assieme le ragazze su un progetto per provare a farle collaborare su un obiettivo tangibile. Poi l'idea di Sam lo portò esattamente in quella direzione. « Si. Direi che è un'ottima pensata. Chiusa questione intervista ne parliamo con un'altra ragazza che ti presento quando torniamo in redazione. » Annunciò, tornando dritto sulla sua schiena e composto con le mani sul pc per appuntarsi una nota velocissima da mandare a Lys. Nel mentre alzò una mano verso Sam quasi a chiederle di darle un momento che lui utilizzò per scrivere poche parole alla sua seconda memoria infallibile, sdoppiata dalla sua persona.
    CITAZIONE
    @Lys: Progetto rubrica cittadina, risorse Samantha Bezuchov e Catelyn Nørgaard. Ci riuniamo domani al primo slot disponibile.

    Appena inviato il messaggio tornò con la mente alla loro intervista. La discussione fatta aveva lasciato in Lars idee e spunti lavorativi, perciò tornare con la mente all'opera della giornata gli sembrò la conclusione perfetta dalla loro digressione sul personale, seppur fosse sempre stata incentrata a saperne di più su Sam per capire come studiare la sua crescita.
    Riavvicinò lo schermo del Mac in direzione della ragazza per discutere assieme sulle righe che aveva composto prima quando era arrivato prima all'università, basandosi in parte sui suoi solidi appunti formato intervista accumulati e rifiniti negli anni.
    « Dipenderà dal tempo che abbiamo a disposizione, fidati che gli imprevisti possono sempre accadere in questi casi. Se abbiamo programmato un'ora, potremmo poi avere venti minuti a disposizione se il professore viene interrotto da una notizia qualsiasi più importante di noi. » Cominciò a dirle, una situazione che sicuramente Sam poteva aver intuito senza che lui si fosse prodigato di raccontarle.
    « L'approccio che preferisco è chiedere le domande in prospettiva, partendo da quello che abbiamo più vicino. Siamo sicuramente più interessati a chiedere di cosa si sta occupando adesso piuttosto che parlare della sua prima esperienza accademica. Poi andiamo a scalare sulle domande a ritroso e su avvenimenti particolari. Sicuramente Stiglitz si presta bene come intervistato con una vita lavorativa intensa. »
    Mentre spiegava a Sam le sue congetture e cominciava ad enumerare i punti più importanti del pensiero del professore aveva fatto indugiare il suo sguardo sulle persone che si affaccendavano alle loro spalle, studenti e professori che raggiungevano il caffè, ragazzi che parlavano concitati tra di loro scambiandosi opinioni vivacemente, persone che si scambiavano un saluto da lontano, e gli saltò all'occhio che una persona incredibilmente simile alla fisionomia del professor Stiglitz si stesse avvicinando proprio nella loro direzione. Intercettò lo sguardo dell'uomo, che si avvicinò andando incontro al tavolino dove erano seduti. Era vestito con un completo semplice grigio chiaro, una camicia dai toni bianchi con ricami che solo quando fu a portata di sguardo riuscì ad associare ad una firma di casa di moda prestigiosa.
    « Professore, buongiorno. » Mormorò Lars alzandosi in piedi man mano che l'uomo li ebbe raggiunti, tirando un lembo della giacca che indossava per chiudere il bottone da una estremità all'altra. L'uomo fece soppesare lo sguardo tra lui e Samantha, studiando le loro figure con aria benevola. Lars aveva già condotto un incontro formale con il dirigente e l'economista per accordare assieme giorno data e ora del loro incontro, e potergli chiedere tutti i consensi necessari a svolgere un'intervista settoriale per la loro colonna. « Le presento Samantha Bezuchov, condurremo assieme l'intervista. » Lars aspettò che i due si scambiassero i classici convenevoli del primo incontro e le impressioni sull'università, aspettando di notare la reazione di Sam al suo primo scambio di battute lavorative con una persona del suo settore. Strinse la sua mano per salutarlo e attese di scambiare un paio di battute sulla sua permanenza a Besaid. Lars colse l'occasione di aver incontrato un interlocutore ben disposto per congedarsi prima che fosse scattata l'ora programmata per il loro incontro.
    « La raggiungiamo tra dieci minuti nell'aula congressi. »Esclamò. Lo sguardo del luminare cedette per una frazione di secondo, l'uomo sorrise e si congedò con la promessa di rivederli nel giro di pochissimo tempo dopo. Quando fu abbastanza lontano da non sentire i bisbigli di Lars a Sam si voltò con aria divertita e furtiva a guardare la ragazza.
