Mens sana in corpore sano.

Astrid & Margareth

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    L'aria che entrava ed usciva nei polmoni di Astrid delineava nello spazio i suoi movimenti: inspira, espira, inarca, incurva, rilassati, senti l'energia che fluisce in ogni tuo arto, poi scendi, nel cane a testa in giù, sta ferma. Respira. La voce di Helga era tranquilla, così pacata che la ragazza l'avrebbe ascoltata per ore, come si ascoltano le favole da bambini. Aveva sempre trovato che lo yoga fosse quanto di più simile esistesse ad una coccola, per lo spirito ma soprattutto per il corpo: non si è mai considerata una sportiva né una persona con molta voglia di fare. Sapeva che avrebbe dovuto darsi all'attività fisica, soprattutto visto che le piaceva mangiare e prima o poi sarebbe finita col mettere su qualche chiletto a causa dell'alimentazione che, nei periodi di particolare stress, diventava un totale caos. A nulla era servito iscriversi in palestra, farsi fare una scheda e pagare per quel servizio: non c'era stata costanza nemmeno in quello, come in tante cose, se non quasi tutte, nella sua vita. Tendeva ad emozionarsi subito, festeggiando per le più piccole sciocchezze, ma lasciando che in una manciata di giorni - talvolta meno - tutto quell'entusiasmo scemasse: era così con tutto, eccetto che con le persone e con poche altre passioni, quali ad esempio la musica e, a quanto pareva, anche lo yoga. Aveva scoperto quella scuola attirata da un volantino che invitava i più a partecipare ad una lezione di prova gratuita: Ma sì, perché no? Che ho da perdere? si era detta, rigirandosi quel volantino fra le mani mentre la ragazza che si era occupata di offrirli in giro le aveva indicato dove si trovasse la scuola, notando un certo interesse. Si era dunque presentata lì, un po' titubante, con la sua felpa oversize a coprirle parzialmente anche le gambe, fasciate da leggins sportivi che non tirava fuori dall'armadio da almeno un anno: si era sempre vista strana con quelli indosso. Erano così stretti rispetto ai jeans o ai pantaloni che metteva generalmente, sembrava quasi di indossare delle calze: Dovrei davvero fare attività fisica. si era detta dinanzi allo specchio dello spogliatoio, prima di fare il suo ingresso davanti agli occhi dei membri della sua classe: prima di farlo, aveva immaginato di trovarsi dinanzi principalmente a donne ma, al contrario dei suoi pensieri, trovò anche degli sguardi maschili che la scrutarono con meno interesse di quanto lei riservò a loro. Inutile dire che, dopo quella prima prova, decise di pagarsi altre quattro lezioni, poi cinque, poi sei, fino a quando non le fu offerto direttamente un abbonamento annuale, che di sicuro le sarebbe costato meno: accettò senza fiatare, con un sorrisone sul volto. «E' la prima cosa con cui riesco ad essere costante!» aveva detto entusiasta alla ragazza all'ingresso, colei che si occupava della burocrazia. «Ne sono contenta, ci piace poter creare un bell'ambiente e far appassionare quanta più gente possibile a questa disciplina.» «Mens sana in corpore sano.» rispose Astrid, con lo sguardo levato a guardare una grossa targa in legno con quella scritta, alle spalle della ragazza. «Sì, esatto. Un regalo per l'apertura, insieme a quella grossa statua di Buddha.» L'avevano già conquistata, tanto da farle considerare quelle lezioni serali come un regalo quotidiano, una piccola gioia prima di andare a dormire: prendeva la sua borsa, talvolta la portava con sé in studio o al Mordersønn, non passando nemmeno per casa e gettandosi direttamente nella sua routine della sera. La chiamava così, riferendosi alla lezione e alla skincare: piccole coccole, fisiche e mentali, che le rasserenavano lo spirito.
    Chiacchierona com'era, non aveva faticato a fare amicizia con tutti: era facile per lei andare d'amore e d'accordo con qualcuno, era sufficiente che si ponesse con cortesia nei suoi confronti e che fosse sincero. Detestava la gente che mentiva, non riusciva a concepire perché dovessero farlo: un po' come chi tradiva. Aveva vissuto la vita essendo sempre la parte lesa, una vera sfigata - termine poco affettuoso che usava per definirsi - che non faceva che collezionare relazioni fallite, tanto da arrivare alla conclusione che l'unica cosa che dovesse fare fosse lavorare su di sé: non era quello il consiglio che dava a tutti i suoi pazienti? Così aveva fatto, appassionandosi a tal punto allo yoga da finire col praticare anche da sola, a casa, svegliandosi ogni giorno di buon mattino per il suo quotidiano saluto al sole. Fu un duro colpo quando dovette dire addio alla sua storica insegnante per dare il benvenuto a Helga, colei che teneva le lezioni nella pausa pranzo: un suo paziente le aveva chiesto l'immenso favore di tenere la seduta nello stesso orario in cui, prima, aveva la lezione. Aveva provato a replicare con un "ma." rimasto sulla punta della lingua: non aveva cuore di abbandonare un paziente per se stessa, sarebbe stato troppo egoista. Per cui eccola lì, alle 14:30, con un triste panino al tonno sullo stomaco, che si muoveva seguendo la voce della sua insegnante che, a poco a poco, induceva loro a sciogliere la posizione. «Bene, per oggi abbiamo finito, ma se avete tempo mi piacerebbe farvi provare qualcosa in coppia.» Astrid inclinò il capo, un po' perplessa: «Qualcosa tipo l'acroyoga?» domandò, incuriosita. «Sì. Stavo pensando di organizzare una lezione fra un po' di tempo, ma vorrei sia vedere in quanti siete interessati sia magari fare una piccola prova.» Per quanto fosse snodata e brava con l'hatha yoga canonico, non si sentiva all'altezza di sostenere qualcun altro in esercizi magari anche complessi. Allo stesso tempo però, aveva visto molte posizioni online che le sarebbe piaciuto riprodurre e, di certo, Cassandre non era adatta per fare alcuna prova: un geco leopardo come animale domestico... Chissà come le era venuto in mente. Era entrata in quel negozio di animali solo per prendere un regalo e ne era uscita con un animale esotico che era stato lasciato lì da qualcuno che aveva cambiato idea sul suo conto.
    Helga si alzò in piedi, picchiettando un dito sulle coppie che aveva selezionato per l'occasione: «Astrid e Margareth.» disse indicando le due che, quel giorno, stavano l'una agli antipodi dell'altra, continuando a camminare per scegliere gli altri. Era già capitato che scambiassero qualche chiacchiera insieme agli altri, ma mai troppo a lungo: d'altra parte, oltre ad essere in quel nuovo gruppo da poco, Astrid aveva anche l'esigenza di non potersi attardare per dover tornare a lavoro. Col turno della sera era spesso capitato che sia lei che gli insegnanti approfittassero della serata libera per prendere qualcosa insieme, una birra, un panino, qualcosa di buono insomma per rallegrare un giornata altrimenti piatta: purtroppo aveva dovuto dire addio a quell'abitudine, pur continuando a sentire qualcuno dei membri della sua precedente classe, di tanto in tanto. «Ci siamo già presentate, credo, ma comunque io sono Astrid.» fece, porgendo la mano destra alla donna, rimanendosene seduta con le gambe incrociate. «Ti avviso, non ho mai provato a fare queste cose, quindi non fidarti troppo se non vuoi finire rovinosamente in terra.» aggiunse, con un leggero sorriso, inclinando di poco il volto e distogliendo lo sguardo da lei: in realtà, nonostante non ne fosse consapevole, si stava un po' sottovalutando. A furia di praticare - ormai erano almeno due anni sebbene con una differente classe - aveva sviluppato muscoli che nemmeno credeva di avere: era forte, più di quanto si sarebbe potuto pensare soltanto guardandola. «Bene, direi che possiamo cominciare!» esordì raggiante Helga, dopo aver scelto dal suo pubblico una partner: fortuna aveva voluto che fossero in numero pari quel giorno, fra assenteisti e gente che invece era dovuta scappare a far la doccia per tornare a lavoro. «Partiamo col Navasana. Vedete, assomiglia ad una A.» Senza scomporsi, Helga aveva preso le mani dell'altra e si era posta nella posizione indicata: «Sembra facile.» commentò Astrid, un po' stupita, porgendo a sua volta le mani a Margareth per eseguirla senza troppe difficoltà. «Mi raccomando, sentite la colonna vertebrale che si allunga e il petto aprirsi a poco a poco.» E lo sentiva eccome, soprattutto ora che stavano facendo pressione l'una sull'altra. «Pratichi da molto anche tu?» chiese poi, curiosa, rimanendo a guardare la donna dinanzi a lei, scorgendo il suo volto attraverso le loro gambe tese. «Per me sono almeno un paio d'anni, prima però seguivo la lezione di Ingrid. Adesso, per incompatibilità con gli orari lavorativi, mi sono spostata ad Helga e alle sue idee bizzarre Parlò senza cattiveria, con una risata appena accennata, più che altro per non disturbare gli altri che, di lì a poco, sciolsero la posizione come suggerito dall'insegnante: «Visto che siete bravi possiamo anche intensificare il carico allora!» «Ci vuoi proprio far spezzare!» commentò a sua volta, divertita, allungando una mano verso la sua coda: era arrivata lì con una bella coda alta che, a furia di muoversi, era diventata una coda spettinata e bassa. Sciolse i capelli, rimandando a dopo il recupero di dignità: voleva farsi una treccia, sarebbe stata più comoda, ma probabilmente non ve n'era il tempo. «Questa è complicata, richiede completa fiducia nel partner. Non temete di farvi male, c'è il tatami per terra.» disse parlando proprio dal tatami Helga che, distesa con le dita protese, si apprestava a reggere il corpo dell'altra ragazza, sostenendola senza fatica e lasciando poi la presa per tenere le mani giunte all'altezza del petto. Era così magra eppure davvero forte, sembrava non le pesasse nemmeno. «Vedete?» «Questo mi sembra un pochino ambizioso.» commentò Astrid, inclinando la testa per osservarla con maggiore attenzione. «Non è complicato. Chi non se la sente più evitare di lasciare le mani dell'altro.» Quella era una buona idea, almeno per cominciare. «E noi faremo così.» disse a Margareth, trovandosi dinanzi a quel punto una scelta più complessa: «Chi sta sotto?» Una domanda che, in qualunque altro contesto, non sarebbe nemmeno parsa ambigua, quanto totalmente riferita ad un ambito sessuale, senza ombra di dubbio: era una fortuna che, in quel frangente, il tatami e le accoglienti stampe di fiori di ciliegio rendessero tutto impossibile da fraintendere. «Oppure ci proviamo entrambe e chi fa cadere l'altra le offre un caffè. O un dolce. O quello che c'è di buono al bar qui fuori.» propose poi, presa da un lampo di genio improvviso. «Andata?» domandò, porgendole la mano per sancire il patto, con tutta l'intenzione di pagarlo: i debiti di gioco, si sa, vanno sempre pagati.
