Broken whisky glass

Eustacia - Xavier

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    Eustacia Reed - Scheda - Abbigliamento

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    Spostò con un dito la manica che copriva il suo orologio digitale. Le sei del pomeriggio, mancava ancora un'ora per staccare. Ormai era abitudine guardare compulsivamente l'orologio, come se servisse a far passare il tempo più velocemente... era esattamente il contrario, ma era più forte di lei, non riusciva a non guardare. Sbuffò pesantemente davanti alla piccola tv della guardiola e, prendendo il telecomando, fece zapping per qualche secondo, poi spense nuovamente. Batteva ritmicamente l'indice ed il piede destro in segno di nervosismo, poi si alzò ed andò a controllare i detenuti. Le piaceva mettersi in mostra quando camminava sfacciatamente davanti alle loro celle, godeva nel sbattere in faccia a tutti loro la sua libertà, vederli soffrire nei loro letti freddi e scomodi. Non era sicura del perché godesse del dolore altrui, ma da quando era arrivata a Besaid, Eustacia si era inasprita in maniera spropositata. Una mano poggiata sul manganello fissato nella cintura, a sinistra, l'altra mano poggiata sulla pistola sempre carica, a destra, ed un sorriso maligno e beffardo che rivolgeva a chiunque la guardasse. C'era uno strano silenzio in quel corridoio, nessuna battuta ignorante o risa, o commenti su di lei, c'era solo... silenzio. Era un bene, no? No perché Eustacia voleva il caos, qualcosa da aggiustare, qualcuno da colpire. Sfilò il manganello nero dalla cintura e cominciò a giocarci non smettendo di camminare, poi si fermò di colpo. Vedeva del movimento all'interno di una cella, un detenuto che faceva le valige. Ah giusto, sarebbe uscito proprio quel giorno e si stava preparando per andar via. Si avvicinò alle grate sbattendo il manganello su di esse per richiamare l'attenzione e poggiò una spalla, sorridendo. Pronto ad uscire? L'uomo alzò gli occhi al cielo visibilmente spazientito e seccato. Ficcava la sua roba nel borsone con noncuranza. Sono pronto da dieci anni. E sta lontana da me, non riuscirai a rovinarmi la giornata... grazie a dio non ti rivedrò più. Non si era mai voltato a guardarla negli occhi... che scortesia. Oh ma non sei gentile Jorgen, potrei offendermi. Lui scoppiò a ridere lasciando Eustacia interdetta. Tu sei sempre offesa. Sembrava esser calato un maggiore silenzio. Schiuse le labbra improvvisamente secche e si sentì come risucchiata in se stessa. Sapeva di avere un carattere difficile, per qualcuno, anche incomprensibile. Neanche lei poteva spiegare perché si comportava in certi modi, il perché s'arrabbiava così spesso e così futilmente. L'uomo non aveva torto, anche quando nessuno la infastidiva, Eustacia era arrabbiata e malgrado gli sforzi per non apparire così davanti agli altri, tutti se ne accorgevano. Era questo aspetto, quel suo viso perennemente corrucciato, quel cipiglio sempre presente ed il disappunto annidato nei suoi occhi e nella sua mente che non le consentivano di avere rapporti sociali in tutta Besaid (e non solo). Batté un colpo di manganello sulla grata gelida Touché! Gli rispose atona e seccata, per poi allontanarsi, sparendo in fondo al corridoio. Anche non visto, un motivo per arrabbiarsi c'era sempre. Il fatto che Jorgen avesse detto quelle parole a voce alta, aveva scatenato le risa sommesse dei compagni e di chi aveva ascoltato. Si era sentita derisa dai prigionieri che, per quanto penosa fosse la loro vita, avevano comunque riso di lei. Un brivido corse lungo la sua spina dorsale pensando a quanto fastidioso era stato quel momento. Sentiva l'odio crescere smisurato dentro la sua anima, l'odio per Jorgen, per chi aveva riso e per se stessa, per non aver fatto loro del male. Strinse i pugni, sul palmo vi erano i segno delle unghia, l'ennesima prova della sua rabbia incontrollata. Reed mi servono alcune firme. La voce di un uomo la chiamò in lontananza, era vicino la guardiola da cui era venuta. Mise la mani nelle tasche, quasi a volerle nascondere e percorse lentamente la distanza che li separava. Diversi fogli erano sparsi sulla scrivania ed una penna era pronta accanto ad essi. Guardò il collega e lui capì la sua domanda Sono le carte per il rilascio, mi servono le tue firme. Diede un cenno d'assenso con il capo e firmò senza però sedersi. Quando diede l'ultima sigla, decise che sarebbe andata via. Si fece una doccia nello spogliatoio e si cambiò togliendo la divisa ed indossando qualcosa di decisamente più comodo, un maglioncino e dei jeans. Uscendo dalla struttura tirò un gran sospiro. Non era stata una giornata particolarmente pesante, non più del solito, eppure si sentiva spenta, come prosciugata di vitalità. Non era una novità che Eustacia non sprizzasse gioia di vivere, ma proprio quel pomeriggio l'entusiasmo le mancava completamente. Di cosa aveva bisogno dunque? Cosa le serviva per riprendersi da quello stato emotivo così pietoso? Semplicemente di un bicchiere con dell'alcol.