    « Questa non è una cosa che possiamo fare con chiunque, ma mi ha dato l'impressione di essere la persona giusta per provarci. Lezione importante di oggi: fai valutare il tuo tempo senza farti dare mai per scontato. Lui è un colosso e noi siamo formiche, ma non significa che non dobbiamo farci rispettare come pari. »

    Edited by wanderer. - 1/8/2021, 00:41
     
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    Sentire le risposte ferme e sicure di Lars era quasi illuminante. Sam non aveva mai avuto la certezza di cosa sarebbe diventata nel corso della sua vita. Aveva avuto molti sogni da bambina e quello di dedicarsi alla scrittura, che fosse per divenire una scrittrice oppure una giornalista, era quello che più a lungo l’aveva accompagnata, ma solo negli ultimi tempi iniziava a pensare che forse sarebbe divenuto realtà. Per Lars invece sembrava tutto diverso, come se non fossero mai esistite altre strade giuste se non quella su cui ormai si trovava e che aveva definito in maniera chiara e inequivocabile chi e che cosa lui fosse. Più lo guardava e più si sentiva affascinata dalla sua figura, dalla sua determinazione, dall’energia che sembrava emanare ad ogni gesto o parola. Di qualunque argomento parlassero lui riusciva ad avere sempre le parole giuste per colpire nel segno e forse era questo, più di tutto, che avrebbe dovuto cercare di apprendere da lui, se davvero Sam voleva avere un futuro nel campo del giornalismo. Annuì, ascoltando con interesse le sue riflessioni sulla carriera di insegnate e la sua probabile preferenza per quella di ricercatore. -Beh, in quel caso ti sarebbe comunque capitato di dover insegnare. Molti ricercatori o assistenti sostituiscono i docenti quando ne hanno bisogno. - disse, senza pensarci troppo, rimuginando sulla sua esperienza, sin troppo fresca nella sua memoria visto che si era conclusa del tutto solo da pochi mesi. Le capitavano ancora delle giornate in cui si svegliava di soprassalto, convinta di doversi mettere velocemente in marcia verso Bergen, per poi rendersi conto, dopo qualche istante, che quei lunghi viaggi continui erano ormai solo un ricordo. Si sarebbe abituata all’idea di avere di nuovo un luogo stabile dove stare, doveva solo avere un po’ di pazienza.
    Cercò di trattenere un po’ delle chiacchiere che volevano fluire liberamente dalle sue labbra. Sapeva di poter parlare a lungo, senza freni, lasciandosi trasportare dai pensieri che scorrevano all’interno della sua mente veloci, impossibili da fermare e non voleva rischiare di annoiare il suo interlocutore proprio all’inizio del loro rapporto lavorativo. Era stato gentile da parte sua rassicurarla a riguardo, ma riteneva comunque che fosse meglio moderarsi e non abusare troppo della sua pazienza. Dopotutto, vista l’euforia che sentiva scorrere nelle sue vene quel giorno, temeva di non riuscire proprio a fermarsi davanti al giusto punto di avvio. Si fermò soltanto davanti alla questione della paura della perdita della memoria, che era sempre stato un argomento molto ostico per lei da affrontare. Sognare di vedere il mondo, di cogliere tutte le sue meraviglie, eppure al tempo stesso ne aveva paura. Sorrise appena, tuttavia, davanti al consiglio di Lars sul tempo e a quel commento deciso sul fatto che loro, più di tutti, avessero bisogno di viaggiare per potersi creare delle vere idee, per poter definire la loro prospettiva da cui guardare il mondo. Se si restava fermi, chiusi all’interno del proprio piccolo angolo, non si poteva maturare abbastanza da sviluppare una visione un po’ più ampia e completa delle cose. Mettersi nel punto di vista di un’altra persona, di un’altra cultura, permetteva poi di tornare nei propri panni cambiati, più consapevoli. Forse era questo che anche Lars cercava di dirle con le sue parole. -Si, ma quanto è davvero questo tempo? Ho visto così tanti amici in questi anni partire e non tornare più. - ammise, con un tono un po’ triste, abbassando appena lo sguardo verso il tavolo, alla ricerca di un punto fermo a cui ancorarsi per non lasciarsi trascinare in pensieri troppo tristi per quella giornata. Scosse il capo quindi, sfoderando un mezzo sorriso, come a voler cancellare quella breve confessione sfuggita al suo controllo. -Ma probabilmente hai ragione. Forse la verità è che non saprei da dove cominciare. - mormorò quindi, lasciando che una leggerissima risata riecheggiasse nello spazio attorno a lei. Se qualcuno le avesse chiesto quale fosse il luogo che più di tutti voleva visitare non avrebbe saputo dare una risposta veloce e immediata. Come si faceva a scegliere dopotutto, con tutto ciò che il mondo aveva da offrire? C’erano così tante cose interessanti per diversi motivi da non sapere da dove cominciare. O forse era solo lei a essere divenuta un’eterna indecisa negli anni, per colpa delle sue paure.
