Sparks will fly, they ignite our bones

Arden x Zach

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    Non si era svegliata con la luna storta, Arden, ma con tutti i pianeti in senso di rotazione contrario. Con indosso la stanchezza di un sonno mal dormito, si spostò in cucina per farsi il caffè, uno dei tanti che avrebbe poi preso, racchiusa nella vestaglia come una matrioska scarmigliata. Era stata tenuta sveglia dalla lite con Jamie, uno scontro duro come fra rocce e onde, che rimane dentro anche dopo essere affondato. Tutto per un no detto di fretta, eurostar da animo a bocca. No, non le andava di conoscere i suoi. A Natale, per giunta. Era stata educata, Arden, un tocco sul suo braccio, una breve stretta, e aveva continuato a sparecchiare. E era a quel punto che la bomba era esplosa e tutto era affondato. O quasi.
    Se ne era andato, Jaime, sbattendosi la porta alle spalle tanto forte quanto la frustrazione che provava. Persino i vetri avevano tremato sui quadri allineati. Aveva lasciato Arden a ripulire una cucina e una fine sporca, insensata. Per lei di un punto dunque si trattava, perché certe parole, certe scene le perdoni solo se ami. Durante quei mesi di frequentazione aveva imparato a voler bene a Jaime, perché per lei il bene era un sentimento che cresceva come un cactus, con piccole cure e senza chiedere troppa acqua. Non come l'amore. Per quello ci voleva una costanza non forzabile.
    La stessa tenacia con cui Jamie l'aveva poi cercata tutta la notte, messaggi, chiamate perse e voicemail in segreteria che urlavano, piangevano, esclamavano di punteggiatura ma tutti dicevano un'unica e sola cosa: scusami.
    Non aveva bisogno, Arden, di quel malumore impigliato fra le ciglia nerissime. Se lo sarebbe scrollato, allora, nessuno le metteva addosso qualcosa che non voleva provare. Cominciò dai capelli, che sciolse dalla crocchia scombussolata lasciandoli liberi di scivolarle su spalle e clavicole; percorse il corridoio e sulla soglia del bagno la vestaglia cadde a terra, seguita dagli slip, dalla canotta leggera e dai pensieri incastrati in mezzo, tra fili di cotone e bande elastiche. Se la prese con calma, lasciando all'acqua il tempo di sbiadire i ricordi degli ultimi mesi con lui, come la parte blu della gomma che sfoca ma non cancella mai del tutto. Ed era giusto così, sfumare senza eliminare completamente.
    Seguì la routine che, incallita dagli anni di indipendenza, vedeva nel Sabato una mattina di totale self-care, qualche compera, un'uscita con le amiche o, quando se ne presentava l'occasione, una serata speciale, diversa dalle altre.
    E proprio a una di quelle la invitò l'ennesimo bip metallico, una vibrazione prepotente che l'aveva tenuta sveglia tutta la notte e che, alle tre del pomeriggio, trasportava invece segnali satellitari meno opprimenti.

    Johansenn. L'uomo che aveva vicino rassodò la presa sul suo fianco, un gesto innocuo che dopo qualche tempo Arden gli aveva concesso. La fragile ragazza all'ingresso dell'Hotel li cercò sulla lista solo per far scena, tutti nell'ambiente medico-scientifico norvegese sapevano chi fosse Patrik Johansenn. Non era la prima volta che lo accompagnava, c'era qualcosa in quel professore universitario che l'affascinava, e non era certamente l'aspetto fisico. Forse la voce, che Arden avrebbe potuto ascoltare per ore; forse le faceva anche un po' di tenerezza, così solo alla sua età, come se potesse in qualche modo essere una profezia del suo stesso futuro. Lei non avrebbe avuto però quel modo un po' viscido di stringere, muovendo le dita come a volersi aggrappare a lei per non cadere. Ma era rispettoso, non aveva mai oltrepassato i limiti accordati e, se era capitato che ci provasse, era stato arrendevole nel farsi mettere al proprio posto. Oltre alla tenerezza che suscitava in Arden però, c'era anche tutto il resto. Buone cene, buon vino e un tuffo in un ambiente a lei altrimenti estraneo. Traeva energia dalle novità, le respirava come aveva dovuto fare il primo anfibio uscito dall'acqua. Con curiosa avidità.
    Entrarono in una sala con grandi lampadari, la migliore che l'hotel Scandic Nidelven - e forse tutta Besaid - poteva offrire per eventi come quello, una premiazione che avrebbe finanziato o aiutato la realizzazione dei tre progetti vincenti, la somma di denaro e incentivi variavano tra prima, seconda e terza posizione. Oltre a caviale e abiti eleganti, lì erano assembrate alcune delle personalità più facoltose e, il pezzo forte per Arden, certe delle menti più interessanti di tutta la Norvegia. Le studiava senza farsi vedere, con quel modo di socchiudere le palpebre l'istante prima di venire scoperta e riaprirle qualche centimetro altrove, su un altro punto focale.
    Il tempo di arrivare al loro tavolo circolare e già i suoi polpastrelli stavano ricoprendo di impronte digitali un calice di prosecco, un sorso a labbra strette a farlo ufficialmente proprio prima di avvicinarsi alle sedie. Dr. M. Johansenn +1, dicevano in nero i segnaposti assegnati. Essere un più uno non le dispiaceva, aveva il vantaggio dell'anonimato. L'istante prima che si sedesse al tavolo arrivò qualcun altro, una persona che non vedeva da qualche tempo, e giunse col passo lento e calibrato di una conoscenza addormentata che si risveglia piano, senza fretta. Zach. Gli angoli della bocca si sporsero in alto, le labbra come una preposizione incidentale tesa tra due virgole. Non era sorpresa di vederlo in un ambiente simile, sapeva poco su di lui e ruotava tutto per lo più intorno alla sua professione. Il leggero movimento in avanti, lo scambio di due baci, la mano sulla spalla alla ricerca di una sensazione piuttosto che di equilibrio. Come stai? Ci siamo persi di vista. Dai cinque minuti di bacio ininterrotto. Non lo disse ma continuò a sorridergli e, come la pronunciava, si era già staccata da Zach per tornare dal professore, un passo indietro a loro. Lasciò che i due uomini si salutassero scambiandosi una stretta di mano tra maschi che lottano per lo status di alfa, accettando allora la sedia che il più anziano dei due le offrì. Il gesto di sedersi e accavallare le gambe fu eseguito in una sequenza fluida, una linea curva senza angoli, resa ancora più semplice dal completo che aveva indosso. Ci volle un po' prima che gli altri invitati prendessero posto, una coppia al loro stesso tavolo, e l'evento iniziasse davvero. Buona fortuna. Augurò al professore stringendogli appena la mano, ancorata a quella di Arden davanti a loro, sulla tavola, per tutto il tempo. Come a volerla esporre a trofeo. L'uomo si alzò, toccava a lui condurre i giochi e presentare i vincitori tra cui sperava ci fosse il proprio progetto, senza scordarsi di lasciarle un bacio sulla guancia prima di incamminarsi verso la pedana a pochi metri da loro. Finalmente libera di muoversi, le dita stiracchiarono le falangi di quella mano come a volerla resuscitare. Buonasera, buonasera! Grazie per essere presenti e grazie a Mr. Olsen e Mr. Køff della Roche Norge per aver reso possibile questo magnifico evento... La voce dell'uomo si perse quasi subito tra gli intrecci della sua mente, tra i pensieri che spingevano alla sua destra come per separarsi da lei e schiantarsi su Zach. Si rese conto solo dopo di aver inclinato il busto verso di lui, come se davvero la sua mente avesse un peso fisico e pendesse da un lato, per sussurrare vicino al suo viso: Hai presentato un progetto anche tu? Il dopobarba di Zach era un odore che stava bene addosso a lui, come anche il completo abbinato. Il tessuto della camicia gli seguiva il busto in piccole onde bianche e ferme, mosse solo a tratti da un respiro più incisivo degli altri.
    È un conflitto di interessi per me. Scherzò con un sorriso sulla bocca piccola, a forma di cuore, mentre portava una mano sotto al mento e vi ci si appoggiava leggerissima. Lo sguardo era ancora verso l'uomo che era pagata per accompagnare ma il corpo tendeva verso l'altro, alla sua destra e poco dietro di lei, come per appoggiarsi senza mai toccarlo.

    Scusami omonima cara, non ho riletto!
     