    Aprì la porta del bar, soffermandosi sull'uscio per osservare l'interno: era più affollato di quanto si aspettasse, un nutrito gruppo di persone stava intorno a tre tavolini uniti per l'occasione e sembravano in attesa di festeggiare qualcosa. Era un bene che fossero in fondo al locale, così avrebbe potuto non sentire i loro schiamazzi, o almeno era quello che sperava. Non era mai entrata in quel bar prima d'ora, le pareti erano coperte da vetrine, il soffitto basso era decorato con delle nuvole e dell'azzurro, a simulare un cielo sereno e alcuni interni come sedie e bancone erano turchesi come il soffitto. Un bell'ambiente ma sicuramente troppo affollato per un'anima solitaria come Eustacia. Si sedette su uno sgabello alto, al bancone, ordinando un whisky liscio e senza ghiaccio. Arriva subito. Le rispose il cameriere, prendendo la bottiglia mezza vuota e versandone una buona quantità nel bicchiere di vetro.
    asKIKkm
    A lei. Eustacia non alzò neanche la testa per guardarlo, né lo ringraziò. Bevve il suo drink quasi tutto d'un sorso, soffermandosi a guardare la bevanda che oscillava tra le pareti trasparenti del bicchiere. Il cameriere si era accorto che non doveva aspettarsi qualcosa da lei, si era fatta già conoscere come una donna brusca e sgarbata. La verità stava nel mezzo, era andata al bar per bere, non per fare amicizia con il cameriere, e dal punto di vista di Eustacia, non aveva sbagliato niente. Non aveva mai avuto problemi con le sue convinzioni sbagliate, ci aveva vissuto tutta la vita, ne aveva fatto un suo modo di vedere e non aveva mai lasciato entrare nessuno nel suo animo per farsi dire cos'era giusto e cosa no. Forse solo sua madre, un tempo, aveva avuto questa sorta di controllo su di lei e sulla sua mente, ma ormai neanche lei poteva far nulla per farle cambiare le sue idee distorte. Bevve velocemente il resto del whisky, corrucciando la fronte per l'alta gradazione. Un altro. Disse semplicemente, richiamando l'attenzione del cameriere che la guardò seccato. Probabilmente non era abituato a quel tipo di persona, o forse non ne aveva mai conosciute con quel temperamento. Le riversò il whisky e si allontanò in fretta, era chiaro che non volesse avere nulla a che fare con lei... ad Eustacia non importava un accidente di cosa pensava di lei quel cameriere ed, in generale, le persone. Si voltò verso la porta vetrata, fuori era chiaramente visibile il va e vieni generale, la sera che scendeva e l'oscurità che divorava i vicoli.
    Come avrebbe voluto portare quel cameriere in quelle tenebre, fargli conoscere la vera paura, la paura che ti consuma fin nelle viscere, il tremore delle mani ed il sudore freddo che ti fa pregare un dio a cui non credi... Eustacia bevve un sorso allargando le labbra in un sorriso sadico e sprezzante. La sua anima camminava nel sottile confine tra quelle tenebre ed il buon senso, ma cominciava a vacillare dalla parte sbagliata, sempre più oscura, sempre più malvagia. Complice di questo progressivo cambiamento era il suo lavoro. In un ambiente come quello della prigione, pieno di anime in pena, perdute e macchiate, Eustacia riusciva ad esprimere quanto la sua anima fosse tanto corrotta quanto quelle rinchiuse dietro le grate di ferro. Ma a differenza loro, Eustacia era cauta e discreta. Le capitava di diventare violenta anche in senso fisico, se capitava che un prigioniero l'aggrediva o tentava la fuga, Eustacia semplicemente si godeva il momento in prima persona. Per lei ogni occasione di attaccar briga era buona e non perdeva tempo a discutere, ma c'era una cosa che ancora non aveva mai fatto... togliere una vita sarebbe stato il passo più lungo della gamba, il gradino rotto che l'avrebbe fatta scivolare giù, un eclissi che le avrebbe oscurato per sempre la speranza di una vita normale. Eppure la sua mente toccava quel pensiero ormai sempre più spesso... le sarebbe piaciuto? Non le sarebbe importato? Girò il bicchiere tra le dita e bevve un altro sorso.
    Ah la sera, che potere oscuro aveva sui pensieri, che influenza negativa aveva su Eustacia.