     
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    Le lezioni di yoga erano state la prima cosa che era riuscita a fare per se stessa dopo tanto tempo. Aveva sempre messo sua figlia al primo posto, rinunciando a sport, uscite o anche semplicemente ad un po’ di relax, ma negli ultimi tempi, visto che sua figlia stava crescendo e aveva trovato qualche altro genitori con cui alternarsi per aiutare i ragazzi a fare i compiti, era riuscita a ritagliarsi qualche ora in più per se stessa. Il primo tentativo era stato quello di andare in palestra, fallito miseramente ovviamente perché dopo tre lezioni aveva finito con l’annoiarsi e lasciar perdere quella strada, che non sembrava davvero adatta a lei. Non le piaceva l’idea di dover memorizzare come usare le varie leve degli strumenti disseminati per la palestra, che le avrebbero permesso di usare più o meno carico, di lavorare più con le gambe o magari con gli addominali. Insomma, si era persa alla prima spiegazione e non le andava di farsi ripetere le cose troppe volte, lei per prima si stancava di dire sempre la stessa cosa. Alla fine era approdata su un corso di yoga che si teneva nel primo pomeriggio e che poteva quindi svolgere durante la sua pausa pranzo, per liberarsi da un po’ di pensieri prima di dover tornare al lavoro. Il suo studio non era troppo distante dalla sala ma preferiva comunque arrivarci in macchina, visto che lasciava il borsone con il cambio e tutto l’occorrente all’interno del veicolo. Gli abiti che indossava in ufficio non sarebbero stati affatto comodi per praticare attività fisica e tanto meno lo erano le sue scarpe. Non le interessava però che i suoi colleghi scoprissero che cosa faceva durante il suo tempo libero. Aveva legato con alcuni di loro, ma altri invece aspettavano soltanto che commettesse un passo falso per metterla in cattiva luce davanti al capo. Non era un caso ad esempio che lei fosse quella che riceveva il maggior numero di casi pro bono e quindi un numero minore di bonus alla fine dell’anno. A lei però stava bene così, preferiva aiutare delle persone che non si sarebbero potute permettere un avvocato e quindi di difendersi, piuttosto che stare sempre dietro alle faccende di questo o quell’imprenditore che riceveva una querela o un’accusa al mese. Le truffe finanziarie non erano il suo campo e preferiva difendere le vittime di violenze piuttosto che chi le commetteva, a differenza di alcuni suoi colleghi.
    Anche quel giorno, terminato un breve incontro con una collega per discutere di un caso che avrebbero affrontato insieme, si era fermata al bar a prendere un tramezzino e poi si era mossa velocemente verso la sua auto. Era stata una mattinata piuttosto impegnativa e aveva quindi davvero bisogno di prendersi un po’ di tempo per sé, di sciogliere i nervi e rilassarsi, sperando che la sua mente si svuotasse almeno per qualche minuto. La fortuna però era che per quella sera avrebbe potuto prendersi qualche ora di permesso, visto che aveva chiuso solo il giorno prima una causa molto importante che l’aveva costretta a fare molte ore di straordinario. Non lo avrebbe mai detto, eppure lo yoga la stava aiutando più di quanto avesse mai pensato. Non era mai stata una persona che amava gli sport, quindi non dava all’attività fisica chissà quale importanza, anche se si sforzava di trasmettere un pensiero diverso a sua figlia. Voleva che rimanesse in salute e non c’era nulla di meglio dell’attività motoria, soprattutto durante la crescita. La piccola tuttavia le aveva fatto notare che non poteva costringerla a fare uno sport se lei on faceva altrettanto e allora si era decisa a cercare qualcosa di adatto a se stessa e ai suoi orari. Raggiunse lo spogliatoio, rivolgendo un sorriso alla ragazza all’ingresso, che le accoglieva sempre con un caloroso saluto. Erano solo pochi mesi che svolgeva quell’attività, ma doveva dire di trovarsi bene. Era un ambiente stimolante e molto piacevole. Indossò velocemente il completo che aveva scelto per quella giornata e si sistemò i capelli in una semplice coda di cavallo. La prima cosa che aveva fatto, dopo essersi iscritta ai corsi, era stato andare a fare un po’ di shopping. Era sempre stata una patita di vestiti e riteneva che ogni luogo avesse il suo personale dress code da rispettare. Quindi, per sollevare il suo umore, aveva acquistato due o tre completini dai colori molto semplici, così da non essere troppo vistosa, appuntandosi però di tornare presto a fare scorta, qualora avesse deciso di continuare quell’avventura. Se c’era di mezzo qualcosa da comprare dopotutto, lei recuperava sempre il buon umore.
    Dopo essersi data una veloce occhiata in uno dei piccoli specchi ai bordi dello spogliatoio, aveva preso il suo tappetino e l’acqua e aveva raggiunto gli altri nella sala principale. Aveva rischiato di fare tardi, ma per fortuna Helga l’aveva aspettata per iniziare a spiegare il primo esercizio. Le aveva sorriso, prendendo posto in fondo alla sala, sul lato destro e aveva iniziato a fare i primi esercizi di riscaldamento. Era piacevole stare ad ascoltare la sua voce tranquilla, che ti guidava nei momenti e scandiva il ritmo dei minuti che avrebbero trascorso insieme. Non aveva avuto modo di fare amicizia con tante persone all’interno del corso, preferendo concentrarsi sui movimenti per evitare di rimanere un disastro a lungo. Le prime volte infatti era caduta numerose volte, ribaltandosi di lato, incapace di restare in equilibrio. Con la costanza e con un po’ di spirito di volontà però era riuscita a fare dei miglioramenti e iniziava a essere soddisfatta dei suoi risultati, anche se sapeva di avere ancora molta strada da fare. La lezione era volata via più in fretta del solito, tanto che quando Helga aveva comunicato la sua fine si era sentita un po’ delusa, come se si fosse improvvisamente svegliata da un bellissimo sogno ad occhi aperti. Aveva iniziato a piegare il suo tappetino, per poi fermarsi immediatamente quando l’istruttrice avanzò l’ipotesi di provare qualche altro esercizio. Si avvicinò al resto del gruppo, visto che solo alcuni dei partecipanti stavano scegliendo di restare mentre Astrid, una delle nuove ragazze, chiedeva se si trattasse di acroyoga. Inutile dire che Margareth non lo aveva mai neppure sentito nominare, visto che era una novizia in quel campo, ma era comunque curiosa di capire di che cosa si trattasse e di mettersi alla prova. Fu lei a organizzare le coppie, probabilmente tenendo conto delle loro capacità o delle loro fisicità, non chiese, si limitò ad avvicinarsi ad Astrid quando fece i loro nomi. -Si, penso di si. Margareth, ma puoi chiamarmi Maggie. - disse, in direzione dell’altra, stringendo la sua meno per poi sedersi poco distante da lei. Rise, quando anche l’altra ammise di non essere molto brava in quel genere di cose. -Non credo ti consolerà sapere che io invece non so neppure di che cosa si parla. - ammise, portando una mano a coprire un’altra leggera risata. Forse Helga in quell’occasione non aveva proprio organizzato delle coppie spettacolari, ma in fondo era importante divertirsi e stare insieme, in tranquillità, non c’era nessun premio da vincere alla fine della lezione.