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    Era raro che Zach sentisse ansia per qualcosa: era da ben prima dell'università che non la provava, se non per sporadici eventi, per i quali non aveva potere decisionale. Di norma, era sicuro di sé, delle sue capacità, di ciò che era in grado di fare, soprattutto in ambiente lavorativo: alle volte lo era persino troppo, ad un soffio dal patologico. Avesse dovuto scegliere dal vocabolario una decina di aggettivi da attribuirsi, probabilmente i primi sarebbero stati determinato, bello, caparbio, affascinante, tutti positivi, borioso com'era. Non lo faceva di proposito, anzi, probabilmente se avesse deciso di guardarsi con un po' di sincerità in più avrebbe colto anche tutti i suoi difetti, corrispondenti all'altra faccia dei suoi innumerevoli pregi. «Ci vediamo direttamente lì?» chiese a Freya, sfilandosi il camice bianco di dosso: aveva lavorato con le cellule quel mattino, era venuto di proposito per cambiar loro il mezzo di coltura e controllare che stessero bene. Erano come delle piccole bambine silenziose, necessitavano di costanti attenzioni e cura. Le aveva deposte con delicatezza all'interno dell'incubatore e aveva augurato loro, a voce alta, "Buon sonno". Borioso sì, ma davvero ligio sul lavoro, come pochi altri erano. Uno stacanovista nato che amava ciò che faceva, amava brillare, amava essere rispettato ed essere considerato uno dei migliori: prima o poi, gli piaceva sostenere, sarebbe riuscito a scrivere il suo nome su qualche importante pubblicazione. Non per niente aveva un nome biblico, doveva pur significare qualcosa. «Mi raccomando, vestiti bene.» la prese in giro, con un sorriso sghembo e l'aria divertita, recuperando le chiavi della sua moto dalla scrivania e scendendo le scale che l'avrebbero condotto all'esterno, dove il suo fidato mezzo di trasporto lo stava aspettando. Erano le 16:30, un orario che generalmente sanciva soltanto la pausa caffè del pomeriggio: prima delle 19, Zach non lasciava mai il laboratorio. C'era sempre qualcosa da fare, qualcosa da controllare, qualcosa da scrivere: probabilmente si sentiva più a casa lì, fra quelle mura asettiche, con quei macchinari complessi da utilizzare e persino da nominare. Il suo appartamento era piuttosto scarno, conteneva per la maggior parte libri, riviste, quaderni, non gli piaceva circondarsi di cose inutili e, di fatto, anche le mura di casa non erano ornate da molti quadri: c'era qualcosa, lasciato dai precedenti inquilini, ma niente di eccessivo, soltanto delle stampe che aiutavano l'ambiente a non essere eccessivamente impersonale. Non attese un singolo attimo per gettarsi sul suo letto, un enorme matrimoniale in lattice, una spesa ingente che ad uno come lui, con la particolarità che si era ritrovato, non era costata che il tappo di una biro tramutato in oro. A volte si chiedeva secondo quale principio Besaid decidesse di attribuir loro certi doni, quale fosse la logica dietro tali manifestazioni: c'entrava il DNA? Le modifiche post-traduzionali delle proteine? Era un ambito così vasto che mai avrebbe saputo da dove partire e, da accademico, non poteva che interessargli. C'era tuttavia una parte di lui, quella più sentimentale, più celata, visibile solo a pochi intimi, che aveva preferito accantonare tali scoperte per dedicarsi a qualcosa di diverso, più affine alla sua storia: per il grande evento di quella sera, Zach aveva deciso di proporre uno dei suoi lavori più impegnativi, quello in cui ci aveva messo cuore, sangue, sudore, oltre che una quantità considerevole di tempo. Con l'aiuto dei colleghi, aveva messo a punto un sistema che permetteva di valutare in maniera automatizzata la depressione in modelli murini: l'avevano chiamato MODELMOOD [more details]. Era un progetto ambizioso e, ovviamente, anche piuttosto dispendioso. Servivano dei fondi per finanziarlo, di certo una piccola Università come quella di Besaid non avrebbe mai potuto farlo: fu in questo contesto che apparve la Roche, in particolare la sua filiale norvegese. Quella sera stessa, si sarebbe tenuta allo Scandic Nidelven, un hotel stellato in centro, una serata di gala in cui avrebbero premiato il progetto migliore - o semplicemente quello con probabilità di profitto - finanziandolo totalmente, in caso di vincita del primo premio, o parzialmente, in caso di un secondo o terzo posto. Zach era troppo bravo per sentire la pressione, ma quel giorno era diverso: ci teneva troppo e, si sa, quando ci si mette troppo cuore si finisce con l'avvertire di più eventuali contraccolpi.
    Cadde nel più profondo dei sonni, dormendo almeno un tre ore filate: se non fosse stato per la chiamata di Darko, che si chiedeva che fine avesse fatto e come mai avesse saltato il loro allenamento, probabilmente avrebbe continuato a dormire. Era in quel modo che somatizzava le emozioni negative, fuggendo, passando ore ed ore a riposare senza pensare a quanto sarebbe accaduto al suo risveglio. «Cristo, sono già le 7?» fece al telefono, ignorando le parole dell'amico. Balzò giù dal letto velocemente, ringraziandolo per quella telefonata e promettendogli che il giorno seguente non gli avrebbe dato buca: «Fai una preghiera per me perché se vinco ti pago quello che vuoi.» scherzò, riagganciando e gettandosi poi all'interno del box doccia. Chiunque, al posto di Zach, avrebbe utilizzato il proprio dono per potersi autofinanziare: erano soldi puliti, leciti, niente di dettato da estorsioni o operazioni criminali. Lui, nonostante sfruttasse la particolarità per viaggiare, per acquistare vestiti adatti alla sua figura e per poter vivere una vita quantomeno agiata, non aveva mai pensato di farlo: era troppo orgoglioso per ammettere di aver perso, doveva vincere onestamente, doveva essere il migliore, e quale modo c'era se non competere con i migliori? La soddisfazione che ne sarebbe venuta fuori sarebbe stata di certo superiore a qualunque mattoncino d'oro zecchino.

    «Mi sono addormentato.» disse a Freya, vestita di tutto punto, che lo aspettava all'esterno dell'hotel: il suo aspetto, nonostante le sue parole ed il suo ritardo - di pochi minuti, nemmeno percepiti -, era impeccabile. Aveva scelto un completo nero, abbinato ad una cravatta del medesimo colore, a delle scarpe lievemente lucide e ad una camicia bianca. I capelli erano tirati indietro, con un accenno di gel giusto per non ritrovarseli in volto durante la proclamazione: certo, aveva paura, ma questa non era sufficiente ad alterare la sua capacità di giudizio. Era convinto che la Roche, in quanto grande casa farmaceutica, avrebbe scelto il suo progetto per poter testare un numero elevato di farmaci, immettendoli poi sul mercato in tempi decisamente più brevi: la burocrazia, per i vaccini così per qualunque farmaco, era infinita, servivano prove su prove, test su test, di cui i primi ovviamente da svolgere in modelli animali. Poteva essere la svolta, persino per loro, e lui lo sapeva: aveva studiato a lungo un compromesso fra ciò che desiderava studiare - i disturbi depressivi e le alterazioni psicopatologiche - e ciò che effettivamente gli avrebbe portato profitto. Battibeccato un po' con la sua giovane accompagnatrice, rappresentante come lui dell'Università di Besaid ma esterna al progetto, Zach entrò all'interno dell'albergo: era venuto con la sua moto, l'aveva lasciata nel parcheggio, affidando le chiavi ad un uomo sulla trentina, nella speranza di non ritrovarla completamente in pezzi. «Price e Walsh, dall'Università di Besaid.» disse alla ragazza all'ingresso che, trovato il loro nome, diede loro il benvenuto. La sala era gremita di menti brillanti, di alcolici, di buon cibo e di luci: non per niente si parlava della Roche, non certo un'azienda locale.
    «Dottoressa Walsh, Dottor Price, sono lieto di vedere anche voi qui!» La voce di Olav Kristiansen, celebre biochimico dell'Università di Oslo, trillò nel vederli fare la loro entrata in sala. «Olav, sono contento di vederti anch'io. Ti trovo bene.» rispose, con un sorriso cordiale, annullando l'eccesso di formalità che, con ironia, gli era stata rivolta. Chiacchierarono per una manciata di minuti, fino a quando nel campo visivo di Zach non apparve Arden, accompagnata da un'altra mente eccelsa, ben nascosta da un aspetto non troppo accattivante: dalla sua, almeno, aveva una bella voce. Probabilmente era quella - o i soldi magari - a permettergli d'esser sempre circondato da belle donne. Erano entrambi al suo stesso tavolo, proprio accanto a lui, come per uno strano scherzo del destino. «Arden.» fece, poggiando la mano sul suo fianco, lasciandole, come lei, due baci sulle guance, ben diversi da quello che c'era stato solo un po' di tempo prima fra di loro. «Sto bene, tu invece?» le chiese. «Purtroppo, lo sai, il lavoro mi tiene lontano anche dalle amicizie.» dissimulò, con un mezzo sorriso che, per gli occhi più attenti, non sarebbe stato privo di malizia. «Posso presentarti la Dottoressa Walsh? E' una mia collega all'Università, lei può testimoniare quanto tempo io perda in laboratorio.» ironizzò, facendosi su di un lato per lasciare che le due si presentassero. «Dottor Johansenn, noi già ci conosciamo. Sempre un piacere vederla. Ho letto che toccherà a lei presentare questa serata.» disse, stringendogli la mano e continuando a conversare, per qualche minuto o poco più, sull'evento, nella trepidante attesa che finalmente avesse inizio.
    Una volta che tutti ebbero preso posto, lo scienziato si alzò in piedi - non senza aver scoccato ad Arden un bacio - e si diresse verso il microfono: gli aveva augurato buona fortuna, ma Zach dubitava che realmente avesse a cuore il suo fato. Hai presentato un progetto anche tu? gli aveva chiesto, avvicinandosi lievemente a lui, quel tanto perché potesse sentire il suo profumo. Arden era sempre bellissima, aveva un fascino al quale non era mai riuscito a resistere: non si trattava di semplice abbigliamento, di "stile" in senso stretto, lei aveva un atteggiamento che non riusciva a lasciarlo indifferente, che l'aveva spinto ad interessarsi a lei già quando, tempo prima, aveva incrociato il suo sguardo in un ambiente analogo, ma in compagnia differente. «Non sarei qui altrimenti.» le rispose, prendendo la bottiglia di vino che stava sul tavolo e versandone un po' ad entrambi. Porse il vino anche a Freya che, tuttavia, sembrava piuttosto presa dai discorsi della coppia che sedeva al loro stesso tavolo: un vantaggio, visto come, in caso contrario, si sarebbe ritrovata a prenderlo in giro se avesse captato qualcosa provenire da lui e dalla giovane che gli sedeva accanto. È un conflitto di interessi per me. «Dici? Credevo che le tue attenzioni dovessero esser direzionate per il grande Dottor Johansenn.» La sua voce fu lievemente sarcastica, bassa, a voler parlare senza che gli altri potessero udire la sua frase, sporcata da un sorriso divertito mentre le sue labbra si appoggiavano al calice. «Nuovo evento, nuova corsa, nuovo accompagnatore dunque.» mormorò, con lo sguardo rivolto verso il soggetto della sua frase che si stava perdendo in chiacchiere totalmente inutili. «Questa volta decisamente più competente del precedente, sebbene con un progetto non valido quanto il mio.» Tra gli aggettivi che si attribuiva "modesto" non figurava nemmeno come millesimo. «Ambizioso sicuramente, ma poco redditizio. Dubito che sarà l'etica a condurlo al successo con la Roche.» Poggiò il bicchiere sul tavolo, volgendosi appena col viso per guardare Arden, spostando gli occhi dalle sue labbra, ornate di un rosso scarlatto, al suo stesso sguardo: «Ti propongo una scommessa.» esordì, con una nota di divertimento nella voce. Distolse in apparenza la sua attenzione da lei, riprendendo ad osservare il palco sul quale stavano facendo il loro ingresso esponenti dell'azienda, al fine di annunciare i premi: «Se sono in una di quelle tre buste, mi accompagnerai al prossimo evento.» Che con ogni probabilità sarebbe stato a fine mese: non era raro che organizzazioni benefiche, con le quali l'università collaborava, facessero delle raccolte fondi natalizie da destinare alla ricerca. Certo, probabilmente anche Johansenn sarebbe stato lì, e, certo, Zach l'aveva messo in conto, ma dopotutto perché non farlo? Non era il tipo di uomo che portava con sé una ragazza solo per utilizzarla come trofeo cosa che, al contrario, l'accompagnatore di Arden scelto per quella sera sembrava aver fatto: «Credevo di averti già esposto le mie perplessità sul tuo continuo frequentare uomini di questa levatura morale.» aggiunse, alzando di poco le spalle, con palese ironia, in attesa non soltanto dei premi, ma anche della risposta di lei. Riprese distrattamente il calice di vino, vuotandolo e riportando l'attenzione sul discorso: a quanto pareva, stavano per annunciare il terzo posto.
     
