We are the sultans of swing.

Dean & Kaja

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    Il Rainbow era un bel posto in cui lavorare: l'aveva pensato non appena ci aveva messo piede, rimanendo piacevolmente stupito dal fatto che fosse persino meglio di quanto avesse creduto varcando la porta del ristorante. Si trovava bene con i colleghi, con tutti, anche con quelli saltuari che di tanto in tanto venivano a dare una mano: era difficile che Dean prendesse qualcuno in antipatia, abituato com'era a trattare con gente di ogni genere a causa del Labirinth e soprattutto particolarmente alla mano di suo. Anche la clientela non era male, si respirava un'aria piacevole, che forse non avrebbe mai creduto di poter respirare in un locale gestito dall'erede degli Ellenstad. Quando aveva tenuto il colloquio con Inga, la rossa co-proprietaria che l'aveva accolto durante la sua prima visita, aveva pensato che fosse davvero una bella persona da avere come capo: gli aveva citato la sua collega, Kaja, ma non aveva detto nulla sul suo cognome né tantomeno su che tipo di persona fosse. Dean aveva accettato i termini del contratto, ritenendo che fosse l'ideale per poter gestire tutti i suoi impegni, rendendosi disponibile a svolgere anche più mansioni: la paga era buona, perché esimersi dal fare quanto poteva? Si considerava non soltanto un lavapiatti quanto più un tuttofare, un termine tanto generico che tuttavia riusciva alla perfezione a descrivere il suo ruolo lì dentro: era ben piazzato fisicamente, per cui non era un problema scaricare la merce o dare una mano con lavori più manuali, si era occupato talvolta anche di sistemare qualche piccolo danno - l'esperienza al cantiere edile a qualcosa doveva servire dopotutto - dando ad Inga soltanto un sorriso in risposta ai suoi ringraziamenti per la disponibilità. Che cosa gli costava d'altra parte? Lo stipendio che gli veniva dato era decisamente più generoso di quello di un comune lavapiatti, si sentiva quasi in debito con loro. La permanenza poi al locale gli aveva permesso di stringere diverse amicizie, una fra tutte James, un ragazzo che gli era immediatamente entrato in simpatia per il suo modo di fare: non era raro che a chiusura, quando erano loro ad avere il compito di sistemare le ultime cose, si prendessero un momento per sé, per un drink e qualche chiacchiera. Si poteva quasi dire che Dean avesse una piccola addiction per l'alcool, gli era sempre piaciuto bere, il pizzicore che solo un buon old fashioned sapeva dargli era unico e O'Neill era davvero bravo in quello. «Tranquillo, stasera ci pensiamo io e l'altra rossa a chiudere baracca.» gli disse, con una pacca sulla spalla, dandogli il suo benestare. Era tardi ed era stata una serata particolarmente dura per lui, non aveva avuto un singolo attimo per riposarsi. «Prometto che non litigheremo. Giurin giurello.» aggiunse, portandosi la mano al petto con un gesto particolarmente teatrale: era il suo modo di fare, gli veniva naturale fare il cretino. D'altra parte però, sapeva di star mentendo: non che volesse litigare con Kaja, era solo terribilmente spontaneo. Quando era entrata nel ristorante la prima volta, era rimasto impalato a fissarla, come un idiota: Inga era accorsa a salutarla, occupandosi di fare poi le presentazioni del caso. Avrebbe voluto dire "So benissimo chi è", ma non lo fece, la guardò sorridergli gentilmente e presentarsi, come se non lo conoscesse: lo stava prendendo per il culo? Passò parecchi giorni a pensarci su, domandandosi se effettivamente potesse esser così e, soprattutto, perché. Che motivo aveva una come lei di fingere certe cose? Poteva davvero dimenticare cosa la sua famiglia aveva fatto ai Lundberg? Gli sembrava assurdo, ma quella era l'unica ipotesi che si sentiva di vagliare, anche perché non aveva mai parlato abbastanza con Kaja per scoprire qualcosa in più sul suo conto. Non sapeva cosa fosse accaduto da quando era sparita dalla circolazione, semplicemente non l'aveva più vista a Besaid: gli ambienti che frequentavano dovevano esser diversi, come il loro ceto, per cui nemmeno ci aveva pensato. Con gli Ellenstad, per altro, teneva i rapporti gelidi, limitandosi a mandar loro tramite bonifico i soldi che gli doveva: non li aveva mai incontrati da quando suo padre era finito in carcere, aveva visto le loro immagini sui giornali, ma le aveva evitate. In primo luogo non gli importava, in secondo invece provava troppo rancore, un rancore che non era facile da esemplificare a parole: il suo piccolo mondo era stato ridotto a macerie quando un uomo troppo debole aveva scelto una famiglia troppo disgustosa per poter risanare i propri debiti. Sfruttare in quel modo la disperazione di qualcun altro... Come si poteva vivere con quel peso sulla coscienza? E Kaja? Kaja come aveva fatto a vedere tutta quella sofferenza senza muovere un dito? A vederla in giro per il Rainbow, tuttavia, quella ragazza non gli sembrava che un lontano ricordo. Non era solo per la memoria, quanto per il modo di fare: era così diversa che gli sembrava realmente un'altra persona. Nonostante questo però, Dean non era riuscito a trattarla come trattava chiunque altro in quel locale: incrociava i suoi occhioni verdi da gatta e gli tornava alla mente il volto di suo padre che, in tribunale, si pronunciava colpevole. Non era stato dentro troppi anni, sicuramente meno di quanti avrebbe dovuto scontarne se non avesse accettato di patteggiare, tuttavia era stato abbastanza perché la vita gli crollasse addosso: ormai, del ragazzo spensierato delle superiori, era rimasto solo il carattere. Aveva perso tutti i sogni, troppo impegnato ad occuparsi di un debito che gli pareva, ogni giorno di più, sempre più salato da estinguere.
    «Ahia.» sentì d'un tratto dal retro del ristorante: lui si trovava nell'ala principale, stava poggiando le sedie sui tavoli per fare una lavata per terra: teoricamente toccava a chi il giorno dopo sarebbe arrivato a sistemare, ma non gli piaceva lasciare le cose a metà, si sentiva un lavativo ogni volta che lo faceva. Nell'aria, invece, un suono delicato di uno dei suoi programmi radiofonici preferiti accompagnava la serata volta ormai al termine: aveva chiesto di poter mettere quella stazione, conscio del fatto che, verso tarda sera - l'orario in cui tornava a casa di solito - vi era una trasmissione che metteva solo rock classico, il suo genere di musica preferito. Lo speaker parlava poco, era l'ideale per un ristorante, l'avevano concordato tutti, forse più per farlo contento che altro. Mosse qualche passo verso la porta sul retro mentre il rumore di un furgone in moto si allontanava sempre di più: avevano già fatto le consegne? Non ricordava che dovessero arrivare a quell'ora. Arrivato finalmente alla porta sul retro, si ritrovò dinanzi a Kaja che osservava la sua mano destra con fare un po' dolorante: «La principessina si è spezzata un'unghia?» domandò, avvicinandosi ulteriormente a lei. C'erano diverse scatole che portavano sulla superficie dei marchi di liquori: Ecco perché James voleva rimanere. pensò, ritenendo che magari volesse occuparsi della questione di persona, per poter sistemare ogni cosa al proprio posto. Il bar non gli era parso poco fornito tuttavia, pensò che avrebbe potuto sistemare ogni cosa anche da solo: il giorno successivo all'amico non sarebbe toccato che sistemare gli errori. Si ripromise di scrivergli e mandargli su WhatsApp una foto del lavoro, mentre si chinava per prendere uno degli scatoloni. «Lascia. Faccio io.» Era stato brusco, ma il gesto in fondo era stato cordiale: se si rovinava le mani, col cavolo che i clienti avrebbero mangiato qualcosa di buono. Prese entrambe le confezioni sotto braccio, assumendo un aspetto davvero ridicolo: era già piuttosto "ampio" di suo, con quelle sembrava un bisonte. Si pose di traverso per entrare all'interno, dove avrebbe avuto più spazio: «Chiudi la porta.» disse a Kaja, senza voltarsi a guardarla. Non