    Perdona gli eventuali errori, ma purtroppo ho l'abitudine di non rileggere il post >_< spero comunque che ti piaccia :flowerpower:
     
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    Se la notte porta consiglio, quella che stava vivendo era alla stregua di un incubo. Si muoveva, Xavier, in preda a un'agitazione che gli impediva di fare quello che avrebbe in realtà dovuto fare da mesi, sedersi a tavolino e scrivere. Era la cosa che gli piaceva fare e l'unica dietro cui si celasse un effettivo talento, ma a vederlo in quel momento si sarebbe detto che la odiasse. Con la mente attorcigliata intorno ad altri pensieri, l'uomo non riusciva a formulare nient'altro che stupide frasi riciclate da chissà dove, righe che cancellava dalla tastiera con dita frenetiche, da pazzo. Un po' folle si sentiva in effetti, complice qualche birra di troppo e quel dannato cervello che non sembrava voler seguire direttiva alcuna preferendo, invece, vagare e contorcersi sopra pensieri superflui e terrificanti. Lyra non c'era più, era andata a vivere la vita che le spettava e sulla quale Xavier non aveva più alcun controllo. Un bene insomma, se solo non ci fosse stata la gelosa apprensione di non sapere più tutto di lei. Poche cose difatti Xavier sentiva di gestire con effetto, la sua testa era tra esse anche se spesso faceva il comodo che le pareva. Era giusto così però, quello il succo efficace che dava vita ai suoi romanzi più belli. Nel caos dispiegato fra le meningi l'uomo sentiva di potersi aggirare tranquillo, come un turista di ritorno al paese natio. Conosceva gli angoli e ogni disordine, sapeva delle parti da visitare e quelle in cui era meglio non addentrarsi, portatrici solamente di ingestibili guai. E in guaio bello grande era invece inciampato Xavier, che perso nella sua stessa mente si sentiva in quei giorni. Se diventando reale Lyra l'aveva destabilizzato, da quando si era trasferita altrove Xavier sentiva di aver perso una fetta bella grossa del suo pensiero. Cogito ergo sum. Blaterò a bassissima voce, un sussurro insensato nella semioscurità del soggiorno vuoto se non fosse stato per lui. Penso quindi sono. Ma se Lyra, la fetta bella grande del suo pensiero, se ne era andata... Xavier esisteva ancora? Inesistente in effetti si sentiva dal giorno in cui la ragazza aveva fatto le valige, una reazione forse esagerata ma che bene si adeguava alla tipologia di uomo che era Xavier, uno di quelli meditabondi e sempre un po' scontenti, un po' ossessivi e insoddisfatti, come chi cerca qualcosa senza mai riuscire a trovarla. In un loop infelice si era dunque incartato Xaver, bloccato in un infinto alzarsi, camminare la lunghezza del soggiorno, sedersi, digitare, cancellare, alzarsi, camminare la lunghezza del soggiorno, e incapace di fare latro. Come interrompere quel processo distruttivo? Uscire. Si comandò fermando i passi all'istante come se gli si fosse accesa una lampadina sopra la testa, un folle e ubriaco Archimede dei nostri giorni. Non si accorse neanche di