shadow preachers

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    ALASKA NATALIA RYBAKOV

    Complice la fredda stagione invernale e il cielo che s'imbruniva prima del solito, i corridoi della Setta apparivano sempre un po' spettrali durante il tardo pomeriggio, illuminati dalla luce artificiale e, spesso, deserti. O almeno, lo erano quando Alaska terminava l'ennesimo turno in cui si era concentrata a tal punto sul lavoro da perdere la condizione del tempo. I secondi, tramutati dapprima in minuti e poi in ore, erano passati inesorabilmente tra un algoritmo e l'altro, le dita pallide e sottili che si muovevano rapidamente sulla tastiera producendo un appena udibile rumore di sottofondo, gli occhi chiari protetti da occhiali anti-luce blu che scorrevano le informazioni che, di volta in volta, comparivano sullo schermo del pc. Cose di poco conto, dettagli fiscali e burocratici, ma anche dati sensibili o potenzialmente pericolosi che i diretti interessati si erano preoccupati di nascondere, senza riuscirci abbastanza bene. Le informazioni si erano accumulate sino a formare diverse pagine che, minuziosa e pignola al limite dell'ossessivo, Alaska aveva raccolto in un fascicolo, ordinato cronologicamente. Accortasi di quanto fosse tardi mentre la stampante espelleva l'ultimo foglio, il viso serio non aveva tradotto alcuna nota di fretta o fastidio: crescendo in una base militare aveva imparato a gestire la propria routine in maniera esemplare, forse persino troppo rigida, ma la sua indole perfezionista non le avrebbe certo permesso di rimandare il lavoro o gli ordini provenienti dall'alto, nemmeno di un giorno. Per lei, il confine tra impiego e vita privata era sempre stato piuttosto labile: vivere e crescere in una base militare in un'isola sperduta al confine con l'Irlanda significava non avere molto da fare, soprattutto quando i pochi locali si dimostravano particolarmente riottosi nei confronti dei soldati - ai loro occhi veri e propri invasori - che avevano preso possesso della loro terra. In quel senso Besaid rappresentava un mondo in larga parte ancora inesplorato ma, al contrario di molti suoi coetanei, Alska non sentiva il bisogno di lasciarsi alle spalle l'ufficio il più in fretta possibile non appena la lancetta scoccava le sei del pomeriggio. Oltre ad un'inclinazione naturale, quella sua dedizione scaturiva da due motivazioni ben precise: da un lato, credeva fermamente negli ideali di Libra e nella sua stessa organizzazione, fautrice di fornirle la bozza di un disegno più ampio; dall'altro, pur essendosi trasferita in Norvegia diversi mesi addietro, ancora faticava a riconoscere come propria l'abitazione in legno dall'ampio portico che, anni prima, aveva capeggiato sulle testate dei principali giornali dell'isola a causa dell'orrendo crimine che vi si era consumato.
    Riportata alla realtà dal bip-bip della stampante che la informava di aver terminato il toner, afferrò l'ultimo foglio e lo aggiunse alla carpetta trasparente, alzandosi dalla sedia con un movimento rigido. Roteò il capo ed avvertì la tensione a carico del collo allentarsi appena, segno che aveva trascorso troppo tempo seduta. Il lavoro sedentario è deleterio. Otto ore di lavoro alla scrivania devono essere quotidianamente bilanciate da almeno un'ora di attività fisica. Aveva immagazzinato quell'informazione chissà dove, probabilmente grazie a Grigori, il medico della base militare, e da allora era diventato uno dei mantra con cui conduceva la propria esistenza. Per rispettarlo, sarebbe andata a correre una volta tornata a casa, incurante del freddo e del maltempo che si agitava al di fuori delle solide pareti del Kunstmuseum. I muscoli si sciolsero ulteriormente nel percorrere il breve tragitto che separava l'ufficio che le era stato assegnato da quelli dei reclutatori e, nel passare davanti alle porte notò che da qualcuna trapelava un bagliore di luce, segno che qualcun altro era ancora nell'edificio. Raggiunse la porta di suo interesse e bussò due volte, senza ottenere risposta. « Milkovic? » Silenzio. Alaska esitò per qualche istante, la cartella stretta in mano, e poi abbassò la maniglia, spalancando la porta su un ufficio buio ed apparentemente deserto. Strano. Era stato Mikael a chiederle informazioni dettagliate su un prospetto al quale Naavke sembrava particolarmente interessato e, seppur preferisse lavorare autonomamente, avevano stabilito quel pomeriggio per rivedere assieme il contenuto del fascicolo. Raggiunse la scrivania ed accese la lampada da tavolo, alla ricerca di un post-it su cui annotare il nome del destinatario. La punta della penna aveva appena grattato la superficie di carta quando uno spostamento d'aria proveniente dalle sue spalle le procurò un brivido, accompagnato dalla spiacevole e primordiale sensazione di essere vulnerabile. Il meccanismo che si innescò fu del tutto istintivo, un retaggio dell'addestramento fisico e dell'animalesca reazione di attacco o fuga. Senza alcun preavviso, si voltò di scatto ed utilizzò tutta la propria forza per scagliarsi contro chi le stava alle spalle, cozzando assieme contro la parete. Non fu una scelta ponderata, tantomeno logica. Semplicemente, il suo corpo reagì per lei, come se si fosse trovata in una situazione di pericolo, mirando ad approfittare di quell’istante di vantaggio che, come le avevano insegnato, avrebbe potuto essere fondamentale per salvaguardare la propria incolumità. Con un braccio saldamente premuto contro il suo petto, impiegò pochi secondi a riconoscere il viso ormai familiare di Mikael Milkovic, illuminato dalla luce proveniente dalla abat-jour. Solo allora Alaska allentò leggermente la presa, scostandosi indietro di qualche centimetro, mentre le sopracciglia si increspavano dando origine ad un piccolo solco nel bel mezzo della fronte nel notare l’espressione dipinta sul viso dell’uomo. Sorrideva, per chissà quale motivo, con le labbra leggermente piegate di lato, gli occhi chiari che brillavano nel buio ed una piccola fossetta sulla guancia. Non c’è proprio nulla da ridere. « Non farlo mai più. » Sentenziò, indietreggiando con un movimento rigido, scoccandogli un’occhiata irritata e pregna di un barlume di perplessità. Sebbene i loro incontri si limitassero all’ambito professionale, non era la prima volta che l’atteggiamento di Milkovic la prendesse in contropiede. Il suo modo di interagire con il prossimo, costantemente allegro e chiassoso, talvolta persino inappropriato secondo la morale comune, la spiazzava e la infastidiva; ancor meglio, se Alaska fosse stata in grado di comprendere appieno le proprie emozioni avrebbe intuito che la irritava e che, in quel momento, non era solo il suo orgoglio ad esser risentito per essersi lasciata cogliere alla sprovvista, ma che il tutto era guarnito da una punta di imbarazzo. « Ho le informazioni che mi avevi chiesto. » Sollevò la cartella, mostrandogliela. « Pensavo fossi già andato a casa. » Non sentiva certo il bisogno di giustificarsi. Lo guardò per un istante, in silenzio. Quando non lo aveva trovato aveva dato per scontato che se ne fosse andato, come la maggior parte delle persone, in particolare in vista delle festività natalizie. A fine giornata – o fine turno, a seconda degli orari – tutti coloro che conosceva si recavano a casa, al bar o a qualche appuntamento, magari una cena in famiglia. Qualcosa a cui Alaska aveva assistito solamente nei film. « C’è tutto quello che ti serve, e anche qualcosa in più. » Gli mise in mano il fascicolo e attese che lo sfogliasse, paziente ed impassibile. Mantenne lo sguardo su di lui per tutto il tempo, senza alcun gesto o tic nervoso che tradisse fretta o nervosismo. « Come puoi vedere, Halvorsen è meno immacolato di quanto gli piaccia far credere. » I membri di Libra stavano studiando Friederick Halvorsen, un noto imprenditore della zona, da diversi mesi ormai. Acquisirlo avrebbe significato ampliare significativamente il raggio di influenza, in quanto il suo nome e le opere benefiche della sua fondazione per il reintegro degli ex-carcerati attiravano consensi e forte approvazione in tutta la Norvegia. Ma, come nella maggior parte dei casi, non è tutto oro ciò che luccica. « Ha avuto qualche guaio con la giustizia negli anni. Nessuna accusa registrata, ma sicuramente si è servito di ottimi avvocati perché le accuse sono state sistematicamente cancellate. Non è stato semplice ritrovarle negli archivi del tribunale. » Aveva impiegato una buona mezz’ora per superare le protezioni inosservata e risalire ai fascicoli secretati che lo riguardavano. « Ha avviato la fondazione dopo essere stato ingiustamente accusato dell’omicidio di una escort il cui corpo presentava segni di bruciature compatibili con la sua particolarità. Il caso non ha fatto clamore e le accuse sono cadute poco dopo anche se pare che i due si conoscessero. Curiosamente, Halvorsen non ha più fatto uso dei suoi poteri. Ah, ci sono anche una serie di versamenti regolari sul conto di una certa Elise Karlsen. » Tacque per qualche istante, in attesa che l’uomo collegasse da solo tutti gli indizi. È lampante. Incrociò le braccia al petto, soddisfatta di ciò che aveva scovato. Studiate e utilizzate con cautela, premendo i tasti giusti e manovrando i fili come in una danza orchestrata in ogni minimo dettaglio, quelle informazioni avrebbero giocato a loro favore. « Karlsen. Come la escort morta. » Ai suoi occhi, il nesso era evidente. « Probabilmente è colpevole. » Piuttosto curioso che sia sfuggito alla polizia. « È sufficiente o ti serve altro? » Le sopracciglia si sollevarono appena, linee scure sulla pelle pallida, mentre Alaska sostava di fronte a lui, in attesa.