gli piaceva l'idea di fare due viaggi, meglio fare attenzione e ridurre tutto ad uno soltanto. Arrivato nell'area bar, sentì provenire dallo stereo una canzone che gli piaceva molto, non ricordava il titolo ma sapeva perfettamente il ritornello che, come sempre, non mancò d'intonare a voce bassa, pronunciando un convinto "we are the sultans of swing". Poggiò ogni cosa sul bancone, recuperando un coltello per poter rompere lo scotch che chiudeva tutto: forse era stato più ottimista di quanto non credesse. Esistevano davvero così tanti liquori? Per uno spazio così piccolo? Doveva chiedere a James una lezione a riguardo. «Se mi dai una mano finiamo prima.» le disse, volgendo il capo verso di lei. C'era ancora parecchio da fare, tra lavaggio del pavimento, riempire il bar e controllare che tutto fosse in ordine, ed era anche piuttosto tardi. «Bella questa.» osservò, guardando la bottiglia di Jack Daniel's aromatizzata al miele: aveva un packaging particolare, molto accattivante. La sistemò davanti, in maniera tale che potesse esser vista e che magari desse ispirazione al collega. Insieme a quella, prese dallo scatolone anche una di Bourbon: il sigillo era rotto però, non un buon segno. «Guarda.» disse a Kaja, allungandole la bottiglia: mandarla nuovamente indietro non sembrava una buona idea, dopotutto era soltanto una in un intera confezione che, occhio e croce, pareva intonsa. Senza pensarci più di tanto, prese un bicchiere dallo scaffale che ne conteneva diversi e, sotto lo guardo di Kaja, vi versò all'interno una zolletta di zucchero: la bagnò appena con un paio di gocce di angostura - aveva imparato dove la teneva James - e poi vi pose un po' di soda al di sopra, pestellando il tutto con uno strumento di cui non ricordava mai il nome. Aggiunse poi il ghiaccio, il bourbon appena ordinato - era già aperto dopotutto - e miscelò con un cucchiano: omise lo spicchio di arancia, tanto non lo mangiava mai. «Scalamelo dallo stipendio.» fece, bevendone un sorso. Non era malaccio, bevibile, anche se non aveva il delicato sapore che invece avevano quelli preparati da veri barman. Lo poggiò sul bancone, riprendendo poi il proprio lavoro. «Che c'è, ne volevi uno anche tu?» domandò, in risposta al volto della ragazza che non pareva troppo convinto. «Sei uno chef, immagino che tu sappia fare anche meglio di me cose come questa.» rispose, sebbene, in cuor suo, sapesse che fosse sciocchezza: uno chef era in grado di cucinare, non certo di preparare ogni singolo cocktail esistente al mondo. Era comunque troppo buono, per cui, un po' contrariato e forse anche un po' in colpa e combattuto per il suo trattarla male senza apparente motivo - conosciuto agli altri almeno -, prese il bicchiere e glielo porse aggiungendo un seccato «Toh, assaggia.» quasi come se qualcuno lo stesse costringendo. In fondo, però, non era una cattiva persona, era solo un po' burbero quando qualcuno non gli stava a genio e, con Kaja, ne aveva tutte le ragioni del mondo.

    Edited by Nana . - 14/12/2020, 09:46
     
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    Sakura Blossom

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    Kaja Linn Ellestad

    ”Buonasera a tutti gli ascoltatori notturni di P6 Rock, per tenervi compagnia abbiamo ideato una playlist su misura per gli amanti del rock classico come voi. Buon ascolto, følg med.” La voce dello speaker radiofonico riempì il silenzio della cucina vuota, c’era solo Kaja in piedi vicino ai fornelli che controllava se erano state staccate tutte le prese e se era stato pulito il piano di lavoro per il giorno dopo. Sorrise nella penombra sentendo le prime note di una canzone famosa danzare nell’atmosfera, non poté fare a meno di seguire il ritmo incalzante dirigendosi verso il frigorifero ancheggiando a tempo. Fece un ultimo controllo di tutti i prodotti, voleva accertarsi che ogni contenitore fosse ben sigillato e che fossero state apposte le giuste etichette. Era sempre stata una perfezionista in cucina, anche quando era una semplice dipendente o apprendista chef. La prima cosa che le avevano insegnato quando aveva frequentato i corsi di cucina in Europa, era che l’ordine e l’organizzazione erano le basi primarie di uno chef. Ancora ricordava le parole del suo primo insegnante, ”le condizioni del vostro bancone rappresentano il vostro ordine mentale, se avete le idee confuse questo si rispecchierà nella vostra cucina.” Era vero, Kaja aveva sperimentato sulla propria pelle che il suo umore influiva sui suoi piatti, ci aveva messo anni ad imparare a non farsi condizionare dagli avvenimenti personali, anzi a sfruttare la collera e tutti gli altri sentimenti negativi tramutandoli in adrenalina. Lei era il tipo di chef che cercava di lasciare il segno della sua personalità sulle papille gustative di chi assaggiava i suoi piatti, ogni tanto le piaceva sbirciare dalla vetrata della cucina i suoi clienti, ne osservava le reazioni ad ogni boccone per capire se aveva fatto centro. Era divertente vedere come le persone assumessero espressioni diverse davanti alla stessa pietanza, c’era chi chiudeva gli occhi, chi sobbalzava sulla sedia e ancora chi si lasciava andare a un flusso infinito di commenti. Kaja era tra quelli che arricciava il naso davanti a qualcosa che le piaceva veramente, cosa che non capitava spesso quando si trattava di cibo, era abituata a standard piuttosto alti anche per se stessa.
    ”Kajaaaaa!” la voce di Inga interruppe il corso dei suoi pensieri, la ragazza si affacciò dalla porta della cucina per farsi notare dalla sua socia. ”C’è davvero bisogno di strillare a questo modo?” chiese scuotendo la testa con aria divertita. Inga le corse incontro e si appoggiò allo stipite opposto della porta. ”Lo sai che non so stare troppo senza di te.” scherzò facendole l’occhiolino. ”E’ arrivata la consegna degli alcolici, vuoi che chieda a James di rimanere ancora un po’ per sistemarli?”
    ”No, stasera tocca a me e a Dean chiudere il locale, voi andate a riposare siete già rimasti per tre sere di fila.” Kaja appoggiò la testa allo stipite della porta sorridendo alla sua amica, nonostante fosse visibilmente stanca si offriva sempre per darle una mano o per trovare il modo di alleggerirle il lavoro. Non avrebbe potuto avere una persona migliore di lei al suo fianco per quella nuova avventura in cui si erano imbarcate, un ristorante tutto loro era un sogno che diventava realtà, anche se lo stimolo per un cambiamento così radicale era arrivato da una pessima notizia, ma quella era un’altra storia. ”Va bene, per qualsiasi cosa non esitare a chiamarmi, soprattutto perché sarete soli.” con un cenno della testa Inga indicò la sala del ristorante, alludendo a Dean, l’unico dipendente con cui Kaja non riusciva ad avere un buon rapporto. Non capiva per quale motivo, ma sin dal loro primo incontro il ragazzo l’aveva presa in antipatia, era incredibile come sapesse essere gentile con tutto il resto del mondo tranne che con lei. Nonostante lo minacciasse di licenziamento circa sei o sette volte a turno, non riuscivano a trovare un punto d’incontro, Dean era sempre ostile nei suoi confronti, anche quando cercava di essergli d’aiuto. Aveva l’impressione che se avesse fatto il primo colloquio di lavoro con lei anziché con Inga, avrebbero avuto un altro tuttofare al suo posto. ”Non esploderà il locale se è questo che temi, siamo due persone adulte, al massimo potrebbero volare un paio di insulti. Domani il Rainbow sarà ancora in piedi!” Kaja si lasciò andare a una risata, nel farlo spostò il peso sulla gamba sbagliata e per poco non cadde a terra, scatenando l’ilarità anche della sua amica. Quando le risate scemarono Inga diede un bacio veloce sulla guancia di Kaja e si congedò con un’occhiata di raccomandazione alla prudenza. Certe volte si chiedeva se non fosse stato più corretto chiamare la sua socia mamma tante erano le volte che la rimproverava e al contempo si prendeva cura di lei.
