It looks like the sun but it feels like the rain

Riley and Lars | mattina| Besaid Daily News| 15.01.2021

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    Riley Møller
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    Aveva preso l’aereo diretto in Norvegia, ormai una settimana prima, con uno spirito di rassegnazione. Tuttavia è inutile negare che, per quanto amasse sua madre e per quanto fosse l’unica persona che per Riley costituisse una famiglia, la giovane giornalista sentì quasi un senso di sollievo nell’allontanarsi per qualche tempo dalle preoccupazioni materne. «Non fare troppi danni, figlia mia.», le aveva intimato Lilith poco prima che Riley s’imbarcasse per raggiungere Besaid, con una lacrima solitaria che le rigava il volto spossato dagli anni e stanco per i lavori straordinari che aveva fatto pur di portare a casa qualche soldo in più. «M’impegnerò a non mandare a fuoco la nuova redazione.» Le aveva risposto Riley sorridendo, mentre sentiva dentro di lei la morsa della nostalgia che già da ora iniziava ad insediarsi nel suo cuore. Abbracciò la donna che le aveva dato la vita e che l’aveva cresciuta da sola con pane e musica rock, confortandosi un po' con l’idea che, dopotutto, con la tecnologia nessuna distanza era così terribile. Per Riley lavorare nella cittadina di Besaid non era mai stata un’aspirazione, soprattutto non dopo aver fatto esperienza in una città grande e stimolante per il giornalismo come Washington. In un certo senso sentiva di star passando dalle stelle alle stalle, ma non voleva ammetterlo soprattutto perché era convinta che nulla aveva da invidiare il Besaid Daily News alle altre grandi testate, semplicemente pensava di dover agire entro un raggio più stretto. Temeva che lì il suo scrivere, il suo cercare, curiosare e porsi domande sarebbe stato limitato. La cosa certa, in quell’esperienza completamente nuova per lei, era che si sarebbe impegnata al massimo, perché il giornalismo era la sua più grande passione e di certo non si sarebbe lasciata fermare da un paio di direttori di Washington che erano intimoriti dal tirare fuori la verità riguardo a rapporti diplomatici sospetti tra USA e Russia. Aveva studiato e lavorato sodo per divenire giornalista, sapeva che quello che era accaduto non era un suo errore ma era l’effetto di un meccanismo corrotto che era decisamente più grande di lei. Sarebbe stato bello ribaltare il sistema dalla base, come se si trattasse di uno spy movie degno di James Bond, ma Riley era ancora troppo acerba per poter influire concretamente in quella macchina mangia anime, mangia giustizia e mangia buoni principi.
    Non sapeva bene quale sarebbe stato il suo ruolo effettivo all’interno del Besaid Daily News, a dir la verità aveva i piedi ben piantati per terra, quindi era pronta a scrivere di tutto, dalla notizia più insulsa a quella più importante. Non si dava arie, non era da lei anzi, nella maggior parte dei casi, il suo atteggiamento espansivo e chiacchierone la faceva apparire quasi come una ragazza che non prendeva sul serio il lavoro. Niente di più sbagliato, poiché era capace di impuntarsi e stare a scrivere per ore pur di consegnare un articolo ben fatto che la soddisfacesse. «Dovresti riposare ogni tanto.» Glielo diceva sempre il suo mentore del Washington Post, Smith, che le aveva quasi dato la parvenza di essere affezionato a lei come un maestro può esserlo col suo studente migliore, e invece l’aveva lasciata a se stessa non appena era stato deciso che Riley doveva andarsene via di lì perché iniziava a creare troppo disturbo. «Dillo alle notizie, loro non riposano mai.» Non che volesse fare buona impressione col suo mentore, usando una frase tanto stucchevole, Riley pensava veramente una cosa del genere, quando era l’ultima tra gli stagisti a lasciare il suo minuscolo cubicolo in cui si perdeva per ore, assorta tra ricerche e telefonate per avere informazioni su un determinato fatto. Ad ogni modo, quei momenti ormai facevano parte del passato, un passato che le era piaciuto parecchio e che le aveva insegnato molto, ma adesso doveva trarre il meglio da quell’esperienza per poter andare avanti e dare il meglio di sé in questa nuova avventura che per Riley era inaspettata. Temeva che, dopo il Washington Post, avrebbe faticato a trovare lavoro, nonostante l’ottima lettera di raccomandazione che avevano scritto i suoi superiori, il gesto estremo di finta gratitudine che avevano fatto per assicurarsi che una dipendente non andasse via con l’amaro in bocca e rischiasse di spifferare tutto ad un altro tipo di stampa. Invece, dopo poco più di un mese di fermo in cui era tornata a Città del Capo, era arrivata la mail del Besaid Daily News, in cui le fornivano una data ed un orario per il colloquio. Manderò il mio curriculum qui, anche se non penso che mi prenderanno, l’aveva pensato nella sua testa, Riley, mentre mandava le sue credenziali al giornale norvegese. Lei, che solitamente era una ragazza positiva, non riusciva a credere che proprio dalla Norvegia potessero avere un minimo d’interesse per lei, giornalista sgangherata da quattro soldi che, per giunta, quasi non faceva implodere il Washington Post. Ma questo è un dettaglio che non riveleremo a nessuno. Con questo stato d’animo, in un misto tra lo stupore e la speranza, in un cambio traumatico dal clima decisamente più caldo a quello un po' più rigido, non c’è da stupirsi se Riley fosse convinta che, dopo il primo colloquio, era meglio rifare le valigie e tornare a casa perché era sicura che Berg non l’avrebbe mai voluta nella sua squadra.
    Sta parlando di Lars Berg, il caporedattore del Besaid Daily News che lei ha diligentemente stalkerato nei giorni precedenti il colloquio, leggendo i suoi articoli. Una penna pungente e per questo interessante, questa l’opinione che si era fatta Riley su colui che sicuramente non sarebbe mai divenuto il suo caporedattore. Difatti, quel benedetto colloquio, era iniziato male, almeno per lei. Nel suo trolley strapieno aveva riposto l’outfit che avrebbe indossato per fare una buona impressione, per non sembrare una stramboide sin dall’inizio insomma, ma le cose erano andate fuori dai suoi calcoli. Per farla breve: l’aereo aveva fatto ritardo, era arrivata a Besaid in ritardissimo, aveva fatto una corsa sfiancante fino all’Aamot Lodge dove aveva lasciato tutto all’adorabile Miss Pink. Si, le aveva lasciato tutto tranne la gabbietta di Bono Vox con Bono Vox dentro, il suo gatto himalayano che portava praticamente ovunque quindi, di riflesso, non aveva ben pensato di lasciarlo all’ostello. Segue ricerca, sempre affannata, della redazione del Besaid Daily News, che naturalmente non aveva la più pallida idea di dove si trovasse. Si sarà persa un paio di volte prima di giungere alla struttura giusta, sempre con la gabbietta sotto braccio, e i vestiti sin troppo comodi per il viaggio. Era sicura di avere anche i capelli arruffati, ma non voleva pensarci troppo. Tanto peggio di così non poteva andare. «Dovresti andare lì almeno due giorni prima, per iniziare ad ambientarti.» L’aveva avvisata sua madre, ma Riley non le aveva dato ascolto, il suo animo leggero le impediva di prevedere che tutto in quel colloquio potesse andare allo scatafascio. Era entrata nel reparto in cui si sarebbe tenuto il colloquio un po' in soggezione, e non era da lei che timida non lo era mai stata, alcuni occhi, com’era plausibile, si erano puntati su di lei. Ma chi è questa? Sicuro in molti se l’erano chiesti là dentro. Non osava immaginare cosa fosse passato per la testa di Lars Berg non appena la vide arrivare nel suo studio, col permesso della segretaria ovviamente, un po' arruffata, vestita forse in maniera troppo sportiva e, per ultimo, con in braccio una gabbia con un gatto. Meglio che la sua battuta d’apertura fosse plateale, come si sul dire, go big or go home. «Sono Riley, ma oggi mi sento un po' Ulisse che ha affrontato un mucchio di peripezie per tornare alla sua Itaca. Ecco, io le ho affrontate per arrivare fin qui.» Ottima presentazione, non c’è che dire. Complimenti Riley vuoi proprio farti esiliare da ogni redazione presente sulla faccia del globo terrestre. Poi non sa cosa possa aver convinto Lars Berg ad assumere il caso disperato che lei rappresenta. Non ne ha la più pallida idea ma il suo piglio impulsivo ed estroverso si è ripromesso di porgli questa domanda prima o poi, quando sarebbero riusciti a parlare per più di cinque minuti senza correre da una parte all’altra impegnati com’erano tra notizie e telefonate. Era stata fortunata, Riley, dubitava che qualcun altro potesse avere il coraggio di metterla alla prova in quelle condizioni ma Berg si era dimostrato decisamente lungimirante mentre lei, in quella settimana, si era dimostrata disponibile a lavorare anche più del dovuto.