     
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    Mikael Alex Milkovic

    Era annoiato, aveva chiesto ad Alaska di fare una ricerca per lui su un potenziale nuovo membro della Setta che stavano tenendo d’occhio da qualche mese, sperava che fosse una cosa veloce così da poter passare al Rød prima di andare a casa, invece la situazione si stava prolungando troppo per i suoi gusti. Poggiò i piedi sulla sua scrivania accavallando le gambe e incrociando le braccia dietro la nuca, se lo avesse visto Coco sarebbe entrata a passo di guerra con quella sua cascata di riccioli per rimproverarlo. In realtà anche la stessa Alaska al suo ingresso lo avrebbe additato come poco professionale, ma cosa poteva farci se quell’ultima ora era la più noiosa della sua vita? Non c’era nemmeno una televisione per fare zapping, avrebbe potuto utilizzare il computer, ma la cronologia era visibile a tutti i membri di Libra ed era già stato ripreso per l’utilizzo improprio che ne aveva fatto svariate volte. Quando dicevano improprio era nel senso più letterale della cosa, aveva cercato di spostare lo schermo e di posizionarlo di modo da sfruttarlo con alcuni colleghi per poter vedere le partite del campionato di rugby e, non poteva nasconderlo, qualche porno. Naavke in persona - dopo averlo beccato in flagrante - era stato molto chiaro con lui, se avesse nuovamente istigato i suoi dipendenti a comportarsi in maniera irresponsabile lo avrebbe cacciato. Quel giorno non poté far altro che scusarsi e pensare dentro la sua testa che essere adulto era davvero una seccatura, più passavano gli anni e più tutti si aspettavano da lui qualità come la maturità e l’affidabilità, ma potevano davvero definirsi tali? Quelle che tutti etichettavano come qualità facevano perdere la facoltà di ridere e di vivere liberi alle persone. Quando si guardava attorno non vedeva altro che musi lunghi, espressioni serie e frasi di circostanza, se solo si fossero parlati tutti con più onestà e avessero tolto i vestiti più spesso quello in cui vivevano sarebbe stato un mondo migliore. Invece no, esistevano parolacce come etichetta, buon senso, educazione e un’altra serie di bla bla bla che non servivano assolutamente a nulla. Secondo Mikael le uniche cose davvero importanti erano tre: il sesso, il rispetto e la sincerità, il resto potevano metterselo su per il lustro ano rettale.
    Mikael sbuffò fissando il bianco soffitto dell’ufficio dei reclutatori, ormai erano cinque anni che entrava e usciva da quella stanza e conosceva a memoria ogni singolo dettaglio, per esempio la macchia di caffè sulla parete accanto al computer di Coco. Era meglio non nominare l’accaduto se non si voleva scatenare l’ira della figlia del grande capo, lei era una di quelle che pensava che Michael fosse un coglione e non gliene faceva mistero, infatti lo aveva appellato proprio così quando si era accostato a lei di soppiatto pochi giorni prima e lei aveva lanciato il caffè per lo spavento. Lui si era profondamente divertito, aveva dato una scossa di vita a quell’ufficio altrimenti piatto e monocorde. Era un ragazzino di tredici anni rinchiuso nel corpo di un trentacinquenne, aveva costantemente bisogno di ridere e di vivere la vita a tutto volume. Non a tutti piaceva la sua esuberanza e la sua schiettezza, ma a Mikael non importava, preferiva essere se stesso piuttosto che ingrigirsi troppo precocemente.
    Un rumore di passi dal corridoio lo ridestò dalla noia e da tutte quelle considerazioni che stava facendo per riempire lo scorrere flemmatico del tempo. Probabilmente si trattava di Alaska che aveva finito la sua ricerca su Halvorsen come le aveva chiesto. Si alzò in piedi finalmente riempito di nuovo da un flusso di adrenalina simile a una scarica elettrica. Andò a nascondersi dentro lo stanzino della fotocopiatrice con la porta appena socchiusa, attese silenziosamente sperando che quei passi terminassero la loro marcia nel suo ufficio. ”Milkovic?” si sentì chiamare dall’inconfondibile voce di Alaska. Un sorrisino si allargò sulle sue labbra sottili pervase da un fremito di divertimento, si affacciò quel tanto che bastava per avere la visuale sulla ragazza. La vide avvicinarsi alla sua scrivania accendendo la luce, essendo di spalle non riusciva a vedere bene cosa stesse facendo per attardarsi lì, ma era il momento perfetto per uscire allo scoperto. Si mosse con estrema cautela come se ne andasse della sua vita – un po’ era così – e si avvicinò alle spalle di Alaska, quando la raggiunse congiunse leggermente le labbra per soffiarle sul collo, sapeva che lei odiava quel genere di scherzi, ma perché privarsi del piacere di testare il suo istinto. Non venne deluso dalla reazione della ragazza che si scagliò contro di lui portandolo a sbattere con la schiena contro la parete più vicina. Mikael scoppiò a ridere al vedere il suo viso contratto in una smorfia di perplessità, ”Alaska che fine hanno fatto le buone maniere? Non si saluta prima di sbattere un uomo al muro? Capisco che sono irresistibile per te, ma dovresti contenerti ogni tanto.” le rivolse un’alzata di sopracciglia allusiva abbinata a un sorriso divertito come accessorio. ”Non farlo mai più.” scosse la testa e la seguì più vicino alla scrivania. ”Non posso promettertelo.” prima di prendere la cartellina che gli porse le mise un braccio attorno alle spalle, sprezzante del rischio di ripetere la scena di prima solo con qualche livido serio sulla pelle. ”Però posso prometterti che se stacchiamo assieme potremmo esercitarci meglio su certe cose, per esempio bisogna solo sospingere l’uomo al muro altrimenti rischi di spezzargli qualche vertebra e non potrebbe più rendere piacevole la battaglia tra i sessi, capito?” le fece l’occhiolino prima di staccarsi da lei e prendere finalmente la cartellina che era il motivo per cui entrambi erano ancora in ufficio invece di essere in giro a fare i regali di Natale. Mikael diede una letta veloce ai fogli, cercando di catturare con lo sguardo le informazioni più importanti riguardo l’uomo che Naavke in persona pareva interessato a reclutare. Più andava avanti nella lettura e più gli sembrava di essere entrato in un romanzo di Sir Arthur Conan Doyle, ma che accidenti significavano tutta quella sfilza di cancellato oppure prosciolto? In realtà tutte quelle accuse neanche esistevano formalmente, se non avessero avuto addetti come Alaska che sapevano fare davvero bene il loro lavoro avrebbero reclutato un finto buonista, lui e la sua fondazione che forse era nata in cambio di silenzi. ”Alaska questa è roba grossa, te ne rendi conto? A Naavke si gelerà il sangue nelle vene quando scoprirà questi altarini, e pensare che Halvorsen è venerato da tutti in città.” si appoggiò con la schiena alla propria scrivania, ”Perché uccidere un’escort? Non gli piaceva a letto? Sì, ho appena fatto una battuta.” rassicurò la ragazza del fatto che non parlava seriamente, a volte era difficile far comprendere ad Alaska che scherzava e quale fosse il confine tra la verità e l’ironia. Sapeva del suo passato e del suo addestramento militare, ma si chiedeva come fosse possibile che le mancassero dei tasselli emotivi semplici e basilari come il divertimento. Per quel motivo spesso esagerava con lei, le faceva delle battute più pesanti affinché comprendesse che doveva solo allargare le labbra