averlo detto ad alta voce, non avrebbe fatto alcuna differenza perché i muri non gli avrebbero risposto. Si infilò la giacca invernale senza neanche sapere cosa indossasse sotto, troppo di fretta per prestare attenzione ad altro che non fosse la necessità di uscire da lì. Il vento gli sferzò di botto la faccia come un pugno gelido in mezzo alla fronte, un colpo che rese un po' più lucida la mente in subbuglio. Camminò in mezzo ai fiocchi di neve che sotto ai lampioni diventavano quasi trasparenti, e quando arrivò all'Egon aveva cappotto e capelli fradici di cristalli di ghiaccio ormai ridotti ad acqua. Quindici minuti di passeggiata antartica erano bastati a calmare un po' Xavier, un californiano che a quel clima non si sarebbe mai davvero abituato. Si diresse verso il bancone, accorgendosi solo in quel momento del fiato reso corto dalla temperatura o, forse, dalla corsa che non si era accorto di aver fatto. Trovò uno spazio libero all'angolo, tra il muro e una donna a cui non prestò inizialmente attenzione, concentrato a richiamare invece quella del barista per ordinare un whiskey liscio con ghiaccio. Mentre attendeva lanciò uno sguardo al di là della ragazza, sul gruppo di persone che gridavano e ridevano sguaiatamente in fondo alla sala, provando un moto di fastidio alla vista di tutta quella gente. Mi domando cosa ci sia da festeggiare. Disse ad alta voce, sebbene senza riferirsi a qualcuno in particolare. Solo in quel momento gli occhi azzurro ghiaccio misero a fuoco il profilo aggraziato della donna vicino a lui, lasciando perdere il tavolo in fondo per osservarla di sfuggita. Una compleanno. Era stato il barista a parlare, di ritorno con il bicchiere di liquido ambrato che poggiò sul legno, fra i gomiti di Xavier. L'uomo lo guardò come vedendola per la prima volta, quindi fece un cenno vago con la testa in un silenzioso "ho capito", anche se ancora non capiva cosa ci fosse da essere felici. Lui, ai suoi compleanni, era più tetro del solito. Si può fumare qui? Anche quella era una domanda diretta a tutti e a nessuno mentre, le dita un po' tremolanti di stanchezza e adrenalina, tirava fuori il pacchetto dalla tasca della giacca. Doveva sembrare un folle, Xavier, bagnato dalla testa ai piedi mentre blaterava quasi in stato sconclusionato se si potesse fumare o meno in un locale quando, lo sapeva bene, era dal 2007 che era stato vietato. Giocherellò con l'involucro tra le dita, tornando a guardare la ragazza vicino a lui ritrovandosi a pensare che, forse, anche lei non sembrava in vena di celebrazioni. Giornata tosta? Vuoi? le porse il pacchetto aperto, le sigarette scintillarono sotto la luce delle lampade. Hai tutta l'aria di averne bisogno. Con una bozza di sorriso, l'uomo la guardava in attesa.

    Ciao bella, scusa per il ritardo e per gli errori che sicuramente ci saranno - neanche io ho riletto!
     
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1 replies since 27/11/2020, 22:04   99 views
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