    Iniziarono con un esercizio abbastanza semplice all’apparenza, che non necessitava di troppe acrobazie. Si dispose di fronte ad Astrid, afferrando le sue mani e cercando di assumere la posizione, mantenendo i piedi uniti a quelli della compagna. Probabilmente, pensandoci bene, Helga doveva aver scelto in base alle loro altezze, non sarebbe stato affatto comodo compiere quell’esercizio con qualcuno che aveva le gambe troppo più lunghe delle tue. -Si, mi sembra fattibile. - disse, mentre cercava di allungare la colonna, seguendo le istruzioni di Helga, senza lasciare le mani di Astrid. -No, ho iniziato da pochi mesi. Questo è il mio primo corso, ma devo dire che mi piace. - rivelò, prima che l’altra invece la informasse di aver iniziato ormai da qualche anno. -Si ho notato che sei arrivata da poco, se così si può dire. - ammise, quando Astrid le disse del suo cambio di orario. L’aveva notata abbastanza in fretta in mezzo alla classe, era una ragazza molto carina e gentile, oltre che essere anche più brava della loro media. -Ultimamente sembra volerci sorprendere con gli effetti speciali, forse crede troppo in noi. - aggiunse, con un leggero sorriso, prima che Helga le invitasse a sciogliere la posizione, per poi spiegarne una nuova, che sembrava decisamente più impegnativa. Consigliò a chi non se la sentiva di svolgere l’esercizio al completo di tenere le mani della compagna o del compagno, per cercare di trattenerlo in aria. -Sì, mi sembra l’idea migliore. - disse, quando Astrid propose di utilizzare quel piccolo stratagemma, per poi chiederle come voleva tentare di svolgere l’esercizio. -Direi di provarci entrambe, credo che il brivido dell’altezza ci svolterà la giornata! - mormorò, prima di distendersi a terra, invitando l’altra a tentare di tenersi in equilibrio per prima. -E vada per il caffè e per il dolce. C’è un posto molto carino qui vicino. - disse, annuendo appena tra sé e sé prima di cercare di aiutare l’altra a posizionarsi in equilibrio sopra di lei, trattenendo le sue mani. Si rese conto della difficoltà del riuscire a reggerla, lei che ancora non era diventata molto pratica. Sentiva le sue gambe tremare appena per lo sforzo, ma cercò di tenere la presa, anche se vide Astrid ondeggiare per qualche istante. -Ok, direi che se non vuoi cadere questo è il momento di scendere. - ammise, terribilmente spaventata dall’idea di farle male. Una volta in piedi cercò di rifarsi velocemente la coda, prendendo poi un bel respiro prima di tentare l’impresa di salire sulle gambe di Astrid. Non aveva molta fiducia nella riuscita, visto che era convinta di non azzeccare il corretto baricentro. Infatti, dandosi una spinta sin troppo decisa finì con lo sbilanciarsi di lato prima che l’altra potesse afferrare le sue mani e ruzzolare giù. Rise, inondando la sala con la sua risata sin troppo divertita, facendo voltare alcuni degli altri allievi nella loro direzione. -Scusami, non sei stata tu. Sono io che sono un disastro! Riproviamo! - disse quindi, sicura come non era mai stata prima di qualcosa. Era divertente nonostante le pessime figure che aveva collezionato nel corso dei mesi.
    Dopo qualche altro tentativo e diverse risate si diressero tutti nello spogliatoio per recuperare le loro cose, fare una doccia veloce e cambiarsi i vestiti. -La prima che finisce aspetta l’altra e poi facciamo un salto alla bakery qui davanti. - propose, prima di affrettarsi a darsi una sistemata e rientrare nel suo vestito. Lasciò i capelli sciolti, dando una pettinata piuttosto veloce dopo averli asciugati e risistemò velocemente il trucco, per poi infilarsi all’interno del suo cappotto color crema e dirigersi verso l’uscita dello spogliatoio. Era diventata abbastanza veloce in quei cambi, visto che di solito non aveva molto tempo per portarli a termine, ma a Astrid era stata più veloce di lei. -Mannaggia, e io che credevo di essere stata velocissima. - mormorò, scuotendo il capo con aria affranta, prima di raggiungerla e dirigersi insieme all’altra verso l’uscita. Dovettero semplicemente attraversare la strada per raggiungere quel piccolo locale che emanava un bel profumo di pane e di dolci. Aveva sempre un’aria così invitante e si tratteneva sempre cinque minuti lì dentro prima di tornare a lavoro, ma quel giorno per fortuna aveva un po’ più di tempo. -Quanto tempo abbiamo? Tra quanto devi tornare a lavoro? - domandò, mentre si accomodavano ad uno dei tavoli che stava di fronte ad un’ampia vetrata, con vista sulla strada.
     
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    «Maggie allora.» rispose lei, stringendole la mano con un sorriso a labbra chiuse. Non era una tipa da vezzeggiativi o diminutivi e, anzi, era piuttosto infastidita quando qualcuno li usava per storpiare il suo nome, ma era perché il suo non si prestava, come quello di Magnus o quello di Rem: sarebbero stati tremendi da sentire. Discorso diverso faceva invece per Vivian, che aveva imparato a conoscere semplicemente come Vee, e a quel punto anche per Margareth/Maggie, visto che lo preferiva. Più la guardava comunque, più aveva l'impressione di aver già visto il suo volto da qualche parte, anche se non riusciva davvero a ricordare dove: dopo esser sopravvissute a quella lezione, magari, avrebbe potuto chiederglielo. «Beh, benissimo.» rispose alla totale ignoranza della donna, alzando una mano e mimando un "ok" divertita, ritornando poi con gli occhi a guardare Helga: stava iniziando ad essere un po' troppo rumorosa, un brutto vizio che faceva capolino di tanto in tanto, sotto il vigile occhio giudicante dell'insegnante di yoga. Gli esercizi che quest'ultima chiese loro di eseguire, all'inizio, non sembrarono troppo difficili: concordarono infatti entrambe che fossero fattibili, eseguendoli senza particolari problemi, appurando in quella sede che Maggie non era una veterana come lei e che, al contrario, quello fosse il suo primo corso. «Ah, ecco perché non sapevi cosa fosse l'acroyoga.» esordì, annuendo appena. Tutto spiegato. «Confesso che il tuo outfit perfetto mi ha tratta in inganno, io vengo sempre qui come una sfollata.» mormorò, con una leggera smorfia, assecondando con le mani il suo movimento affinché allungasse per bene la colonna vertebrale. Non si era mai preoccupata troppo dei vestiti da indossare per le lezioni, ma in generale non si preoccupava granché di ciò che metteva addosso: ogni mattina apriva l'armadio, osservava i suoi abiti - non troppi, non le piaceva accumulare oggetti - e sceglieva ciò che le consigliava il cuore. Aveva alcune abitudini, come l'indossare sempre dei bracciali o degli anelli, e poi le piaceva che i capelli fossero in ordine: era un bel problema considerando quanto negli anni li aveva rovinati, con cambiamenti di colore e stress di vario tipo, ma continuavano a sopravvivere senza esser troppo stepposi.
    -Si ho notato che sei arrivata da poco, se così si può dire. - Ci aveva fatto caso? Sì, in effetti era naturale, considerato quanto alle volte sapeva esser rumorosa. Astrid si limitò a ridacchiare flebilmente, distogliendo la sguardo da lei per un momento e riportandolo poi sulla posizione, commentando le assurde idee di Helga: «Vero, però è divertente. Mi piace mettermi alla prova, anche se finisco col riempirmi di lividi assurdi.» ammise lei, candidamente. Ne aveva giusto un paio sulle braccia, ancora piuttosto doloranti: se li era fatti nel vano tentativo di eseguire una posizione sostenendosi col solo ausilio degli altri superiori, senza poggiare il peso sulla testa, un tentativo davvero inutile oltre che deludente. Su quella stessa scia di pensieri, fu ben contenta di tentare il colpaccio insieme alla sua compagna di corso, provando ad addolcirlo con un caffè o con un dolce: «Allora dopo esser entrambe cadute andremo lì a rimuginare sui nostri errori!» scherzò, ponendosi su lei e cercando di mantenere l'equilibrio. A furia di far pratica, Astrid aveva sviluppato davvero delle doti in quella disciplina ed infatti, nonostante l'appoggio non fosse dei più stabili, mantenne la posizione per un po' di tempo, scendendo solo dopo che Maggie stessa l'ebbe invitata a farlo. «Guarda che sei stata brava! Non sono così leggera!» la confortò quando fu in piedi dinanzi a lei, inclinando un po' il capo per guardarla. Lo era stata davvero, anche se probabilmente non era stata abbastanza per convincerla.