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    Tutto quello che sapeva, Arden l'aveva imparato osservando. Da ragazzina guardava gli altri e ne copiava i gesti, i modi di fare, era la sua via per sfuggire alla misera che la circondava e che a casa, insieme alle pareti, sembrava rinchiudersi sopra la sua testa e avvolgerla come un guanto strettissimo. Da una donna in rosso seduta a una panchina, Arden aveva imparato ad accavallare le gambe con eleganza e senza fretta, come il buon cibo che si mastica lentamente; alla professoressa di arte aveva rubato il sorriso, con quell'arricciarsi appena delle labbra che provoca fossette e, dai film guardati di nascosto, si era presa tutto il resto. Il rollio degli occhi verso l'alto, la mano distratta fra i capelli, le dita che, anche a riposo, sembrano sempre impegnate, aveva passato l'adolescenza infilandosi nelle classi altrui nell'ora pomeridiana quando, stanchi perfino i professori, si decideva di abbassare le persiane e di guardare un film. Quella, per lei, era la lezione più didattica di tutte. Memorizzava quei gesti per riprodurli una volta a casa, al sicuro nella cameretta spoglia se non fosse stato per un letto, una scrivania e un grande specchio a parete. Aveva risparmiato per mesi, Arden, prima di riuscire a raccogliere la quantità necessaria ad acquistarlo al mercatino dell'usato, qualche blocco da casa sua. Specchiandosi si muoveva piano, con cura, mimando ciò che da altri aveva visto fare ma aggiungendo sempre qualcosa di suo, che fosse un sopracciglio più alto o uno schiocco di labbra. Somigliare, non essere come tutti gli altri.
    E così era cresciuta, inventandosi come meglio riusciva e immaginandosi in una vita che non fosse la sua, lontana dalla miseria del padre e dalle debolezze della madre, superiore a tutte le cose non dette nei silenzi di Mikael. Altrove era dove l'Arden ragazzina avrebbe voluto essere, lì era dove la controparte adulta era arrivata. Continuava a guardarsi intorno, Arden, ormai nella sua forma migliore fino a quel momento. Non male. regalò quel pensiero alla bambina che un tempo era stata, come a dirle: andrà tutto più che bene.
    Non era così sciocca da credere di essere arrivata lì dove voleva arrivare, in tal caso si sarebbe annoiata per il resto della sua vita. No, era tutto in divenire e proprio questo la eccitava tanto, il cambiamento che costante si dispiegava intorno e dentro di lei, un'evoluzione imprevedibile a cui arden non aveva paura di andare incontro. All'inizio aveva preso il forzato ritorno a Besaid come un passo indietro, qualcosa che non avrebbe portato a nulla se non a tuffarsi nel passato, cosa che non era disposta a fare. Andare avanti, mai indietro. Alla fine però la stava affrontando come affrontava ogni cosa, a mente aperta, cercando di ricordare in che direzione stesse andando. Così facendo, quello step indietro si sarebbe potuto rivelare dieci passi in direzione opposta, laterale, o in una che non si sarebbe mai aspettata.
    Incrociare lo sguardo vivace di Zach fu infatti come sfrecciare cinque passi di lato, due in alto nel sentire le sue dita stringerle il fianco. La barba di qualche giorno scivolò sulle guance di Arden che sorrise, pensando in una frazione di secondo all'ultima volta che si erano visti e al bacio che si erano scambiati in macchina, mentre rispondeva invece "Bene anche io", un passo indietro ora di nuovo a dividerli. Peccato. Quanto era passato? Mesi, sicuramente, il tempo volava senza che Arden provasse troppo a tenerne il conto. Settimane o mesi, improvvisamente ne sentì il sapore proprio sulle labbra. Impossibile. C'è chi dice che le amicizie vadano coltivate come, o forse di più, delle relazioni. Rispose candidamente, un ultimo sguardo significativo nella sua direzione prima di concentrare l'attenzione altrove, sulla ragazza che le tendeva ora la mano. Tanto piacere, Arden. La strinse allora con decisione, il solito radiante sorriso sulle labbra. È davvero così stacanovista o si sta dando delle arie? O, magari, è solo da me che si vuole tenere lontano. Scherzò muovendo gli occhi da Freya a Zach, per tornare poi alla dottoressa alla quale aprì ancora di più il sorriso scherzoso. Si fece da parte per dar modo ai due uomini di scambiarsi saluto e convenevoli, sedendosi poi al tavolo insieme agli altri per dare il via alla serata. Johansenn si diresse sul palco quasi subito, con l'andatura un po' zoppicante ma fiera, lasciando ad Arden tempo e respiro da dedicare a compagnie ben più piacevoli. «Non sarei qui altrimenti.» Gli angoli della bocca ritrovarono il loro posto verso l'alto, una spinta leggera ma evidente. Magari stavi accompagnando la Dottoressa Walsh. Specificò con una punta di malizia, lanciando un rapido sguardo a Freya che sembrava invece presa dall'altro uomo di fianco a lei. Accettò il bicchiere di vino ringraziando con un cenno del campo e una fossetta più accentuata. Una fortuna per te che non sia così, sembra essere altro a interessarla. Lo prese in giro scherzando, il tono di voce sempre basso in modo che non disturbassero la conferenza e che nessun altro li sentisse. Atteggiò persino le labbra leggermente all'ingiù, come se fosse seriamente un appuntamento mancato e lei fosse davvero triste per loro. Portato il calice alle labbra, Arden trasse un piccolo sorso di vino, gustandone il sapore sulla lingua. Anche senza guardarlo, sapeva che Zach era lì. Non perché l'aveva appena visto, piuttosto le sembrava di percepirlo senza bisogno di altro, come se bastasse quella vicinanza a toccare e risvegliare i sensi di Arden. Patrik non è qui ora, mi pare. Chiamare il dottore per nome non era stata una scelta casuale, voleva sottolineare un'intimità in realtà di fatto inesistente, giusto per vedere l'effetto che avrebbe fatto. Con lo sguardo ancora puntato sulla bassa pedana, lo show per Arden si stava svolgendo tutto a quel tavolo, tra i centimetri che li separavano e le parole che li riempivano. Diciamo pure che ho una bassissima soglia di attenzione. Decretò alla fine con un sorriso, inumidendosi le labbra con dell'altro vino rosso. Alzò un sopracciglio, Arden, sentendo Zach alludere al suo progetto come avesse praticamente già vinto. Forse a qualcuno avrebbe dato sui nervi, ma lei trovava quella sicurezza affascinante - decisamente pane per i suoi denti. Questo non voleva dire che l'avrebbe fatto capire così facilmente. E cosa pensi ci voglia per arrivare al successo? Oltre ai fondi europei, si intende. Chiese punzecchiandolo, spostando poi l'attenzione di nuovo su Zach mentre girava appena busto e testa per guardarlo in viso. Aveva sfogliato la brochure )(???) consegnata a lei all'ingresso, quindi sapeva perché fosse lì ma glie l'aveva chiesto comunque, così, per attaccare bottone.
    Guardandolo, la donna si chiese quale fosse il suo punto debole, se si celasse in un passato burrascoso o in una paura attuale. Era tutto troppo perfetto per finire lì, e si ritrovò a desiderare di conoscere di più su come funzionasse la mente di quell'uomo. E se non ci sei? Lei continuava invece a guardarlo, ora, nonostante Zach sembrasse concentrato su quello che accadeva fuori, lontano da loro. Comunque non lo so. Costo, Zach, e anche tanto. Sicuro di potertelo permettere? Fu in quel momento che Arden distolse finalmente gli occhi dal profilo affilato dell'uomo, concentrandoli prima sul bicchiere di vino e poi, di nuovo, su Patrick. Era estenuante.Nella prima. Se sei nella prima va bene, ti accompagno al prossimo evento. Decise alla fine tendendogli la mano sul tavolo, voleva sancire quel patto. Non le dispiaceva proprio, l'idea di andare a un evento con Zach, ma non era nelle sue corde essere neanche un po' arrendevole. Lo avrebbe fatto sudare, al poveraccio, nonostante sperasse anche lei che vincesse. Da profana dell'ambito, per Arden il progetto dell'uomo se la faceva a gara con quello di una certa Dottoressa Yuki, che avrebbe supportato anche solo per il fatto che fosse una donna. E io credevo di averti già risposto tante grazie, ma nessuno ha chiesto di sapere le tue perplessità a riguardo. Si accigliò momentaneamente, Arden, infastidita dal fatto che fossero già due le volte che insinuava la competenza dei suoi clienti. Come tutti, anche le mani di Arden sbatterono l'una contro il palmo dell'altra in un applauso di fine discorso, concentrando tutta la sua attenzione ora appositamente su Patrik. Seguirono dei minuti di assoluto silenzio, l'aria stava cambiando e Arden poteva quasi sentirla tendersi sulla pelle come fosse un elastico di gomma. Si stava avvicinando il fatidico momento, quello della nomina dei tre progetti eletti. Trattennero tutti il fiato, persino Arden, a cui interessava davvero pochissimo quella faccenda, se non fosse per quella scommessa appena lanciata che aveva ribaltato ogni cosa. Allora anche la donna aveva gli occhi scuri puntati sulle tre buste, mentre pregava intensamente Patrick di sbrigliarsi dall'artrosi e aprirle in fretta. Impiegò il suo tempo invece, il caro dottore, cominciando dall'ultima busta che conteneva il nome della dottoressa Yuki e quello del suo progetto. Terzo posto, meglio di niente. Pensò mentre applaudiva con un vero sorriso sulle labbra, perché adorava supportare e vedere realizzate altre donne. Nella seconda busta venne estratto il lavoro di uno a lei sconosciuto, un bel ragazzetto che tutto rosso si affannò sul palco. Cominci a preoccuparti? Si piegò nuovamente su di lui, gli occhi di entrambi ancora fissi sulla busta tra la mani di Patrick. Quando il suo nome uscì dal calice di fuoco dalla busta, ci fu uno scroscio generale di applausi e Arden, in un impeto istintivo, posò una mano sul dorso di quella di Zach, stringendola lievemente. Il momento durò fortunatamente poco, visto che Zach si alzò e la cerimonia finì, permettendo a tutti di alzarsi e far le congratulazioni. Tornò allora ai suoi doveri, andando incontro a Patrik che la cercava con la mano. Mi dispiace. Mentì, mentre l'uomo le incastrava il braccio contro il fianco e si muoveva verso il tavolo. C'erano ancora parecchie persone intorno a Freya e Zach e, quando la prima si liberò, Arden ne approfittò per darle un abbraccio come se fossero già amiche, complimentandosi per il lavoro che aveva svolto. Si voltò allora per trovarsi di fronte a Zach, un sorriso ampio ora rivolto solo e unicamente a lui. Congratulazioni!! Alla fine tutte quelle ore passate a lavoro trascurando le amicizie sono servite a qualcosa. Poggiata una mano sul braccio di lui, Arden lo strinse leggermente. Ora il tuo progetto vedrà la luce e finalmente avrai l'onore di farti vedere in giro con me. Non male per una serata, eh? Disse con voce ammiccante mentre, distribuiti i vari calici tra lei, Patrick, Zach e Freya, Arden alzava il suo verso il centro del gruppetto. Alle notti che cambiano la vita. Sorrise Arden, mentre i calici ricolmi di champagne tintinnavano.
     