e godersi la sensazione di serenità nel petto. ”Adesso parliamo in maniera seria. Credi che la polizia sia stata corrotta per coprire i crimini di quest’uomo? Se così fosse non possiamo fidarci di lui, non sappiamo quali accordi e quali promesse abbia fatto in giro per ripulirsi la fedina penale. I versamenti di cui mi parlavi sono stati fatti prima o dopo la morte della ragazza?” la sua mente stava cercando di mettere vicini tutti i tasselli di quella storia, per la prima volta da quando la collega aveva messo piede nella stanza la sua espressione si era fatta seria. Fissava il pavimento come se a terra ci fossero le informazioni che aveva immagazzinato e potesse muoverle a suo piacimento con lo sguardo. ”Per quale motivo avrebbe aperto una fondazione del genere dopo aver ucciso la ragazza? Per guadagnarsi un posto in paradiso o per avere una scappatoia se qualcuno dovesse mai fare la spia?” era palese che Alaska aveva ragione, quell’uomo era colpevole di omicidio ed era a piede libero. Avrebbe voluto ridere per l’ironia bastarda del destino, Halvorsen avrebbe dovuto essere in carcere e invece aiutava coloro che ne stavano uscendo a trovare il loro posto nella società. Sollevò lo sguardo sulla sua collega quando gli chiese se aveva bisogno di altro oppure se poteva congedarsi. ”Sì, assolutamente ho bisogno del tuo aiuto per una cosa di vitale importanza.” lasciò cadere i fogli sulla scrivania dietro di lui per accostarsi alla ragazza. ”Caffè. Ho un bisogno spudorato di caffè e di aria fresca. Visto che questo fascicolo sarà il mio migliore amico per stasera invece della mia povera mano destra,” la sollevò muovendola su e giù lentamente con un sorrisino malizioso sulle labbra, ”avrò bisogno della dose più massiccia di caffè di tutta la mia vita. Accompagnami, così resterò sveglio finché non avrò terminato la relazione per Naavke. Non vorrai mica avermi sulla coscienza.” le rivolse uno sguardo fintamente supplichevole con quella sua faccia da schiaffi. ”Per favore.” aggiunse per convincerla a prendersi una breve pausa con lui, in fondo entrambi meritavano un po’ di svago visto l’impegno che ci stavano mettendo per venire a capo di quella situazione.

    Edited by Aruna Divya - 26/12/2020, 16:42
     
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    ALASKA NATALIA RYBAKOV

    Nella penombra, i lineamenti di Alaska si indurirono nell'udire l'ennesima battuta canzonatoria di Milkovic. Gli scoccò un'occhiata infastidita, palesemente seccata, e indietreggiò di qualche passo, senza nemmeno preoccuparsi di rispondergli. Non era mai stata una gran chiacchierona, né incline a comprendere l'umorismo o le battute astratte, ma in breve tempo Milkovic si era guadagnato due primati ugualmente importanti: quello nel metterla in difficoltà e, di conseguenza, quello di vestire, ai suoi occhi, i panni di individuo più irritante all'interno di Libra. In tutto ciò, l'aspetto più fastidioso di Mikael era l'insistenza: non importava quanto Alaska lo ignorasse o manifestasse apertamente il proprio malcontento, il reclutatore sembrava completamente indifferente a qualunque sua reazione - o mancanza di essa. Era un meccanismo incomprensibile per la giovane Rybakov, in quanto privo di ogni logica eppure ripetitivo, un circolo vizioso in cui Milkovich forse traeva qualche forma di soddisfazione nel sondare avventatamente i limiti della sua pazienza. La cassa toracica si espanse in un sospiro silenzioso e, immediatamente, l'aria fuoriuscì dalle narici mentre Milkovic le si faceva più vicino, abbastanza da circondarle le spalle con un braccio. Istintivamente, Alaska si irrigidì. Il contatto fisico per lei era qualcosa di inusuale, fatta eccezione per le situazioni in cui le era richiesto di difendersi a mani nude. A sua volta cresciuto da una figura paterna distaccata e rigorosa, Maksim aveva fatto del suo meglio ma non era mai stato incline a dolcezze ed effusioni, temprato nell'animo da ricordi bellici e da un'esistenza per lo più solitaria. Dei suoi genitori, invece, Alaska ricordava poco o nulla. Era sicura che sua madre profumasse di fragole e biancheria pulita e che la voce di suo padre fosse calda e profonda, rassicurante. A volte, nel dormiveglia, le sembrava di percepire il ricordo della sua risata, la cassa toracica che vibrava contro il suo fianco mentre la reggeva in braccio, eppure non sapeva con certezza se si trattasse di un ricordo immagazzinato chissà dove nella sua mente o di mera illusione. Addestrata sin da bambina a memorizzare ogni dettaglio, avvertì il calore delle sue dita attraverso il maglioncino di cotone, accompagnato da un lieve sentore artificiale di ammorbidente o bagnoschiuma. « Se volessi spezzarti qualche vertebra saprei esattamente come fare. » Un commento niente affatto rassicurante, a cui fece seguire qualche istante di silenzio. « In realtà è piuttosto semplice. Basta esercitare la giusta pressione, dalla giusta angolazione, e colpire lungo la colonna vertebrale. Anche il collo e la gola sono punti sensibili. Percuotere la carotide può causare svenimento o la rottura delle prime vertebre del collo. » Allungò una mano stretta a pugno sotto al suo mento, l'indice e il medio che sporgevano appena, ripiegati su sé stessi, premendo delicatamente sulla gola di Milkovic. « Si tratta di uno dei punti più pericolosi da colpire, anche per gli esperti. Lesioni accidentali come paralisi e morte sono piuttosto frequenti. » Sollevò le iridi chiare a incontrare quelle di lui. « Anche se ovviamente non esistono studi supportati da dati certi. » Visto l'argomento di conversazione, se solo avesse pronunciato quelle parole con un tono diverso e un mezzo sorriso sul volto, chiunque avrebbe pensato che si trattava di una battuta; in realtà, Alaska era seria: avrebbe potuto snocciolare le statistiche delle lesioni accidentali alle vertebre - dal 20 al 40% dei casi - ma, per ovvi motivi, non era dato sapere quante di queste complicanze dovute all'autodifesa o al suo utilizzo per scopi decisamente meno nobili. Solo allora afferrò la mano di Mikael, ancora posata sulla sua palla, e la accompagnò lontano dal proprio corpo nello stesso momento in cui lui si ritrasse, d'un tratto concentrato sul contenuto della cartella. Con le braccia incrociate a tradire l'unico indizio di impazienza - o, forse, seccatura - lo osservò sfogliare un foglio dopo l'altro. Visto così, le parve che l'atteggiamento infantile e fastidioso che lo caratterizzava fosse momentaneamente svanito, sostituito da un'espressione più seria, con le sopracciglia contratte a tradire la consapevolezza della gravità della situazione. « Alaska questa è roba grossa, te ne rendi conto? A Naavke si gelerà il sangue nelle vene quando scoprirà questi altarini, e pensare che Halvorsen è venerato da tutti in città. » Alaska annuì, evidentemente orgogliosa di quel lavoro impeccabile. In pochi sarebbero riusciti a recuperare quelle informazioni e ancor meno avrebbero potuto violare gli archivi governativi senza lasciare alcuna traccia. « Perché uccidere un’escort? Non gli piaceva a letto? Sì, ho appena fatto una battuta. » Quella singola frase fu sufficiente a farla accigliare. Come non detto. Ascoltò le sue domande, lo sguardo chiaro fisso su di lui mentre la mente era assorta nel disegnare una mappa mentale, collegare i fili, valutare le possibilità