    Una volta a terra, fu il suo turno: Maggie non era pesante e lei era abbastanza allenata da poterla reggere senza problemi, ma non ebbero nemmeno il tempo di provarci. Finì rovinosamente a terra - l'aveva detto dopotutto - con a far eco a quella tremenda caduta le loro stesse risate: «Fatta male?» chiese, alzandosi sui gomiti, con un sorriso ancora stampato sul volto. Per fortuna no. Riprovarono ancora qualche volta, sotto il vigile occhio di Helga che venne a dar loro qualche consiglio, e poi uscirono fuori dalla sala per dirigersi negli spogliatoi: si erano date appuntamento all'esterno, promettendosi di aspettarsi qualora una avesse finito prima dell'altra. Astrid, di norma, era piuttosto veloce nel sistemarsi: filò nel box doccia per darsi una rapida sciacquata, avendo cura di legare i capelli in uno chignon per non bagnarli. Una volta pronta, si diede una sistemata allo specchio, ravvivò il mascara - che era andato completamente via tra doccia e lezione - e mise un filo di crema: di solito portava gli occhi truccati con una semplice riga di eyeliner che, al contrario del mascara, non si sgretolava per qualche gocciolina d'acqua. Una volta pronta, indossò la sua giacca rossa, si diede un'ultima ravvivata ai capelli e poi uscì fuori, infilandosi gli occhiali da sole: era una bella giornata, l'ideale per starsene un po' in giro prima di tornare a lavoro. Di sicuro anche quel giorno non sarebbe rincasata prima dell'orario di cena, considerato gli appuntamenti che aveva, ma non le pesava: l'unico problema era davvero il non poter passare del tempo all'aria aperta. Le piaceva il verde, il vento fra i capelli, le piaceva il mare soprattutto: non vedeva l'ora tornasse l'estate per poterci andare. -Mannaggia, e io che credevo di essere stata velocissima. - Astrid si voltò verso l'ingresso, dove apparve Margareth vestita di tutto punto, avvolta in un cappotto color crema: «Lo sei stata, sono io che non ho lavato i capelli. In effetti ho un po' barato.» le spiegò, prendendo una ciocca e facendola ondeggiare. «A mia discolpa, sono ancora puliti!» Forse avevano ancora il profumo di shampoo.
    Sotto consiglio dell'altra, attraversarono la strada per andare in una bakery sulla quale il suo sguardo si era posato di tanto in tanto: «E' la prima volta che ci entro. Quando venivo qui di sera la beccavo sempre chiusa o non avevo il tempo di entrare, sarà la mia prima volta qui.» mormorò, guardandosi un po' intorno. Era un posticino accogliente ed il profumo era ancora meglio. Si accomodarono entrambe ad un tavolo libero, di fronte ad una grande vetrata che dava sulla strada: Astrid aveva poggiato in terra il suo borsone, facendolo scivolare sotto la sedia per non essere d'intralcio. -Quanto tempo abbiamo? Tra quanto devi tornare a lavoro? - le chiese. «Tra parecchio.» rispose di getto, alzando il polso per osservare l'orologio digitale che indossava quasi sempre: era minimal, niente di speciale, serviva a tenerle sotto controllo il battito cardiaco, a contare i passi e, ovviamente, a dirle l'ora. L'idea di guardare il cellulare anche per quello l'infastidiva, di fatto l'aveva comprato per quel motivo, non per tutte le altre caratteristiche incluse nel pacchetto: «Credo che prima di un paio d'ore non dovrò tornare in studio.» Il suo appuntamento pomeridiano era alle 16:30 ed era decisamente presto per avviarsi da lì: poco male, le piaceva quel posto ed anche la compagnia - sperava - non fosse da meno. «Io sono una psicologa, ho uno studio associato con una mia collega poco distante da qui.» le spiegò, alzando un po' le braccia. «Anche se forse non ne ho tutto l'aspetto, sono un po' troppo casual per essere una "strizzacervelli".» Un termine che aveva sempre detestato ma che, col passare del tempo, aveva iniziato ad usare per esorcizzarlo: non era offesa dalla gente che la definiva tale, era offesa da chi lo faceva davvero. Purtroppo, aveva toccato con mano quanto la mente umana potesse essere fragile e quanto, con le parole giuste, i cervelli potessero essere davvero ridotti in pezzi, insieme alle anime dei loro possessori. «Tu invece, di che ti occupi?» domandò, curiosa, distogliendo lo sguardo da lei solo quando giunse un cameriere per prendere le loro ordinazioni. «Mh, per me il dolce della casa - non c'è il cocco, vero? - e anche un caffè.» gli disse, senza neanche consultare il menù: riusciva a fidarsi dal solo profumo. Appurato che non vi fosse davvero il cocco e che per quella giornata vi erano dei semplici skillingsboller, dei dolci alla cannella norvegesi, Astrid tornò a concentrare le sue attenzioni su Maggie: «Mi rendo conto che sembra che ci stia provando o cose del genere» iniziò a dire, alzando una mano e giocherellando con i capelli, raccogliendoseli fra le dita e portandoseli su di un lato. «ma hai davvero un viso familiare. E' possibile che ci siamo conosciute da qualche parte?» Se era originaria di Besaid ed aveva sempre vissuto lì poteva essere, alla fin fine i volti erano più o meno sempre gli stessi: «Università magari...?» chiese, tentandola un po' a caso. Aveva conosciuto Magnus lì, perché non anche lei? Ad esser sincera, però, era piuttosto certa che se l'avesse vista in quella sede si sarebbe ricordata di lei: aveva un bel viso, dei tratti molto dolci e delle espressioni gentili, piuttosto difficili da dimenticare in un ambiente come quello. Probabilmente lì sarebbe persino finita col parlarle di cose stupide come poi, d'altro canto, stava facendo in quel momento: perché era nata così logorroica? Enorme, immenso, stratosferico quesito al quale nessuno nella famiglia Nilsen era mai riuscito a dare risposta.
     
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    Sorrise, senza alcuna vergogna, quando l’altra le disse che il suo outfit l’aveva tratta in inganno, facendole credere che fosse una veterana di quello sport. -No, purtroppo sono solo una patita di shopping. - ammise quindi, con una leggera risata. Era più forte di lei, aveva sempre avuto una certa passione per vestiti e accessori. -Mi sono comprata dei completini solo per convincermi a venire, visto che avevo il giusto abbigliamento. Tendo a essere poco costante con l’attività fisica purtroppo. - continuò, stringendosi appena nelle spalle mentre raccontava quei pochi dettagli su di sè. -Non penso che esista un vero e proprio dress code per questo genere di cose, quindi non credo che tu debba preoccupartene. - aggiunse quindi, mentre continuava a cercare di portare a termine l’esercizio, osservando i movimenti della sua collega. -Dopotutto lo yoga serve anche a stare bene con noi stessi no? - terminò, con quella semplice domanda, come a dirle che se lei si sentiva più a suo agio con quel genere di vestiti era giusto che indossasse quelli. Da quando sua madre aveva lasciato la città, diversi anni prima, Margareth si era imposta di trovare un suo personale stile, qualcosa che la facesse sentire bene e al sicuro e i vestiti eleganti o perfettamente abbinati erano il suo scudo contro il mondo. Soltanto quando la sua figura davanti allo specchio le sembrava adeguata riusciva a rasserenarsi e affrontare la giornata con tranquillità. Non avrebbe potuto sopportare l’idea di uscire di casa con i capelli fuori posto, il trucco mal fatto o con una borsa o delle scarpe che non stavano bene con gli abiti che aveva messo addosso. Probabilmente si sarebbe tolta molti pensieri se avesse iniziato a fregarsene un po’ di più del suo aspetto e di ciò che il resto del mondo pensava, ma quelle cose le piacevano e non voleva davvero rinunciarci.