    Quella mattina si era diretta in redazione con un buon umore tanto che aveva quasi il dubbio che Miss Pink avesse messo un po' della sua erba nella colazione che le aveva servito. L’aveva già avvisata, Miss Pink, che di tanto in tanto una canna a settant’anni non era poi così male, ma Riley aveva sempre declinato l’invito sostanzialmente perché aveva da fare e voleva essere abbastanza lucida per scrivere. Invito che invece, spesso, accettava Ragen, il ragazzone russo dall’animo buono con cui condivideva la camera dell’ostello e con cui parlava di tanto in tanto pur non capendo un bel niente di russo. Buon umore, quindi, forse non era mai stata così a suo agio da quando era giunta a Besaid in cui sentiva un senso di familiarità, un po' com’era accaduto qualche giorno prima, quando aveva incontrato Fae. C’era qualcosa che stava accadendo dentro di lei, da quando aveva messo piede a Besaid, tuttavia era troppo presa dalle novità che si susseguivano una dopo l’altra per concentrarsi seriamente su quello che le stava o non le stava succedendo. In pratica Riley si sentiva come su una giostra in moto e non aveva alcuna intenzione di scendere. «Buongiorno!» Trillò a Lys, la segretaria di Lars, mentre mandava giù l’ultimo boccone di toast con burro e marmellata che aveva mangiato lungo la strada. Sempre per evitare di fare tardi. L’edificio del giornale è molto ampio e vi entra parecchia luce, tanto che è un piacere per lei lavorarvi anche quando le giornate sono un po' troppo nuvolose per i suoi gusti. Raggiunge la sua postazione, decisamente più grande di quel cubicolo che le riservavano al Washington Post, e si toglie quel cappotto un po' troppo appariscente che aveva comprato ad un mercato dell’usato a Città del Capo, senza pensarci due volte. L’umore leggero e pronto a lavorare sin quando alza lo sguardo e non si trova davanti Lars. E da dove era spuntato? «Buongiorno!» Saluta anche lui con lo stesso entusiasmo con cui poco prima aveva salutato Lys con l’eccezione che il caporedattore non ricambia con lo stesso sorrisone della segretaria. Riley lo guarda incuriosita. «Qualcosa non va? Hai lo stesso sguardo che fa Bono Vox quando per sbaglio gli pesto la coda.» Un paragone azzeccato, che comunque non voleva essere offensivo perché per Riley il suo gatto era l’essere vivente più bello del mondo. Sospetta, scrutando l’espressione di Lars, che quel suo buon umore si sarebbe di poco increspato non appena il suo caporedattore avesse aperto bocca.
     
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    Lars Aeron Berg | '88 | Besaid Daily News | sheet
    « Secondo me stai perdendo colpi. O forse sei molto più furbo di quanto me la dia a credere. » Era stato quello il commento di Taylor alle novità citate da Lars della settimana. Punto primo, vedeva molto più in forma Liv: sua sorella sembrava meno stanca degli ultimi mesi, sembrava organizzare il tempo e le attività da fare in maniera puntuale, e lui non poteva che essere felice di vederla serena. Punto secondo, Lys era stata bravissima a organizzargli la permanenza ad Oslo, con successiva partecipazione alla fiera del libro a Bergen, andata e ritorno schedulati su tre giorni scarsi con altra partecipazione alla conferenza Nato sul piano globale per il cambiamento climatico, riuscendo a trovare orari perfetti per muoversi da una parte all'altra delle città e prendere un aereo per tornare in tempo a Besaid per comporre l'articolo e mandarlo in stampa il giorno stesso dell'atterraggio. Poi c'era stato il punto terzo, il punto terzo era stato l'inizio della fine e il principio delle lamentele poste dal povero Taylor. « Ho assunto una redattrice nuova. » E Taylor gli aveva candidamente risposto: « Hai deciso che non vuoi proprio più assumere redattori uomini? Così per capire. » In effetti era stato molto candido in merito, cosa che Lars aveva sinceramente apprezzato. Per tre minuti buoni aveva deciso di continuare a bere la sua birra e rimanere frastornato in materia, annuendo ad un Taylor seriamente compiaciuto di aver zittito Lars Berg. Ovviamente le cose non erano andate esattamente così, ma era difficile capire come fare per causare una inversione di tendenza. Era successo e basta: la probabilità che un uomo o una donna - se vogliamo considerare solo identità di genere prettamente binaria - potesse presentarsi in redazione per un colloquio era sempre quella, una su due, cinquanta percento, l'emblema della probabilità impossibile da prevedere. Ma il team di Lars continuava a riempirsi tra stagisti e redattori con donne, in più c'era da aggiungere al computo anche la sua assistente Lys. Lars teneva a mente il fatto che la Terra fosse più popolata da donne che da uomini, sempre statisticamente parlando, ma era anche vero che c'erano sempre stati più giornalisti uomini che donne. Qualcosa tra questi due moniti era stato perso nella considerazione del caso che era capitato a lui.
    Aveva assunto Riley Møller una settimana prima. Aveva cercato in tutti i modi di ricacciare lo stigma della prima impressione durante il colloquio, perché era stato molto sorpreso nel vederla piombare all'appuntamento vestita di un abbigliamento sicuramente particolare, ed ovviamente ha cercato con molta fatica di non guardare continuamente il gatto, la gabbietta e lei che lo reggeva ma seguire il discorso che gli stava facendo, e dove avesse lavorato e i pezzi scritti fino a quel momento. Gli avevano detto di essere più empatico, per quanto la versione burbera di Lars facesse comodo ai suoi capi quando avevano bisogno di liberarsi di personalità scomode di torno, e soprattutto perché permetteva di alzare l'asticella di credibilità ed obiettivo di crescita sui nuovi assunti. Quello che la nuova candidata Riley poteva portare al giornale era un nuovo sguardo da un punto di vista sicuramente estraneo alla vita che conducevano in quella nazione, e soprattutto, su Besaid. Il fatto che fosse una straniera ma che avesse ottima parlata norvegese viste le sue radici del posto sicuramente contribuirono a far sbilanciare Lars sulla scelta di approvarla direttamente al primo colloquio, con periodo di prova chiaro garantito dal suo contratto per tutelare entrambe le parti. Ovviamente il periodo di prova serviva in primis alla nuova candidata perché poteva permetterle di svicolarsi dalla scelta di continuare un lavoro per cui potesse avere dubbi, e a loro per capire se era la persona adatta al ruolo. A Lars faceva una bella impressione, anche se doveva andarci piano con la dose di ottimismo che sprizzava da tutti i pori perché lui di ottimista aveva solo l'inclinazione allo stacanovismo e una buona dose di competitività con cui banchettava quotidianamente tra le sue imprese al giornale.