e assicurarsi che ogni ingranaggio scorresse perfettamente. « Possibile. » Se non certo, persino. « Non ho ancora scavato a fondo al riguardo ma vista la semplicità con cui le accuse sono cadute e l'assenza di clamore giornalistico, qualcuno di influente si è sporcato le mani per lui. » Era evidente. In nessun altro modo quella tragedia sarebbe potuta passare così inosservata. « I versamenti sono cominciati dopo la morte della ragazza, ma non sono stati nascosti bene. Trovarli è stato semplice e se ci sono altre mazzette per me non sarà difficile seguire le tracce. » Sempre se Naavke vorrà procedere. Quella vicenda avrebbe potuto farsi sempre più complicata e, a giudicare dalla premessa, non era improbabile che li conducesse ad altre personalità ugualmente squallide e corrotte. « Non solo. » Sbottò, quando Milkovic si domandò a voce alta il motivo per cui Halvorsen si era preso il disturbo di finanziare una fondazione di tale portata. « Ho diverse teorie al riguardo e sono piuttosto sicura che siano tutte giuste. » Non esitò un solo istante nel proferire la propria certezza. « Diciamo al 98.5%. » Si trattava di un margine di errore minimo, ma pur sempre presente. E irritante, per Alaska. « Il denaro è universalmente il mezzo più comune per trovare degli alleati e ripulire le coscienze. Halvorsen ha fatto un ottimo lavoro. Ha pagato chi doveva essere pagato per tenere la bocca chiusa, dalle forze dell'ordine alla stampa, forse persino qualche giudice. » L'intuizione di Milkovic, dopotutto, non era sbagliata ma solamente incompleta. « La fondazione è stata l'esca gettata all'opinione pubblica. Al suo posto, ci avrei pensato anche io: nessuno risulta più innocente di chi si dipinge come una vittima del sistema giudiziario e, una volta libero, si adopera per combattere le cause dei meno fortunati. Soprattutto se si paga qualche testata giornalistica per corroborare tanta bontà d'animo. » Non era un mistero che diversi quotidiani e periodici norvegesi avessero riportato in prima pagina lodi ed onori per l'opera caritatevole e avanguardista di Halvorsen. Dopotutto, era stato quel dettaglio ad attirare l'attenzione di Libra. « Da un lato si è assicurato che i suoi alleati non potessero tradirlo, a meno che non fossero disposti a cadere in rovina a propria volta. Dall'altro, ha sfruttato l'influenza dei media in maniera eccellente. » Riassunse, chiaramente soddisfatta del proprio ragionamento. « Geniale, non credi? » Si inumidì le labbra, gli occhi azzurri illuminati da un barlume di compiacimento che, dall'esterno, avrebbe potuto essere scambiato per presunzione.« Ah, per quanto riguarda i versamenti alla famiglia della escort... » Si strinse nelle spalle. « Puro senso di colpa, è l'unico modo che una personalità come Halvorsen conosce per ripulirsi la coscienza e far finta che nulla sia mai accaduto. » Invece è successo e non c'è nulla che possa davvero sistemare le cose. I morti non tornano indietro. Una sfumatura stonata simile all'amarezza parve permeare quelle ultime parole; durò solo un istante e, in un battito di ciglia, l'espressione sul viso di Alaska era nuovamente neutra e impassibile.
    Stava per andarsene, quando Milkovic la richiamò. Lo sguardo di Alaska seguì il rapido movimento con cui i fogli ricaddero sulla scrivania di legno scuro, chiaramente confusa. La sua domanda era stata dettata unicamente da un semplice rituale di cortesia, piuttosto che dall'eventualità che Milkovic avesse realmente bisogno di altro. Era sicura di aver raccolto ed elaborato perfettamente qualunque informazione gli servisse, nonché di avergli facilitato enormemente il lavoro fornendogli delle teorie soppesate con attenzione maniacale. In breve: non era possibile che le fosse sfuggito qualcosa. Schiuse le labbra per obiettare ma l'uomo la precedette, prendendola in contropiede. « Caffè. » Le sopracciglia di Alaska svettarono verso l'alto. « Questo non rientra tra i miei comp- » Si zittì nell'udire il resto della frase, mentre la sua espressione mutava da seccata a perplessa. Gli occhi chiari seguirono il movimento della sua mano, spostandosi dunque ad analizzare il sorrisetto canzonatorio che aveva preso posto sulle labbra del suo interlocutore. Serrò le labbra, infastidita. « Non mi interessava affatto saperlo. » Replicò, determinata a non lasciargli l'ultima parola, seppur non fosse sicura di ciò a cui si stava riferendo. Probabilmente qualcosa di stupido o sessuale. Spostò il peso da un piede all'altro, prendendosi qualche istante per ponderare quella... richiesta? Offerta? Non sapeva esattamente come definirla, proprio come, ironicamente, non riusciva a definire Milkovic. La repentinità con cui si era mostrato dapprima superficiale e immaturo, poi serio e attento, infine nuovamente importuno la confondeva quasi più dei doppi sensi con cui la assillava. Sospesa tra sorpresa e sospetto, gli scoccò un'occhiata diffidente. « Va bene. Ma solo per mezz'ora. » Detestava gli imprevisti e qualunque stravolgimento della sua routine quotidiana ma, inconsapevolmente o meno, Milkovic aveva fatto leva sul suo innato senso del dovere. « Vado a spegnere il computer e prendere la giacca. Ti aspetto all'uscita. » Non si preoccupò nemmeno di attendere risposta - o forse non volle assistere all'espressione trionfante sul volto del collega - e percorse a ritroso il corridoio. Si assicurò che i dispositivi elettronici fossero spenti e indossò il pesante cappotto di lana, nascondendosi dietro una sciarpa da uomo, uno dei pochi ricordi di suo padre che le era rimasto. Pochi minuti più tardi, aspettava Milkovic all'uscita del Kunstmuseum, con le mani affondate nelle tasche. Si voltò verso di lui quando lo vide sbucare dalla porta, le guance lievemente arrossate a causa del vento. « Dove vuoi andare? » Nei dintorni c'era diversi cafè e tavole calde, ma Alaska non le aveva ancora esplorate. Da brava abitudinaria, beveva il caffè a casa, solamente al mattino. Lasciò che fosse lui a fare strada e si incamminò al suo fianco, i gomiti che di tanto in tanto sfioravano quelli di Milkovic mentre teneva ostinatamente le mani nelle tasche, per proteggersi dal freddo dicembrino. Persino in quel momento, cercava di individuare un pretesto logico in quello strambo invito, qualcosa di più solido e credibile della necessità di rifornirsi di caffeina. « Comunque non dovresti abusare di caffeina a quest'ora. Gli studi medici consigliano di non superare i 300 mg al giorno, circa tre tazzine di espresso. Un consumo sconsiderato a lungo termine può persino provocare conseguenze gravi, dai problemi gastrointestinali all'ipertensione. » Lo informò, mentre passavano accanto alle vetrine illuminate per le festività natalizie. Milkovic non aveva chiesto la sua opinione, ma la cosa non la turbò minimamente. Se fosse stato per lei sarebbe rimasta volentieri in silenzio, ma dopo quei mesi in cui si erano ritrovati a lavorare fianco a fianco aveva capito che lui non si sarebbe fatto alcun problema nel riempirlo con ogni genere di argomento. « Inoltre, non ti conviene stare sveglio tutta la notte. Alterare il ritmo sonno-veglia ha conseguenze peggiori di quel che si pensa. » Rimase in silenzio per un istante, gettandogli una rapida occhiata dal basso. « Inclusa la disfunzione erettile. » Buttò lì, incredibilmente seria, per poi stringersi nelle