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    Tenersi strette le relazioni più degli amici era qualcosa che Zach non aveva mai fatto, non perché non ci tenesse, quanto perché non vi era mai stata necessità di scegliere fra l'uno e l'altro. «Buono a sapersi allora, lo terrò presente.» rispose ad Arden, con un sorriso. Chi lo conosceva, sapeva che nella sua vita c'erano state ben poche relazioni degne di quel nome, molte partivano bene, soprattutto a livello fisico: per quanto apparisse materialista, considerava essenziale la chimica a letto, tanto quanto una buona intelligenza che, spesso, si accompagnava anche ad una buona istruzione. Giudicava gli altri sulla base di quei parametri, categorizzando il prossimo in piccoli cassetti della sua mente: non gli dava un punteggio, ma andava molto vicino a farlo. Era fondamentale instaurare con gli altri una conversazione degna di quel nome, soprattutto per quanto riguardava gli amici, e questo non significava parlare di geni, proteine e tecniche di nuova generazione, ma avere uno stimolo dal prossimo che gli destasse interesse. Tutte le sue donne - perché si reputa completamente etero, nonostante il profondo amore che lo lega a Darko - avevano in comune le stesse caratteristiche a livello intellettivo, ognuna diversa l'una dall'altra, ognuna unica, ma per questo preziosa. Guardando Arden muoversi, con quella sua elegante sinuosità che, da quando aveva incrociato i suoi occhi con la sua figura, l'aveva immediatamente colpito, si era ritrovato sempre più spesso a pensare che nascondesse molto di più di un bel viso e di un bel corpo: il solo scambiare qualche parola - e un bacio di troppo - con lei l'aveva come stregato. Era il cliché più grande di sempre quello in cui la donna più desiderata è quella che non si può avere, quella altrui. Non avrebbe saputo dare una spiegazione ai suoi pessimi gusti in fatto di uomini: era attirata dal prestigio? Dal denaro? Non gli dava l'idea di una persona simile eppure, a conti fatti, l'aveva sempre vista con elementi facoltosi e illustri dello scenario scientifico norvegese. È davvero così stacanovista o si sta dando delle arie? O, magari, è solo da me che si vuole tenere lontano. «Devo ricordati che lunedì ci sarò io a occuparmi dei tuoi campioni, in tua assenza?» punzecchiò l'amica prima di lasciarla rispondere, con un sorriso che si allargava sempre di più sul suo volto, illuminando anche il suo sguardo di un sano divertimento che, con Freya, non sembrava mai mancare sin dal loro primo incontro, ormai diversi anni prima.
    Dopo quello scambio di nomi e convenevoli, tutti si diressero ai tavoli, dove potevano sorseggiare un po' di vino nell'estenuante attesa di un risultato sperato: che Zach fosse lì per il denaro appariva scontato ai suoi occhi, c'era forse qualche altra ragione? Non gli erano mai piaciuti i grandi eventi, soprattutto gestiti da multinazionali, li aveva sempre trovati dispersivi e soprattutto non aveva mai sopportato l'eccesso di convenevoli - come quelli che c'erano appena stati d'altro canto - che sembravano scandire ogni singolo momento lì. Anche all'Università, non era mai stato uno di quelli che, come un'ombra silenziosa, segue un docente col solo scopo di farsi scegliere come assistente, dottorando, post doc o come schiavo non retribuito: lui era se stesso, nel bene e nel male, e chiedeva al prossimo di accettarlo così com'era. Il caso aveva tuttavia voluto che le sue principali caratteristiche, la sua boria, la sua arroganza, fossero solo un paio delle carte che servivano per fare carriera, avendo le intuizioni e gli attributi giusti ovviamente. Una fortuna per te che non sia così, sembra essere altro a interessarla. Voltò lo sguardo verso Freya, osservandola discorrere amabilmente con un collega, accennando un lieve sorriso e spostando la sua attenzione verso il vino. «Sono un uomo fortunato.» ironizzò, avvicinando il calice alle labbra e bevendone un sorso, guardando l'espressione di Arden di sbieco: che fra loro ci fosse qualcosa, qualunque cosa fosse, sembrava quasi tangibile, come se l'aria che li separava fosse lievemente più elettrica. Di fatto, oltre ad un lungo bacio, non vi era stato altro: era da molto che non si vedevano e, entrambi, erano forse troppo orgogliosi per fare una qualunque prima mossa, per quanto lo desiderassero. «Patrik le fece eco, quasi a correggersi. Diciamo pure che ho una bassissima soglia di attenzione. Non stentava a crederlo, soprattutto visto l'elemento, ma omise di esprimere a voce alta tali pensieri: il suo sguardo, com'era poi ovvio, parlava da sé. «Un vero peccato per Patrik.» Quasi ci aveva preso gusto a chiamarlo con quel nome: non gli era nemmeno antipatico, non sopportava solo il contorno delle loro conversazioni, ma era la prassi con chiunque, o quasi. La considerazione che Zach aveva di stesso era sicuramente elevata ma, a fomentare tali idee, erano i suoi successi: l'intuizione, la solerzia, la perenne dedizione al lavoro che aveva imparato a coltivare da quando aveva trovato la sua ragione di vita, l'avevano portato dov'era in quel momento, alla sua età, e non si vergognava ad ammettere d'esser fiero di sé e di esser bravo in ciò che faceva. Si trattava di dati oggettivi dopotutto, no? «Dubito che per arrivare al successo servano solo buone intenzioni e spot convincenti su bambini malati.» iniziò a dire, versandosi dell'altro vino e facendo un cenno ad Arden, in attesa che gli desse un segnale per fare lo stesso con lei. «Una multinazionale vuole qualcosa che aumenti le loro vendite, qualcosa che ipoteticamente possa migliorare un introito già ingente e non c'è nulla di più convincente di un disperato.» Era un discorso crudo, forse troppo, ma che nascondeva un dolore più complesso da spiegare: quello stesso disperato, quello che sembrava quasi criticare, il depresso che chiunque guardava con una certa mole di paura e talvolta persino di disprezzo, l'aveva visto morire su una sedia a dondolo, in un mare di sangue che impregnava un vestito a fiori che aveva stretto più e più volte. Dietro la dura scorza dell'uomo d'affari, quello che testa sugli animali, che non teme a sacrificare vite su vite per un bene più grande, dopotutto, si nascondeva un figlio che aveva visto la sua stessa madre farsi sopraffare da un dolore più grande di lei, dolore che aveva dato a Zach tutto ciò che, a fatica, aveva costruito fino a quel frangente. Spiegò con due parole cosa riguardava il suo progetto e, alla fine, propose ad Arden una scommessa che sapeva di aver già vinto: «Quello che vuoi.» rispose, quando gli rigirò la domanda. Era tranquillo, sia di poter fare quanto gli avrebbe chiesto, sia del fatto che non ve ne sarebbe stata alcuna necessità. Comunque non lo so. Costo, Zach, e anche tanto. Sicuro di potertelo permettere? Lo faceva davvero per soldi allora? Non riuscì a capire se quelle parole fossero serie oppure no, si fermò per un momento a pensarci, volgendo lo sguardo verso di lei e posandolo poco dopo sulla mano che gli aveva porto: che fosse nella prima, e non l'avrebbe mai ammesso, non riusciva ad esser così sicuro, ma decise di rischiare. Strinse con fermezza la mano di lei, accarezzando lievemente le dita affusolate e lasciando poi la presa e, con l'altra mano, scoprendo appena il polso a guardare l'orologio che indossava: mancava poco.
    Ascoltò il terzo posto, poi il secondo, applaudendo ed annuendo fra sé e sé: erano bei progetti entrambi, uno in particolare, quello della Dottoressa Yuki, gli era sembrato di gran rilevanza. Cominci a preoccuparti? gli domandò la donna, facendolo sorridere appena. Non poteva ammetterlo ma, un po', in fondo al cuore, c'era un briciolo di ansia mista ad eccitazione e, perché no, anche un velo di preoccupazione: «Affatto.» replicò, pur non spostando gli occhi dalla busta. Quando "Patrik" disse il suo nome la mano di Arden si poggiò sulla sua mano, mentre un sorriso soddisfatto si fece largo sul volto del vincitore: la sua mente si accalcò di "Lo sapevo" e di sentimenti gioiosi che il suo volto, così perfettamente controllato, non era in grado di esprimere al meglio. Si alzò in piedi, mentre uno scrosciare di mani che battevano lo accoglieva: incrociò lo sguardo di Freya, con gli occhi rivolti verso l'alto ed un cenno di intesa che solo loro, veterani ormai in quel laboratorio, potevano capire. Furono in molti a giungere al tavolo per complimentarsi, con entrambi, e quando finalmente i più si furono allontanati, fu tempo di riscuotere anche un altro premio per lui: Ora il tuo progetto vedrà la luce e finalmente avrai l'onore di farti vedere in giro con me. Non male per una serata, eh? «Quando si dice "fare en plein".» le sussurrò, avvicinandosi lievemente a lei nel prendere le congratulazioni. Il cameriere si avvicinò per dar loro flute ripieni di champagne - probabilmente costosissimo visto il livello dell'evento - che, con un gesto quasi automatico, Zach diede dapprima a Freya e ad Arden. Alle notti che cambiano la vita. «Nella speranza che cambino anche le nostre pessime abitudini.» aggiunse, riferendosi - anche se in maniera totalmente velata - anche agli uomini che si ostinava a frequentare: non aveva replicato quando gli aveva fatto presente che non riguardava lui, pensando che, d'altra parte, aveva anche ragione. Per lui era impossibile non esprimere i suoi pensieri, soprattutto quando la realtà gli stava stretta, com'era accaduto con lei, con Patrik e con gli altri facoltosi uomini che aveva visto in sua compagnia.
    A seguito del brindisi, i discorsi presero una piega decisamente più leggera: c'era chi parlava di lavoro, chi del tempo, chi di quanto era costata quella serata alla Roche, chi semplicemente si era appoggiato, come Zach, ad un tavolo qualunque sorseggiando l'ennesimo bicchiere di champagne. Johanssen aveva lasciato la sua accompagnatrice lievemente da parte, impegnato a discorrere sul prossimo seminario che avrebbe dovuto tenere: nella sua mente, quell'uomo appariva come un bambino un po' offeso, che pur di non accettare la sconfitta preferiva concentrarsi sulla prossima ipotetica vittoria. «Vado a fumare, mi tieni compagnia?» chiese ad Arden, attendendo un cenno d'assenso per uscire all'esterno: c'era una grossa terrazza, alla quale si accedeva tramite delle porte scorrevoli a vetro. L'esterno, coperto da una gazebo e sufficientemente riscaldato per non gelare col clima rigido di quel periodo, offriva agli spettatori una visione della città e, in lontananza, del mare. Non c'erano molte altre persone lì, solo qualche altro scienziato che, probabilmente saturo da tutto quel rumore, aveva deciso di allontanarsi e nascondersi dietro le alte piante sempreverdi che ornavano quel luogo: «Sono curioso.» fece Zach, facendo scivolare una sigaretta al di fuori del pacchetto e lasciando che Arden la prendesse. Quando l'ebbe portata alle labbra, si avvicinò a lei con l'accendino, avendo cura di coprire la fiamma con l'altra mano: «Hai detto che costi E se non fosse stato per quel rapido scambio di parole e di eventi, forse avrebbe fatto anche prima quella puntualizzazione. Prese a sua volta una sigaretta dal pacchetto, l'accese e, dopo aver fatto una boccata, rilasciò il fumo in una delicata nuvoletta scura. «Devo reputarmi un miracolato per aver guadagnato una serata con te?» chiese, poggiando le spalle alla ringhiera, dando un'occhiata all'interno, impossibile da veder bene dalla posizione in cui erano. Di Arden, sapeva tutto e niente: conosceva la sua professione, conosceva il suo nome, il suo cognome, la sua età, eppure non sapeva nulla sui suoi gusti, se non in fatto di alcolici visto che l'aveva vista bere più o meno sempre le stesse cose. D'altro canto, non poteva biasimarla: lui stesso, agli occhi dei più, appariva piuttosto enigmatico, qualcuno di cui si sa soltanto ciò che vuole che venga conosciuto, ciò che viene scritto sul curriculum e che viene divulgato senza problemi. «Inoltre.» iniziò, allungando la mano sinistra, libera dalla sigaretta, verso quella di lei, che stava dinanzi a lui. «Cos'è che avresti voluto da me, qualora avessi perso?» Nel parlare, tirò a sé anche Arden, di poco, quel tanto perché perdesse appena l'equilibrio e si sbilanciasse verso di lui. Con un rapido sguardo attorno a sé, si avvicinò quel tanto da colmare le distanze fra il volto di lei ed il suo, suggellando quel momento con un secondo bacio: non c'era nessuno attorno a loro e nessuno che, da dov'erano, poteva vederli. Probabilmente aveva scelto, sebbene in maniera inconscia, quel piccolo angolo della terrazza con quell'intento: era stato automatico, più forte di lui. Le labbra di Arden avevano il sapore dello champagne bevuto poco prima e della sigaretta che gli aveva offerto, due dei suoi piccoli piaceri quotidiani posti su qualcuno che gli suscitava gli stessi sentimenti. «In fondo però non ha importanza, visto che ho vinto.» aggiunse, sfiorando ancora la sua bocca con la sua, mentre parlava. Si poggiò ancora sulla ringhiera, mal celando un sorriso, avvicinando alle labbra la sua sigaretta: «Dovresti farmi avere il tuo indirizzo, altrimenti non potrò venirti a prendere quando arriverà il grande giorno.» Distolse lo sguardo dall'orizzonte, nel quale si era perso per un momento, tornando su di lei: «A meno che non preferisca passare tu da me.» Era capitato che, per puro caso, Arden durante il loro fortuito incontro, lo stesso che aveva sancito il loro primissimo bacio, avesse visto casa sua: era rimasta sull'uscio, mentre lui si era rapidamente adoperato per recuperare le scartoffie di cui aveva bisogno. Chissà che forse, prima o poi, quella stessa scappata non si sarebbe rivelata più interessante di quanto avesse immaginato.