    Perciò l'arrivo della ragazza sicuramente navigata in esperienze al Washington Post poteva essere una ventata di novità costruttiva al giornale di Besaid che mirava a conquistare titoli stranieri per porsi sulle letture importanti nel resto del mondo. Ed era un ottimo esempio per le sue nuove ragazze in stage il fatto di poter attirare giornalisti stranieri nella rete del Daily apposta per cercare di far crescere in loro uno spirito di curiosità verso il mestiere. Non c'erano assolutamente ragioni affinché non fosse preposto a seguirla sul nuovo incarico. Per quella sera, lo sapeva anche Taylor. Diciamo che dopo avergli spiegato per filo e per segno le ragioni poste alla base della sua decisione il suo amico lo aveva appellato come noioso, noiosissimo pedante uomo che in una serata libera di un giorno qualsiasi aveva deciso di tradirlo parlando di lavoro.

    La mattina successiva si era svegliato presto, prestissimo come sempre. La prima cosa che aveva fatto prima di mettere il piede sul pavimento era stata correre a cercare con la mano a tentoni, senza neanche vedere davvero dove stesse posando le dita, il cellulare settato sul silenzioso accanto a lui, sul comodino alla sua destra. La prima notifica che era spuntata prepotente ad invadere lo schermo acceso alla bassa luminosità recitava chiara, telegrafica: 'Tumulti a Besaid. Zona Nord presa sotto assedio da un gruppo di vigilanti. Esterno della centrale della polizia vandalizzata.' Perplesso, scorse con occhio famelico di informazioni la fonte delle notizie: era un nuovo giornale completamente in digitale di Stavanger, città che distava almeno quattro ore da loro, che voleva mangiare quote del loro mercato, e probabilmente se non si fossero dati una mossa a ridisegnare l'user experience del loro sito come si deve, ci sarebbero riusciti. Le notifiche dei post su Instagram arrivarono subito dopo: Elias che gli mandava un repost della polizia sull'argomento, e la prima foto di cui gli arrivava notifica dopo averla seguita, pubblicata da Riley a Besaid. La sera prima. Accanto al locale attiguo alla stazione di polizia in centro: sullo sfondo, un angolino minuscolo della foto con il suo selfie delle prime immagini scattate di una Besaid illuminata dal tramonto, un tafferuglio di persone riunite al di là del muro di cinta tra il locale e la caserma, e un insieme di luci non ben identificabile dalla foto.
    La giornata non era cominciata per niente con il migliore dei risvegli. Si era preparato velocemente, volendo correre al giornale il prima possibile: lo zaino era già pronto posato accanto alla porta di casa, indossò la prima camicia bianca posta vicino all'apertura dell'anta dell'armadio, un jeans scuro e un maglione di lana merino color vinaccia. Raccolse il contenitore con il suo pranzo che gli aveva preparato Liv mentre era indaffarata nella loro cucina a prepararsi la colazione, e le diede un buffetto sulla testa scompigliandole i capelli. « Grazie sorellina, scusami sono di fretta. » Addentò un biscotto della colazione di Liv e si lasciò dietro la porta di casa qualsiasi pensiero non fosse il lavoro - con gli improperi di una Liv già pettinata che lo inseguirono fintanto che la porta si richiuse alle sue spalle. Piombò al giornale dopo aver parcheggiato auto ed aver imbracciato cappotto e zaino su una spalla, troppo preso dalla frenesia della notizia per aver anche solo pensato di indossare il cappotto prima di arrivare in ufficio. Il riscaldamento dell'ambiente fece per fortuna il suo effetto: si maledisse un pò per aver osato andare in giro senza essersi coperto bene ma poi si strofinò braccia e gambe in ascensore senza farsi vedere da nessuno prima di arrivare al suo piano e guardarsi intorno nel cercare le sue risorse. « Buongiorno, buongiorno a tutti. Allora Sam continua a preparare l'articolo sul cambio di giunta regionale, ci incontriamo alle dodici, Cat mi raccomando l'intervista per piano di ristrutturazione del Vennelyst park, poi magari comunica a Lys quando è pronto e lo vediamo e... » dopo aver adocchiato e richiamato sull'attenti velocemente le sue ragazze rivolse lo sguardo a Lys rimanendo con una mano a mezz'aria fintanto che non avesse individuato la sua fedele spalla. « Appena arriva Riley. Avvisami subito. E' urgente. » Lys aveva annuito complice, senza fermarsi a chiedere cosa fosse successo intuendo che fosse meglio evitare di buttare benzina sul fuoco, soprattutto quando Lars era così animato da annunciare la sua presenza a tutto il piano - e ovviamente avevano tutti notato che fosse arrivato trafelato senza neanche aver finito di vestirsi.
    Quando Lys gli aveva dato il segnale, messaggio in chat aziendale, lui si precipitò alla porta del nuovo ufficio di Riley con in mano solo il telefono, sul volto un'espressione indecifrabile. «Qualcosa non va? Hai lo stesso sguardo che fa Bono Vox quando per sbaglio gli pesto la coda.» Rimase per un pò perplesso e basito, perché dovette rammentare a fatica che era il nome del gatto, non se lo ricordava. Immaginò un se stesso con forme feline e grottesche con il pelo arruffato e una coda furente e chiassosa che sbatacchiava da una parte all'altra del suo addome. Respirò profondamente. Mai perdere la calma. Guardò Riley, e si pronunciò. « Riley. Dove sei stata ieri? » Gli porse il telefono, puntando sul suo schermo la foto della bella ragazza e lo sfondo con un gruppo di persone in lontananza vestite di nero. In quel momento gli parve addirittura di scorgere un manganello e qualche catena, ma magari esagerava con la fantasia. Alzò la mano a mezz'aria, prima che la ragazza potesse rispondere con un qualsiasi verso, mormorio, dubbio. Dopodiché indicò il computer di lei, di nuovo il suo telefono, scorse sull'Iphone la lista delle notifiche arrivate indicandole la testata giornalistica che aveva soffiato loro la notizia. E Riley era proprio lì la sera prima a quella stessa ora.
     
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    Riley Møller
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    Riley non si vanta, non è autoreferenziale e, spesso, non vuole ammettere che il suo è un ottimo lavoro per paura di cullarsi sugli allori e non dare più il massimo. Ed essendo la nuova redattrice al Besaid Daily News da una settimana era un dovere civico e morale dare il massimo per fare una buona impressione e, soprattutto, per redimersi dall’imbarazzante primo colloquio che aveva avuto con il suo caporedattore, Lars Berg, che aveva avuto il misero destino di vederla vestita in maniera non adatta per un colloquio con in braccio la gabbietta di Bono Vox. Con Bono Vox dentro. Ecco, con un primo incontro come quello Riley sentiva addosso a sé la responsabilità doppia di fare bella figura, di dire “tranquilli, non sono come quella sconsiderata che è entrata qui dentro come se fosse in un viaggio turistico, so essere anche professionale”. Ad onor del vero, tra i colleghi non ce n’erano molti che l’avevano guardata male, almeno non dopo che il suo primo articolo era uscito sul Besaid Daily News, probabilmente avevano capito che faceva sul serio e che non era soltanto una pazza gattara che vestiva in modo strano. Andare d’accordo con gli altri per Riley era fondamentale, non perché fosse sempre alla ricerca dell’approvazione altrui, ma perché le piace lavorare in un contesto tranquillo essendo dannatamente estroversa e sempre gioviale. Certo, ogni tanto supera qualche limite, essendo troppo espansiva con persone che, in fin dei conti, conosce da poco, ma c’è di buono che almeno non fa del male a nessuno, quello che fa male è Bono Vox, quando graffia. E graffia spesso. Ma questo è un altro discorso.