    Si misero alla prova con gli esercizi che Helga propose loro, via via sempre più complicati. Guardò Astrid con sorpresa e un pizzico di rispetto quando l’altra le disse che a volte provava da sola a praticare quel genere di esercizi, finendo con il procurarsi dei lividi. Per lei invece era già un grande passo riuscire a seguire il corso con costanza, ancora non riusciva a praticare lo yoga anche a casa. Si diceva che era per via di Lily e dei troppi impegni, ma la verità era che la sua pigrizia non era stata ancora del tutto spodestata. Non si poteva cambiare radicalmente le proprie abitudini da un girono all’altro, ma era sulla buona strada. Si impegnò al massimo quindi per cercare di tenere la sua partner in equilibrio, sorridendo poi quando l’altra, dopo essere tornata a terra, si complimentò con lei. -Sei rimasta perfettamente immobile, hai reso il tutto molto più semplice. - ammise quindi, preferendo evitare di prendersi dei meriti che non aveva. Nella vita in molti cercavano di appropriarsi di ciò che non gli apparteneva, ma Margareth non aveva mai voluto prendere quella strada. Scambiarono posizione quindi e Astrid si sdraiò a terra mentre la bionda cercava di capire come assumere la sua posizione. Finì a terra al primo tentativo, facendo preoccupare un po’ la collega. -No no, tutto a posto, sono caduta sul morbido. - disse, scherzando su quei chiletti di troppo che aveva accumulato negli ultimi anni. Si rimise in piedi quindi, prendendosi un momento per ascoltare i consigli della loro insegnante prima di riprovare, questa volta con più calma e quindi riuscire a portare a termine l’esercizio senza ulteriori complicazioni. La sua figura non era in equilibrio quanto quella di Astrid, ma almeno non era finita di nuovo a terra. Era stato piacevole e divertente fare coppia con lei. La ragazza le sembrava molto gentile e sempre pronta a rivolgerle qualche parola per tranquillizzarla o spronarla. Se avessero mantenuto quelle coppie nel tempo forse sarebbero riuscite a portare a termine anche esercizi ben più complessi, con la giusta pratica.
    Propose di vedersi fuori dagli spogliatoi, per tenere fede alla promessa che si erano fatte in sala e quindi cercò di prepararsi nel minor tempo possibile, così da non farla aspettare troppo. Sfortunatamente una volta lasciato lo spogliatoio notò la figura di Astrid ad attenderla. Le rivelò di aver fatto in fretta perché non aveva dovuto asciugare i capelli e questo la rincuorò appena. Quando era più giovane la zia Rory si lamentava sempre del tempo che trascorreva in bagno per prepararsi ogni volta che doveva uscire. Con gli anni aveva cercato di diventare un po’ più veloce, ma non sempre le riusciva. Le sorrise quindi, con molta tranquillità, mentre le indicava il locale dall’altra parte della strada che l’altra invece non aveva mai visitato prima di quel momento. -Si, purtroppo non restano aperti sino a tardi perché iniziano a sfornare molto presto la mattina. - spiegò, visto che lei con il tempo aveva imparato i loro orari e aveva anche scambiato qualche chiacchiera con le varie cameriere nelle giornate in cui si recava lì da sola e non aveva voglia di mantenere il silenzio. Si accomodarono ad un tavolino e mentre Astrid nascondeva il suo borsone sotto la sedia Maggie invece lo posò tra lei e il muro che distava pochi centimetri. Sapeva che mettendolo sotto la sedia avrebbe finito con l’urtarlo e impigliare il tacco delle sue scarpe da qualche parte e preferiva evitare le figuracce ad un primo incontro con qualcuno. Si informò sul tempo a loro disposizione scoprendo così che l’altra aveva almeno due ore prima di dover tornare a lavoro. Anche lei si guardò l’orologio, decisamente più tradizionale di quello dell’altra, notando di avere giusto una mezz’ora in meno di lei, ma non avendo particolari appuntamenti si sarebbe anche potuta permettere un po’ di ritardo.
    Annuì, ascoltando con interesse le spiegazioni dell’altra sulla sua professione, per poi scuotere il capo quando disse che non aveva proprio l’abito adatto per essere una psicologa. -Capisco cosa intendi, anche io sul lavoro verrei guardata male se non mi vestissi così. - disse, indicando il vestito che aveva addosso. -Ma considerando che hai uno studio tutto tuo credo che tu possa permetterti di scegliere per te stessa senza curarti di quello che pensano gli altri del tuo abbigliamento. – aggiunse poi, prima che l’attenzione si spostasse su di lei. -Io sono un avvocato, lavoro da Pettersen & Sons, lo studio legale che si trova qui in centro, a pochi minuti dalla palestra. - spiegò, con molta tranquillità, per poi prendere il menù tra le mani quando vide arrivare il cameriere per prendere le ordinazioni. Era uno studio piuttosto noto ma non dava per scontato che tutti in città lo conoscessero. -Per me un wafer con marmellata di mirtilli neri e un caffè. - aggiunse poi, dopo aver atteso che Astrid facesse la sua scelta. Si portò una mano verso i capelli, per mandare indietro alcune ciocche che, ribelli, le erano finite sul volto. -Devo dedurre che non ti piaccia il cocco? - chiese, con una certa curiosità, prima che l’altra le facesse notare che le sembrava di averla già vista in passato, anche se non riusciva proprio a ricordare dove. Si fece più attenta, osservandola ora con più attenzione, per cercare di cogliere anche lei quella strana familiarità. -Uhm.. E’ possibile, ho studiato Giurisprudenza qui a Besaid. - iniziò, mentre ragionava sul suo periodo universitario e sulle amicizie fatte in quegli anni. -Potremmo anche esserci incrociate nel periodo scolastico, non credo ci siano molti anni di differenza, anche se potrei sbagliarmi. - aggiunse, lasciandosi andare ad una leggerissima risata. Era abbastanza convinta di essere più grande di Astrid, ma sperava che non ci fossero troppi anni a separarle. -O potremmo essersi incrociate nel periodo in cui lavorava nel bar sulla spiaggia, anche se saranno passati più di dieci ormai. - terminò, rendendosi conto di quanto il tempo fosse passato. Chiudendo gli occhi avrebbe potuto benissimo ricordare la se stessa di quel periodo, anche se tantissime cose era cambiate da allora.-Ero decisamente più espansiva in quel periodo. - mormorò quindi, con un sorriso piuttosto allegro a colorarle le labbra. Le sembrava passata una vita rispetto a quella ragazza spensierata.
    In pochi minuti finalmente arrivarono le loro ordinazioni. Sorrise gentilmente al cameriere prima di avvicinare a sé il caffè, soffiandoci piano sopra per sfreddarlo appena. -Ora invece sarò io a fare una domanda forse un po’ fuori luogo, visto che in effetti non siamo qui per parlare di lavoro, ma non mi capita spesso di incontrare una psicologa. - disse, cercando di trattenere una leggera risata mentre iniziava a sorseggiare il caffè. -Mi capita molto spesso di avere a che fare, nei miei casi, con donne che hanno delle situazioni molto complicate che potrebbero aver bisogno di un supporto non solo legale. - iniziò, mantenendo la faccenda sul vago, senza parlare nel dettaglio dei problemi o fare i nomi di nessuna di loro. Non poteva parlare direttamente dei suoi assistiti, ma poteva esporre la faccenda in linea generale. -Se qualcuna di loro mostrasse interesse nell’avere aiuto, potrei proporre il vostro studio? - domandò, sperando che Astrid non la prendesse come una richiesta troppo strana. -Non è detto che accettino, spesso hanno dei problemi economici e le cause sono pro bono, ma sono dell’idea che anche solo una seduta potrebbe fare una grande differenza. - terminò, per poi prendere la sua forchetta e tagliare un pezzetto del suo dolce e assaggiarlo con una certa soddisfazione. -Ma ora basta parlare di lavoro, prometto di non citare più l’argomento per oggi. - disse, sollevando una mano per andare a posarla sul petto, a mo’ di promessa. -A parte lo yoga quali sono i tuoi interessi? - domandò, soffermandosi per qualche momento ad osservarla, prima di continuare a sbocconcellare il suo dolce. Era da qualche mese che non si permetteva di prendersi del tempo per conoscere qualcuno di nuovo e voleva quindi godersi almeno quelle ore con tutta la tranquillità del mondo, senza fretta o intoppi.
     
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    In quello forse le due non potevano essere più diverse: Astrid si preoccupava davvero poco di vestiti e dresscode, non era mai stata una patita di shopping, sebbene alle volte le facesse piacere cercare il vestito adatto per qualche occasione, probabilmente più perché non era più nella pelle per il fantomatico evento che perché amasse quel girare fra i negozi e provare abiti su abiti. Sulla costanza nello sport tuttavia erano pressoché gemelle: «Anch'io, sai?» esordì, entusiasta. «Prima di scoprire lo yoga ho sprecato non so quanti soldi negli abbonamenti annuali in palestra, come se l'iscrivermi potesse effettivamente fungere da sprone.» scosse la testa nel fare quell'affermazione, un po' delusa in effetti nel ripensare a quante volte ci avesse provato senza ottenere alcun risultato. «Ci sono andata due volte, forse, in 12 mesi.» Un vero e proprio affarone, anche se alla fine non era dispiaciuta: era convinta che tutto quello che accadeva nella vita servisse a prepararli al futuro, a qualcosa che ancora doveva arrivare. Per lei la lat machine era stata solo un prequel ad un attività che, al contrario, l'aveva rapita come poche altre cose al mondo: era davvero da un po' che lo praticava ed oramai la sua vita pareva scandita da quei movimenti lenti che le permettevano di dare un buongiorno al mondo decisamente più positivo rispetto a quanto non facesse prima di conoscerla. Era come aveva detto Maggie: serviva proprio a star bene con se stessi. «Hai riassunto alla perfezione questa disciplina.» concordò, con un sorriso, tornando però a farlo per davvero. Si stava gingillando un po' troppo con la sua nuova compagna di esercizi ed Helga non pareva contenta di tutto quel chiacchiericcio, tanto che all'ennesimo sguardo di finto rimprovero, Astrid alzò una mano a mimare delle scuse, con una smorfia dipinta sul volto: in fondo la lezione era finita.