    Edited by Nana . - 28/2/2021, 10:02
     
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    Tutte le cose che non si dicevano erano quelle che interessavano di più Arden, le troppe parole rischiavano di disinnescare la scintilla ancor prima che incendiasse tutto, sul nascere. Sarebbe stato un peccato che accadesse, che l'interesse scemasse prima che la donna capisse cosa farsene di tutto il non detto fra loro.
    Era strano pensare che proprio quello rimproverava tanto al fratello, di non aver parlato quando farlo sarebbe stata la cosa giusta da fare invece di trincerarsi dietro a un silenzioso sorriso. Con Zach era diverso, si disse, non avere un passato condiviso la aiutava a non volere altro che complicità e a separare le aspettative dalla realtà anzi, a non farsene alcuna. L'incontrarsi per caso e il lasciarsi poi per mesi metteva curiosità, creando la stessa tensione che c'è tra due estremi di uno stesso elastico: quando si dividono non possono che tornare a cercarsi. Durante i periodi di separazione, lunghi anche dei mesi, era raro che Arden pensasse con forza a Zach ma capitava, e alle volte incontrollabilmente. Succedeva quasi sempre nei momenti più impensabili e anche quelli meno appropriati, come quando era con un cliente o stava pagando alla cassa del supermercato e non poteva distrarsi troppo. Poi, alla fine, trovava sempre il modo di indugiare sopra tali pensieri, perché se voleva davvero una cosa Arden le dedicava del tempo, cosa che stava facendo in quel momento con gli occhi di Zach: dedicava loro tutto il tempo necessario. Fa così con tutti, tranquilla. Rispose diplomaticamente la collega di Zach strappandola dal blu acqua di quelle iridi, e Arden le rivolse un sorriso con uno sguardo non del tutto convinto. Le minacce non valgono. Sembrò rimproverare allora a Zach, neanche fosse un bambino nei panni di un uomo di un paio di spanne più alto di lei, che era anche su tacchi vertiginosamente alti. Scuotendo pianissimo la testa, Arden si concentrò su quanto stava accadendo nella grande sala. L'atmosfera era cambiata e lo si avvertiva senza che ci fosse bisogno di dire niente, infatti le persone iniziarono a prendere posto come rispondendo a un comando non verbale. Seguì gli altri, Arden, sedendosi di fianco a Zach che offrì subito del vino versandolo nei calici con mano ferma, la stessa che le aveva intrappolato qualche ciocca di capelli durante quel bacio in macchina, l'unico che si fossero mai scambiati. Nonostante non ci fosse stato niente di fisico né prima né dopo quella notte tiepida di Settembre, tra loro serpeggiava un'attrazione innegabile che nessuno dei due provava davvero a nascondere. Perché avrebbero dovuto? Era una donna libera e, per quel che ne sapeva, anche Zach non aveva particolari legami amorosi, a meno che non li tenesse nascosti. Non l'aveva infatti mai visto accompagnato da qualcuno in particolare, da uno stesso volto che, conferenza dopo conferenza, avrebbe potuto attribuire a una fidanzata, a una moglie o anche solo a una frequentazione, e a quei dettagli Arden prestava la massima attenzione. Certo, non avrebbe mai potuto esserne completamente sicura senza chiedere conferma, ma l'istinto le suggeriva delle cose e, come al solito, Arden l'avrebbe seguito. Per te credo si aspetti di essere ancora chiamato solo Dottor Johansenn, a meno che voi due non abbiate un certo tipo di intimità di cui non sono a conoscenza. Il che andrebbe benissimo, non ho problemi a condividere. Arricciò le labbra in un sorriso, Arden, divertita di fronte all'idea di quei due immersi in un rapporto che esulasse da un reciproco rispetto e una sana - a volte non troppo - competizione. La barriera del cognome era crollata quasi subito, ed era stato Patrick a chiedere che fosse così una sera al ristorante, al loro secondo o terzo incontro. Non c'era stato niente fra loro se non qualche carezza e molta conversazione, per lo più da parte di lui, mentre Arden faceva quello che era stata pagata per fare: ascoltare o, per lo meno, fingere bene di farlo. Quello sarebbe rimasto l'accordo fra Patrick e la donna, il cui lavoro non includeva necessariamente la parte sessuale. Dipendeva dai clienti e, da lei, dipendeva accettare o meno. C'era chi, come Patrick, desiderava solamente parlare con qualcuno per non sentirsi solo e chi, invece, era proprio l'attenzione fisica che ricercava. Ho bisogno di essere stimolata, non sempre ma spesso. Patrick ha una mente molto interessante, diciamo però che manca di un po' di brio, chiamiamolo così. Parlava di Patrick senza guardarlo, lì, sul palco, da solo; parlava di Patrick sottolineandone le mancanze con un altro uomo, dalle cui iridi risultava difficile allontanarsi come se, posandosi ogni volta su un punto diverso di lei, con esse Zach la accarezzasse. Dal di fuori, poteva sembrare che Arden stesse facendo dei paragoni tra Zach e Patrick, e forse era proprio così.
    Già, la disperazione. Una condizione universale che per ognuno ha forme, odori e contorti diversi. Incredibile vero? Come tutte le cose più importanti, alla fine, no? Lo guardò, e per un breve lasso di tempo si chiese che tipo di dolore avesse sperimentato Zach nella sua vita. Quella parola, disperato, era stata messa lì con intenzione e pronunciata come se l'uomo sapesse di cosa stava parlando, come se l'avesse vissuta sulla sua pelle. Le venne spontaneo riflettere sulle sue stesse parole ma, più che soffermarsi sul dolore, ad Arden vennero in mente tutti i tipi di piccole felicità diverse che negli anni aveva provato. Il vino condiviso con Liz sulla terrazza di casa in una notte infinita, quando con Henry aveva affisso la replica del La grande onda di Kanagawa sulla parete bianca sopra al divano, il loro primo quadro appeso; le pause pranzo con Maggie, piccoli ritagli di pace nel tran tran dell'ufficio, le visite nel negozio di Grace, una nuvoletta di profumo vivente, i Manhattan preparati da James, un sorriso l'ingrediente segreto, Adam con il primo completo in cui l'aveva visto e lei che gli faceva il nodo alla cravatta. Quelle immagini nacquero spontaneamente di fronte ai suoi occhi sui quali si infransero poco dopo, con lo scroscio degli applausi e il rumore di sedie fatte scivolare all'indietro sul pavimento. Copiò chi la circondava senza alcuna fretta, quelle dita sul dorso erano state il vero modo di congratularsi per la vittoria che Arden aveva scelto, avrebbe lasciato agli altri le parole. E infatti, dopo che nel breve brindisi volò qualche frecciatina non troppo velata ( "sì, sopratutto quella del non farsi mai gli affari propri, difficile da perdere", avrebbe voluto aggiungere ma non poteva, lì davanti a tutti) la donna lo perse di vista tra le persone, mentre Patrick si immergeva in una fitta conversazione con un altro professore, questa volta tedesco a giudicare dal forte accento, di cui presto Arden finì per stancarsi non essendo il centro della