    Espose i suoi timori sullo stare davanti a un obiettivo e alcune idee per cercare di portare un po’ di aria nuova al giornale e fu felice di non sentirsi negare in tronco ogni possibilità. Aveva temuto di aver esagerato parlando a ruota libera, invece Lars si stava dimostrando una persona attenta e molto paziente, probabilmente il capo migliore che ci si potesse aspettare di avere. Annuì energica quindi, all’idea di dover parlare di un nuovo progetto, in redazione, insieme ad un’altra collega. Nel silenzio che Lars le chiese per qualche istante per poter scrivere un messaggio il suo sorrisosi fece più largo. In quelle poche parole dell’altro si era vista percorrere i primi veri passi in quel mondo e non vedeva l’ora di buttarsi a capofitto su qualunque progetto avesse deciso di affidarle. Sentiva quasi il bisogno di fare qualche piccolo cambiamento nella sua vita, di trovare qualcosa su cui concentrarsi per non pensare alla relazione che aveva interrotto. Era successo senza che quasi se ne rendessero conto eppure, se si fermava a pensarci, il pensiero la faceva ancora soffrire, nonostante fosse passato qualche mese. Era naturale per due persone avvicinarsi e poi allontanarsi, lo sapeva, non era la prima volta che sperimentava una cosa simile, ma ogni volta le sensazioni che provava erano differenti. Sospirò, cercando di scacciare l’immagine di Adam dalla sua mente e concentrarsi invece sull’intervista che li attendeva.
    Spostò appena la sedia, così sa poter osservare meglio lo schermo del Mac di Lars, avvicinandosi quindi di qualche centimetro a lui. Quando aveva pensato a quell’intervista lei non si era posta il problema del tempo che invece il suo capo le stava esponendo. Non aveva considerato gli imprevisti, i possibili ritardi quindi, per evitare di commettere due volte lo stesso errore, segnò quelle parole sul taccuino che aveva portato con sé. Anche la dritta sul porre prima le domande sulle questioni più attuali, quelle più vicine e che quindi anche i lettori potevano conoscere meno. Porre sempre le stesse domande sul passato di un personaggio avrebbe solo portato a tanti articoli sullo stesso tema che, per quanto ben scritti, potevano comunque risultare un po’ noiosi per chi già conosceva l’argomento. -Ascolterò con attenzione. - disse, annuendo piano, mentre osservava gli appunti scritti da Lars e alcune prime domande. Non ebbe il tempo di proporre qualche suo pensiero però poiché, un po’ prima del previsto, il loro ospite li raggiunse alla caffetteria. Credeva di avere molto più tempo a disposizione ancora per pianificare e invece eccolo lì, terribilmente elegante nel suo completo grigio chiaro. Era impeccabile e questo la fece sentire un po’ a disagio nei suoi abiti molto più semplici. Si era preparata con cura, convinta che quell’outfit sarebbe stato perfetto e invece ora che tutto iniziava a divenire reale si sentiva come un pesce fuor d’acqua, imprigionato in una situazione scomoda in cui non sapeva se sarebbe riuscito a notare. Lo osservò, cercando di non risultare troppo invadente, mentre si avvicinava e scambiava qualche convenevole con Lars. Si alzò in piedi soltanto quando il suo capo fece il suo nome. Sistemò appena le pieghe del vestito nel mettersi in piedi, per poi porgere la mano al loro interlocutore con un sorriso tranquillo. -E’ un piacere conoscerla. - si limitò a dire, soppesando la presa salda della mano dell’uomo. Ricambiò i suoi saluti, per poi guardarsi attorno, per scrutare la caffetteria. -Una cittadina molto curiosa. - disse l’uomo e Sam non potè fare a meno di annuire appena. -Se le interessa potrà trovare molti luoghi pittoreschi in giro per la città. Besaid è piccola ma pregna di storia. - disse, chiedendosi come avrebbero fatto a giustificare un’intervista con qualcuno che non avrebbe ricordato di essere stato lì. Avrebbe posto più tardi a Lars quella domanda in quel momento preferiva semplicemente godersi il momento.