    Kaja si diresse verso il retro del locale per andare a ritirare la consegna degli alcolici, ringraziò il fattorino e lo congedò dopo aver firmato i fogli per la conferma del ritiro. Si avvicinò a una delle due scatole per sollevarla, ma non si aspettava che fosse così pesante, quando la lasciò andare un dito rimase incastrato. ”Ahi!” esclamò mentre cercava di spostare la scatola senza farsi troppo male. Aprì e richiuse la mano più volte per accertarsi di non essersi rotta il mignolo, aveva sottovalutato il peso della scatola e adesso si ritrovava il mignolo rosso e indolenzito. Ci avrebbe messo un po’ di ghiaccio, pazienza. Era pronta a riprovare a sollevare il carico quando la voce di Dean la raggiunse alle spalle. ”Gli chef a differenza delle principesse non portano le unghie lunghe, ti farei provare a togliere l’impasto da lì sotto. Comunque non mi serve il tuo aiuto!” il suo orgoglio le sussurrava di negare l’evidenza, fosse stato James o Inga avrebbe accettato senza problemi una mano, ma quando si trattava di Dean scattava involontariamente sulla difensiva. Nonostante le sue parole il ragazzo si chinò a prendere le scatole e le intimò di richiudersi la porta alle spalle. Stavolta rimase in silenzio e lo seguì all’interno del locale dove risuonava una canzone ritmata dei Dire Straits, a quanto pareva anche Dean la conosceva perché intonò il ritornello mentre poggiava le scatole sul bancone del bar. Le sfuggì un sorriso appena accennato, aveva osservato quel ragazzo parecchie volte rapportarsi con gli altri colleghi e con i clienti, sapeva essere professionale e divertente certe volte, poi quando lei si avvicinava la sua espressione diventava improvvisamente dura e ombrosa. Di solito la gente le diceva che portava il buonumore con se’, invece Dean non solo pareva detestarla, ma non le dava mai la possibilità di avere un dialogo con lui. ’Perché?’
    ”Certo, quattro mani sono meglio di due… o forse si diceva un paio di mani…” si portò un dito alle labbra con aria dubbiosa, era quasi certa di aver espresso bene quello che voleva dire, ma per un istante si perse a cercare le parole giuste. La sua attenzione venne nuovamente catturata da Dean che aveva estratto una bottiglia di Jack Daniel’s al miele, Kaja annuì, anche a lei piaceva molto quella confezione. Si avvicinò ulteriormente al bancone iniziando ad aprire l’altra scatola e a tirare fuori le bottiglie di alcolici che James aveva ordinato la settimana prima. Aveva completa fiducia in quel ragazzo, lei non era un’esperta di cocktail, nonostante a scuola di cucina le avessero insegnato qualche buon abbinamento e un paio di ricette. ”Accidenti, il sigillo è rotto. E’ l’unica di quella scatola? Altrimenti dovremmo rimandare tutto indietro.” la risposta che seguì alle sue parole fu silenziosa, Dean aprì la bottiglia di Bourbon e iniziò a preparare un cocktail armeggiando con zucchero, soda e angostura. James doveva avergli rivelato qualche nascondiglio o qualche preparazione a giudicare dalla familiarità del ragazzo con il bar. In effetti li aveva visti spesso fermarsi a bere qualcosa assieme a fine turno e chiacchierare animatamente di questo o quell’altro argomento. Non erano i soli dipendenti ad aver stretto amicizia al Rainbow, la maggior parte dei lavoratori lì dentro erano all’incirca coetanei e si respirava un’atmosfera di familiarità. Lei e Inga si erano impegnate per far sì che le persone si sentissero bene e apprezzate, entrambe avevano lavorato in diversi locali dove i proprietari le avevano portate a scappar via dopo le prime settimane di prova. Non volevano ricreare lo stesso tipo di situazione stressante che avrebbe portato tutti i dipendenti ad avere i nervi a fior di pelle. Kaja lo diceva sempre, un ristorante funziona come il meccanismo di un orologio, se un ingranaggio si inceppa le lancette smettono di funzionare. Ogni membro del Rainbow era un ingranaggio fondamentale per la riuscita dell’intero giro delle lancette nel loro turno di lavoro, creare malcontenti era controproducente per tutti.
    ”Scalamelo dallo stipendio.”
    Kaja sollevò un sopracciglio in sua direzione, rimanendo con una bottiglia di rum a mezz’aria. E se avesse voluto rimandarla indietro? Ormai Dean aveva deciso per lei, anche se non era una pessima idea visto che a quanto pareva era l’unica bottiglia fallata della scatola. Proseguì a tirare fuori gli alcolici dal contenitore, prestando più attenzione ai sigilli. ”Non so preparare i cocktail, ma ho le mani d’oro per altre cose io.” gli rivolse un sorriso compiaciuto che ben presto si tramutò in un’espressione di imbarazzo, solo dopo aver pronunciato quelle parole si rese conto che avrebbero potuto suonare come un doppio senso. Sul suo viso passarono una varia gamma di espressioni e di colori, sentiva le guance in fiamme. ”Non… non volevo dire… cioè, io…” si portò entrambe le mani al viso, guardando Dean attraverso una piccola fessura che aveva lasciato tra le dita. ”Altro che assaggiare, dovrei berlo tutto dopo quello che ho detto.” prese il bicchiere che il ragazzo gli passò, sentendo ancora l’imbarazzo pervaderle le guance e il petto. Mandò giù un sorso, non era poi tanto male, forse mancava un elemento di dolcezza in più, ma non le dispiaceva. ”Non ti darò il posto di James se ti dico che sei abbastanza bravo, sappilo!” appoggiò il bicchiere sul bancone, poi prese l’ultima bottiglia dalla sua scatola e osservò le decine di alcolici che dovevano trovare il loro posto negli scaffali del bar, il vero lavoro stava per iniziare adesso. Prese un altro sorso dal bicchiere di Dean per poi allungarlo in sua direzione. ”Ho una domanda da farti. Perché non ti piaccio? Stavolta niente doppi sensi, è che ti comporti diversamente con me e non in modo positivo. Ho urtato la tua sensibilità in qualche modo? Oddio, ti ho maltrattato sul lavoro?” parlò in fretta senza una pausa, eliminando ogni filtro tra la sua mente e la sua bocca. ”Con gli altri mi sembri un’altra persona, ecco l’ho detto!” si avvicinò al bar inserendo la vodka accanto a una bottiglia esattamente identica alla sua, ordinare gli alcolici era compito di James, ma quella sera la chiusura spettava a loro due. Rimase a fissare l’ordine del bar cercando di capire se era per marca, per tipo di alcolico oppure per ordine alfabetico. Incrociò le braccia al petto, ”credi che James domani dovrà rimetterci mano se ci pensiamo noi?” indicò con un cenno del capo le mensole perfettamente sistemate, se quella fosse stata la sua cucina non avrebbe voluto che qualcun altro facesse ordine per lei, era maniacale nel suo lavoro, lo sapeva. Si voltò verso Dean, puntando i suoi occhi chiari in quelli di lui, era la prima volta che avevano l’occasione di parlare a tu per tu, di solito erano sempre circondati dal caos del ristorante. Kaja si soffermò a osservarlo davvero, se non fosse che conosceva i suoi modi bruschi, di primo impatto le sembrava una persona buona. ”Quando finiamo di riordinare ci meritiamo un premio. Tu hai preparato un cocktail, non proprio per me, e io cucinerò qualcosa per te.” si strinse leggermente nelle spalle aspettandosi una qualche risposta pungente delle sue o un rifiuto netto, avrebbe mangiato da sola più tardi, non era una novità.