discussione. Decise allora di andare in bagno a rinfrescarsi e, una volta davanti allo specchio dalla cornice dorata, si rese conto di aver avuto per tutta la serata quel sorrisino stampato sulle labbra, un flirt perpetuo dovuto a Zach. Non se ne vergognò anzi, ravviandosi i capelli all'indietro si sorprese a pensare nuovamente all'uomo che, qualche metro al di là di quel muro, si stava godendo il meritato successo. In quel momento, Arden si scoprì desiderosa di continuare i festeggiamenti con lui. Fu quindi normale che, appena fuori, accettasse l'invito di Zach di fumare una sigaretta insieme altrove, in un posto che non includesse tutta quella gente e tutto quel rumore. La terrazza riscaldata era coperta da folte piante che tagliavano via il vociare dell'interno attutendolo, si aveva infatti la sensazione di essere entrati in una bolla d'acqua sospesa nella notte. Si strinse leggermente nelle spalle, Arden, le dita che scivolavano sul braccio a loro opposto per frizionare la pelle e scaldarla, mentre con i passi colmava la distanza che li separava da una ringhiera, affacciandosi appena per guardare di fronte a lei la notte puntellata di stelle e luci di città. Lo sentì raggiungerla e affiancarla, ma la donna rimase con gli occhi verdognoli puntati davanti fino al momento di stringere la sigaretta prima fra i polpastrelli e, poi, fra le labbra. Allora torse il collo chinando leggermente la nuca per aiutare Zach, la fiamma dell'accendino illuminò l'azzurro dei suoi occhi rendendoli per un secondo ancora più vivi, prima che il famigliare odore di bruciato le stuzzicasse lingua e narici e Arden inspirasse, tornando nella posizione iniziale per osservarlo fumare e iniziare a parlare. Si, l'ho detto. Confermò poco dopo con una sorriso accennato e lo sguardo acceso, senza forse stemperare del tutto la curiosità di Zach, il cui cervello sembrava lavorare per acchiappare l'idea giusta che si era fatto di lei, gli serviva solo una conferma. Solo che Arden non forniva mai niente troppo facilmente, abituata com'era a lottare per ogni cosa. Piegò un gomito stringendoselo piano alla vita, mentre l'altro braccio puntava a sorreggere la sigaretta mai troppo lontana dalla bocca, in alto. I miracoli sono gratuiti, no? Il sorriso si allargò sul suo volto, quel perfetto ovale sotto la frangetta sottile. A te posso concedere un prezzo di favore, dipende anche da cosa vorresti che includa la serata. Aggiunse e un attimo dopo tirò un altro tiro di sigaretta, il fumo nei polmoni bruciò ma fu solo un istante. Inarcò dunque un sopracciglio, Arden, come a sfidarlo malizia dopo malizia, colta nonostante tutto di sorpresa da quel gesto. Quando la mano di Zach sfiorò la propria, Arden sapeva già come sarebbe andata a finire, forse lo sapevano entrambi sin dai primi istanti, da quando per salutarsi si erano sfiorati le guance con un bacio. Quello che si scambiarono in quel momento fu uguale e diverso da quello dato, mesi fa, nell'auto di Zach. Il sapore di lui era sempre lo stesso ma, da qualche parte, qualcosa in lei si era fatto più dolce. Lasciò scivolare via la mano che Zach le teneva, liberandola solo per incastrarla in qualche altra parte di lui, dalle dita ai capelli, dietro il collo. Si lasciò andare a lui senza neanche guardarsi intorno, senza preoccuparsi che Patrick potesse essere nei paraggi, e quando si separarono Arden abbozzò un sorriso, guardando per qualche secondo ancora le labbra di Zach. Forse un giorno te lo dirò. Disse, riferendosi alla domanda dell'uomo: cos'è che avresti voluto da me, qualora avessi perso? Non hai voglia di cambiare aria? O ne hai per molto ancora qui? Prese l'ultimo tiro di sigaretta prima di estinguerla in uno degli appositi arnesi vicino alla ringhiera, avvicinandosi poi di nuovo al suo viso per sfiorare la bocca di Zach con le labbra, un tocco appena prima di passare oltre e accostarle, guancia a guancia, al suo orecchio. Ci vediamo da te tra un po', o quando hai fatto. Iniziò, la voce vellutata che si faceva sospiro sul suo collo. Giusto il tempo di salutare Patrick e sono lì, spero tu abbia un buon vino. Tu cerca di sbrigarti però, ok? Tornò a distanziarsi da lui con un sorriso, giusto il tempo di voltarsi e sparire all'interno dell'edificio.

    I piedi di Arden spuntavano dal bordo della poltrona e ondeggiavano lenti al ritmo di una musica arabeggiante (cit.), i tacchi abbandonati all'ingresso di quell'appartamento che aveva visto solo una volta prima e no, non era quindi il suo. Quando sarebbe entrato, Zach avrebbe notato sicuramente quelle scarpe da donna che, nonostante fossero perfettamente allineate, in qualche modo spiccavano nell'ordine maniacale che regnava nella casa dell'uomo. Era piombata attraverso la porta del bagno, l'unica di quella casa che aveva effettivamente utilizzato prima anche se, quando si era trovata fra quelle mura tempo addietro, aveva comunque sfiorato più pomelli possibili nella speranza che forse, un giorno, averlo fatto sarebbe tornato utile. Era infatti grazie a quel gesto che Arden aveva potuto viaggiare dalla sala conferenze dell'Hotel a casa di Zach così velocemente, giusto il tempo di aprire e chiudere una porta. Nell'attesa che Zach arrivasse, Arden si era fatta il doveroso giro dell'appartamento evitando solamente la stanza da letto e soffermandosi a leggere i titoli sul dorso di libri e videogames, cercando di capire in che ordine fossero sistemati, che non era alfabetico o di autore. Aveva aperto il frigo, le credenze, sempre attenta a non muovere nessun oggetto se non un paio di bicchieri.
    Al suo rientro, Zach l'avrebbe trovata così, a piedi nudi seduta di lato sulla poltrona, una bottiglia di rosso in mano mentre ne versava il contenuto in due bicchieri di vetro, le gambe mosse piano a ritmo di musica. C'era traffico? Chiese con un sorriso piccolo piccolo. Ho trovato il vino. Buono così e così, ma ho già ricominciato a bere. Spero non ti dispiaccia. Abbozzò un cin cin alzando il bicchiere, mentre poggiava il mento sul palmo della mano e il gomito sul bracciolo a sorreggere tutto. Togliti pure la giacca, fai come se fossi a casa tua. A proposito, in che ordine cataloghi i tuoi libri? Non ti facevo un tipo da giochi alla playstation. Scherzò bevendo un sorso di vino, le guance già più colorite di prima. Zach forse sarebbe stato confuso, nessun segno di infrazione e poi, diciamocelo, sembrava una che scassinava case altrui nel tempo libero? Ti stai chiedendo come ho fatto? Chiese districando le gambe da sotto il sedere per poggiare i piedi per terra, il tessuto del completo giacca e pantaloni si muoveva insieme a lei, morbidamente. Lo guardava, Arden, le iridi verdi aggrappate a quelle azzurrissime di Zach che, in quei quindici o venti minuti di assenza, le era rimasto comunque addosso, come un dolce pizzicore sulla pelle. Ah e, giusto per intenderci, questo non fa parte della serata che hai vinto e no, non finiremo a letto.