    Il suo periodo di prova stava procedendo tra alti e bassi. Non riusciva a darsi da sola un giudizio, sapeva che comunque fino ad ora, era stata abbastanza abile da evitare grandi rimproveri da parte del suo capo redattore. Una cosa che le sembrava alquanto strana, ma che accettava senza farsi troppe domande. Dopotutto sarebbe stata solo una pazza se si fosse lamentata del fatto che il suo capo redattore non la rimproverava abbastanza! E se c’è una cosa che Riley ha immediatamente appresso durante il suo periodo di prova è che Lars non si fa troppi problemi a rimproverare gli altri. Non che ne tragga soddisfazione, questo Riley non lo pensava, era più un tratto del suo carattere: quando qualcosa non gli andava bene, non le mandava a dire, ecco tutto. Non che questo creasse difficoltà relazionali a Riley, che sarebbe stata capace di parlare anche con la persona più burbera e musona di questo mondo. Quindi, per fare un bilancio provvisorio del suo esordio come redattrice al Besaid Daily News, doveva ammettere che tutto sommato le cose non stavano procedendo male, senza contare che lì, in quella città che per lei era relativamente nuova -iniziava ad essere convinta di esservi già stata in passato, ma probabilmente era solo lei pazza- nonostante il clima freddo a cui non era abituata, si trovava a suo agio. Certo, ogni tanto si perdeva ancora per le vie e doveva chiedere indicazioni ai passanti, com’era accaduto qualche giorno prima con Fae, ma fortunatamente ancora non era finita dispersa in una caverna. E se pensate che per caverna Riley stia immaginando quella buia e minacciosa che è nella serie tv Dark, state pensando bene. Caverna o meno, per l’ex giornalista del Washington Post lavorare nella redazione di Besaid era una boccata d’aria fresca, aveva riscoperto il piacere e la fatica del suo lavoro dopo che, qualche mese prima, era pronta a gettare la spugna e a reinventarsi con qualche altra professione anche se, in tutta onestà, pasticciona com’è, Riley difficilmente riuscirebbe ad eccellere in qualche altro lavoro.
    Quel giorno, per giunta, si era anche svegliata più ottimista del solito e, siccome lei è già molto ottimista, bisogna considerare un livello alto e spropositato di positività che aveva intenzione di strabordare su tutta la redazione del Daily, probabilmente era complice il momento di totale relax che si era concessa la sera prima: una misera ora trascorsa seduta al tavolino di un locale, sorseggiando della birra e godendosi il tramonto di Besaid. Quei momenti di relax erano veramente pochi nella vita di Riley, per questo ne aveva particolarmente bisogno e, quando si rilassava, tendeva a staccare la spina col resto del mondo. Nel vero senso della parola; non badava più a cosa accadeva intorno a lei ma si godeva il momento. E, nel particolare di Besaid, a quel tavolino si era ritrovata a rivangare memorie sopite che, con suo grande stupore, affondavano le radici proprio in quella città. Continuava a rinnegare quei ricordi, come se si trattasse della vita di qualcun altro, non si sa per quanto altro tempo ancora avrebbe fatto finta che quelle memorie fossero flash inspiegabili nella sua mente. Sta di fatto che, reduce dalla sua serata di relax, Riley non riuscì a decifrare lo sguardo che le rivolse Lars, non appena giunse nel suo ufficio -wow, lei aveva un ufficio, ancora non riusciva a farsene una ragione-. Nella sua testa il paragone tra il broncio del caporedattore e il broncio di Bono Vox era azzeccatissimo, l’unica incognita era che non conosceva il motivo per cui Lars avrebbe dovuto guardarla in quella maniera, come se avesse appena ucciso qualcuno e non avesse scritto la notizia sul Daily autodenunciandosi, giusto per fare lo scoop. « Riley. Dove sei stata ieri? » Una domanda che, ad un orecchio ingenuo, poteva sembrare innocua poiché posta con la più totale calma. Una domanda che, invece, all’orecchio di Riley, ormai da giorni intenta a carpire ogni minima variazione nella voce del suo caporedattore, fece suonare un flebile campanello d’allarme ed era già pronta a confessare di quella volta quando, a dieci anni, rubò una caramella alla menta dalla borsa di Marguerite, l’amica ormai quarantenne della sua mamma. «Oh, sono andata in questo locale che aveva una bellissima vista sul tramonto e…» Il racconto di Riley -troppo entusiasta per la tempesta in procinto di scatenarsi su di lei- fu interrotto da un gesto della mano di Lars, che aveva il chiaro intento di non perdere altro tempo in futili chiacchiere. Ora stiamo giocando al gioco dei mimi? pensò lei che, nonostante avesse percepito il pericolo, non aveva ancora capito di che morte doveva morire, mentre le mani di Lars continuavano ad indicare prima la sua foto instagram fatta la sera prima e poi il titolone di tafferugli su un giornale online di Stavanger che, per quanto lei ne sapeva, era poco lontano dalla cittadina di Besaid. La ragazza si prese una manciata di secondi prima di capire a pieno il danno che aveva fatto. «Oh oh.» Fu tutto ciò che riuscì a dire non appena realizzò di aver bruciato una notizia che il Besaid Daily News avrebbe potuto facilmente dare per primo, se solo lei avesse prestato attenzione ai tumulti che avevano preso piede alle sue spalle. Ma lei no, lei doveva guardare il tramonto come se fosse una poetessa esistenzialista di sto gran cavolo. «Lars, mi sono distratta, non sapevo che dietro di me ci fosse la centrale.» Una giustificazione un po' debole, ma sincera. Non aveva alcuna intenzione di trovare una scusa, anche perché era impossibile, secondo lei, uscire indenne da un errore palese come quello. «E’ stato un errore da principiante, lo so.» Si stringe nelle spalle mentre si siede alla scrivania iniziando a smanettare sulla tastiera del pc, arrabbiata con se stessa perché di errori idioti come quelli non ne faceva ormai da un pezzo. «Ma posso recuperare, posso andare alla centrale e cercare un poliziotto che sia disposto a dirmi qualcosa in più sui tumulti. Sarebbe un'esclusiva e da un punto di vista che Stavanger non ha messo nel suo articolo.» In realtà l’unica cosa che voleva fare era sprofondare in un buco nero dell’entroterra, ma fortuna che aveva quello spirito che la spingeva a reagire in qualsiasi circostanza. Mentre smanetta sulla tastiera si ferma di botto, guardando Lars con un’espressione che è un misto tra l’impaurito e il dispiaciuto. «A meno che tu non mi dica che devo sgomberare la mia scrivania.» Aveva ragione sua madre, Lilith, Riley doveva stare attenta e tenersi fuori dai guai ma, dopo poco più di una settimana a Besaid, non era riuscita a dare ascolto alla raccomandazione fatta dalla mamma.