    følg med = stay tuned
     
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    Era lampante che fra Dean e Kaja non scorresse buon sangue, ma questo non gli aveva mai impedito di usare le buone maniere, almeno a fatti: non ci aveva pensato molto prima di aiutarla con quegli scatoloni, soprassedendo anche alle frasi poco carine che lei - giustamente - gli aveva rivolto in risposta alla sua provocazione. L'aveva completamente ignorata, ignorando anche che gli avesse espressamente detto di non aver bisogno del suo aiuto: aveva davvero importanza? Se avesse pensato un po' di più a quanto stava facendo, avrebbe detto a se stesso che stava aiutando James tecnicamente, non lei, per cui sarebbe tornato a casa con l'animo tranquillo ed in pace, di chi ha fatto il proprio dovere da amico, oltre che da dipendente. Aveva un'etica del lavoro abbastanza salda, sia perché era necessario che portasse a casa dei soldi per ripagare il proprio debito, sia perché, per natura, tendeva ad esser piuttosto ligio al dovere: al Rainbow però - e questo gliel'avrebbe anche detto, se solo non avesse avuto un orgoglio troppo radicato per poter fare un complimento alla Ellenstad - si respirava un'aria così piacevole da render facile il volersi rendere utile, come fosse impossibile starsene con le mani in mano proprio in virtù di quanto veniva dato di rimando. «Un paio.» la corresse, aprendo uno degli scatoloni per incominciare a vuotarli, poggiando ogni cosa sul bancone fino a quando la sua attenzione non fu attirata da qualcosa di decisamente più interessante. La bottiglia di Jack Daniel's al miele era molto bella, probabilmente avrebbe chiesto a James - e alle due boss - di poterla tenere una volta finita: gli piaceva che avesse una trama a nido d'ape anche nel vetro, la trovava singolare, magari ci avrebbe fatto una lampada o qualcosa del genere. Dean era piuttosto bravo con le mani, sapeva creare sciocchezze a partire da tutto e ci si divertiva parecchio, talvolta facendo regali di questo tipo ai suoi amici e parenti: li trovava economici - anche se non sempre - e soprattutto trovava fossero ben più pensati dei classici sali da bagno e profumi che, certo, servivano sempre, ma non avevano nulla di personale né di sentito. Ricordava nitidamente l'espressione di Elise quando, diversi anni prima, si era presentato a casa sua con dei tulipani fatti con degli scarti di ferro presi in cantiere: non erano perfetti, d'altra parte non era un artista, ma si era molto impegnato ed aveva avuto l'appoggio dei suoi colleghi che, di tanto in tanto, non soltanto gli lasciavano usare i loro attrezzi, ma l'aiutavano anche a preparare quella strana opera d'arte. Le aveva detto "Questi almeno non li farai mai morire.", poggiandoglieli sul tavolo con un sorriso cordiale e l'espressione di chi sapeva d'aver fatto la cosa giusta: dopotutto, lei ed Eyr erano le persone che sentiva di conoscere meglio, insieme a suo fratello. «Chi ti dice che non le abbia anch'io?» replicò di fatto lui, senza guardare Kaja negli occhi, continuando imperterrito a prepararsi da bere. Prima della sua reazione, troppo impegnato nel ricordare come miscelare gli ingredienti nella maniera corretta, non aveva nemmeno notato il doppio senso, nonostante fosse piuttosto evidente: la trovò quasi carina, in una reazione d'imbarazzo che mai le aveva visto avere quando erano alle scuole superiori. Aveva forse battuto la testa dimenticando ogni cosa? Aveva fatto sedute di ipnosi, psicoterapia? Chi diavolo era quella? Ogni tanto ci pensava, soprattutto quando le giornate erano particolarmente dure ed aveva la luna storta: la guardava lavorare e si chiedeva chi fosse quella tipa, che cosa pensasse, perché si stesse comportando come una perfetta estranea. La curiosità di lasciar fluire tutti quei quesiti era forte, ma non quanto la sua voglia di starsene tranquillo, per i fatti suoi: alla fine era la prima ad avere sempre la meglio e, quella sera come tutte le altre, fu ancora lei a permettergli di evitare di batter la lingua là dove il dente doleva. «A proposito della bottiglia, quando James la finisce posso portarla via?» domandò, alzandola e voltandosi verso la ragazza, guardandola negli occhi: era una vecchia abitudine, tendeva a guardare sempre le persone direttamente, vittima forse del suo stesso segno zodiacale, come di tanto in tanto gli era stato detto prendendolo in giro. Era nato in estate, sotto il segno del Leone, e tutti gli avevano detto che "Si vedeva.", da cosa poi non ne aveva idea, né in fondo gli interessava: erano tutte sciocchezze a parer suo, stronzate scritte in maniera generica per indurre gli altri a pensare che oddio, parlava proprio di loro, anche quando - cioè sempre - non era vero. Riportata la sua attenzione sul drink, lo miscelò, ne bevve un sorso e poi lo passò a Kaja, quasi di malavoglia: «E' il tuo ristorante, posso farne anche un altro se lo vuoi.» fece, incrociando le braccia al petto mentre lo beveva. Doveva guidare, ma non sarebbe stato un singolo drink a dargli alla testa: la sua soglia di sopportazione dell'alcol era molto alta, lo beveva per gusto più che per voglia di sbronzarsi. Per quello, da che ne aveva memoria, c'era sempre stato Eldjàrn: era decisamente più appagante lasciarsi spedire chissà dove da lui, provando sensazioni che nemmeno una vera e propria droga avrebbe potuto procurargli. Doveva passare a trovarlo, quel cretino gli stava iniziando a mancare. Era da un po' di tempo che non vivevano più insieme e che, per i differenti orari, finivano con non beccarsi molto: era assurdo per due che, da quando il più piccolo dei due aveva aperto gli occhi per la prima volta, avevano vissuto quasi in simbiosi.
    Non ti darò il posto di James se ti dico che sei abbastanza bravo, sappilo! «Non ci tengo, tranquilla.» rispose, sciogliendo la presa attorno alle sue stesse braccia e facendole ricadere lungo i fianchi, pronto a finire il lavoro. Si era chinato per prendere un paio di bottiglie, riservando poca attenzione a Kaja fino a quando non la sentì chiedergli perché non gli piacesse: se non l'avesse specificato, probabilmente avrebbe pensato che davvero stesse parlando per doppi sensi, ma fu lesta nel chiarire, rivelandogli senza alcun filtro i suoi pensieri. Erano piuttosto legittimi, se avesse dato per buona la teoria dell'ipnosi o della botta in testa: dall'esterno, Dean sembrava davvero Harvey Dent - da cliente affezionato del Bifröst Comic Book Shop, anche le sue metafore erano a tema Batman, uno dei suoi fumetti preferiti -, un uomo che con altri appariva sciocco, un buon amico, affabile e simpatico, e con lei invece un burbero, un Brontolo dei tempi moderni, più alto, con le spalle più larghe ma con la stessa fronte perennemente aggrottata. «Tu sembri un'altra persona.» fece, alzandosi in piedi, guardandola letteralmente dall'alto in basso per un momento, troppo vicino senza essersene accorto. Mosse un passo indietro, prendendo il bicchiere dal bancone e facendone un sorso: «Ci conosciamo da una vita ed ora sembra che tu abbia dimenticato ogni cosa.» La sua voce suonava quasi stanca: non era arrabbiato, solo un po' confuso, come se non capisse esattamente dove volesse andare a parare. «Hai battuto forse la testa e non ricordi più niente? La reginetta del cazzo delle superiori sembra esser stata distrutta dalla persona che mi trovo davanti ora.» La indicò con la mano sinistra, quella libera dal cocktail: anche il suo abbigliamento era diverso, i capelli, il trucco, persino come modulava la voce. Non c'era niente che gli ricordasse l'insopportabile ragazzina dei tempi della scuola, soprattutto nelle sue espressioni: se solo l'avesse guardata senza pregiudizi, Dean avrebbe apprezzato le doti di Kaja, finendo col diventarle di sicuro amico, come diventava amico di chiunque, ma era troppo per lui farlo, non riusciva a dimenticare cos'era successo con la sua famiglia e come lei l'avesse sbeffeggiato, prendendosi gioco di lui e di quanto era stato costretto a lasciare andare. Non c'era stato tempo per i giochi, per le uscite con gli amici, si era trovato a poco meno di vent'anni a dover badare a suo fratello, ancora minorenne, a sua madre, che non aveva mai realmente lavorato, e a se stesso: un monte di responsabilità gli erano piovute addosso e non aveva fatto niente per evitarlo, caricando tutto sulle sue spalle che, per quanto grandi, non potevano ospitare più nient'altro. Se non fosse stato per i suoi amici, probabilmente sarebbe colato a picco prima di poter arrivare al suo venticinquesimo compleanno, data di poco successiva al rilascio del padre dal carcere. "Me ne occupo io. Occupati della mamma e di te." gli aveva detto Dean, con una pacca sulla spalla, incapace di provare rancore nei suoi confronti, nonostante la scelta discutibile: per quello, sosteneva, c'era già Eldjàrn, anche aveva affrontato la situazione molto diversamente da lui. Dean non era che l'anello di congiunzione in quella famiglia, un collante che permetteva ad ogni cosa di non cadere in pezzi. «Comunque no, non mi hai maltrattato sul lavoro, ma la tua famiglia ha incastrato mio padre spedendolo direttamente in carcere.» Fu onesto con lei, anche troppo, ritornando come se nulla fosse poi al proprio lavoro e poggiando le ultime due bottiglie accanto alle altre: si ritrovò ben presto dinanzi ad una enorme distesa di alcolici da dover riporre al proprio posto, ignorando quale fosse. «Proviamo a sistemarle, dopo gli mando una foto. Di sicuro apprezzerà il gesto.» sentenziò, iniziando a porre qualcosa dove riteneva potesse andare. Nel suo personale senso dell'ordine, i liquori andavano sistemati per sapore, dal più amaro al più dolce: in quel modo, tutti i prodotti alla frutta erano disposti vicini, magari separati per tipo, con tutte le vodka aromatizzate, tutti i vari tipi di rum e così via.