    Conclusa anche quella mezz'ora di esercizio supplementare, con non poco disagio, le due filarono nello spogliatoio in attesa di ribeccarsi all'esterno per il caffè che si erano promesse: era sempre bello fare nuove conoscenze, soprattutto quando c'erano degli interessi comuni a fare da sfondo. Di base, poi, Astrid era davvero socievole: era difficile che qualcuno entrasse a tal punto nelle sue grazie da esser considerato un amico e non un conoscente, ma dava a tutti l'occasione di spezzarle il cuore far parte di quella stretta cerchia. Alle volte si chiedeva se forse non fosse un totale fallimento come amica: con Lys le cose si erano fatte tese ed era colpa sua, lo sapeva, per quanto questo fosse solo un motivo di sofferenza maggiore. Aveva colto quell'occasione per indagare di più su di sé, sul suo comportamento, chiedendosi per davvero se fosse una persona decente come credeva, alle volte cadendo in un brutto baratro: protagonista di relazioni finite male, alcune più di altre, Astrid non era mai riuscita a dare la colpa al fato, all'incompatibilità, spesso infatti era arrivata ad accusarsi lei stessa di comportamenti sbagliati, finendo col coltivare una così bassa di stima di sé che forse, nel fare un tuffo nei suoi pensieri, i suoi pazienti avrebbero iniziato a non creder più a ciò che gli propinava con l'intento di aiutarli a risollevarsi dal loro di abisso. Era una fortuna che tante cose rimanessero celate fra il terapeuta e se stesso.
    «In effetti, se fossi nei tuoi panni questo abbigliamento casual mi farebbe apparire ancora meno convincente come avvocato.» mormorò, concordando con Maggie sul fatto che avere un proprio studio la rendesse un briciolo più libera: «Dev'essere abbastanza dura sentirsi perennemente giudicati persino per l'abbigliamento. Gli avvocati sanno essere abbastanza, come dire, puntigliosi le disse, senza avere tuttavia alcuna intenzione di offenderla o risultare cattiva: era abbastanza raro che con quel tono e quello sguardo potesse farlo, ma sempre meglio precisarlo. «Forse per deformazione professionale. Dalla regia, alias dalle ipotesi dei miei amici, mi dicono che anch'io alle volte inizio a "psicanalizzare le persone", anche se non ne ho intenzione.» Magnus gliel'aveva detto quando non era nemmeno una psicologa, anche se alla fine lei involontariamente l'aveva fatto comunque, ritrovandosi a conoscerlo più di quanto lui stesso volesse: di certo, però, non se n'era pentita. Anche lui faceva parte di quella ristretta cerchia di persone alle quali Astrid teneva più della sua stessa vita e, a modo suo, sapeva che anche per lui non era diverso.
    -Devo dedurre che non ti piaccia il cocco? - «Beccata. Lo detesto. E per qualche ragione è ovunque!» Come se mettere delle scaglie di cocco sul cioccolato o su altri tipi di dolci potesse renderli più appetibili. Accantonato comunque l'argomento cibo, la ragazza decise di togliersi un sassolino dalla scarpa che già da un po' la stava torturando: Maggie aveva un viso familiare ed Astrid aveva una pessima memoria per le persone con le quali aveva parlato poco. Era in grado di ricordare vita morte e miracoli degli altri, ma per tutti gli altri zero totale, nulla cosmico, vuoto siderale. Non era da escludere che si fossero conosciute all'Università, anche lei aveva studiato a Besaid e non essendo un ateneo troppo grande i volti erano più o meno sempre gli stessi: in quel periodo però, Astrid frequentava un po' sempre le stesse persone, troppo impegnata a lavorare e a studiare al contempo per coltivare nuove amicizie. Senza contare che, durante il suo primo anno da matricola, Magnus le aveva fatto conquistare il posto d'onore nella bacheca dei falliti, con una caduta nella birra che fu ricordata per diversi anni: ci pensò un momento, chiedendosi se fosse il caso di farla presente anche a lei, ma alla fine pensò che non fosse il caso. Meglio evitare figuracce già al primo incontro. tanto glielo dirà/lo sa già, non prendiamoci in giro. -Potremmo anche esserci incrociate nel periodo scolastico, non credo ci siano molti anni di differenza, anche se potrei sbagliarmi. - «Di che anno sei?» domandò, curiosa, essendo tuttavia dello stesso avviso. «Io sono del '92, del 9 marzo per la precisione.» aggiunse, rendendosi poi conto d'essere stata un pochino maleducata nel porre la domanda in quel modo così diretto: alle volte alla gente dava fastidio dover render conto della propria età, ma lei non ci pensava e, visto che di sicuro gli anni che si passavano lei e Maggie non potevano esser più di due o tre, era dell'idea che per lei fosse lo stesso. Lo sperava almeno.
    -O potremmo essersi incrociate nel periodo in cui lavorava nel bar sulla spiaggia, anche se saranno passati più di dieci ormai. - Gli occhi di Astrid si assottigliarono un momento, mentre cercava di associare il ricordo della ragazza bionda in spiaggia alla donna che stava vedendo lì in quel bar: certo, portava i capelli acconciati in maniera diversa all'epoca ed anche i vestiti erano di tutt'altra pasta, ma era inconfondibilmente lei. «Siii esatto! Venivo spessimo in spiaggia in quel periodo, ho lavorato per la ditta che vi riforniva.» Uno dei tanti lavori che aveva fatto per potersi permettere la doppia in cui aveva vissuto per parecchio tempo con Sylvia e le altre coinquiline: all'epoca non ci aveva scambiato molte parole se non i classici convenevoli, aveva solo pensato che fosse una bella ragazza e che magari prima o poi avrebbero potuto bere qualcosa insieme. Non aveva mai trovato il coraggio di farlo né tantomeno l'occasione, finendo poi con l'incontrare di lì a poco l'altra bionda della sua vita, quella che ancora non riusciva a salutare in giro per Besaid e dal cui sguardo fuggiva come dal peggiore degli incubi. Chissà quante cose sarebbero cambiate se all'epoca, a quel bar, avesse chiesto il numero a Maggie. «Io ero decisamente più timida invece.» si accodò a lei, sorridendo lievemente mentre rivolgeva lo sguardo verso la cucina, dalla quale di lì a poco uscì il cameriere con le loro ordinazioni. «Dopotutto si cresce, le cose cambiano ed anche i lavori.» concluse, facendosi lievemente più in là per far spazio al ragazzo sul tavolo: aveva tutto un'aspetto squisito, tanto che non attese che pochi attimi prima di addentare il dolcetto, appurando che non solo sembrava buono ma lo era anche. «Ne vuoi? Che maleducata.» fece, ripoggiandolo sul piattino. -Ora invece sarò io a fare una domanda forse un po’ fuori luogo...- «Più della mia?» le chiese, facendole un cenno come a suggerirle di andare avanti, senza preoccuparsi: certo, forse parlare di lavoro non era proprio il massimo, ma non la giudicò né tantomeno l'interruppe ulteriormente, volendo capire dove volesse arrivare. «Che bel pensiero.» rispose candidamente lei quando ebbe finito di esporle la sua idea, con gli occhi rivolti sul volto di Maggie che aveva distolto i suoi per concentrarsi sul dolce. «Aspetta, credo di avere un biglietto da visita mio e di Helen...» mormorò, abbassandosi lievemente su di un lato per recuperare dalla borsa il portafogli: ne portava sempre un paio con sé, nella speranza che magari quell'indirizzo potesse effettivamente far comodo a qualcuno di tanto in tanto. Aprì il portafogli in cuoio - un regalo di Rem, ormai di parecchi anni prima che vedeva sulla superficie diversi segni del tempo, ma non per questo era meno bello - e da esso vi estrasse il piccolo cartoncino che recitava "Laine & Nilsen" in bella grafia, in nero, con al di sotto i titoli delle due, indirizzo, email e numero di telefono, tutto il necessario per potersi mettere in contatto con loro. Ne aveva più d'uno, per fortuna, e così li prese tutti, porgendoli poi a Maggie: «Sono sicura che anche per Helen non ci sarà nessun problema, però magari posso darti conferma non appena la vedo, per sicurezza, anche se conoscendola ne sarà di sicuro entusiasta.» L'aveva conosciuta per caso e si era totalmente innamorata di lei, del suo modo di fare, persino della sua famiglia e del suo compagno: erano bellissimi insieme e, non poteva negarlo, quando al matrimonio si erano scambiati i voti aveva sentito gli occhi gonfiarsi di lacrime per la commozione. «Quindi ti occupi principalmente di cause pro bono?» domandò poi, avvicinandosi alle labbra la tazza col caffè per farne un sorso. «Per certi versi, facciamo un lavoro stranamente simile: cerchiamo tutte e due di aiutare persone che, senza di noi, faticherebbero a farcela da soli.» Sorrise lievemente nel dirlo, alzando poi un po' le spalle: «Anche se credo che si tratti più di insicurezza che di debolezza: io mi occupo solo di dare la spinta, il grosso del lavoro lo fanno i miei pazienti.» C'era una sfumatura di dolcezza nella voce di Astrid che mai poteva mancare quando iniziava a parlare di quell'argomento: riduttivo era parlare di "lavoro", per lei tutti erano come dei figli, in un certo senso. Era contenta nel vederli migliorare, fare progressi, era triste quando invece ciò non accadeva e si ritrovava ad asciugar loro le lacrime, cercando un modo di farli andare avanti. Era un lavoro complesso che, lei stessa, alle volte credeva di non esser capace di fare: vedeva e sentiva così tante cose, ma questo non era che uno sprone a migliorarsi, ad aggiornarsi, a diventare sempre più brava per loro. Era per questo che dopotutto aveva scelto quella strada, per aiutare le persone, non per altro.