    Era pronta ad aiutare Lars a mettere velocemente le cose nella borsa e ritirare le sue per accomodarsi insieme a quell’uomo a un tavolo più ordinato, o in ogni caso seguirli verso qualunque luogo avessero deciso per l’intervista, invece lui chiese al Signor Stiglitz di attenderli per una decina di minuti e che sarebbero stati loro a raggiungerlo nell’aula congressi. Si fermò, cercando di mascherare un’espressione sorpresa che avrebbe fatto da eco a quella del professore che, invece, sorrise e rivolse loro un cenno prima di allontanarsi silenziosamente. Solo quando la sua figura fu ormai lontana Lars si avvicinò a lei e, a voce bassa, le disse che in quel caso, si era potuto permettere di mostrarle che non dovevano mai mostrarsi inferiore e che invece era sempre bene pretendere rispetto. Annuì appena, decisa, mentre iniziava a infilare velocemente le prime cose nella borsa. -Come faremo a giustificare questa intervista quando lui dimenticherà di essere stato qui? - domandò velocemente, visto che non avevano molto tempo per raggiungerlo. Lo osservava mentre muoveva velocemente le mani, guardando il tavolo solo con la coda dell’occhio per individuare penne, fogli e quaderni. -Posso iniziare a prendere appunti su quello che dite. - si offrì poi, indicando il computer. Era piuttosto veloce nel digitare e avrebbe cercato di stare al passo, così da avere una bozza di domande e risposte su cui lavorare poi. -E registrerò tutto così da essere sicuri di non perdere nulla. - aggiunse, mostrando poi il registratore che aveva tenuto in borsa sino a quel momento. Sorrise appena poi, lasciando trasparire un po’ dell’euforia che iniziava a salire a galla, dandole la carica per affrontare quella sua prima esperienza.
    Attese qualche ultima raccomandazione e poi, in pochi minuti, furono pronti a mettersi in marcia verso la sala congressi, uno accanto all’altra. I loro passi si facevano vicendevolmente da eco mentre lei affrettava il passo per stare al fianco di Lars. Non essendo mai stata la più alta in mezzo alla folla aveva imparato a muovere passi più veloci per non restare mai indietro. Il Signor Stiglitz li attendeva, comodamente seduto al tavolo principale, mentre osservava il suo tablet e sorseggiava qualcosa da un bicchiere di cartone che teneva a qualche centimetro da lui. Sam percepì il suo stesso cuore battere un po’ più velocemente mentre si avvicinavano e Lars salutava di nuovo il luminare, accomodandosi poi allo stesso tavolo. L’uomo impiegò qualche secondo di più a sollevare il capo dal tablet, mostrando un’espressione ben più seria e preoccupata di quella che aveva avuto dieci minuti prima, quando li aveva salutati calorosamente. Lo vide grattarsi la nuca mentre cercava di mascherare il timore, mentre Lars invece si occupava del computer. -Signor Stiglitz? - chiese lei, facendosi avanti senza neppure pensarci, mentre allungava appena il collo nella sua direzione, come a volersi avvicinare senza tuttavia farlo davvero. -E’ accaduto qualcosa di spiacevole? - domandò ancora, offrendogli la possibilità di parlare oppure di fingere che nulla fosse accaduto e di riassettarsi un momento, prima di dare inizio all’intervista.
     
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    Lars Aeron Berg | '88 | Daily News journalist | sheet
    Lars si immaginò a sostituire i suoi professori di corso, quando da ragazzo era stato anche lui studente, e la laurea era stata allo stesso modo di tanti prima di lui lunga e sudata, in quei suoi cinque anni di lezioni che sembravano non finire mai. Era stato uno studente modello, ma non significa che fosse esattamente felice tutto il tempo della durata degli studi. Anzi, una volta effettuato l'esame di iscrizione all'Ordine della sua professione si sentì ampiamente più felice, come se avesse raggiunto il traguardo designato alla fine per l'appunto. Finalmente poteva cominciare ad inventarsi nel suo spazio, una meta che lo aveva aspettato per tutto il tragitto. Aveva voglia di fare e mettersi in gioco piuttosto che perdersi in esami, soprattutto raccontare teorie su teorie che doveva dimostrare solo a parole alla preparazione del suo studio piuttosto che procedere nella pratica, la creazione di storie e il dimostrare di avere fiuto per costruire una notizia con la N maiuscola. « Penso che sarei stato pessimo. Magari mi sbaglio. » Sorrise, rispondendo schietto alla frase di Sam, mentre entrambi immaginavano il futuro ipotetico di Lars, un futuro che non aveva scelto. Poi l'argomento tornò a quello che si erano confessati prima, l’idea di viaggiare e non tornare, partire per una meta qualsiasi e scegliere di lasciare indietro nel passato Besaid e i suoi abitanti. Le sue amicizie importanti erano rimaste tutte lì. Tutta la sua vita era in quel luogo, e nessuno di loro prevedeva di andare per lungo tempo via e di non tornare più. Se per Sam era stato diverso era stata più sfortunata di lui. Poté capire quanto fosse difficile non poter far nulla per trattenere le persone che ami se il futuro scelto da loro era un altro. Se fosse stato il caso di Liv, Taylor, Elias e Mae sarebbe stata dura far finta che non gli importasse, ma soprattutto andare avanti nella sua vita dimenticando forzatamente la loro esistenza quando loro in un modo o nell'altro avevano dimenticato lui relegandolo al loro passato.