     
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    Lars Aeron Berg | '88 | Besaid Daily News | sheet
    Lars poggiò le mani ai lati dei suoi fianchi, stringendo il bordo del maglione che indossava focalizzando il suo sguardo sul colore rosso scuro, e ricordando a se stesso come per associazione al colore del vino che per quella sera a fine giornata lavorativa, qualsiasi cosa fosse successa, sarebbe probabilmente corso a chiamare Taylor ed Elias per la sua serata di bevuta meritata. Avrebbe dovuto essere particolarmente attento a non cedere alla tentazione di raccontare a Grace al telefono o scriverle in chat nulla che non sembrasse uno sfogo immotivato di un leader del progetto che si stesse perdendo qualcosa per strada. Non voleva essere cattivo con Riley. Non voleva essere mai cattivo con nessuno in realtà, anche se qualche volta gli riusciva proprio male scindere il suo io calcolatore e deciso dal suo se stesso più attento ai contorni e ai dettami delle imposizioni del duro lavoro di giornalista. Guardò Riley per un pò tornando con lo sguardo su di lei, abbandonato infine la sfumatura del maglione, e trattenne aria per qualche secondo, impose a se stesso di contare e aspettare che la donna gli parlasse, perché non aveva molto senso cominciare a sbraitare e mortificarla per qualcosa che oramai non era successo. Sì, chiunque avrebbe potuto leggere nelle sue intenzioni la voglia di fare del suo meglio per il meglio di quel posto, non solo per il suo ruolo e la sua piccola nicchia di carriera lavorativa, ma per la volontà di far crescere quel giornale in quel qualcosa di più che aspirava che fosse, che desiderava che diventasse. La crescita del Besaid Daily News in termini di numeri da qualsiasi dimensione la si potesse osservare: personale o fatturato, imposizioni sulla legislatura e pressioni sul governo, importanza della voce e potere che aveva in capitolo il Daily sulle questioni per i cittadini. Era evidente e destabilizzante quanto avessero lavorato sodo lui e gli altri redattori per poter portare lo status quo ad una asticella sempre più alta e quanta strada ancora fosse necessaria da coprire con l'importanza che poteva acquisire il loro giornale rispetto agli altri. Il Daily era a tutti gli effetti l'unico che poteva annoverarsi nella loro città a fare da portavoce del popolo, ma non era bastato uno schiocco di dita, o il fatto che fosse davvero l'unico presente sulla piazza: avevano eliminato loro la concorrenza nella loro città. Erano riusciti a far chiudere le altre testate di cronaca, inglobandole, ovviamente, nessuno aveva motivo di licenziare persone nella loro città ma solo di promuovere la stampa che fosse di punta, l'inchiostro regolare che gli abitanti avrebbero trovato in giro nelle edicole dei dintorni. Il fatto che per anche solo un passo sbagliato per quanto fosse uno ma potesse poi essere gigantesco agli occhi di una persona che era dentro al problema come Lars sembrava la grossa impronta di un gigante che spazzava via il loro edificio lasciando al suo posto dei solchi umidi ricavati sul terreno. Non ci sarebbe stato punto di svolta, e se avesse dovuto guardarsi indietro e rendersi conto di aver lasciato le cose al caso allora non l'avrebbe permesso, non a se stesso e non al suo operato. Era quello che significava contare qualcosa, lasciare un'impronta tangibile dietro di sé, anche nel suo ruolo, per quella sua carriera discretamente rilevante ma neanche così tanto all'ordine del mondo. Rimase impassibile per qualche altro minuto, prima che Riley cominciasse a spiegare la sua versione dei fatti. Per il tempo che precedette il suo racconto l'oh-oh pronunciato da Riley rimase ad aleggiare solitario nell'aria, all'interno del suo ufficio, non un singolo suono trapelava all'esterno, e se entrambi se ne fossero curati e si fossero distratti dalle loro spiegazioni l'una, e dai pensieri l'altro, allora si sarebbero accorti che tutti i redattori del piano erano in effetti concentrati a guardare cosa stava accadendo in quello spazio occupato solo da loro, benedicendo il fatto che gli uffici a vetri avessero zero privacy e dichiarando assoluto genio l'ideatore del design di quel posto solo perché tutti potevano farsi i fatti di tutti senza essere malvisti o accusati di ficcanasare. Perciò per quel minuto buono che Riley impiegò in effetti a dettagliare la vicenda a Lars, tutti dal di fuori erano rimasti in silenzio ed assopiti a chiedersi cosa stesse accadendo e cercare di leggere prima solo dalle espressioni, poi a fatica il labiale della ragazza che ancora non conoscevano bene. Cat e Sam, che oramai avevano le postazioni l'una accanto all'altra, faticarono a continuare a concentrarsi sul loro lavoro e sui compiti che erano stati assegnati da Lars, che aveva anche ricordato loro proprio appena arrivato in sede, inutilmente perché alle ragazze era ben chiaro quale fosse il compito del giorno, ma non avevano battuto ciglio. Lys invece aveva tacitamente appreso che per quel giorno la sua priorità si sarebbe basata sul capire come assegnare il resto delle mansioni a Lars e passargli tutto il resto dei micro guai che erano saltati fuori per la preparazione del giornale dell'edizione del giorno dopo, e sugli extra costi che i consulenti che avevano assunto per disegnare l'edizione digitale richiedevano per realizzare il tutto così come l'avevano immaginato loro - costi che non erano stati inizialmente preventivati. Perciò aveva deciso di controllare il mini frigo con gli snack che avevano su quel piano per rifilarli preventivamente a Lars quando e se fosse tornato nel suo ufficio con il morale sconfitto - così da calcolare e pilotare una possibile reazione di sfinimento da parte dell'uomo, prima di iniziare a scrivere al pc le stime dei costi che avrebbero dovuto sostenere e chiedersi dove avrebbero trovato l'importo da avanzare.
    Lars la ascoltò. Aveva ricordato anche lui a se stesso che Riley non abitava in città da molto - erano passati solo pochi giorni, appena più di una settimana, neanche due. Aveva sostenuto lui il colloquio giorni prima, e ricordò, che l'impressione che gli aveva fatto era a tutti gli effetti positiva. Anche, e se, con tutti i ma che aveva annoverato della strana situazione da colloquio che gli era capitata di avere tra le mani, Riley sarebbe stato un diamante grezzo che avrebbe dovuto affinare, e doveva imporre a se stesso il controllo di quella situazione così come gli imponeva il suo ruolo. Ascoltò la sua proposta, ancora indeciso su come risponderle mentre dentro di sé combatteva una vera e propria battaglia al frenare l'istinto. « No. Va bene. » Sentenziò, cominciando a percorrere di nuovo a sguardo chino la metratura dell'ufficio a piccoli passi ponderati. Riley cominciò a digitare sulla tastiera, e il rumore delle dita che correvano veloci sul dispositivo del suo computer prevalse nuovamente sul rumore. Si, l'intuizione che aveva avuto poteva bastare. In realtà era praticamente l'unico modo che avevano per recuperare il perduto. Riley non poteva sapere cosa lui stesse immaginando e quali pensieri si stessero sovrapponendo alla sua idea, e probabilmente le sue poche parole stavano sembrando una conferma a quanto avesse lei alla fine pronunciato.
    Poi in effetti qualcosa accadde, ci pensò su e fece dietrofront, uscendo dalla porta dell'ufficio, e ricordandosi di non aver risposto per nulla a Riley fece un gesto veloce che dall'esterno i loro spettatori avrebbero potuto definire decisamente teatrale e insolito per Lars Berg, e ritornò a guardarla alzando nuovamente la mano destra e puntando il dito verso di lei. « Fermati. Non uscire da qui. » Mormorò, con un tono di voce che sembrò quasi dolce, pronunciato premurosamente - il tutto stonava prepotentemente con le sue movenze ma nessuno glielo avrebbe fatto notare.