    Quando finiamo di riordinare ci meritiamo un premio. Tu hai preparato un cocktail, non proprio per me, e io cucinerò qualcosa per te. Rimase un momento interdetto, volgendo il capo verso la ragazza di poco, a guardarla di sbieco: «Sul serio?» Fu più forte di lui, sebbene non significasse che stesse rifiutando: quale idiota avrebbe rifiutato la cena cucinata da uno chef? Non aveva mai assaggiato la cucina di Kaja ma aveva osservato a lungo i clienti del Rainbow, notando come in molti fossero affezionati a lei ed al suo modo di comporre i piatti, inoltre, aveva provato quella di Inga, apprezzandola particolarmente. «Ci sto, basta che non ci siano i cavoletti di Bruxelles.» Li aveva portati ad un cliente, un signore sulla sessantina che li ordinava spesso, se non ogni volta che metteva piede lì dentro, e l'aveva fatto con un'espressione disgustata nel cuore, augurandogli buon appetito mentre mentalmente cercava di capire dove avrebbe potuto lavarsi il naso per eliminare quel pungente odore dalle sue narici.
    Sistemata buona parte dei liquori, Dean si fermò a guardare il lavoro eseguito, con un'espressione soddisfatta in volto: le labbra erano lievemente protese e incurvate verso il basso, come ad esprimere un "Mm-mh. Not bad." per quanto tacito. Scattò la foto, come promesso, mandandola a James e scrivendogli: Avresti fatto meglio a rimanere, probabilmente io e la rossa ti abbiamo fatto un casino. Apprezza il gesto però, notte Paddy! Di tanto in tanto lo chiamava in quel modo, dopo aver scoperto che sì, veniva considerato un termine dispregiativo, ma che in passato era anche stato utilizzato come vezzeggiativo dalla sorella di un leader politico irlandese, la quale, appellandosi a lui in questo modo, gli aveva reso possibile farne un vanto.
    Dean si spostò poi verso l'ingresso, recuperando le chiavi da un tavolo e chiudendo la porta: «Usciamo dal retro, così non rischiamo che venga qualcun altro mentre mangiamo.» chiarì, facendo scivolare il mazzo di chiavi all'interno della mano di Kaja. I tavoli erano in ordine, il pavimento era stato appena lavato - l'aveva fatto di fretta, ma bastava fosse pulito dopotutto - e la sala sembrava finalmente pronta per il giorno seguente: potevano andare a cenare. Recuperò una sedia, sistemandola in un angolino da dove avrebbe potuto vedere la giovane lavorare senza esserle di impiccio, e si mise a sedere: «Beh, che cucini?» domandò, curioso ed, allo stesso tempo, anche molto affamato. Probabilmente, per quanta fame aveva in quel momento, sarebbe persino finito col mangiare i tanto odiati cavoletti di Bruxelles. C'era sempre il pane, poteva aiutarlo a coprirne il sapore, riempiendogli lo stomaco che in quel momento stava piangendo miseria: per Dean, il cibo, l'alcol e la sua amatissima Impala erano veramente tutto.
     
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    Sakura Blossom

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    Kaja Linn Ellestad

    Ancora ricordava sin troppo bene il giorno in cui lei e Inga avevano dato le dimissioni all’uomo che lei non ricordava di aver mai chiamato padre, era stato tutto così formale da far accapponare la pelle per l’inquietudine. Si erano fatte accompagnare dal loro avvocato, avevano dovuto firmare così tanti fogli da lasciare i calli sui polpastrelli per una settimana intera. Kaja non avrebbe mai dimenticato – o almeno lo sperava – la sensazione di disgusto che le aveva lasciato addosso Thomas Ellestad quella mattina. Ne ricordava i capelli bianchi perfettamente tirati indietro e lo sguardo fisso su di lei, aveva ripreso da lui i suoi occhi chiari e non ne era orgogliosa perché quelli di Thomas le sembravano due pozze d’acqua torbida. Anche i suoi risultavano luridi allo sguardo degli altri? Era stato sin troppo tranquillo quell’incontro, né lei né Thomas si erano sbilanciati in alcun modo in presenza di Margareth, il loro avvocato. L’aveva chiamata per nome e cognome tutto il tempo, ripudiandola in silenzio, ogni sua frase era veleno disciolto nella stessa aria che respiravano anche loro. Quando arrivò il momento di firmare il foglio in cui veniva annullato il contratto di comproprietà del Blue River tirò un sospiro di sollievo, quello era il documento che più le premeva firmare. Aveva chiesto a Margareth una decina di volte, forse di più, se apponendo la firma su quel pezzo di carta sarebbe stata libera da ogni vincolo senza eccezioni, sentirla rispondere di sì tutte le volte la rassicurava. In fondo all’anima aveva la sensazione che quella rinuncia pacifica a ogni diritto su di lei non si sarebbe risolto così facilmente, da quello che aveva scoperto sulla sua famiglia gli Ellestad non erano persone buone. Quella era solo una tregua legale, la vera guerra sarebbe iniziata dopo, eppure nonostante fosse passato quasi un anno da quel momento non era ancora accaduto nulla di strano. ”La vendetta va servita fredda, Kaja, ricordalo sempre.” le ripeteva Inga ogni volta che diceva a voce alta che tutto era filato liscio. La sua amica la riportava coi piedi a terra per il suo bene, non avevano a che fare con una famiglia qualunque e quel particolare doveva rimanere ben impresso nelle loro menti.