    « Mi dispiace. Non mi è mai successo. » Mormorò, guardando tra le mani il contenitore del caffé in cartone che aveva già finito e che nell'incedere della discussione aveva ripreso tra le dita. « Sul dove cominciare avrei un paio di idee. Sono sicuro che le hai anche tu. Non penso ti manchi la voglia di conoscere, da quello che ho capito di te. » Aggiunse, sicuro, esprimendo un pensiero semplice su Sam ma anche molto veritiero. Guardò la ragazza negli occhi azzurri come il cielo. Aveva voglia di passarle qualcosa, la voglia di fare, di sapere, quella stessa voglia che aveva spinto lui tanto tempo prima ad avere curiosità nel mondo, tale da mettere da parte le insicurezze che facevano parte della crescita, ma soprattutto del momento in cui la carriera comincia ad aprirsi di fronte a te e ti chiedi continuamente se la strada battuta sia quella giusta. Aveva voglia di esserci davvero come mentore ai ragazzi che arrivavano al giornale, non era un pensiero banale, non gli importava essere considerato in maniera speciale. Pensava che potesse servire poter illustrare piano piano un piccolo sentiero lungo una via fatta di percorsi impervi. « Comincia dai posti vicini. E poi appena puoi spingiti oltremare, nei luoghi dove puoi davvero imparare. » Ci pensò su, come se stesse riflettendo sulla stessa scelta delle parole che aveva appena pronunciato. Oltremare vi erano città che avevano inglobato culture massive ed erano state culle di imperi. I loro vichinghi avevano fatto molto, ma non potevano vantare lo stesso tipo di dominazione degli inglesi con il loro impero coloniale sgretolatosi appena un secolo prima di quello che vivevano loro allora. « Poi non potrai farne più a meno. E se sei fatta come me, non ti andrà bene viaggiare con nessuno. » Allargò di nuovo le labbra in un sorriso, soffiando una risata trattenuta e un cipiglio divertito in volto. I viaggi che faceva Lars erano mirati a vedere così tante cose che erano vere e proprie tabelle di marcia, non riusciva più a condividere con altri le sue tratte ai suoi orari. Non era particolarmente interessato a viaggiare senza una meta e a riposarsi per metà del tempo. Aveva bisogno di impegnare il suo tempo in una fitta agenda, come quella degli appuntamenti che fissava Lys per lui al giornale quando lavorava e così come aveva fatto in precedenza da solo prima che ci fosse lei al suo fianco. Gli era necessaria per tenere sott'occhio il famoso tempo di cui parlava prima a Sam, quello che serviva davvero per non perdersi al di fuori di Besaid, e quello indispensabile per vedere e scoprire tutto quello che gli interessava vedere durante i suoi tragitti. Ricordò i primi viaggi che aveva fatto da solo fuori dalla nazione, gli era servito motivarsi a cercare nei primi luoghi dove avevano fondato le gazzette in Europa qualcosa che servisse come spunto alla sua quotidianità. Probabilmente l'avrebbe rivelato a Sam con il tempo, ma non voleva riempirle la testa di pressioni, solo suggerimenti da elargire mano a mano.
    Quando parlò dell'intervista e di come avrebbe posto determinate questioni al loro interlocutore sorrise, guardandola scrivere note sul suo taccuino. Il pensiero che aveva fatto quella mattina entrando nell'edificio del polo universitario lo fece pensare di riprendere in mano penna e carta e lasciare un pò a casa il suo Mac quando si spostava in giro e aveva bisogno di appuntare un'idea, come se stesse valutando un ritorno all'analogico nel suo imminente futuro, ma poi tutti i pensieri si concentrarono sull'intervista da compiere, e quando il professore venne incontro a loro dovettero necessariamente distrarsi ancora per concentrarsi su di lui.