    Con la promessa di non parlare più di lavoro - non che poi le fosse pesato - Maggie le domandò quali fossero i suoi interessi, a parte l'unico che avevano avuto modo di condividere: «Terapia a parte?» la prese un po' in giro, ritornando al discorso principale. «Mi piace molto la musica. Credo che potrei passare la vita ad un festival, pur non conoscendo nemmeno una parola delle canzoni che vengono suonate.» Era l'ambiente che le piaceva, quel contesto in cui tutti sembrano amici di tutti e c'è sempre qualcosa da dire o raccontare. «Finisco sempre col trascinare una mia amica agli eventi più impensabili, credo che prima o poi mi denuncerà per sequestro di persona.» Sorrise, vedendo nella sua mente il volto di Lyra che, per qualche motivo, le diceva sempre e costantemente di sì: l'aveva conosciuta all'Egon, proprio mentre cantava, finendo col legarsi a lei e alla sua strana ingenuità, come se provenisse da un'altra epoca. «E come vedi anche da te, sono una persona piuttosto golosa, anche se non mi piace il cocco.» Maledetto cocco. «Oh, e poi mi piacciono i rettili!» Quando parlava di ciò che le piaceva, era diventato quasi naturale parlare del suo piccolo geco leopardo, del quale aveva una marea di foto simpatiche sul cellulare: le sue storie di Instagram pullulavano di contenuti su Cassandre. «Questa è di stamattina. Spero non ti facciano impressione.» fece, girandole il cellulare e mostrandole una delle storie sopracitate: in particolare, quella era una sua foto allo specchio, in pigiama, con la piccolina sulla spalla che sembrava quasi sorridere allo specchio. «E tu invece? Cosa ti piace fare e che demoni spaventosi hai a casa? Sicuramente, meno spaventosi della mia piccola serpe in miniatura.» le rigirò la domanda, poggiando poi lo smartphone sul tavolo con lo schermo rivolto verso il basso: se c'era una cosa che odiava, erano le persone che non si soffermavano sul proprio interlocutore mentre gli parlavano, troppo impegnate nel leggere questa o l'altra notifica. La reputava una mancanza di interesse e, mai come in quel caso, Astrid era davvero interessata a sapere qualcosa di più sulla ragazza del bar sulla spiaggia: magari era la volta buona per depennare uno dei tanti rimpianti di poco conto che aveva.
     
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    ..un luogo al di là del tempo e dello spazio..

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    Margareth non aveva mai avuto problemi nell’indossare abiti particolarmente formali. Non riusciva a ricordare se fosse divenuta un’abitudine da quando aveva iniziato il suo stage presso lo studio dove ora lavorava, o se anche quando era stata più giovane aveva sempre avuto una passione per quel genere di vestiti. Di certo aveva sempre amato le scarpe con un tacco decisamente troppo alto per poterci camminare senza problemi per tante ore al giorno. Ricordava ancora le prove fatte davanti allo specchio durante l’adolescenza, le ore trascorse con le scarpe alte in casa per allenarsi e imparare a camminare in maniera tale da non sembrare troppo imbranata. Quante volte aveva sceso e salito le scale di casa a sedici anni, rischiando di rompersi l’osso del collo nelle cadute, scatenando le furie di zia Lorelai che la rincorreva per la casa per assicurarsi che stesse bene. A pensarci ora le sembrava una vita completamente diversa, una Margareth che faceva fatica a riconoscere, eppure era stata comunque una parte di lei, per quanto avventata e combina guai. Ora comprendeva il punto di vista di sua zia, l’apprensione con cui l’aveva sempre guardata, perché era la stessa che lei rivolgeva alla piccola Lily, sempre preoccupata che potesse capitarle qualcosa. Anche in quel momento, mentre si prendeva del tempo con sé per bere un caffè in compagnia, si chiedeva se sua figlia stesse bene, se fosse già tornata a casa, se la sua mattinata a scuola fosse andata per il verso giusto. Non poteva controllare ogni istante della vita di lei, ma le sarebbe piaciuto poter avere la certezza che, se c’era qualcosa che la preoccupava, lei glielo avrebbe detto. Forse in effetti anche a lei avrebbe fatto bene qualche seduto da uno psicologo, ci aveva pensato più di una volta in passato ma continuava a rimandare, troppo presa da altri impegni e dal far andare per il verso giusto le vite degli altri, finendo con il mettere da parte la sua. Sperava che quel corso di Yoga sarebbe stato l’inizio di una maggiore attenzione nei suoi stessi confronti, ma una parte di lei sapeva che, presto o tardi, avrebbe finito con il boicottarsi di nuovo, accettando troppe ore di straordinario, prendendo più impegni di quanti fosse in grado di gestirne, e giungendo così alla conclusione di non avere abbastanza tempo per quel corso che, sebbene molto divertente e gratificante, forse non era necessario.
    Sorrise quando anche l’altra si espresse riguardo l’abbigliamento e i giudizi che gli altri davano in merito. In effetti alcuni dei suoi colleghi si lasciavano spesso andare a commenti, anche relativamente al modo di vestire di alcuni clienti, ma lei non si era mai persa troppo in simili questioni. Non faceva differenze di quel genere tra i suoi assistiti. -In realtà oramai non ci faccio più molto caso. - rispose, in maniera del tutto sincera, mentre si guardava brevemente gli abiti, per poi rivolgere il suo sguardo di nuovo verso Astrid e sorriderle. -Temo di essermi abituata, ormai non riesco a vedermi bene con un abbigliamento troppo casual. - ammise, con un’espressione vagamente colpevole. A volte invidiava le persone che riuscivano a sentirsi bene ancora con indosso una tuta da ginnastica o con i capelli fuori posto. Lei si sarebbe truccata persino per stare in casa durante il finesettimana se soltanto ne avesse avuto il tempo, in mezzo a tutti gli impegni di Lilian, tra compiti e altre attività. Riusciva a stare bene solo quando ogni suo capo d’abbigliamento era abbinato con cura, insieme alle scarpe, alla borsa, agli accessori e alla sua acconciatura. Alcune amiche le avevano detto che avrebbe vissuto una vita più tranquilla se si fosse preoccupata meno dell’aspetto ma in quel momento della sua vita non ci riusciva proprio. Chissà, magari un giorno la sua vita sarebbe stata così felice e serena di non avere bisogno di tutti quei dettagli per stare bene. -Oh beh, allora spero che la mia psiche non appaia troppo disastrata. - scherzò, quando l’altra le disse che a volte tendeva, senza volerlo, a psicanalizzare le persone. Non sapeva che tipo di sensazioni dava alle persone al primo incontro, se riuscisse a dare una buona impressione di sé o se anzi appariva un po’ troppo impettita. Di certo Astrid avrebbe potuto fare un’analisi delle sue movenze e dei suoi atteggiamenti, ma sperava lo evitasse e vivesse quel pomeriggio con la stessa tranquillità con cui voleva farlo lei.
    Si appuntò mentalmente l’avversione della ragazza nei confronti del cocco. In effetti era vero, le capitava spesso di trovarlo in dolcetti o torte, ma apprezzandone il gusto a lei non aveva mai dato particolari problemi. Cercò anche lei di fare mente locale sul luogo in cui poteva aver già incontrato l’altra in passato, rendendosi conto di aver commesso una mezza gaffe quando aveva detto che lei e Astrid potevano avere la stessa età. Sentire la sua data di nascita infatti l’aveva ammutolita per un momento. -No, allora direi che la scuola non è stata il nostro luogo di incontro. - ammise, prendendosi ancora qualche istante prima di darle delle spiegazioni. -Io sono del ’87, decisamente troppo vecchia. - spiegò, lasciandosi andare a una leggera risata. Sperava che Astrid non prendesse male il fatto che aveva supposto che potevano avere età simili, le era venuto spontaneo, non aveva pensato che lei potesse essere in effetti molto più giovane. -26 febbraio, i compleanni sono quasi vicini. - aggiunse, come a voler cancellare la figuraccia e passare a un argomento completamente diverso.