    Uscito fuori dall'ufficio si guardò intorno, e percepì gli sguardi di mezzo piano proprio su di lui. « Che cosa facciamo oggi? Allora torniamo tutti alla priorità numero uno del giorno, forza, recuperate informazioni su cosa è successo alla centrale, al lavoro. » Tuonò, battendo le mani due volte per accompagnare le sue direttive, scorgendo la figura di Lys con la coda dell'occhio che con le sue doti acrobatiche quasi scattava in avanti compiendo una sforbiciata degna di un salto in alto per raggiungere l'aula del coffee break e recuperare le caraffe di caffè che aveva preventivamente riempito dell'irrinunciabile bevanda che accompagnava i giornalisti tutti i giorni in redazione, soprattutto Lars. Il capo redattore si avvicinò alle due ultime arrivate poggiando i palmi sulla scrivania allestita nell' open space che collegava le loro postazioni e flettendosi appena su di essa per incontrare i loro sguardi spaesati. « Priorità due per i vostri articoli, li prepareremo nel pomeriggio. Dobbiamo scoprire qualsiasi cosa non sia stato ancora detto in quell'articolo e dobbiamo farlo nostro. Sbaglio o una di voi conosce un poliziotto lì? » Mormorò perplesso prima di imprecare tra i denti, rammentando che la relazione tra Taylor e Debbie interrotta proprio il mese precedente non poteva aver avuto peggiore tempismo, mai, nella storia delle sfortune che gli toccava sopportare. Sospirò, ad un cenno di assenso delle due ragazze, tornando infine all'interno dell'ufficio di Riley a grandi falcate. Dietro di loro tutto il giornale si era mobilitato a correre da una parte all'altra del piano, e i redattori avevano cominciato a raccogliere materiale e recuperare informazioni chiamando tutti i propri conoscenti. « Parleremo dopo di quello che è successo, ora pensiamo a rimediare. » Le disse Lars, con l'ombra lievissima di un sorriso sul volto. Prese, afferrando il legno dello schienale, la seconda sedia posta di fronte alla scrivania di Riley e la spostò portandosi vicino a lei, rimboccandosi letteralmente le maniche del maglione dopo esservi seduto sopra, posizionandosi accanto a lei. Tornò a guardarla, indicandole stavolta lo schermo del computer, concentrato sul loro nuovo compito. « Besaid è a tutti gli effetti il nostro territorio. Possiamo sovvertire la situazione a nostro favore. » Si guardò intorno, toccando con mano incerta la scrivania, che non era sua, prima di alzare lo sguardo in attesa che Lys fosse di nuovo in allerta per lui e potesse farle cenno di portarle qualcosa per scrivere e prendere nota una volta tornata nelle vicinanze - sì, avrebbe potuto tranquillamente alzarsi di nuovo e correre a prendere il suo taccuino, ma in quel momento la sua testa aveva cominciato a frullare su una idea precisa, perciò distrarsi poteva equivalere a perdere tempo, e anche Lys avrebbe sicuramente capito che non era un gesto fatto perché fosse troppo pigro per alzarsi o peccasse di sfruttamento della sua assistente. Incrociò lo sguardo di Riley e si rimise a sedere diritto, con le braccia poggiate sui braccioli della sedia. « Ripercorriamo quello che ricordi. Ricominciamo dall'inizio. »


    Niente non ce la faccio a muovere sto personaggio in maniera seria ahahhaha commento a lato irrinunciabile, amatelo
     
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    Riley Møller
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    Riley è una persona ottimista, su questo non c’è alcun dubbio, eppure sulla sua permanenza al Besaid Daily News non era del tutto sicura. Certo, l’ottimismo si vedeva nel fatto che lei immaginava di stare lì almeno per due mesi prima di essere cacciata, e invece la sua disattenzione l’aveva fatta stare lì solo per due misere settimane o poco più! Lars, che era entrato con calma nella sua stanza racchiudendo in sé una furia che lei stessa faticava a capire come riuscisse a non far esplodere urlando e ricoprendola di insulti, non le aveva detto con parole esplicite che doveva raccogliere le sue cose e andare via, ma con un errore come quello sapeva che era giunto il momento che la sua carriera arrivasse ad un epilogo. Le mani del suo caporedattore poggiate sui fianchi urlavano al posto delle sue corde vocali, un po' come una mamma che rimprovera il figlio e mette le mani sui fianchi per evitare di lanciargli contro qualche scarpa. Che poi, Riley, doveva smetterla di paragonare le reazioni di Lars ad esempi quasi comici; prima l’aveva paragonato al muso lungo del suo Bono Vox, ora lo paragonava ad una madre infuriata con tanto di bigodini in testa…doveva smetterla se intendeva continuare a prendere sul serio il suo caporedattore! Ma tanto che senso aveva ormai? Tra un paio d’ore l’avrebbe costretta a lasciare il Besaid Daily News e a non mettere più piede nella redazione! La grande passione della sua vita sfumata in un tafferuglio che non aveva notato perché troppo distratta a godersi le nuvolette e gli uccellini. Non aveva ancora idea di cosa avrebbe detto a sua madre una volta tornata a casa, sapeva che non l’avrebbe giudicata o rimproverata, ma probabilmente avrebbe pensato che la sua unica figlia era un caso perso, una delusione. Riley avrebbe preferito essere investita da dieci treni piuttosto che deludere sua madre, eppure le cose stavano andando così e lei, oltre a scusarsi e a mostrare il suo reale dispiacere, non poteva fare altro. E pensare che per un attimo aveva creduto che Lars le avesse veramente chiesto cosa avesse fatto ieri per puro diletto, per intavolare una conversazione amichevole, e invece no, quella domanda era il preludio a qualcosa di decisamente meno accomodante. Un po' come quando si mette un piede nell’acqua pensando che non sia profondo e invece ci si ritrova interamente bagnati perché il fondo è molto più giù. Riley, però, era sicura che non avesse toccato il fondo, forte delle esperienze avute in passato e che l’avevano fatta cadere seriamente in un buco nero fatto di acqua gelida. No, quella mattina non stava raschiando il fondo, stava semplicemente sbattendo in faccia contro la realtà dei fatti: aveva sbagliato. In quel caso nemmeno la sua parlantina sarebbe stata sufficiente per farla uscire sana e salva da quel guaio a cui, però, in qualche modo doveva rimediare. In attesa che Lars dicesse qualcosa, Riley si sentiva puntata da innumerevoli occhi curiosi, complici le pareti a vetro della redazione che impedivano di avere una minima parvenza di privacy e pensa che non vi aveva mai fatto veramente caso fino a quel giorno. Non poteva di certo lamentarsi di Lars, lui aveva ascoltato in silenzio quei suoi tentativi di giustificarsi che sapevano di imbarazzo e delusione, ma il silenzio che continuò a popolare l’ufficio non la fece sentire più tranquilla. « No. Va bene. » Nella stanza si sentiva solo il veloce ticchettare delle dita di Riley sulla tastiera del portatile, affusolate e disperate di andare alla ricerca di un qualche rimedio. Non sapeva cosa andasse bene per Lars, se il fatto che lei andasse in centrale a pregare qualche poliziotto di darle qualche dettaglio in più, se era una principiante o se dovesse effettivamente recuperare in qualche modo quel dannato tafferuglio che, porca miseria, perché le persone devono sempre scazzottarsi Riley non lo capirà mai. Poi fermò le dita per assistere a qualsiasi cosa stesse possedendo il corpo di Lars in quel momento. Ora l’ufficio era avvolto dal silenzio totale, c’era solo un caporedattore pensieroso che passeggiava lungo tutto il perimetro della stanza, chi non l’avesse conosciuto avrebbe pensato che gli era caduto qualcosa per terra e adesso lo stava cercando, in pochi potevano immaginare che in quella testa stava frullando qualcosa di cui Riley temeva di venire a conoscenza. Poi, ancora, un altro cambio di atteggiamento in Lars che sembrava avere tutto il corpo in preda ad un solletico, esce dall’ufficio, muove le