spalle. Considerato quanto il sesso fosse uno degli argomenti preferiti di Milkovic, si era sentita in dovere di informarlo. Raggiunsero una pasticceria dalle vetrine ricolme di dolcetti natalizi e, dopo essere entrati, vennero fatti accomodare in un angolo ricolmo di lucine colorate. Sul tavolo svettava un piccolo pupazzo di neve, come centrotavola. Invogliata dal piacevole calore del locale, Alaska si sfilò giacca e sciarpa, quindi si sedette nello stesso momento in cui una cameriera sorridente portava loro i menù. « Grazie. » Replicò, sistemandolo sul tavolo senza aprirlo; avrebbe preso il solito: spremuta all'arancia. Vi posò sopra le mani leggermente arrossate, ancora fredde, e si guardò attorno. Nonostante fosse tardo pomeriggio, il locale era ancora affollato: coppiette, gruppi di ragazze che si aggiornavano sulle ultime novità e si scambiavano i regali in anticipo, genitori e bambini che erano usciti per ammirare le bancarelle natalizie. Tutti sembravano essere lì con qualcuno di importante. « Perché non sei ancora andato a casa? » Domandò all'improvviso, rompendo bruscamente il silenzio. Si era voltata verso Milkovic, fissandolo con un misto di sconcerto e curiosità; eppure, nonostante i suoi modi diretti, non sembrava irritata. « Non hai di meglio da fare? La tua famiglia non ti aspetta? » Pur non sapendo quasi nulla di lui, aveva intuito che conducesse una vita piuttosto promiscua. Ciò, però, non precludeva l'esistenza di famigliari e amici con cui avrebbe avuto sicuramente più senso trascorrere quel periodo dell'anno.

     
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    Mikael Alex Milkovic

    Mikael sentiva l’adrenalina attaccarsi ai globuli rossi, una cavalcata selvaggia lungo tutte le vene del suo corpo. Sorprendere di spalle Alaska era uno spasso perché reagiva in un modo così calcolato da essere prevedibile per lui, come da copione si ritrovò con le spalle al muro e rise profondamente della sua espressione perplessa. Si morse il labbro inferiore per trattenere l’ilarità strabordante quando lei si lanciò in una descrizione scientifica su come certi colpi potessero letteralmente bloccare un uomo al muro, come sempre aveva frainteso le sue intenzioni. Si chiedeva sempre cosa spingesse quella donna ad essere così seria, sapeva qualcosa di lei, ma non a sufficienza da spiegarsi quella meccanicità di ogni suo ragionamento. Non c’era spazio per il divertimento, per il sesso o per qualsiasi forma di pensiero che non fosse perfettamente schematico, doveva essere una noia vivere una giornata nella testa di Alaska. Posò lo sguardo sulla mano chiusa a pugno sotto il suo mento, osservandone le venature e la tensione appena accennata delle dita, era evidente che – al momento – non era intenzionata a fargli davvero del male. Se fosse stato uno dei loro primi incontri avrebbe temuto un minimo per la propria incolumità, ma era sin troppo proteso al brivido del rischio per perdersi l’occasione di infastidirla. ”Non ci siamo affatto, Rybakov, non ti ho insegnato ancora nulla dopo tutto questo tempo? Al massimo le vertebre vanno inarcate per permettere all’uomo di avvicinarsi meglio a te, tu invece questo pugno potresti aprirlo. Aspetta, ti mostro…” le prese delicatamente la mano e tirò su un dito per volta fino a portarsela sulla guancia a palmo aperto. ”Questa si chiama carezza, conosci, Alaska? Poi dovrei insegnarti altro, ma abbiamo del lavoro da fare.” approfittò della vicinanza per passarle un braccio attorno alle spalle per guidarla verso la scrivania facendo un’altra delle sue battute sciocche, poi prese la cartellina dalle sue mani mentre lei lo allontanava con quell’espressione inamovibile dipinta sul volto. L’euforia iniziò a scemare mano a mano che leggeva il contenuto della cartellina che Alaska aveva preparato per lui su Halvorsen. C’erano accuse che in situazioni normali gli avrebbero garantito il carcere a vita all inclusive, invece c’erano una sfilza di prosciolto che non potevano spiegarsi in altro modo se non con la parola “corruzione”. Espresse il suo dubbio a voce alta, trovando appoggio nelle parole di Alaska, anche secondo lei qualcuno doveva essersi sporcato le mani per coprire i peccati di seconda mano di quell’uomo.
    Si fermò appoggiandosi con la schiena alla propria scrivania, fissando il pavimento in cerca di risposte che non arrivavano. ”Quel bastardello deve avere un prete davvero di grande livello, quando alla fine della confessione gli dice ‘ti assolvo da tutti i peccati’, magicamente Halvorsen viene prosciolto da qualche accusa. Hai idea di chi potrebbe accollarsi un parassita del genere?” chiese puntando i suoi occhi chiari in quelli della ragazza, intanto nella sua mente andava formandosi la lista dei nomi più influenti della città e per quale motivo potessero essere legati a quel fantoccio di Halvorsen. Doveva assolutamente parlare di tutta quella situazione con Naavke o per lo meno fargli recapitare il più presto possibile il fascicolo che teneva tra le mani, era importante muoversi celermente prima di chiedere un incontro all’uomo sbagliato. Mikael sospirò pensando che quella serata si prospettava lunga, non appena Alaska fosse andata via avrebbe dovuto stilare un rapporto di riassunto per Naavke e spedirglielo entro un orario consono affinché potesse leggerlo. ”Come siamo spavalde, 98,5% a quel punto non poteva essere 99%? Oddio ti prego risparmiami tutti i passaggi da calcolatrice umana che hai fatto, sono ancora troppo sobrio per parlare di calcoli.” incrociò le braccia al petto stringendo i fogli tra le mani, ascoltando le teorie di Alaska in silenzio. In effetti era vero che alcune testate giornalistiche si erano particolarmente impegnate a pubblicizzare gli atti “caritatevoli” dell’uomo, così come trovava coerente il fatto che invece di un solo uomo piuttosto potente fosse coinvolta una fetta più ampia della società. Non si trattava di un singolo, ma del marciume che scorreva nel sottosuolo della città e che come un’arteria primaria arrivava a toccare tutti gli organi vitali, come i mass media e il sistema giudiziario. Mikael strinse le labbra tra di loro, "più che geniale io lo trovo disgustoso, una finta redenzione e una rete di scambi di soldi da far concorrenza alle peggiori mafie norvegesi. Che coraggio a portare in giro la sua faccia e la sua anima incrostata di cattiveria, dovrebbe essere in galera, cazzo!” mano a mano che parlava la sua voce saliva di tono, solo a metà discorso si rese conto di aver esagerato e moderò il volume fino a biascicarlo quasi quel “cazzo” che gli sfuggì alla fine. Lui aveva ucciso una persona perdendo il controllo della sua particolarità e non c’era giorno in cui non si sentiva pervadere dai sensi di colpa, cercava di anestetizzarli con l’alcool, col sesso e sfidando continuamente il mondo per ricevere quel rinculo che gli ricordava che era vivo. ”Scusa, è che non sopporto certi tipi di ingiustizia. Se Naavke pensa che potrebbe esserci utile smascherarlo io farò di tutto per aiutarlo, se invece trova che un verme del genere possa aiutarci in qualche altro modo… beh, sono ai suoi ordini, non sono pagato per pensare. Hai fatto un ottimo lavoro, Alaska, anche più di quanto ti avevo chiesto.” lasciò andare le braccia che fino a quel momento aveva tenuto ben salde al petto, ”Bel modo di ripulirsi la coscienza, ormai