    Edited by Dead poets society - 10/4/2021, 19:04
     
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    Come ti ho detto, ci sto riprendendo la mano. Perdona il colossale ritardo e la schifamma del post, luv iu lo sai <3

    Di tutte le proposte a sfondo sessuale che avrebbe potuto fargli, Arden scelse l'unica il cui solo pensiero non lo eccitava minimamente: «Ti ringrazio per la gentile offerta ma preferisco declinare.» fece, tranquillo, scacciando dalla mente qualunque fantasia in cui erano presenti lui, lei e - purtroppo - il famoso Patrick Johansenn. Non serviva comunque che fosse lui a fare confronti e a paragonarsi allo scienziato, sia perché fosse troppo conscio di se stesso sia perché alla fine era la stessa donna ad avere dinanzi le evidenti differenze fra i due, meramente estetiche forse, visto che sotto il punto di vista scientifico Zach stesso non poteva fare a meno di stimarlo, sentimento ricambiato dal dottore stesso. Quella sera tuttavia, nonostante il lavoro proposto dall'altro fosse di eccelsa qualità, Zach sentiva che le cose sarebbero andate proprio come aveva immaginato e sperato: era borioso, senza dubbio, ma d'altro canto sapeva essere anche abbastanza bravo nel suo lavoro e nel ricercare fondi per poterlo finanziare. Aveva pensato con dovizia di particolari ad ogni cosa nella stesura di quel progetto, prima fra tutte la possibilità che venisse finanziato: era importante pensare al prossimo ed essere soddisfatti - tutto ciò che faceva in fondo aveva quello scopo - ma ancor più importante era fare in modo che ciò che veniva proposto avesse caratteristiche tali da poter essere apprezzato da coloro che avrebbero dovuto sganciare il vile denaro. Lucrare sulla disperazione poteva essere considerato da molti crudele, soprattutto quando veniva fatto con quell'intenzione e non con desideri di rivalsa da parte di una minoranza di persone infelici: in fondo, nemmeno Zach sapeva quanto il suo passato avesse avuto un ruolo da protagonista in ciò che era diventato, in ciò che a poco a poco stava cercando di costruire ed affermare nel grande panorama scientifico. «Trovi?» rispose ad Arden, senza scomporsi, pur essendo curioso nei confronti di quella donna di cui non sapeva assolutamente niente. Era forse proprio quella incertezza a renderlo bramoso di spogliarla di tutte quelle sovrastrutture di cui si era bellamente ornata, cercando di scoprire cosa ci fosse in lei oltre la perfetta e bellissima maschera di donna inarrivabile che sfoggiava: chi era davvero Arden? Più lo rifiutava presentandosi a quegli eventi in compagnia d'altri, più era sfuggente, più lui sentiva crescere quel desiderio che trascendeva l'aspetto estetico: era stato con molte donne, tutte bellissime senza dubbio, tutte con una propria particolarità ed un proprio unico carattere, tutte però accumunate da un comune denominatore. L'indole che infatti più apprezzava era la forza: le ragazze remissive, troppo sulle proprie, quasi timorose della loro stessa ombra, non erano mai riuscite a stuzzicarlo in alcun modo. Per certi versi, poteva quasi considerarsi una sorta di masochista: non che questa tendenza fosse rispecchiata anche a livello sessuale non con fruste e affini quantomeno, ma, in generale, era ben lieto che la donna a cui si accompagnava e che sceglieva di frequentare fosse una donna forte, che sapeva ciò che voleva e che non aveva paura di prenderselo. Che poi questo finisse con lo scontrarsi con la sua di forza e con le sue ambizioni, beh, questo era decisamente un altro paio di maniche.
    Fu per tutte queste ragioni che, dopo i primi festeggiamenti per la vittoria e le chiacchiere obbligatorie con i vari esponenti della comunità scientifica, i due finissero col riprendere là dove avevano lasciato la loro intima conversazione pochi mesi prima: né lui né lei avevano mai parlato di quel fugace bacio, avevano lasciato che rimanesse lì, sulle loro labbra che parevano avere ancora il sapore l'un dell'altra nonostante fosse passato parecchio tempo ormai. A cosa avrebbe mai potuto portare un dialogo a riguardo? Cosa avrebbero potuto dirsi? I fatti, alle volte, sapevano essere ben più esplicativi di una manciata di parole. Era tuttavia ancora curioso Zach, probabilmente lo sarebbe sempre stato con ciò che riguardava quel dedalo di pensieri che ancora non era riuscito a decifrare: Forse un giorno te lo dirò. gli aveva risposto quando le aveva chiesto cos'è che, al suo posto, gli avrebbe chiesto qualora avesse perso la loro piccola scommessa. Sorrise lievemente, di rimando, sfiorando ancora una volta le labbra di lei con le sue, prima che si allontanasse proponendogli di cambiare aria. «Immagino di no, ho esaurito la maggior parte dei convenevoli poco fa.» confessò, avendo ormai depennato dalla sua lista mentale tutti i più importanti elementi utili al progredire della sua carriera.
    Ci vediamo da te tra un po', o quando hai fatto. Giusto il tempo di salutare Patrick e sono lì, spero tu abbia un buon vino. Tu cerca di sbrigarti però, ok? Non che ci fosse bisogno di chiederlo. Gli rimaneva da salutare Freya, l'unica persona di cui effettivamente gli importava all'interno di quella sala: erano venuti insieme e lasciarla lì senza nemmeno avvisarla gli sembrava davvero di cattivo gusto. «A fra un po' allora.» le disse, osservando per un momento la sua silhouette allontanarsi con un sorriso appena accennato. Scosse appena il capo, allungando una mano a sfiorarsi le labbra, sentendo quel sapore di lei misto a quella di una veloce sigaretta sulla punta della lingua. Se ne rimase lì al freddo ancora un minuto, voltandosi a guardare il panorama che quell'albergo offriva e chiedendosi cosa sarebbe successo se non fossero stati coperti da quei complementi d'arredo, se il magico Patrick li avesse sorpresi proprio in quel momento. Una parte di lui, sebbene sapesse quanto fosse sbagliato, avrebbe proprio desiderato un tale epilogo, solo per il divertimento che ne sarebbe poi derivato: certo, quella più responsabile gli suggeriva che per quanto divertente avrebbe fatto meglio a mantenere una certa educazione e rispetto, ed era proprio quella predominante, per fortuna. Richiuse uno dei bottoni della giacca che indossava, rientrando all'interno dove, in maniera educata e cordiale, salutò tutti quanti: chiese a Freya se avesse bisogno di un passaggio a casa, senza esplicitare le sue intenzioni ed il fatto che sul suo pianerottolo ci fosse qualcuno ad aspettarlo. La ragazza però fu subito contenta di liberarlo della sua presenza, offrendosi di tornare con un taxi: probabilmente, si disse, aveva immaginato qualcosa ed aveva scelto di farlo divertire, divertendosi magari anch'ella al tempo. Si salutarono con un bacio sulla guancia e, finiti per davvero i convenevoli, si diresse verso il parcheggio, recuperando i caschi, le chiavi e ovviamente la sua moto: era ancora tutta intera, per fortuna.
    Il percorso che lo separava da casa non era particolarmente lungo e, considerato che rispetto ad Arden lui aveva la possibilità di superare qualunque mezzo su quattro ruote senza difficoltà, si era persino detto che sarebbe arrivato prima di lei a casa. Ricordava poi il suo indirizzo? C'era stata una volta sola, per poco. Per un attimo, mentre la motocicletta sfrecciava sull'asfalto norvegese, Zach si chiese se non si fosse trattato di uno scherzo: non gli era sembrata dispiaciuta durante quel bacio e le circostanze gli erano sembrate più che favorevoli, al contempo però gli sembrava proprio la tipa che si fa desiderare e che, per il puro gusto di farlo, si sarebbe divertita a prenderlo un po' in giro. In ogni caso, l'avrebbe saputo solo una volta arrivato a casa sua.
    Aprì il box che aveva acquistato insieme all'appartamento diversi anni prima, parcheggiò e lasciò su di un mobile il casco che aveva portato per Freya: il suo, un integrale perfettamente in linea con l'Harley, preferiva tenerlo nel suo appartamento, in un mobile all'ingresso in cui lasciava la maggior parte degli oggetti di uso quotidiano. Con quello fra le mani, si diresse verso il pianerottolo, non vedendo da nessuna parte Arden e iniziando a pensare che il suo timore non fosse che la realtà. Sospirò e andò verso la porta di casa, infilando le chiavi nella toppa e rigirandole più volte: una volta aperta, sentì una musica a lui familiare che ci mise un po' a riconoscere. Faceva parte di un album acquistato in Marocco durante uno dei suoi primi viaggi lì, di una cantante che aveva visto più volte in un locale nei pressi dell'albergo in cui soleva alloggiare. Non fu solo la musica a lasciarlo interdetto: una volta che ebbe la visione completa dell'appartamento dall'uscio della porta, poté notare le scarpe, le stesse che aveva visto ai piedi di Arden, starsene comodamente disposte nel suo ingresso. Era un po' confuso. Mosse qualche passo all'interno, notando finalmente la figura della donna trionfare a piedi nudi sulla poltrona del suo salotto, con un tra le mani un calice di vino rosso, la cui bottiglia era poggiata poco lontano. C'era traffico? Per nulla. pensò, senza rispondere, dando per scontato fosse una domanda retorica. Si avvicinò lievemente a lei, lasciando sulla console il casco ed iniziando a snodarsi la cravatta dal collo: il più scomodo impedimento della serata. «Hai scelto la bottiglia sbagliata, lì ci sono quelli per gli ospiti.» le disse, indicandole un piccolo angolo di una vetrinetta dove c'erano alcolici di vario genere. Quello che aveva preso lei era quello che beveva da solo, qualche volta, durante le sere in cui gli toccava lavorare di più ed il caffè iniziava a non esser più sufficiente. Lasciò la cravatta accanto al casco e, sfilandosi la giacca, la ripose sul divano, sul quale si sedette ad appena una spanna da Arden: «Hai avuto anche il tempo di guardare la libreria?» fece, nascondendo un po' la confusione con una frase provocatoria, atta a sottolineare il fatto che avesse sbirciato in casa sua. «Argomento, stesso discorso per i videogiochi.» rispose, rilassandola schiena contro gli enormi cuscini ed accompagnando il movimento con un'apertura del petto, al quale furono seguite le braccia che si poggiarono sul divano stesso. Ti stai chiedendo come ho fatto? «L'ipotesi più sensata è che tu abbia una particolarità legata al teletrasporto.» Dopotutto anche Maggie poteva vantare qualcosa di simile: sarebbe stato l'ennesimo comune denominatore delle donne che finivano con l'interessargli? «A ben rifletterci, avrebbe più senso questo che tu possa ricordare esattamente dove abito e quale sia l'interno dopo essere stata qui per soli cinque minuti.» ragionò a voce alta, rivolgendo lo sguardo al soffitto, quasi come se stesse mettendo in ordine le idee su quella parete bianca. Distolse poi la sua attenzione da lì, tornando nelle iridi verdi della ragazza che nel frattempo aveva riportato i piedi a terra. Ah e, giusto per intenderci, questo non fa parte della serata che hai vinto e no, non finiremo a letto. Che precisazione d'impatto. «Beh certo, considerato l'orario direi che dovremmo solo passare la notte in bianco per considerarla "serata".» fece, trovando tuttavia che la sua di precisazione potesse tranquillamente sposarsi col finire a letto insieme. Ma no, aveva detto che non sarebbe andata così e chi era lui per insistere? In fondo avevano già aspettato tanto, non aveva senso affrettare le cose, per quanto desiderasse farlo. «E dunque come mai sei qui, a bere sul mio divano a curiosare nella mia libreria?» fece, cambiando a sua volta posizione e poggiando i gomiti sulle ginocchia, protendendo col viso verso la donna. «Un po' mi infastidisce, se devo esser completamente onesto con te.» aggiunse, con un mezzo sorriso. «A parte il tuo nome io non so nulla di te, tu inizi già a sapere dove vivo, dove tengo il vino di bassa qualità e come sistemo libri e videogiochi.» A questa lista poi c'erano da aggiungere tutte le altre cose che sicuramente aveva visto, dato che era in casa sua già da un po' considerato quanto aveva avuto modo di vedere.
    Allungò una mano a prendere l'altro bicchiere, vi versò delicatamente un po' di vino all'interno e lo portò alle labbra, facendone un sorso e rimanendo poi a giocherellare col liquido cremisi al suo interno: «Sono almeno tre cose, che io sappia.» mormorò, ancora con gli occhi in quel delicato ondeggiare. «Sdebitati raccontandomi tre cose su di te.» proposte, inclinando di poco la testa con un sorriso accennato. «Come ad esempio cosa fai per vivere o come mai ti rivedo sempre in compagnia di persone diverse ad eventi a cui non sembri minimamente interessata.» In realtà avrebbe potuto anche dirgli che preferiva il cibo thailandese a quello cinese, era semplicemente curioso e, visto che non avrebbero fatto sesso quella sera - non sapeva ancora se esserne convinto o no - era corretto che soddisfacesse un differente desiderio che già da un po' celava: saperne di più sulla sconosciuta che l'aveva rapito sin da subito. «Oppure bisogna scommettere necessariamente qualcosa per farti sbottonare un po'?» la provocò, riferendosi alla serata vinta onestamente tramite la loro precedente scommessa. «Se vuoi, le carte sono lì dentro.» fece infine, indicando un cassetto alla sua sinistra. Non aveva davvero voglia di giocare a poker o a qualunque altro gioco di carte lei gli avesse proposto, ma se fosse stato di suo gradimento allora tanto di guadagnato.
     