braccia, torna nell’ufficio, cosa stava succedendo non si sapeva e a Riley sembrava di essere entrata in una realtà parallela degna di Matrix. « Fermati. Non uscire da qui. » Che con quel dito puntato verso di lei sembrava quasi una minaccia, ma per Riley non lo era affatto. Poteva stare ancora al Daily! Non sapeva per quanto altro tempo ancora ma era meglio approfittarne. «Ok.» Rispose soltanto così, con un tono di voce sicuro e fermo, come qualcuno che aveva esattamente capito quello che stava succedendo. La realtà dei fatti era che Riley ancora non aveva capito un bel niente, tanto da sentirsi non solo un’incapace che non sapeva fare il proprio lavoro, ma anche stupida. Poi tutto le fu più chiaro quando Lars, come un perfetto direttore, diede direttive a tutti su come recuperare al meglio quella notizia e, a quel punto, un sorriso enorme spuntò sul volto di Riley: Lars aveva dato per buona la sua proposta. Il suo posto era salvo! Avrebbe continuato a stare lì, a Besaid, con i suoi ricordi recuperati, con uno stipendio e con una madre che non sarebbe stata delusa dalla figlia. Tornò a ticchettare con le dita sulla tastiera del portatile, con rinnovata energia. Ora, finalmente, capiva cosa stava succedendo e quello che aveva in mente Lars. Annuì alle sue parole con tale vigore tanto da staccare quasi la testa dal collo mentre il caporedattore si sedeva vicino a lei con tutta l’intenzione di dare un’informazione che facesse il culo a quel giornaletto di Stavanger. Non che Riley volesse competere con altri suoi colleghi, ma in quel caso era necessario offrire un punto di vista esclusivo e quella, ormai, era l’intenzione di tutto il Daily. « Ripercorriamo quello che ricordi. Ricominciamo dall'inizio. » Riley si poggiò allo schienale e guardo il soffitto, intenta a ricordare ogni singola cosa che aveva fatto il giorno prima, e non era facile se si consideravano i ricordi del suo passato che si accavallavano con prepotenza a quelli più attuali, creando parecchia confusione nella sua testa. «Ricordo che un gruppo di persone stavano facendo dei cori di fronte la centrale, infatti non riuscivo a sentire bene l’audio che mi aveva mandato Ragen, il ragazzo con cui condivido la mia stanza all’Aamot Lodge. Diceva qualcosa riguardo Bono Vox che lo aveva graffiato…» Si ferma quando si rende conto che sta fornendo dettagli non importanti al fine di capire costa stesse succedendo il giorno prima di fronte la centrale di polizia. E comunque Ragen nell’audio parlava in russo quindi lei poteva capirci ben poco, ma dettagli. Continua a scavare nei suoi ricordi, sentendosi quasi la protagonista di un interrogatorio poliziesco in piena regola, solo che in questo caso la persona che la fissava non era un poliziotto ma era Lars, che negli occhi sembrava avere un luccichio tra la determinazione e la curiosità. «Probabilmente erano manifestanti che stavano facendo sentire la loro voce per qualcosa. E, se la polizia ha caricato, probabilmente avranno fatto qualcosa che non andava…a patto che qui la polizia non sia come quella americana…» Riley era fermamente convinta che non sempre gli uomini che indossano una divisa usano la violenza per una valida ragione quindi, per quanto la riguardava, quei manifestanti potevano essere pacifici ed essere stati presi a manganellate senza un buon motivo. Ma questo di certo non l’avrebbe rivelato un poliziotto. «O possono aver compiuto un atto vandalico…» Va a recuperare la foto che prima le aveva mostrato Lars: lei sorridente e alle sue spalle le persone che se le suonavano di santa ragione. Nel silenzio, mentre tentava di carpire ogni dettaglio da quell’immagine, sentiva solo la matita del caporedattore graffiare sulla carta che gli aveva appena portato Lys, nell’intento di prendere appunti. Poi eccolo lì, il dettaglio in lontananza di cui avevano bisogno, che non dava molte risposte e, al contrario, dava molte domande. «Guarda qui!» Allunga il telefono con l’immagine verso Lars, con l’angolo interessato zoommato fino all’inverosimile. «Non mi sembra che Stavanger abbia scritto che alcuni tra i manifestanti avessero preso di mira un’auto della polizia.» Dietro il faccino sorridente di Riley, infatti, oltre alla calca di persone, più in là si vedeva un’auto chiaramente appartenente alla centrale per il logo che aveva su uno degli sportelli, presa a calci da tre uomini, manifestanti dal momento che non indossavano una divisa. «Peccato non si riesca a vedere se nell’auto ci fosse qualche poliziotto, tu vedi qualcuno nell’abitacolo?» Adesso, da protagonista di un interrogatorio, Riley si sentiva una detective. I ruoli, nella sua testa, si erano ribaltati, e lei ricordava perché amasse tanto quel lavoro.
     
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    Lars Aeron Berg | '88 | Besaid Daily News | sheet
    Succedeva che quando Lars pensava alla scrittura di un articolo, il suo se stesso scompariva in un angolo lontano, e la sua mente viaggiava veloce sulle parole che scorrevano frenetiche una dopo l'altra, senza che lui vi si soffermasse troppo, almeno non in un primo momento. Spesso gli sembrava di non pensarci affatto, come se fosse qualcun altro a scrivere al suo posto, e lui occupasse semplicemente la sedia dove si ritrovava nel momento della stesura del racconto, in attesa che qualcosa venisse fuori, e che dalle sue mani, dalle sue dita, che fosse tramite lo svolazzare della penna su carta o, molto più di frequente oramai, tramite la tastiera del suo portatile, tutto venisse alla luce. Lampi nel buio. La pagina bianca del suo wordpress - aveva trentadue anni, era cresciuto sui wordpress, va bene? - si riempiva magicamente delle lettere in sequenza che vergavano la pagina di un fintissimo digitale inchiostro nero. E così lui non pensava affatto a nient'altro che non fosse lasciar scorrere l'immaginazione libera da qualsiasi intrusione esterna. Lui sentiva che gli bastava aprire il rubinetto, e lasciar defluire l'acqua per collegare tutto il suo io in quel processo unico. Ma il processo creativo da redattore capo che doveva aiutare altri a scrivere il proprio articolo era completamente diverso. Perciò in quel momento era come se dovesse aiutare se stesso a parlare con Riley e ad abbracciarla in quel suo modo di far sgorgare le parole, come se dovesse incrociare il suo io scrittore con Riley, e fungesse soltanto da mediatore. Ci aveva cominciato a pensare, senza rendersene propriamente conto, da quando aveva sentito il ticchettio delle dita di Riley sulla tastiera, e sentiva da qualche parte che sarebbe stato giusto pensare di fare una risposta in ogni caso, la risposta agli articoli delle altre testate, ritornare veloci in carreggiata per rimettersi in pari sul loro pezzo e il punto di vista di chi giocava in casa. Ma non era riuscito a dirlo prima di compiere i suoi passi fuori dall'ufficio della ragazza, rimettere sull'attenti il resto del piano, redattori e assistenti al seguito, tutti pronti per poter partire con la loro versione dei fatti. La risposta di assenso di Riley restò per molto tempo l'unica battuta posta dalla ragazza, e così anche da Lars, che nel frattempo aveva deciso di mettere a soqquadro tutta la redazione apposta per trovare una soluzione. E la vedeva tanto vicina da sentirsi vicino ad afferrarne un senso, anche se fino a quel momento era rimasto tutto concentrato solo a carpire la decisione aziendale più giusta per affrontare una piccola crisi di contenuti. Perché anche se non lo dava a vedere a tutti e cercava di tenere quelle cose solo per i pochi redattori che seguivano le sue imprese, dietro la sua immancabile passione per la scrittura c'era anche una grande voglia di sapere la verità. E il fatto che una notizia così importante stesse accadendo allora, significava che tutte le congetture che avevano studiato negli ultimi mesi stavano davvero portando a qualcosa.