quell’escort è sottoterra, poteva pensarci prima. Chi sbaglia, paga pegno.” chi meglio di lui poteva saperlo, ancora ricordava il suono metallico della cornetta della centrale di polizia mentre contattava Arden. Il destino con irriverenza gli ricordava che l’unica chiamata che gli era concessa la stava spendendo per il suo avvocato e famiglia allo stesso tempo, non aveva nessun altro a cui rivolgersi a parte sua sorella Arden. Mikael allontanò quei pensieri che rischiavano di creare un affollamento nella sua testa, lasciò cadere i fogli che teneva tra le mani sulla scrivania prima di parlare di nuovo per invitare Alaska a prendere un caffè con lui. ”Sicura che non ti interessa saperlo?” domandò lasciando che le sue labbra si distendessero in un sorriso canzonatorio, finalmente era di nuovo nel suo habitat naturale, l’ironia e i doppi sensi, nuotava di nuovo in acque sicure. Notò che sul volto di Alaska si susseguirono una serie di emozioni tratteggiate da dei movimenti minimi, sopracciglia inarcate, labbra serrate, mai tutto insieme. Non sia mai che due muscoli facciali insieme creassero qualche tilt nel sistema operativo Rybakov. ”Mezz’ora per una sveltina potrebbe andarmi bene, dipende se sei una lenta, ma possiamo trovare un compromesso. Ci vediamo fuori, sissignora.” osservò la figura della ragazza allontanarsi senza nemmeno voltarsi a guardarlo prima di uscire, non voleva dargliela vinta più del tacito che aveva appena pronunciato. Mikael sorrise in direzione della macchia di caffè vicino al computer di Coco, non aveva molto senso quella strana sensazione di euforia che lo pervadeva per quella pausa alternativa, forse era la soddisfazione di aver ottenuto un minuscolo cedimento in Alaska. Non cercò nemmeno di scrollarsi di dosso quella sensazione di vittoria personale, anzi ci si crogiolò per un po’ mentre riponeva i fascicoli sotto chiave nel cassetto della sua scrivania senza spegnere il proprio computer visto che lui sarebbe tornato in ufficio dopo il caffè. Prese la propria giacca nera e la sciarpa verde militare per affrontare il freddo della sera che lo attendeva fuori dal Centro Libra assieme all’algida Alaska.
    ”Offrimi la tua fiducia, seguimi.” le rispose quando gli chiese dove volesse andare, si mosse per primo andando verso destra e percorrendo il marciapiede con passo sicuro verso la loro destinazione. Ci era già stato altre volte nella pasticceria dove stava conducendo la ragazza, facevano la cheesecake più buona di tutta Besaid, per lui anche di tutta la Norvegia. I due procedevano abbastanza speditamente, di tanto in tanto i loro gomiti si sfioravano nel tentativo di tenere le mani al caldo nelle tasche. ”Amo il rischio, che sia salute, un fidanzato geloso, non mi spaventa qualche controindicazione. La vita non è fatta per vivere con parsimonia o centellinando il caffè. E poi posso assicurarti che di problemi erettili il caffè non me ne causa, vuoi provare?” sollevò le sopracciglia con la faccia da schiaffi migliore che potesse tirare fuori, c’era scritto malizia su ogni centimetro di pelle del suo viso. Si aspettava l’ennesima dimostrazione scientifica di qualche cosa alla sua domanda, forse avrebbe dovuto tirare fuori un segnale luminoso con su scritto “doppio senso” per farle comprendere a cosa si riferisse davvero. Mikael emise uno sbuffo divertito che si disperse nell’atmosfera con una nuvoletta di vapore causata da freddo invernale. Per arrivare alla pasticceria vicino al Centro Libra dovettero passare davanti a svariate vetrine piene di addobbi natalizi, da alcuni di essi provenivano anche le solite canzoncine allegre piene di “merry” e “joy” che facevano il lavaggio del cervello ai passanti. Mikael non amava il Natale, non era mai stata una festa sentita a casa sua ed era meglio così, il pensiero di trascorrere un intero pasto coi suoi senza poter scappare era un incubo fatto realtà, anche se da diversi anni quell’incubo non aveva più modo di avverarsi. Mikael si fermò davanti all’entrata del locale per far capire ad Alaska che erano arrivati, entrarono assieme e si accomodarono al primo tavolo libero. Entrambi si tolsero gli indumenti più pesanti, poi entrambi lasciarono adagiato sul tavolo il menù che la cameriera gli aveva porto. Mikael sollevò lo sguardo sulla ragazza con aria interrogativa, perché non sfogliava le pagine alla ricerca di qualcosa da provare? Lui era già stato lì diverse volte e aveva assaggiato quasi tutto quello che c’era sul menù prima di fare la cernita delle sue preferenze. Mikael era fatto così, non gli piaceva la prudenza nemmeno nel mangiare, le papille gustative erano fatte per sperimentare e per assaggiare i sapori della vita senza preconcetti. Poggiò i gomiti sul tavolo e sorprendentemente Alaska lo precedette nel parlare, fu lei a rompere quel breve silenzio che s’insinuò tra di loro in attesa di ordinare. ”Non mi starai chiedendo a modo tuo di presentarti ai miei genitori per aver fatto qualche battuta con te, vero? No, perché sarebbe una cosa triste, dovremmo andare a fargli visita al cimitero e non ne ho proprio voglia adesso.” incrociò le braccia sul tavolo e ci appoggiò il mento con l’espressione scocciata di un bambino a cui hanno appena chiesto di farsi il bagno prima di mangiare la sua cioccolata preferita. ”Oggi mia sorella lavora quindi non possiamo vederci, così mi sono proposto per fare le ore piccole sul rapporto per Naavke. Ho lasciato che gli altri andassero a baciare le loro mogli e ad abbracciare i loro bambini, mentre io che non ho grandi impegni ammazzo il tempo. E tu, che scusa hai per non essere con la famiglia o un fidanzato?” domandò, risollevandosi in posizione eretta quando arrivò la cameriera a prendere la loro ordinazione. Sollevò gli occhi chiari sulla giovane ragazza indugiando sui suoi lineamenti e sul suo corpo senza pudore, non aveva problemi a guardare la gente, che fosse per apprezzarne le fattezze o per fissarle dritto negli occhi. ”Un caffè senza ombra di dubbio, poi andiamo a fiducia, portaci quello che ci consiglieresti, ma non dircelo. Amo le sorprese.” riportò la sua attenzione sulla sua accompagnatrice, rivolgendole un sorriso divertito. ”Va bene, ti concedo di scegliere solo la bevanda per essere pari. Che prendi?” glielo chiese con sincera curiosità, era la prima volta che riuscivano a passare del tempo assieme lontani dal Centro Libra. Sapeva ben poco di Alaska oltre alle informazioni che erano di dominio pubblico nella Setta, per il resto era una terra inesplorata, una città da visitare a piedi o forse in macchina, non ne aveva idea. Voleva scoprire qualcosa di più sul suo conto che non fosse nell’archivio del suo computer che lo aspettava al rientro dalla pausa. Attese che facesse la sua scelta e che la cameriera li lasciasse da soli per sporgersi un po’ sul tavolino in sua direzione. ”Allora, dimmi la verità. Hai accettato il mio invito per sfinimento o perché mi trovi attraente, Rybakov? Ho il sospetto che sotto sotto non ti dispiacerebbe uno scontro corpo a corpo con me, difficilmente sbaglio.” scoppiò a ridere, pensando che probabilmente la ragazza gli avrebbe risposto seriamente come al suo solito, senza cogliere minimamente l’ironia che permeava le sue parole. Era davvero un mistero Alaska Rybakov, un mistero da svelare piano piano e lui aveva tutto il tempo del mondo.