    Riuscirono a individuare l’occasione dei loro incontri e un sorriso le colorò le labbra nel ricordare quegli anni della sua vita, in cui era stata una persona decisamente più spensierata. -Allora è stato sicuramente lì! Chissà quante volte ci saremo incrociate! - mormorò, annuendo tra sé e sé mentre cercava di ricordare qualche occasioni in particolare, senza tuttavia riuscirci. Era il periodo in cui aveva iniziato a uscire con Chris, prima che tutto quanto cambiasse, scombussolato da quella piccola testolina bionda che ancora a volte la faceva svegliare nel cuore della notte. Anche Astrid a quando pare era cambiata, trovando una se stessa più aperta nei confronti degli altri. -Oh no, ti ringrazio. - rispose, continuando a soffiare sul suo caffè, lasciando che l’altra continuasse a mangiare il suo dolce con tranquillità. -Se vuoi assaggiarlo serviti pure. - le propose poi, avvicinando leggermente in direzione della bruna il dolce che aveva preso per se stessa. Bevendo il caffè amaro preferiva sempre terminarlo prima di assaggiare i dolci, o il caffè poi sarebbe stato imbevibile, decisamente troppo amaro in confronto. Approfittando di quel momento di tranquillità pensò di parlarle in via generale di alcune cause di cui si occupava che avrebbero avuto bisogno anche di un sostegno psicologico. Prese i bigliettini da visita di Astrid, leggendo i dati scritti su quella piccola superficie con attenzione, prima di riporli con cura all’interno del suo portafoglio e quindi nella borsa. Sarebbe stato molto più semplice poterne dare uno a ciascuna ragazza piuttosto che dettare semplicemente il numero. -Ti ringrazio tanto! - disse, quando le comunicò che avrebbe chiesto anche alla collega con cui condivideva lo studio così da poter offrire due nomi. -No, non per la maggior parte. - spiegò, cercando di essere un po’ più chiara visto che probabilmente, spinta dalla voglia di parlarle di quel progetto, aveva detto cose poco precise. -Il mio studio non accetta molti casi pro bono all’anno. L’obbiettivo, come tutti i grandi studi, è quello di avere i clienti più facoltosi, così da non avere problemi di anno in anno. - disse, raccontando le dinamiche dello studio in maniera abbastanza veloce. Immaginava che Astrid già sapesse come funzionava in posti come quelli e che non ci fosse quindi bisogno di raccontare tutto per filo e per segno. -Ma per alcuni accordi sono “costretti” ad accettarne almeno un numero minimo e di solito quelli vengono affidati a me, visto che molti dei miei colleghi non ritengono gratificante lavorare a casi che non gli faranno guadagnare degli extra. - continuò, senza peli sulla lingua. Non stava facendo alcun nome e non le interessava far apparire migliori persone che, secondo la sua opinione, non lo erano affatto.
    La colpì il paragone che l’altra fece, riguardo ciò che facevano per lavoro. In effetti sotto certi aspetti erano simili, anche se non si poteva dire la stessa cosa per tutti gli appartenenti alla categoria. Sorrise, tuttavia, al pensiero di quel piccolo anello di collegamento tra loro due, che le fece vedere Astrid in maniera ancora più positiva. Decise comunque di lasciar stare quel discorso per il momento e godere del tempo a disposizione prima di dover tornare in ufficio. Ne avrebbero riparlato se qualcuno dei suoi assistiti le avesse detto di volere quel supporto psicologico, in quel caso si sarebbero aggiornate e avrebbero trovato un modo di collaborare partendo da un caso pratico e non da semplici parole. Annuì davanti alla passione dell’altra per la musica, finendo poi con il lasciarsi andare a una leggera risata quando le parlò dell’amica che trascinava sempre ai festival o eventi più impensabili. -Cavolo, in effetti mi manca andare a un festival o a un concerto. - disse, del tutto sovrappensiero, senza rendersi conto che poteva suonare come un invito a organizzarsi per andare a sentire della musica insieme. Si sporse in avanti, ad osservare la foto dell’animale domestico di Astrid. Un’espressione sorpresa ebbe la meglio sul suo viso nel notare quello strano animaletto che non credeva di aver mai visto prima. -Oh ma è dolcissimo! Che cos’è? - domandò, piuttosto incuriosita, visto che lei invece di rettili non si era mai interessata. Quel termine la faceva pensare sempre ai serpenti, che non le piacevano affatto. -Sembra molto simpatico o simpatica. - continuò, chiedendo indirettamente il genere dell’animaletto. -A dire il vero negli ultimi anni ho accantonato parecchie delle mie passioni, per via del lavoro e di vari impegni. - iniziò, quando toccò a lei parlare un po’ di se stessa, al di fuori del suo lavoro. -Non abbiamo mai avuto animali domestici e che anche se mia figlia spinge tanto per avere un cagnolino non lo abbiamo mai preso. - spiegò, rispondendo prima alla parte più semplice della domanda, ossia quella riferita agli animali domestici. Istintivamente si ritrovò a sollevare lo sguardo su Astrid e osservarla con attenzione quando citò sua figlia, abituata com’era al fatto che tutti rispondessero sempre con espressioni corrucciate, quasi turbate. Era una di quelle notizie che di solito allontanavano le persone, come se davvero avesse avuto un piccolo demone a infestarle la casa. -Quindi si potrebbe dire che la creatura più spaventosa a casa sia proprio Lily, soprattutto quando lei e mia sorella si divertono a riempire la casa di glitter. - continuò mentre, scorrendo le immagini sul suo telefono ne cercava una dove le due avevano deciso di vestirsi e truccarsi da fatine, per poi mostrarla ad Astrid. Anche se per qualcuno poteva essere un argomento ostico da digerire per lei sua figlia era senza dubbio ciò che più la caratterizzava, oltre che essere la persona più importante della sua vita. Chissà se Astrid aveva notato che lei non si era mai riferita al padre di sua figlia, che non lo avesse tirato in causa nei suoi discorsi.
    -Mi sono appassionata di cucina, a causa della richiesta dei comitati scolastici di portare qualcosa per le feste o gli eventi. O quelle strane giornate da “cucina con tua madre”. - continuò ancora, ridendo, mentre pensava alla preside della scuola elementare che cercava di coinvolgere i genitori nelle più svariate attività. -Non lo avrei mai detto in passato ma ora direi che posso quasi definirmi una brava cuoca. - ammise, con aria soddisfatta. Evitò di mettere in mostra alcune delle foto delle pietanze che aveva preparato, non le sembrò il caso di annoiarla con qualcosa di simile. -E adoro viaggiare, anche se sono passati anni dall’ultimo viaggio. - mormorò, con un’espressione vagamente malinconica sul volto. -In compenso continuo a collezionare cartoline, dei posti dove sono stata e di quelli dove vorrei andare. Ho una scatola piena di cartoline non scritte, solo per le foto. - rivelò, con un sorriso tranquillo. Quando era più giovane lo aveva fatto per tenere con se dei piccoli passaggi verso luoghi dove si sarebbe potuta teletrasportare. Successivamente quei pensieri si erano affievoliti, ma aveva mantenuto la passione per foto e cartoline. -In generale non amo molto restare chiusa in casa nel tempo libero se posso evitarlo. Cerco di trovare piccole attività, anche solo una passeggiata al parco o sulla spiaggia, o un’uscita con gli amici. Tutto pur di uscire. - terminò, con una leggera risata, terminando il suo caffè e iniziando così a mangiare il suo dolce in tutta tranquillità. Osservò appena l’orologio, facendo mente locale del tempo ancora a disposizione, senza dire nulla. Era molto piacevole passare del tempo con Astrid e le dispiaceva non poter avere tutta la sera a disposizione. -Tu sei mai stata fuori dalla Norvegia? - domandò incuriosita, tra un boccone e l’altro, cercando di mantenere la conversazione su argomenti tranquilli e non troppo personali.
    Continuarono a chiacchierare per tutta la pausa pranzo che era rimasta loro, quasi senza rendersi conto del tempo che passava. Soltanto quando il suo telefono squillò, segnalandole il messaggio di un collega, si rese conto dell'orario. -Oh, temo di dover proprio andare. Ma spero di rivederti, quanto meno in palestra. - le disse, con un sorriso sereno, cercando di raccogliere le sue cose e alzandosi in piedi. -Questa volta offro io. E' stato davvero un piacere conoscerti Astrid. - continuò, con un altro sorriso, per poi muoversi verso la cassa. Quell'incontro l'aveva rinvigorita, era certa che la serata sarebbe passata più velocemente.

    Edited by 'misia - 6/1/2022, 19:01
     
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5 replies since 6/1/2021, 20:16   132 views
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