    La presentazione con Stiglitz andò bene, più del previsto. In realtà fu proprio Sam ad occuparsi di rispondere al professore in modo da stare attenta anche ai convenevoli. Fu straordinariamente interessante per Lars guardare Sam rispondere all'uomo e illustrare il lato che lui aveva considerato di meno, parlare della cittadina di Besaid raccontando in cosa si differenziasse dal resto del mondo. Per quello che poteva essere lecito a loro raccontare ad un estraneo ovviamente. Lars ci pensò su, e si rese conto che non aveva tenuto conto di quanto fosse importante porre le basi su qualcosa che ancora lui non sapeva, raccontare la storia della città. Era così convinto che il meglio di quello che si potesse desiderare fosse fuori, da sempre, da non aver portato la giusta lente di osservazione sulla prospettiva dall'esterno: Besaid era in effetti una cittadina pittoresca per tutti gli stranieri. Sorrise, guardando Sam con un occhio diverso. Anche lui aveva da imparare tanto, qualche volta peccava di presunzione tanto da scordarlo, e così facendo dimenticava di tenere a mente che aveva ancora la sua strada da seguire oltre che quella da mostrare agli altri.
    Il professore si congedò alla sua risposta, era riuscito a guadagnare tempo in vista della loro intervista. Non gli piaceva dover affrettarsi senza che fosse concordato il tempo necessario che potesse servire al loro incontro, e non era giusto proprio come aveva detto a Sam che dovessero correre quando mancavano quei dieci minuti utili a discutere sul loro approccio. Non sapeva ancora che avrebbe rimpianto quei minuti in vista della risposta del professore quando tornarono ad incontrarlo al luogo designato. In quel momento rifletté prima sulla nuova domanda di Sam. « Oh, non preoccuparti. » Mormorò Lars, squadrando Sam mentre direzionava lo sguardo lontano dal suo zaino e dal cappotto che stava imbracciando per spostarsi insieme a lei nell'aula congressi. « L'università di Besaid è ufficialmente una succursale di Bergen. I nostri politici sono riusciti in questo a direzionare bene come comportarsi in determinati casi. I professori in visita non ricordano di Besaid ma ricordano di essere stati qui vicino in uno dei tanti poli che fanno capo alla prima università. » Le sorrise, a labbra strette stavolta. Era strano dover trovarsi a gestire una serie di situazioni simili in quella maniera, ma era anche la loro normalità. Vivevano, tutti loro, in un posto di cui in realtà sulla carta nessuno da fuori ricordava dove fosse posizionato il puntino relativo alla cittadina. Annuì alla seconda affermazione invece. Era sempre necessario che fossero in due proprio perché dovevano tenere traccia della minuta precisa di quello che veniva detto in una conversazione per intervista. Talvolta era necessario anche perché non sempre potevano accendere il registratore prima che fosse scambiato il vero assenso al consenso.
    La mente di Lars si svuotò così come accadeva sempre in vista di un momento di lavoro culmine. Sentì i suoi passi e quelli di Sam risuonare nel corridoio fino ad arrivare alla sala, ad entrambi a suo modo il momento divenne solenne tanto da imporre un silenzio non richiesto. Quando tutto fu pronto per iniziare l'intervista allora Lars era pronto per chiedere la prima domanda, ma fu Sam a captare nuovamente il clima della conversazione, chiedendo al professore se andasse tutto bene. Aggrottò la fronte Lars, rimanendo sorpreso, facendo ondeggiare lo sguardo tra Sam e il professore. « Si, sono mortificato. Credo che abbiamo ancora meno tempo della nostra ora concordata. » Lars rimase di sasso, stirò le labbra in un sorriso frettoloso e racimolò, soppesando nella mente, tutto quello di cui aveva bisogno scambiando un'occhiata eloquente con Sam. Dovevano correre entrambi e far le cose per bene perché potesse bastare il loro tempo. Difficile dire se avrebbero avuto una seconda occasione con il professore organizzata una volta successiva, oramai però l'articolo era stato definito e doveva uscire il giorno dopo. Non aggiunse altro in merito a cosa gli fosse successo. Poi parlò di nuovo. « Venti minuti possono bastare? » Rincarò il professore, prima che Lars ritornasse impeccabile nella sua espressione più neutra, stirò la giacca di tweed tra le mani sui risvolti in petto, e cominciò a parlare. « Nessun problema. Correremo un pò, ma andrà benissimo. » Ammise, prima di incalzarlo con la prima domanda. « Ultima teoria da lei designata. Come è nata, per quale motivo è stata discussa fuori dagli Stati Uniti, e per cosa si differenzia rispetto alla sua vera grande innovazione, quella presentata da lei venti anni fa sullo screening che le è valsa il Nobel? » Finì di parlare, e il professore cominciò a rispondere. Osservò Sam con la coda dell'occhio, e mentre l'uomo si era voltato appena per guardarsi intorno, e cominciare ad enunciare la sua risposta, le fece un occhiolino furtivo con l'occhio destro. Le sarebbe toccato correre per scrivere velocemente e riuscire a completare proprio tutto nella minuta riassuntiva sull'intervista.