     
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    ALASKA NATALIA RYBAKOV

    Mentre Milkovic parlava, per l’ennesima volta dilettandosi nello schernirla, Alaska si domandò come fosse possibile non solo che un individuo adulto traesse divertimento da simili piccolezze ma, soprattutto, quanto, come animale, il suo innato istinto di sopravvivenza fosse assai scarso, forse talmente assopito dalle comodità e dalle sicurezze della vita moderna da non procurargli neppure un vago sentore del primitivo “lotta o fuggi” che dominava da tempo immemore il regno naturale. Abbassò lo sguardo sulle mani di entrambi quando percepì il calore dei polpastrelli sul dorso, inclinando appena il capo di lato, come per studiare più attentamente quel semplice gesto. Rimasta orfana, Alaska non aveva mai sperimentato molte occasioni di contatto fisico con un altro individuo, coetaneo o adulto che fosse. Seppur lo chiamasse “padre”, Maksim era stato dapprima un mero tutore legale, e in seguito un vero e proprio superiore, in un rapporto caratterizzato da senso di responsabilità e fantasmi di un passato di cui Alaska conosceva solamente l’incipit. La base militare in cui era cresciuta era governata da regole ben precise e, seppur amichevoli, i soldati ed i loro collaboratori non avevano mai rivestito il ruolo di figure genitoriali o qualsivoglia permeate da affetto; per molti versi erano stati suoi insegnanti o si erano presi cura di lei, come nel caso della dottoressa Johnson, ma abbracci e carezze rappresentavano un’anormalità. Dal canto suo, Alaska non ne aveva mai fatto richiesta: sin dal primo giorno ad Inis Méanin, era stata una bambina silenziosa, obbediente ed ermeticamente rigorosa sino ad evolvere, con il tempo, in una giovane donna decisamente peculiare. « Questa si chiama carezza, conosci, Alaska? » Mentre Milkovic guidava i suoi movimenti, avvertì il leggero strato di barba sul viso di lui pizzicarle la pelle delicata del palmo e, anche se non si trattava di una sensazione dolorosa o spiacevole, Alaska si irrigidì. Si sentiva turbata, ma non solo; se fosse stata capace di delineare l’intricato connubio di sentimenti che quel semplice gesto aveva risvegliato, ne avrebbe individuati diversi. Disagio. Fastidio. Imbarazzo, persino. Sconcertata e momentaneamente assorta, non protestò quando Mikael le mise un braccio attorno alle spalle, ma sfregò ripetutamente il palmo della mano sui jeans scuri, un gesto nervoso ed inconsueto per una personalità tanto controllata. Il caso di Halvorsen fornì il pretesto perfetto per riprendere il controllo della situazione e, parola dopo parola, Alaska ritornò completamente padrona di sé stessa, intenta a barcamenarsi tra ipotesi e teorie attentamente studiate. Quello era il mondo in cui era abituata a muoversi – ordinato, logico, razionale – e nell’analizzare i dettagli del caso, con un rigore che non lasciava spazio ad emotività o empatia, si dimenticò in fretta di quanto appena accaduto. « Hai idea di chi potrebbe accollarsi un parassita del genere? » Dopo un istante di silenzio, Alaska scosse il capo in segno di negazione. « Non ancora. Naavke ancora non è stato informato e non so in quale modo preferirà procedere. » Dubito vorrà tentare di reclutarlo, dopo tutto questo. « Ma se dovessi fare una supposizione, direi che non si tratta di una sola persona. Nessuno è così influente da poter uscire illeso da tutte queste condanne e riprendere la propria vita alla luce del sole. Anzi, presentandosi persino come un innocente ingiustamente accusato. » Si mordicchiò il labbro inferiore, pensierosa. « No, deve essere un meccanismo più ampio. Qualcosa di simile a una vera e propria organizzazione, con membri in ogni organo burocratico e in importanti attività private. » Non troppo diverso da Libra, a ben pensarci. « Comunque » Si raddrizzò, stringendosi nelle spalle. « non è stato troppo difficile forzare le protezioni del sistema penitenziario, perciò credo che riuscirò a scavare più a fondo, se necessario. » Basterà semplicemente seguire i fili sino al centro dell’intreccio. Se fosse dipeso dalla sua singola volontà lo avrebbe fatto ma, ligia al dovere e legata a Naavke da un senso di lealtà, non si era spinta oltre gli ordini ricevuti. Terminato il proprio ragionamento, osservò l’espressione sul viso di Milkovic mutare in una maschera di serietà, antitesi del sorrisetto allegro e canzonatorio che era solito piegargli le labbra. Persino le iridi chiare sembravano essersi adombrate, forse permeate da un’ombra di preoccupazione, e la reazione istintiva che seguì, mentre il tono di voce saliva di qualche ottava, confermò ad Alaska che vi era stato un mutamento tangibile. Sarà anche disgustoso, ma resta geniale. Chiunque sia la mente è sicuramente più brillante di Halvorsen. Tenne per sé quel pensiero, seguendo con le iridi chiare ogni movimento di Milkovic. Senza sapere perché, ebbe la sensazione che la ragione di quell’inaspettata reazione fosse qualcosa di più del semplice disgusto. Così come si era presentata, però, la gravità che si era impossessata del reclutatore sparì in un battito di ciglia quando la invitò a prendere un caffè e gli atteggiamenti di Milkovic tornarono ad essere quelli a cui Alaska era ormai avvezza: ironia e battute infantili (ed incomprensibili), accompagnate da sfacciataggine e spavalderia. Non si preoccupò nemmeno di rispondere, limitandosi ad inspirare profondamente, prima di sparire lungo il corridoio per recuperare il pesante giubbotto invernale.

    Non dovette attendere molto fuori dal museo, avvisata dell’arrivo del collega dal rumore di passi sugli imponenti scalini di pietra che ne adornavano la facciata anteriore. Con le mani pallide affondate nelle tasche per proteggersi dal freddo inverno norvegese, affiancò Milkovic lungo il marciapiede, accompagnati da motivetti natalizi che uscivano dai negozi e dalle luci delle vetrine e costretti, di tanto in tanto, a farsi di lato per non ostacolare altri passanti. Ascoltò le sue parole, trattenendosi a fatica dallo sbuffare: d quel passo, mezz’ora le sarebbe sembrata interminabile. « Si tratta di un dato oggettivo, non di un consiglio per interesse personale. » Replicò, laconica, scrutando la sua espressione. Mesi prima, appena entrata in Libra, si era trovata impreparata davanti a simili commenti. Se non si fosse trattato di un collega, probabilmente gli avrebbe rifilato più di un deciso pugno in pieno viso ma Milkovic era stato salvato dalla sua indole seria e professionale, che le impediva di reagire tanto bruscamente nei confronti di qualcuno con cui condivideva il contesto lavorativo. Così, inevitabilmente, aveva iniziato a rivolgergli gelide occhiate di rimprovero e, se possibile, ad evitare di trattenersi in chiacchiere più dello stretto necessario per scambi di informazioni o passaggi di consegne. Ripensandoci, si era domandata più volte perché Milkovic continuasse ad approcciarla in tal modo, anche dopo che aveva reso palese il proprio disappunto. Per una persona pratica e concreta come Alaska, l’ostinazione di Milkovic nei suoi confronti era illogica tanto da risultare marcata da una vena di ottusità. Eppure mancava di realizzare che - nonostante tutto – nell’accettare il suo invito aveva appena acconsentito ad un minuscolo, quanto significativo, cedimento.