    Quando avevano appena aperto il Rainbow ricordava che lei e Inga controllavano tutto più volte del dovuto, non per zelo, ma per essere certe che non ci fosse qualche sorpresa da parte degli Ellestad. Col passare del tempo avevano smesso di essere così ossessive, infatti eccola lì Kaja, al bancone del bar alle prese con le casse degli alcolici che erano appena state scaricate e che non aveva controllato come avrebbe fatto a Luglio appena aperto il locale. Lei e Dean si stavano occupando di svuotare le scatole dalle bottiglie di alcolici per poi riordinarle tutte sulle mensole del bar, un’impresa complessa visto che nessuno dei due si occupava di quella parte del ristorante. Tra una bottiglia di Jack Daniel’s al miele e qualche anonimo Rum da cocktail, trovarono una bottiglia di Bourbon non sigillata, pareva essere l’unica fallata. Kaja era pronta a rispedirla al mittente, ma Dean ebbe un’idea migliore, trasformò una nota negativa di fine serata in un cocktail, una dote che doveva riconoscergli nonostante tra di loro non corresse buon sangue. L’ennesima frecciatina del ragazzo la portò a incartarsi con le proprie mani in un doppio senso che la fece arrossire come una ragazzina, ma lui non ci fece troppo caso, nemmeno sollevò gli occhi dalla preparazione del suo cocktail. ”Chi ti dice che non le abbia anche io?” quella risposta alla sua uscita ambigua la lasciò interdetta per qualche istante, stava al gioco per alleggerire il suo imbarazzo o diceva davvero? ”Dean mani d’oro, dovrei provare per crederti.” ribatté con spontaneità, rendendosi conto che stava affondando nel loop degli equivoci, smettere di parlare era la soluzione ideale. Fortuna che Dean le offrì il suo cocktail, magari un po’ d’alcool l’avrebbe fatta rinsavire e avrebbe potuto dire che le guance rosse erano per aver bevuto un sorso di troppo. ”Basta alcool per adesso! Per la bottiglia puoi portarla via, non dobbiamo restituire i vuoti a nessuno visto che dello smaltimento ce ne occupiamo noi. A proposito a cosa ti serve?” era sinceramente interessata a sapere cosa ne avrebbe fatto di quel Jack Daniel’s a nido d’ape, forse collezionava bottiglie di alcool in edizione limitata? Certo vuote non valevano un granché, avrebbe avuto più senso se fosse stata piena, ma chi era lei per additare di stranezza gli altri quando era la prima tra gli strambi? Kaja assaggiò il cocktail che le passò Dean e doveva ammettere che non gli era uscito affatto male, ma di certo non gli sarebbe valsa una promozione al posto del loro barman James che era troppo bravo per perderlo. Certe sere si era fermata al bar per bere in compagnia di Inga e il ragazzo le aveva stupite con delle sue invenzioni davvero eccezionali, indovinando i loro gusti senza fare troppe domande. Kaja era convinta che gli irlandesi avessero un sesto senso per le combinazioni alcoliche, quando era stata in vacanza lì a ventuno anni aveva assaggiato cocktail che i norvegesi potevano provare solo nei loro sogni più arditi. La compagnia di Dean le impedì di perdersi in ricordi agrodolci, gli restituì il bicchiere per rimettersi a lavoro, ma prima di farlo aveva bisogno di fargli una domanda che le premeva da diverso tempo, ormai. Glielo chiese senza mezzi termini per quale motivo non la sopportasse, aveva addirittura pensato di averlo trattato male durante qualche turno, se così fosse stato non lo aveva fatto di proposito. Era pronta a chiedergli scusa per qualsiasi uscita fuori luogo avesse fatto nei suoi riguardi, ma la sua risposta le arrivò come un pugno inaspettato dritto allo stomaco. Tu sembri un'altra persona. Ci conosciamo da una vita ed ora sembra che tu abbia dimenticato ogni cosa.” ”Ti prego non anche tu…” sussurrò stringendo forte gli occhi, sperare che servisse a far svanire quella scomoda verità era sciocco, ma avrebbe tanto voluto riaprire gli occhi e accorgersi di aver solo sognato quelle parole. ”La reginetta del cazzo delle superiori…” rendeva perfettamente l’idea di quel poco che aveva scoperto di se’ prima dei ventuno anni, era stata una stronza senza eguali era l’unica cosa che sapeva per certo. Era davvero difficile spiegare alle persone che non le ricordava, l’unica eccezione era stata Erik quasi un anno prima, entrambi avevano lasciato la città e la loro memoria alle proprie spalle. Si erano incontrati di nuovo al loro rientro, entrambi incoscienti di cosa li aspettasse, era stata la reciproca comprensione ad avvicinarli. Erano stati una collisione temporale loro due, avevano camminato l’uno al fianco dell’altro per qualche mese, sostenendosi nel loro percorso di riscoperta che al finale li aveva portati a separarsi. Entrambi avevano conti in sospeso con quella città, ma non potevano più affrontarli insieme. Per fortuna che c’erano sempre stati Inga e Yoongi per lei, avrebbe voluto che fossero lì con lei anche in quel momento mentre il suo passato le stava sputando in faccia il suo rancore.
    ”Ti sembrerò la solita stronza del liceo, ma io non mi ricordo davvero di te. Non ho idea di cosa sia successo tra di noi prima di incontrarci qui, so solo che sei un bravo ragazzo, burbero, ma pur sempre un bravo ragazzo.” riaprì gli occhi voltandosi a guardare Dean, la sua mente navigava in acque agitate, l’oceano dei ricordi le faceva ancora paura. ”Credo che tu non lo sappia, per 8 anni sono stata lontana da questa città, non ho portato nulla con me se non un desiderio scritto di non tornare mai più. Invece eccoci qua…” si strinse nelle spalle pervasa da un senso di disagio che le annodava lo stomaco. Allungò una mano verso Dean, avrebbe voluto accarezzargli la schiena e chiedere il suo perdono per qualsiasi cattiveria avesse fatto in passato, ma non lo fece. La bionda o la rossa. Quale delle due era la persona cesellata sulla vera Kaja? Sperava fortemente che la versione attuale fosse la migliore che potesse essere perché non c’era altro che potesse fare al momento.
    ”Comunque no, non mi hai maltrattato sul lavoro, ma la tua famiglia ha incastrato mio padre spedendolo direttamente in carcere.” rimase di sasso a quelle parole, abbassò la mano lasciando perdere qualsiasi cosa stesse facendo, ordinare gli alcolici le sembrava un granello di polvere davanti a quella rivelazione. Erano davvero arrivati a tanto i suoi genitori? Aveva letto tra i fascicoli che le aveva fornito l’agente Bryne molti mesi addietro che gli Ellestad erano stati sempre scagionati da molte accuse, ma quello che le stava dicendo Dean era grave. ”Non lo sapevo… non… non lo ricordavo. Ti chiedo scusa, e io che pensavo che fosse un’antipatia lavorativa. Una sciocca, eh…” la sua voce si era tinta di una profonda tristezza, si accostò al bancone per prendere un paio di bottiglie da riporre sulle mensole, non sapendo dove metterle chiese a Dean se secondo lui il loro lavoro sarebbe stato sconvolto l’indomani da James. ”Proviamo a sistemarle, dopo gli mando una foto. Di sicuro apprezzerà il gesto.” annuì in risposta, pensando a come fosse possibile che in tutto quel tempo Dean non si fosse comportato molto peggio di così con lei, avrebbe potuto vendicarsi in qualsiasi momento, invece era rimasto in silenzio lavorando più duramente di tutti gli altri. Anche in quel momento non l’aveva aggredita, avrebbe potuto gridarle contro di tutto, persino sbatterla al muro e non sarebbe stato un doppio senso quello.
    Un po’ per fame, un po’ perché si sentiva in colpa propose a Dean di mangiare assieme, sarebbe stata la sua chef personale per una sera. Si aspettava un no netto, invece le disse solo di evitare i cavoletti di Bruxelles. ”Un cliente di poche pretese, va bene, signore.” cercò di dare un tono più allegro alla sua voce, portandosi due dita alla fronte in un saluto militaresco, ma sbagliò la mira e appoggiò le dita troppo in alto tra i capelli. ”Accidenti, sbaglio sempre a fare questa cosa. Inga dice che sembra che abbia le pulci invece che un saluto da militare.” ridacchiò con l’immagine della sua amica che la rimproverava davanti agli occhi.
    Non ci misero molto a sistemare tutte le bottiglie, in effetti due paia di mani erano meglio di uno solo, aveva ragione quando lo aveva detto. Lei e Dean osservarono il risultato con aria soddisfatta, non erano tanto male come squadra in fondo, molto in fondo. Osservò il ragazzo scattare la foto da inviare a James, dovevano solo sperare di non ricevere una risposta piena di rimproveri, non potevano aver fatto un vero e proprio disastro… o sì? Ormai avevano fatto ordine a modo loro, non potevano cambiare la situazione. Mentre Dean andava a chiudere la porta principale, Kaja si avviò in cucina iniziando a disporre tutti gli ingredienti che le servivano accanto ai fornelli. Prese le chiavi che le passò il ragazzo mettendosele in tasca, poi prese il batticarne per assottigliare il filetto di maiale già marinato nelle erbe, era uno dei piatti previsti nel menù della giornata, ci sarebbero volute ore per fare la marinatura se avesse iniziato da zero. ”Buona idea, altrimenti rischiamo che qualcuno ci chieda se siamo ancora aperti nel mezzo della notte.” non sollevò gli occhi dal suo lavoro, si spostava da una parte all’altra con familiarità, sapendo esattamente dove si trovava ogni singolo oggetto. La cucina era l’unico luogo dove la goffaggine le scivolava via dalla pelle per lasciare libere le ali che teneva ben nascoste sotto l’epidermide. Era davvero strano guardare da fuori quel cambiamento di attitudine, Inga le diceva sempre che in cucina sembrava una ballerina aggraziata, mentre per tutto il resto del giorno era un clown con le scarpe troppo grandi. Ormai neanche si offendeva più quando le diceva quelle cose perché in parte sapeva che erano vere, non poteva negare che stare dietro i fornelli la metteva completamente a suo agio.