     
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    Si presero qualche momento per immaginare futuri ipotetici, vite alternative che non avrebbero mai preso vita e lei si sentì un po’ più sollevata dopo quei momenti di scherzo e di serenità. Non era semplice stare vicina al suo capo e apparire completamente tranquilla. Temeva di dire qualcosa di sbagliato, fare qualcosa di sbagliato, o più semplicemente dare una pessima impressione di se stessa. Le capitava di avere quel genere di timore nei confronti delle persone su cui le sarebbe piaciuto fare colpo, mentre non accadeva mai con i nuovi incontri, quelli che avvenivano senza premeditazione e da cui non sapeva che cosa aspettarsi. Era sempre stata una persona che faceva amicizia in fretta anche se in certi casi questa sua caratteristica l’aveva fatta soffrire. Non era stato semplice, infatti, dire addio a tante persone che avevano scelto di andare via e dimenticare. Fu felice però di sentire che invece a Lars non era mai accaduto, segno che, alla fine, non fosse poi una cosa così frequente in città. Probabilmente era stata soltanto molto sfortunata e questo non voleva dire necessariamente che quella cattiva sorte si sarebbe ripetuta ancora. Forse era finalmente sulla buona strada.
    Sorrise, annuendo appena alla sua successiva affermazione. Era vero, la voglia di conoscere non le mancava, era soltanto un po’ di paura a frenarla. Chissà, magari con la compagnia di qualche amico sarebbe stato più semplice intraprendere un viaggio e abbandonare il timore di non riuscire più a tornare a casa. Sapeva che non bisognava lasciarsi fermare dalle proprie paure, ma applicare quel concetto alla realtà non era mai semplice quanto pensarlo soltanto all’interno della propria mente. Avrebbe iniziato con qualche piccola gita fuori porta, magari con il coinvolgimento delle sue amiche e forse prima o poi sarebbe riuscita a volare fino all’altro capo del mondo, alla scoperta di nuove culture e nuovi luoghi da vedere. -Ci proverò. - rispose quindi, come a voler fare al suo capo una promessa che si sarebbe impegnata a mantenere. Teneva molto alla parola data e fare quindi una promessa a qualcuno poteva essere un buon modo per darsi la spinta. Sorrise appena, poi, per quel commento sui viaggi in solitudine. Onestamente non sapeva bene che tipa fosse, ma dubitava che sarebbe riuscita a godere a pieno di posti meravigliosi da sola. Stava bene in mezzo alle persone, soprattutto se erano quelle a cui teneva. Era una a cui piaceva condividere i propri successi e quelli degli altri. Sarebbe stato curioso però provare a visitare luoghi nuovi da sola, con il tempo, e scoprire il suo punto di vista a riguardo. Chissà, magari sarebbe stato proprio quel nuovo lavoro a spingerla ad andare in giro per il mondo, alla ricerca di qualcosa di nuovo da condividere con la popolazione della sua città, o magari alla ricerca di nuovi punti di vista con cui raccontare la realtà. A volte le capitava di ripensare al romanzo di cui lei a Fae avevano chiacchierato per anni, quello che avrebbe parlato delle avventure della ragazza arcobaleno e dei suoi magici poteri, ma non aveva mai trovato davvero il coraggio di scriverlo, anche solo per gioco. Il mondo era pieno di libri che parlavano di persone con poteri soprannaturali e proprio loro che sapevano che cosa volesse dire non avevano mai pensato di raccontarlo in maniera molto più realistica.