    Quando si accomodarono al tavolo, il piacevole tepore del locale iniziò a riscaldarle le punte delle dita, più pallide del solito a causa del freddo. La sensazione di leggerissimo pizzicore dovuta alla ripresa della circolazione si espanse anche al naso e alle guance, mentre Alaska si guardava attorno, osservando la clientela. Lo faceva spesso, da quando si era trasferita a Besaid. Era iniziato come un modo per comprendere le interazioni sociali, studiare il modo di comunicare e di parlare e le reazioni emotive di perfetti sconosciuti, cercando di comprenderne i meccanismi che le animavano o li inibivano e, col tempo, era diventata una piccola abitudine. Il modo in cui Milkovic le rispose, per esempio, costituì qualcosa di nuovo. Presa in contropiede, Alaska direzionò tutta la propria attenzione su di lui. Ne seguì i movimenti, riconducendoli a una posa rilassata, ideologicamente in netto contrasto col conversare di cari defunti durante le festività, e poi si soffermò sul suo viso, su cui era dipinta un’espressione infantile. Tutto, in quella scena, strideva con le reazioni comuni che aveva imparato ad associare a un simile argomento: tristezza, evasività, nervosismo. L’uomo che aveva di fronte, invece, non sembrava minimamente turbato. « Mi dispiace. Non volevo essere indiscreta. » Era stata costretta a ricorrere a quella frase innumerevoli volte per colpa del suo modo di fare diretto e della sua difficoltà nel relazionarsi empaticamente con il prossimo, scusandosi persino quando non si sentiva minimamente in colpa semplicemente perché richiesto dalle norme sociali. Ascoltò il resto delle sue parole, annotandosi mentalmente quel dettaglio. Nell’archivio informatico di Libra erano raccolte innumerevoli informazioni su tutti i suoi membri, Mikael incluso, ma Alaska non aveva mai aperto i fascicoli a meno che non fosse necessario, troppo riservata per lasciarsi guidare da semplice curiosità. « La vedi spesso? Tua sorella, intendo. » Inclinò appena il capo di lato, tradendo inconsapevolmente una parvenza di interesse. Era la prima volta che qualcuno la informava con tanta leggerezza della morte dei propri genitori ma, se quel modo di fare era tipico di Milkovic e l’uomo ne avesse dato prova in molteplici situazioni, la curiosità di Alaska era stata attratta dall’unico familiare che aveva menzionato. Non era un caso: da quando era rimasta orfana, non aveva mai sperimentato realmente cosa significasse avere una famiglia ed era stato naturale chiedersi quanto, con un fratello o una sorella, la sua esistenza come protetta di Maksim Rybakov sarebbe stata diversa. « Mio padre lavora all’estero, perciò lo vedo raramente. Ogni tanto ci telefoniamo, ma per lo più scambiamo delle mail perché vive in un luogo piuttosto isolato dove la linea telefonica non è delle migliori. » Gli fornì una spiegazione breve e coincisa, che non costituiva una vera e propria bugia ma era ben lontana dai complessi avvenimenti che l’avevano portata ad assumere il cognome Rybakov. Avvenimenti che, come le era stato insegnato sin da bambina, era saggio tacere ai più, in particolare poiché il caso dell’omicidio Hernàndez non era mai stato risolto. « È sempre molto indaffarato, perciò non abbiamo mai festeggiato le ricorrenze. » Riportò quelle parole come una semplice considerazione, il tono di voce privo di qualunque sfumatura di rimpianto o amarezza. A parte alcuni dettagli di poco conto sui suoi genitori, la vita con Maksim era tutto ciò che ricordava e, seppur spartana, non si era mai sentita infelice o maltrattata. « E non ho un fidanzato. » Precisò, dopo una frazione di secondo. Ad onor del vero, durante i mesi trascorsi a Besaid non erano certo mancate le occasioni per un appuntamento, ma Alaska aveva sempre rifiutato. Il trasferimento e lo sperimentare la vita da sola, in mezzo a norme e culture sociali che spesso la confondevano, era già sufficiente. L’arrivo della cameriera riempì il silenzio al momento opportuno. « […] portaci quello che ci consiglieresti, ma non dircelo. Amo le sorprese. » Nell’incontrare lo sguardo di Milkovic, Alaska si mordicchiò il labbro inferiore. Non le era mai piaciuto non avere il controllo della situazione, persino nelle piccole cose come il cibo. Anzi, era sempre stata abitudinaria e restia ad assaggiare piatti che non conosceva o di cui non riusciva a distinguere gli ingredienti; più che una sorpresa, il fatto che Milkovic avesse appena ordinato per entrambi – in un locale in cui non era mai stata, per di più – gettò il primo seme di nervosismo e, sotto il tavolo, Alaska prese a dondolare il piede destro. Sembrava incredibile ma, pur non facendolo apposta, le loro indoli erano in perfetta antitesi persino sulle più piccole cose: all’inopportuna ironia di Milkovic si frapponeva l’eccessiva serietà di Alaska, al rischio ed alla spontaneità dell’uno si anteponevano metodicità e rigore dell’altra. « Per me una spremuta di arancia, con un po’ di cannella. » Rivolse un cenno di ringraziamento alla cameriera e riportò lo sguardo su Milkovic, rilassando appena la linea delle spalle. Per quanto insignificante, l’aver esercitato il controllo sulla scelta della bevanda era stato confortante. Lo scrutò, le labbra stirate in un’espressione perplessa. « E se ti porta qualcosa che non ti piace? O a cui sei allergico? » Domandò, raddrizzando la tovaglietta sistemata sopra il tavolo di legno. Non riusciva a comprendere il suo ragionamento, totalmente assurdo per una persona che stabiliva il menù settimanale sulla base dei macronutrienti, ancor prima di fare la spesa. Lo vide sporgersi nella sua direzione per il solo gusto di concedersi un’altra allusione, immediatamente seguita da una risata. Alaska si limitò a scuotere il capo. « Per sfinimento, suppongo. » Ammise. « Sai essere molto fastidioso, quando ti impegni. » Quella constatazione non doveva essere una sorpresa, per Milkovic. Si inclinò leggermente in avanti, appoggiando gli avambracci sul tavolo. « In realtà non ho ancora capito perché tu mi abbia invitato. Non ho mai nascosto di non avere alcun interesse per uno… scontro corpo a corpo » Sollevò le dita per mimare delle virgolette, utilizzando le sue stesse parole. « ed è palese che le nostre personalità e preferenze siano inconciliabili. Per esempio, tu ordini cibo a caso e io preferisco essere certa che si tratti di qualcosa che mi piace. Con questi presupposti qualunque tipo di relazione sociale risulta quasi impossibile. » Fece una pausa, intrecciando le braccia. « Perciò sì, ho accettato per sfinimento. O forse nella speranza che tu perda interesse, curiosità o di qualunque cosa si tratti. » Annuì tra sé e sé, valutando quella chiave di lettura. « Anche se inizio a pensare che il tuo richiamare persistentemente allusioni di tipo fisico sia dettato dal fatto che tu trovi me attraente, e non viceversa. È comprensibile dal punto di vista biologico, meno da quello razionale. In effetti, in questi termini mi ricorda un po’ il corteggiamento tra pavoni. » Stava per aggiungere altro ma si interruppe, vedendo la cameriera tornare con le loro ordinazioni. Mentre sistemava il tutto davanti a loro, gettò una rapida occhiata al cibo, incerta, per poi riportarlo sulla ragazza prima che si allontanasse. « Credo che tu le piaccia. Dopo dovresti invitarla ad uscire. » Gli consigliò, prima di controllare l’orologio. « Restano ancora venti minuti. » Lo informò. « Dal momento che siamo qui… quale era la tua storia preferita, da piccolo? » Cambiò bruscamente argomento, afferrando il cucchiaino per mescolare la cannella al succo di arancia. Poteva sembrare una domanda assurda, ma su consiglio della dottoressa Johnson, Alaska aveva iniziato ad avvicinarsi alla cultura popolare proprio attraverso le classiche storie per bambini. Aveva appena finito Alice nel Paese delle Meraviglie ed era alla ricerca di un nuovo libro.
     
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