    ”Beh, che cucini?” le chiese Dean dopo essersi accomodato su una sedia in sua attesa. ”Ti preparo un filetto alle erbe in salsa di vino rosso, come dolce puoi scegliere tra la torta di mandorle secondo la ricetta norvegese, oppure un brownie fondente con salsa alla lavanda.” aprì il forno per la prima cottura della carne, poi l’avrebbe messa a rosolare nel vino rosso sulla padella già leggermente scaldata. ”Mi prenderesti una bottiglia di vino? Si trova nella credenza accanto al frigorifero.” si appoggiò con la schiena al bancone, sentendo il calore che emanava il forno infilarsi sotto i suoi indumenti. Attese che Dean le porgesse la bottiglia e ne controllò il contenuto in controluce, ”è rimasto troppo vino per la ricetta, finiamo quello che avanza?” si allungò a prendere un paio di bicchieri puliti riempiendoli a metà, così da avere la dose perfetta per il filetto. Ne porse uno al ragazzo e l’altro lo tenne per se' facendo oscillare il liquido cremisi nel bicchiere, come un maremoto in vetro. Per qualche istante intercorse solo il silenzio tra di loro, la sua mente continuava a tornare su quello che le aveva raccontato prima Dean. Avrebbe dovuto cucinare per lui per tutta la vita per scusarsi a dovere per ciò che gli Ellestad avevano fatto patire alla sua famiglia e neanche quello sarebbe stato abbastanza. ”Mi dispiace profondamente di non ricordare il male che ti ho fatto, Dean.” incastrò il suo sguardo con quello di lui, stavolta erano sufficientemente vicini affinché potesse poggiare una mano sul suo braccio accarezzandolo piano. ”Posso prometterti solo di non comportarmi mai più da stronza da ora in poi, non è molto, ma è quello che posso fare oltre a cucinare!” si lasciò andare a una risata aperta e leggera, non si accorse subito che muovendosi si era rovesciata parte del vino sulla mano. ”Prevedibile…” si disse a voce alta, era da troppe ore che non le capitava qualche imprevisto o qualche capitombolo spettacolare. Lentamente lasciò andare il braccio di Dean per andare a lavarsi le mani nel lavandino, dopo avrebbe ripulito tutto di nuovo. Il suono del timer del forno richiamò la sua attenzione, rimosse il filetto e andò ad adagiarlo sulla padella che aveva preparato prima. Versò il vino rosso e lo lasciò andare finché non fu soddisfatta del restringimento della salsa. Spenti i fornelli con delle pinze mise varie fettine in due piatti diversi, poi versò su entrambi il giusto quantitativo di salsa. ”Voilà, la cena è servita!” poggiò i piatti sull’isola della cucina, invitando il ragazzo a raggiungerla. ”Spero sia meglio dei cavoletti di Bruxelles!” gli rivolse un sorriso raggiante sperando che per la prima volta Dean ricambiasse.

    Edited by Aruna Divya - 8/1/2021, 14:04
     
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    Dean mani d'oro. Doveva annotarselo per tutte le occasioni che Eldjàrn non si lasciava sfuggire per prenderlo in giro sui suoi strani hobby: «Una volta una ragazza mi ha definito così. Che ne vuoi sapere tu di queste cose.» si sentiva già replicare nei suoi pensieri, aggiungendo probabilmente a quella frase che Elise era stata contenta di ricevere un regalo strano fatto con le sue dolci manine. Decise però di accantonare quella conversazione, volendo evitare di finire nel fantomatico loop degli equivoci, nel quale Kaja pareva davvero affogare parola dopo parola: non era una persona sadica, anche se l'apparenza di omaccione minaccioso e burbero poteva ingannare. Dean infatti sorrise soddisfatto, a metà volto, osservando la bottiglia che aveva guadagnato: gli sarebbe toccato aspettare che James facesse almeno un centinaio di coktail prima di potersela portare a casa, ma prima o poi quel momento sarebbe arrivato. «Ah boh.» replicò, quando la boss dai capelli rossi gli chiese, a ragione, cosa dovesse farne. «Ci devo ancora pensare.» fece, osservandola appena ed immaginando una lampada o un orologio con la trama a nido d'ape. Non aveva ancora gli strumenti adatti per poter fare delle "opere" - che di artistico avevano ben poco - raffinate, ma l'idea di impiegare un po' del suo tempo libero per questioni come quelle lo entusiasmava. La sensazione di piacevolezza tuttavia venne ben presto a scomparire, sostituita da un buon grado di fastidio che ben si sposava con l'idea di Kaja che aveva conservato: prima di finire a lavorare al Rainbow aveva ripensato poco a lei, non pensando davvero che le persone potessero cambiare. Era una speranza vana che potessero realmente migliorare, che in pochi anni qualcosa nella loro psiche potesse smuoversi e renderle differenti: perché poi avrebbero dovuto? Lei che, al tempo, aveva ogni cosa, non ometteva di farlo notare a chiunque incrociasse il suo cammino, sembrava... Com'è che si chiamava? Regina George? Aveva visto qualche volta Mean Girls con le sue cugine, diversi anni prima, quando era poco più che ventenne, e aveva immediatamente notato la somiglianza della biondissima Rachel McAdams con la norvegese erede degli Ellenstad: si era persino divertito a prenderla in giro con suo fratello, chiedendosi chi ci fosse al suo posto nella Generation Z, a scuola con Pepi. Non avrebbe mai potuto immaginare che di quella ragazza non vi fosse più nulla, almeno in apparenza: guardando il volto quasi stupito di Kaja una piccola parte di quella certezza, di quella presa per il culo e dell'idea che nessuno potesse cambiare, vacillò. Sembrava così sincera che persino uno come lui, ferito nell'orgoglio, costretto a crescere troppo in fretta proprio a causa della famiglia di lei, dovette pensarci su due volte prima di parlare. «Ma sei seria?» replicò infatti, con un sopracciglio levato e l'espressione di chi, davvero, non sapeva cosa pensare. L'aveva definito un bravo ragazzo, burbero, ma pur sempre un bravo ragazzo, e sembrava realmente dispiaciuta nonostante non sapesse il perché: un fulmine a ciel sereno, tanto per lei quanto per lui. Era stata otto anni via, otto anni lontana dalla città che sembrava essere disegnata appositamente per compiacerla: perché? Desiderò chiederglielo, ma una parte di lui gli disse di tacere: non poteva ricordarlo, che motivo aveva di farle altre domande alla quale non avrebbe saputo rispondere. Però... però nulla. Dean si fece forza, come sempre soleva fare, e rispose col suo solito umorismo al quale mischiava la verità senza tanti giri di parole: non aveva senso dirle che la sua famiglia si era macchiata di "un brutto crimine" o, peggio, che "avevano dei conti in sospeso". Quella era la verità, nuda e cruda, ed era sufficiente digitare su Google "Lundberg - Besaid" per scoprirlo: i giornali a quel tempo non si erano nemmeno preoccupati di oscurare il nome dell'uomo che, certo, aveva sbagliato, ma che non meritava una tale risonanza mediatica. Aveva spesso pensato che fosse stato proprio a causa degli Ellenstad che la storia fosse risultata più seria di quanto non fosse, quasi come se avessero scelto proprio suo padre come vittima sacrificale per mostrare agli altri che era quella la fine che avrebbero fatto qualora non avessero rispettato i patti. Qualcosa molto stile mafia, che non si addiceva molto all'idea che quella famiglia voleva dare di sé, che Kaja stessa ai tempi della scuola aveva dato. Dean, con quei pensieri, spostò lo sguardo dalle bottiglie, ormai quasi sistemate, alla giovane: sembrava essersi pietrificata, come se la notizia l'avesse scossa dall'interno. Era stato troppo diretto? Probabile, come sempre, ma fu quel suo modo di fare e quella successiva risposta che gli permisero di crederle. Tra lui ed Eldjàrn, di certo, il fratello con meno diffidenza nei confronti del prossimo era lui: si sforzava di mantenere il punto ma, alla fine, nonostante le intenzioni, finiva sempre col cedere, ed era su quel punto che il suo fedele Robin batteva. "Buono e fesso" erano gli appellativi che più spesso, sebbene in maniera velata, gli rivolgeva, e probabilmente avrebbe detto le stesse cose se fosse stato lì a sentire quella conversazione. «Inizi quasi a farmi sentire in colpa se mi dici così.» mormorò, distogliendo lo sguardo da lei, con voce un po' più bassa di quanto non avesse voluto. Poggiò una bottiglia di gin sullo scaffale più in alto, sospirò, poi si voltò verso Kaja: «Immagino che siamo partiti col piede sbagliato. Non hai molto della ragazza dei miei ricordi, quindi posso provare a darti una chance.» le disse, quasi come fosse una gran concessione. Di solito, era il suo modo per sfuggire ai discorsi complicati: ergersi a gran sovrano era più facile che apparire debole e ferito, come poi d'altro canto era stato, nonostante la rabbia che, per anni, era rimasta sopita nel suo animo. Era burbero, sì, ma questo non faceva di Dean una persona in grado di portare rancore: se solo lo fosse stato non sarebbe nemmeno riuscito a perdonare sua cugina, Sky, per quanto aveva fatto a Pepi. Aveva ancora in testa gli occhi di quella ragazza, poco più che bambina in effetti, lasciata sola da una sorella che per lei doveva esser ogni cosa: a quel tempo, lo stesso Dean si era rifugiato presso la loro casa, cercando un appiglio, un calore familiare che a casa sua, nonostante suo padre fosse uscito di prigione, non riusciva più a sentire. «Quindi non mi guardare con questa faccia e pensa a lavorare: ti ricordo che il locale è tuo.» concluse, riportando anche la sua attenzione sugli stessi scaffali dei quali in seguito mandò a James, nella speranza che fosse almeno un po' soddisfatto: era tardi, avrebbe dovuto per forza di cose esserne fiero, anche perché stava sacrificando la sua preziosa ora di cena per lui. Fu per quella ragione che apprezzò l'idea di Kaja di offrirsi come sua chef personale, approfittando di quella rinnovata cortesia per fare anche una piccola richiesta: «Sì, di base mangio tutto.» chiarì, reputandosi abbastanza un pozzo senza fondo. Vivere con poco l'aveva reso tutt'altro che viziato. ”Accidenti, sbaglio sempre a fare questa cosa. Inga dice che sembra che abbia le pulci invece che un saluto da militare.” Sorrise sotto i baffi, annuendo di poco: «Ha sempre una parola per tutti.» ed era per questo che gli era simpatica, anche se in effetti si stavano reciprocamente simpatici quei due, il problema al Rainbow, volente o nolente, l'avevano solo i due che si stavano occupando della chiusura, e finalmente era venuta fuori la motivazione. Anche se ormai mi sembra quasi inutile continuare con questo modo di fare. pensò, decidendo di non pensarci, di approfittarne e di mangiare: il giorno seguente avrebbe magari pensato a cosa fare, a come comportarsi.