    Il discorso mutò velocemente, tornando al compito che avrebbero dovuto svolgere quel giorno. Non erano lì per prendere il caffè, dopotutto, e per aggiornarsi sulle loro vite e sui loro gusti. Erano lì per portare a termine un’intervista importante, che ancora non avevano finito di programmare. Nel mezzo delle loro chiacchiere furono raggiunti proprio dal loro ospite, con cui scambiarono qualche parola veloce prima di darsi appuntamento a qualche minuto più tardi, in un’altra sala. Fu sorpresa nel sentire Lars temporeggiare mentre lei si era preparata a rivoluzionare i suoi piani e seguire il loro ospite immediatamente. Si preoccupò anche di capire come avrebbero fatto a giustificare l’intervista, visto che l’uomo avrebbe senz’altro dimenticato di essere stato lì. Forse, in effetti, per il giornale sarebbe stato meglio organizzare altrove le sue interviste a personaggi stranieri, così che le loro notizie non suonassero come delle invenzioni se mai quella persona fosse stata chiamata in causa per confermare o smentire il fatto. Annuì appena alla spiegazione che le diede Lars. Per quanto potessero ricordare di essere stati lì nei paraggi non avrebbero comunque potuto ricordare l’intervista, ma preferì non continuare sull’argomento. Era impaziente di assistere al lavoro di un vero giornalista dal vivo e non vedeva quindi l’ora di arrivare al punto. Presero qualche veloce accordo e poi raggiunsero il signor Stiglitz, che se ne stava seduto tranquilla in solitudine. Purtroppo dovettero rendersi conto presto che la situazione in quei pochi minuti sembrava essere cambiata e che l’uomo non aveva più lo stesso tempo da dedicare loro. Un’espressione dispiaciuta oscurò leggermente il volto di lei, che aveva tanto sperato di godere a pieno di ogni minuto, per apprendere quanto più possibile, ma purtroppo nella vita non tutto si poteva controllare, soprattutto quando si aveva a che fare con altre persone. Scorse l’occhiata di Lars e annuì appena. Avrebbe dovuto scrivere molto più in fretta del previsto e non farsi sfuggire neppure un istante, perché lui, di sicuro, avrebbe cercato di far stare in quei venti minuti tutte le domande possibili. Appuntò la prima domanda di Lars, per poi sollevare velocemente lo sguardo sul signor Stiglitz e cercare di cogliere la sua espressione prima di riprendere a scrivere. Era sempre curiosa di leggere qualcosa sui volti delle persone, provare a ipotizzare che cosa avrebbero detto, come lo avrebbero fatto, basandosi sulle loro espressioni. Colse l’occhiolino di Lars, forse un modo per incoraggiarla e farle capire che credeva in lei e sorrise appena mentre, rituffandosi con il capo in direzione della pagina bianca, iniziava a fissare tutti i concetti che venivano esposti.
    Non fu affatto semplice seguire il filo di discorsi di cui non sapeva assolutamente nulla e si sentiva abbastanza convinta di aver sbagliato molti termini, ma a quello avrebbero pensato in un secondo momento. Si concentrò sul fissare tutto quello che le rimaneva impresso, facendo qualche abbreviazione qua e là per andare più veloce e non perdere neppure un passaggio. Qualche parola sbagliata si poteva correggere, ma non si potevano certo recuperare interi concetti se questi sfuggivano troppo in fretta. Quando poi l’uomo smise di parlare, allo scadere del tempo a disposizione, le sembrò che il tempo fosse volato velocissimo. Venti minuti erano sembrati giusto una manciata. Guardò Lars con un accenno di delusione sul volto, prima di girarsi di nuovo in direzione del loro ospite e sorridere. -Vogliate scusarmi, ma ora devo proprio andare. - disse, mentre sistemava la sua giacca e raccoglieva velocemente alcune cose che aveva appoggiato sul tavolo davanti a loro. Ancora non le era chiaro che cosa fosse accaduto, ma qualcosa le diceva che lo avrebbero scoperto presto, se soltanto avessero tenuto d’occhio le notizie dei giorni successivi. -Cercherò di comunicarvi qualche altra data disponibile, per proseguire la nostra intervista. - aggiunse poi, probabilmente più per cortesia che per reale volontà di mantenere fede alla parola. Sembrava un uomo molto impegnato, dubitava che sarebbe riuscito presto a trovare un po’ di tempo per loro. Lasciò che fosse Lars a parlare per primo, per poi seguirlo nei saluti. -E’ stato un piacere conoscerla e spero di rivederla presto. - mormorò quindi, non sapendo bene che cosa dire in momenti come quelli, quando si salutava uno sconosciuto particolarmente famoso nel suo campo.
    Non ebbero neppure modo di offrirsi di accompagnarlo verso l’uscita perché l’uomo, dopo dei brevi saluti, prese il suo telefono e, dopo aver composto un numero, si allontanò di fretta. -Deve essere proprio successo qualcosa di importante, chissà di che si tratta. - mormorò, curiosa, mentre lo osservava andare via, muovendosi velocemente in mezzo alla folla. -Ho bisogno di un’oretta per rileggere e risistemare quello che ho scritto. Te lo invio appena termino, così puoi dare un’occhiata e possiamo vederci domani mattina al giornale per finire di lavorarci. - propose quindi, liberandolo dall’incombenza di dover sistemare le varie abbreviazioni, l’ortografia e la grammatica, che sicuramente dovevano aver preso una strada tutta loro mentre prendeva appunti. Attese una risposta dal suo capo poi, piuttosto soddisfatta da quella serata, sorrise di nuovo. -Ancora grazie per questa opportunità. - mormorò, felice, prima di raccogliere le sue cose e muoversi in direzione di casa, mentre la sua mente ancora risuonavano le parole del Signor Stiglitz, come in loop, intrappolate nei meandri della memoria.
     
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