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    Non era del tutto normale intrufolarsi e aspettare il proprietario sorseggiando del vino sulla poltrona di casa sua ma Zack le piaceva e non lo avrebbe nascosto, non era nel suo stile. Fino ai diciotto anni, dissimulare rientrava nelle attività da svolgere giornalmente come lavare per terra, elemosinare spiccioli e attenzione dal padre e impegnarsi negli studi alla luce della torcia del cellulare quando, puntualmente, nel monolocale staccavano l'elettricità. Erano stati anni bui, quelli, passati a incolpare prima la madre e il padre, poi chiunque reputasse colpevole del fatto che quella vita fosse capitata proprio a lei e non a qualcun altro, chessò, all'autista dello scuola bus che ogni mattina arrivava sbuffando che quella catapecchia era troppo lontana, non lo pagavano abbastanza per quel giro. Dopo il primo anno Arden aveva iniziato a camminare, a fare a piedi gli isolati malmessi. A volte la accompagnava Mik, ma era da sola che imparò presto a stare bene. È vero, poteva diventare pesante e anche spaventoso, ma senza nessuno intorno era libera di compiere delle scelte, di fare quello che voleva, di costruire un futuro che, l'aveva giurato a sé stessa, non sarebbe mai caduto così in basso come quella versione di presente nella quale a sedici anni si trovava a sgomitare. Sarebbe stata una vita sua, indipendente, sicuramente non perfetta ma quantomeno scelta e non imposta. Quel pensiero e varie vicissitudini dopo avevano portato lì quell'Arden "del futuro", a chiedersi se a causare la piacevole stretta avvertita nell'udire l'uomo entrare fossero le farfalle nello stomaco o le tartine di caviale mangiate al ricevimento. Vederne la testa bionda spuntare dall'angolo non aiutò a chiarire il mistero che la donna preferì mettere da parte, per il momento, e torcere leggermente il collo per seguire il cenno di Zack. «Ho dato fondo alla tua scorta personale? Ops.» Se era dispiaciuta non lo si vedeva affatto, visto il lieve sorriso a capolino sulle labbra nel momento di tornare a guardare scenari ben più interessanti che delle bottiglie di vino, per quanto pregiate potessero essere non eguagliavano minimamente la curiosità che le istigava invece l'uomo. Lo osservò per qualche tempo, ascoltandolo parlare di libri e videogames ma solo distrattamente, l'altra metà dell'attenzione concentrata sulle linee del collo ora meglio visibili dal colletto della camicia libero della cravatta. Le piaceva il modo che aveva di non dargliela vinta e basta, come certi uomini che pur di parlarle acconsentivano a qualsiasi cosa, pure alla peggiore idea del mondo, pure alla bugia più grande di tutte. Per quanto adorasse sentirsi corteggiata, una persona che negava la rotondità della terra solo perché lei, scherzando ovviamente, aveva voluto fingersi a favore di ogni conspiracy theory le faceva passare ogni minimo interesse. Chi perdeva sé stesso e vendeva le proprie idee per ingraziarsi gli altri mostrando una spina dorsale molliccia o del tutto assente non sarebbe durato molto con lei, e per fortuna Zach sembrava fatto di tutt'altra pasta. Come con i vini, se una cosa non gli andava bene Zach te lo faceva notare. Già in passato aveva avuto il sentore di ciò, ma il tempo insieme era stato decisamente troppo poco per poterne essere sicura. L'ultima volta non era stato che appena cinque minuti, come le ricordò l'uomo. «Magari sono stati i cinque minuti più indimenticabili della mia vita.» Fece spallucce, arrotolando una ciocca di capelli intorno all'indice. Non erano stati i cinque minuti più indimenticabili della sua vita, ovvio che non lo erano. Poi prese un sorso di vino. «Ma avevi ragione nella prima ipotesi. Diciamo che potrei varcare la porta della tua camera da letto e ritrovarmi invece in quel bellissimo hotel-spa alle Maldive in cui ho passato il Natale lo scorso anno.» Quando Zach si riposizionò venne spontaneo anche a lei lasciar perdere i capelli e farsi più vicina, piegando le gambe ad angolo fino ad arrivare con i piedi sotto sé stessa e il peso del busto sul gomito puntato nel bracciolo della poltrona. C'erano due braccioli e pochissimo spazio vuoto a dividere i loro volti, sarebbe bastato pochissimo per sfiorarsi e, quando ammise il suo disappunto, Zach lo fece sfiorandole le guance con il proprio fiato. Non riuscì a trattenere una breve risata e forse neanche ci provò, Arden, che rimasta con il sorriso spostò lo sguardo sulla bottiglia di vino concedendosi un momento per riflettere. Voleva davvero sbottonarsi? «Te ne devo due, Zach. Ora sai cosa posso fare grazie a questa città, non è una cosa da poco anzi, per molti è un segreto. È così anche per te? » Tornò a ruotare il collo per ritrovarsi occhi negli occhi con lui, i suoi di un azzurro che così intenso non credeva di aver mai visto. Si pentì di aver detto no sesso per quella sera, sarebbe stato così facile lasciarsi andare. Sospirò allora, il mento reclinato poggiava sulla spalla a formare una curva armoniosa mentre lo guardava. «Sono un avvocato. Sono uno dei migliori avvocati da qui a Oslo, ad essere precisi.» Si sporse verso il tavolino e vi lasciò sopra il calice ridotto agli sgoccioli. «Ma sono anche un'accompagnatrice, ed è in queste vesti che mi hai sempre incontrata. » Tornò ad adagiarsi col peso sul proprio gomito, scrutandolo in attesa di una sua reazione. Ce l'avevano tutti, chi più chi meno grande ma in un modo o nell'altro veniva sempre fuori. C'era chi rimaneva a bocca aperta e chi si sforzava invece di nascondere la sorpresa, cosa che non le piaceva affatto perché da lì alla pietà c'era un passo cortissimo. Era chiaro che non fosse l'ultima delle prostitute sul ciglio della strada, ma era a questo che molti pensavano immediatamente appena sentivano parlare del mestiere, credevano lo facesse per necessità, per denaro, e non potevano sbagliarsi più di così. «Sei interdetto? Lo capisco. Ti stai chiedendo cosa spinge un avvocato in gamba senza problemi di soldi a fare questo mestiere? Sicuramente qualche trauma infantile.» Fece un sorriso e si fermò per un secondo, lo sguardo volò al soffitto come a trovare lì una risposta che invece Arden già aveva. « Incontro persone nuove e delle tipologie più disparate, faccio qualcosa di completamente opposto al mio lavoro principale e così ho la possibilità di esprimere ogni lato di me. Il sesso c'è ma sono io a decidere con chi, così è bellissimo - per la maggior parte. » Un sorriso divertito le increspò le labbra carnose. Aveva avuto anche lei la sua bella dose di esperienze da non ripetere, ma di solito aveva buon fiuto con le persone, ormai era raro che si sbagliasse e passasse una nottata davvero pessima. «E tu? Chi sei quando non sei impegnato a vincere importanti concorsi sulla neurobiologia?» Curiosa lo era stata sin da bambina, ma era molto tempo che non provava un tale desiderio di scoprire il prossimo. Sarà che ascoltava clienti e le loro storie tutto il giorno prendendole come dovevano essere prese, ossia come puro lavoro, come una causa da vincere. Nient'altro.
    Si avvicinò di più. Ormai sentiva il fiato di Zach sulle labbra. Allungò una mano poggiandola sulla gamba dell'uomo. «Un'altra cosa su di me: odio profondamente qualsiasi gioco includa le carte.» Finì con il colmare la poca aria rimasta inutilizzata fra loro per baciarlo di nuovo, la mano che dal ginocchio arrivava al collo e passava le dita fra i capelli biondi. Niente sesso, l'aveva detto, ma quello potevano farlo. Voleva che lo facessero.

    Sto riprendendo la mano piano piano anche io. Scusa se fa un po' schifo <3
     
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6 replies since 2/12/2020, 20:42   189 views
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