    Chiusa la porta d'ingresso col benestare di Kaja - i clienti molesti non erano rari in quel locale, purtroppo - si spostarono entrambi verso la cucina, dove poté osservarla nel suo ambiente: sembrava molto diversa, decisamente più sicura di sé e dei suoi gesti, non c'era nulla di superfluo, tutto era ben ponderato e tutta la goffaggine che, al contrario, caratterizzava praticamente tutta la sua vita, sembrava esser sparita. «Torta di mandorle.» sentenziò, preferendo decisamente qualcosa di più tradizionale. «La lavanda sa troppo di sapone.» e il sapone gli ricordava quelle maledette saponette che faceva sua madre e che rivedeva ai mercatini di tanto in tanto: non erano in tanti a comprarle ma lei si impegnava tanto e, a quel tempo, in casa Lundberg regnava un pregnante odore di soda caustica e di fiori di ogni genere, tanto da essere diventato nauseante visto quanto era piccolo l'ambiente in cui vivevano. Sovrappensiero prese la bottiglia di vino come suggerito da Kaja e gliela passò: ”è rimasto troppo vino per la ricetta, finiamo quello che avanza?” «Che domande.» rispose, aggrottando appena la fronte, con una smorfia a labbra chiuse, quasi a sindacare l'ovvio. Fece un sorso di vino, rimanendosene lì in piedi, ad osservare la chef cucinare senza fiatare e senza darle fastidio, nonostante stesse esattamente in mezzo: non stava pensando a nulla ad essere onesto, si stava solo rilassando, era qualcosa che gli era sempre piaciuto da guardare ma, soprattutto, gli era sempre piaciuto ascoltare gli sfrigolii delle pietanze in padella, della carne in particolare, trovava avesse un non so ché di poetico. Fu la rossa a interrompere quel momento, facendogli spostare gli occhi dal pasto alle sue iridi: ”Mi dispiace profondamente di non ricordare il male che ti ho fatto, Dean.” Facile uscirsene in quel modo, era come lavarsene le mani. Si irrigidì lievemente quando sentì la sua mano sul braccio, per un secondo non respirò. Rilasciò dalle narici un profondo respiro di lì a poco: sembrava avesse mentalmente contato fino a dieci prima di parlare, che avesse realmente ponderato ogni singola parola che di lì a poco avrebbe pronunciato per non essere troppo tagliente. Anni prima, quando era un adolescente, avrebbe dato pieno sfogo ad ogni singolo insulto, preferendo liberarsi di quei pensieri e non farsi il sangue amaro, ma da quando suo padre era finito dietro le sbarre aveva provato a controllarsi, ad essere più oculato negli acquisti, nell'organizzazione, persino nei suoi discorsi: non si sarebbe perdonato nemmeno una parola di troppo soprattutto se le avesse rivolte a Eldjàrn o a Pepi, anche se la causa fosse stato del semplice stress, e da allora aveva iniziato a crescere, a comportarsi così con tutti, spontaneamente. ”Posso prometterti solo di non comportarmi mai più da stronza da ora in poi, non è molto, ma è quello che posso fare oltre a cucinare!” gli disse poi, ridacchiando appena e lasciando la presa su lui per pulirsi la mano dal vino che si era versata addosso. «In fondo, è più di quanto facciano tante altre persone.» disse soltanto, avvicinandosi il calice alle labbra e mandando giù quel poco che era rimasto sul fondo. Non poteva dirle che andava tutto bene, sarebbe stato mentire e a lui non era mai piaciuto farlo, ma poteva provarci, almeno un po', a darle davvero una seconda possibilità: errare è umano, cambiare, dopo aver persino rimosso ogni singolo ricordo legato a quella città, non era impossibile dopotutto.
    Si sedette al tavolo insieme a lei quando finalmente ebbe finito, osservando i piatti che aveva servito: l'odore, così come l'aspetto, erano davvero invitanti. ”Spero sia meglio dei cavoletti di Bruxelles!” Un angolo delle labbra di Dean si sollevò, pur rimanendo con l'attenzione sulla pietanza: «Tutto è meglio di quei cavoletti.» scherzò, tagliando finalmente un pezzo di carne ed avvicinandoselo alle labbra per assaggiarlo. La salsa che si accompagnava alla fettina, morbida al punto giusto e tenera quanto bastava, sembrava fatta appositamente per rendere quel secondo buono, per estrapolare da esso tutti i suoi sapori: Kaja era brava, si sentiva che non era un piatto da "casa" o da trattoria, un piatto al quale non era per nulla abituato e che il suo palato, così poco raffinato, forse non avrebbe potuto davvero apprezzare al meglio. «E' buono.» disse, celando - male - l'entusiasmo che lo stava percorrendo. A Dean piaceva mangiare, soprattutto la carne, rossa in particolare, ma in generale tutta la carne lo rendeva felice. «Puoi cucinare tutta la vita per me e mio fratello, se vuoi farti perdonare.» le disse, alzando la forchetta verso di lei, quasi ad indicarla. Era ironico, anche se uno chef avrebbe davvero illuminato la vita dei Lundberg: di tanto in tanto si preoccupava che quell'idiota non mangiasse bene e, anche per questo, gli faceva delle piccole improvvisate sul lavoro o a casa per riempirgli lo stomaco ed assicurarsi che fosse ancora vivo.
    Finì - come prevedibile - prima di lei di mangiare e si alzò in piedi per metter via il suo piatto e recuperarne altri due per il dolce, che ipotizzava fosse già stato preparato: «La torta è nella credenza a sinistra?» chiese, voltandosi lievemente verso di lei per averne conferma. Portò tutta la teglia con piatti, coltello e forchetta, affinché la tagliasse lei: «Probabile che te la rompa e non possa più venderla altrimenti.» aggiunse, sedendosi nuovamente ed attendendo che anche Kaja finisse il suo pasto. «Tu invece sei proprio diversa dentro e fuori dalla cucina.» Che nascondesse qualche altro segreto oltre alla perdita della memoria? Che fosse bipolare come la zia? Forse personalità multiple... Quella sì che poteva essere una valida spiegazione a ogni cosa, compreso il suo assurdo modo di fare diametralmente opposto rispetto alle superiori. Devo smetterla di pensare troppo. si rimproverò, rendendosi conto a poco a poco che quello di rimuginare e fare mille ipotesi stava iniziando a diventare davvero un brutto vizio.
     
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4 replies since 13/12/2020, 21:56   181 views
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