    Lars guardò Riley, e cercò con tutto se stesso di porsi veloce in quel processo di mediazione che avrebbe compiuto. Strinse i braccioli della sedia in legno essenziale dal design tipico scandinavo dell'ufficio, e mise a fuoco la figura di Riley mentre la ascoltava. Immaginò di essere lì. Era tornato indietro alla sera precedente, e osservava il tramonto con gli occhi di Riley. Beh insomma, più o meno, diciamo come un surrogato di Riley. Immaginò la folla di persone che si accalcavano di fronte alla centrale, magari molte di loro vestite in modo da sembrare meno appariscenti, viso parzialmente coperto, cappelli con la visiera abbassata, qualche oggetto che potesse spacciarsi come di medio conto che potesse fungere da arma vera e propria se si fosse venuti allo scontro. Sentiva delle voci, le voci dei cori di una folla arrabbiata che parlavano contro un'istituzione e in quel momento rappresentavano qualcosa, si mostravano un tutt'uno perché non erano lì per caso. Ed era stato un assalto studiato. Lars terminò bruscamente di ripensare allo sfondo del tramonto sulle figure ammassate di fronte alla centrale di polizia quando Riley citò lui Bono Vox che doveva aver graffiato un tizio dal nome discutibile. Il fatto che il gatto si fosse nuovamente frapposto alle avventure della sua padrona - ricordò ovviamente il fantastico momento in cui aveva condotto il colloquio con gli occhi sul gatto nella gabbietta - lo destabilizzò tanto da assottigliare lo sguardo e guardare fisso gli occhi di Riley, storcendo le labbra in una smorfia che alla fine si trasformò velocemente in un ghigno. « Penso che Bono Vox farebbe meno danni se lo portassi direttamente in ufficio. Dovremmo istituire un nido aziendale per gli animali. » In realtà non sapeva perché, ma mentre aveva riso e voleva prendere bonariamente in giro Riley si rese conto che in effetti, come al solito, doveva darsi una pacca sulla spalla e pensare che aveva avuto un'ottima idea. Come sempre.
    E proprio in quel momento la porta si riaprì con Lys che fece capolino dall'ufficio con in mano il taccuino di Lars, e lui balzò su velocemente per andare incontro a lei e prendere il taccuino dalle mani - in quel momento pervaso da un'altra delle idee geniali di Lars Berg. « Lys, sai quanti di noi hanno un animale a casa? » Lys si fermò sulla porta, un'espressione indecifrabile sul volto. « Ci sono un pò di persone che fanno avanti e dietro per dar da mangiare ai loro cuccioli da compagnia o sbaglio? Perché non abbiamo ancora assunto un sitter? Qualche altra redazione lo fa già? » Lys tentennò un pò prima di rispondere, perché sapeva che ogni tanto Lars sbucava fuori dal nulla con un'idea che poteva sembrare matta ed incoerente, però sapeva anche che molte volte riusciva a trovare il modo di venirsene fuori con qualche trovata innovativa. Era per quello che in fin dei conti, si faceva voler bene dalle persone, anche se fingeva di essere un sociopatico senza eguali. « Forse una redazione no. Ma qualcun altro lo farà senz'altro. Lo vogliamo fare? » Chiese subito Lys, affrettandosi nella risposta da dare a Lars, facendo scorrere veloce lo sguardo tra Lars e Riley chiedendosi cosa accidenti stesse accadendo in quella stanza. « Magari comincia ad indagare, sempre priorità tre, poi fammi sapere se gli altri hanno avuto qualche soffiata. » Lys annuì, prima di allontanarsi dall'ufficio richiudendosi la porta dietro di lei e mormorando tra sé e sé che cosa accidenti sarebbe successo alla priorità due del giorno se anche Lars si era scordato del resto della mansioni che gli toccavano, ma decise che sarebbe avvenuto dopo, prima dovevano proseguire sulla notizia del giorno.
    Lars tornò a sedersi al suo posto con il suo taccuino, il suo bullet journal tra le mani, e sfogliò le pagine di fronte a Riley prendendo una penna dal portapenne nero sulla scrivania della ragazza proprio a venti centimetri dal suo taccuino, il portapenne richiamava vagamente la sagoma di un gatto ma non disse nulla, forse non lo notò davvero, e ai suoi occhi sembrò in effetti un oggetto con un bel design. Cominciò a segnare con la penna ad inchiostro blu una parola sulla pagina già provvista dell'elenco puntato: coro, squadra, organizzazione. Era così che funzionava l'associazione di pensiero, era così che venivano fuori articoli, e piste ben studiate.
    « Ok torniamo a noi. Stavi dicendo. » Sentenziò Lars, e Riley riprese a parlare. Tornò alla scena, e l'immagine nel suo campo visivo cambiò forma per pensare esattamente all'immagine della stazione centrale di polizia. L'edificio era piuttosto grande, dipinto dai colori chiari, con le finestre piccole, disegnate in quel modo per limitare le vie di fuga e di accesso, e il primo piano era per quello stesso motivo altissimo ed i soffitti alti giovavano all'immagine di una struttura di potere. L'edificio distanziava il cortile funzionale tutto attorno, ed il parcheggio sulla destra si estendeva nel suo perimetro. Il tutto era circondato da una recinzione metallica mediamente solida. Per quanto la loro fosse una città particolare era pur sempre una cittadina. «Probabilmente erano manifestanti che stavano facendo sentire la loro voce per qualcosa. E, se la polizia ha caricato, probabilmente avranno fatto qualcosa che non andava…a patto che qui la polizia non sia come quella americana…»
    « Qui la polizia carica di meno, ma siamo pur sempre a Besaid. Ci sono le divisioni speciali che si occupano di far luce su indagini particolari. » Mormorò, seguendo il flusso dei pensieri della ragazza. Si fermò per segnare sul suo taccuino il resto dei suoi pensieri: carica, sommossa, reazione, scontro. Fin lì nessuna svolta di indagine. Era il punto sull'organizzazione che lo faceva fremere e pensare. Mentre ritornava indietro, appeso su quel filo dei pensieri di Riley, sottolineò la parola che aveva scritto prima, e rimase fisso a guardare la pagina del taccuino, prima di ritornare su quello che aveva appena detto la ragazza e continuare a risponderle. « O caricare i manifestanti, certo. » Sentenziò Lars, portandosi una mano al mento e poggiandosi sul bracciolo della sedia, mentre pensava alle organizzazioni tutte Besadiane che il governo teneva in mano e a quelle irregolari su cui indagava e scriveva da almeno un anno e su cui ancora aveva pochissime libertà di scrittura. L'organizzazione di cui scriveva lui non si mostrava in orari facili e comodi. Agiva raramente, nel cuore della notte, e portava a compimento pochi piccoli incarichi messi a punto nella maniera più giusta. Non sbagliava quando andava a segno, e le azioni erano poche ed eclatanti e seguivano tutte qualcosa nell'ordine dell'alternarsi delle figure politiche di rappresentanza e delle poche persone influenti della città. Perciò l'organizzazione di Riley non era affatto quella che lui pensava. Era qualcos'altro, era una organizzazione popolare, di persone che si muovevano in massa e credevano in cose diverse. Riprese la penna in mano, e aggiunse alla terza riga: dogma, credo. E sottolineò entrambe le parole stavolta, prima di picchiettare con il dorso della penna le parole che aveva appena scritto. « Riley, comunque sia andata, questa è una cosa su cui scriveremo. Non so se riusciremmo ad avere altre notizie in futuro ma... » Si fermò, quando Riley lo riportò alla sua immagine, la foto che aveva scattato la sera prima. «Peccato non si riesca a vedere se nell’auto ci fosse qualche poliziotto, tu vedi qualcuno nell’abitacolo?» La guardarono insieme, e Lars rispose nuovamente a Riley alla sua intuizione. « Dobbiamo subito scrivere dell'auto. » Continuò Lars, scrivendo su un punto più a destra del suo elenco puntato quello che dovevano portare alla luce in quell'articolo. Atto vandalico, auto, poliziotto preso di mira. Risollevò lo sguardo su Riley sorridendole, con la malizia lavorativa consona ai due giornalisti all'opera sul loro articolo. Prima che potesse parlare fu Sam ad entrare nella stanza, con i suoi occhi azzurri più luminosi del sole di mezzogiorno e il suo ipad in mano. « Abbiamo trovato un poliziotto pronto a testimoniare. » Allora Lars guardò Riley e si lasciarono scappare entrambi un sospiro di sollievo, si voltarono all'unisono e fecero incontrare le loro mani in un sonoro batti cinque. Anche se in realtà in quel momento la vera eroina del giorno era proprio Sam, la più piccola dell'ufficio. « Direi che abbiamo una pista. » Mormorò, e si alzarono entrambi, raccogliendo il taccuino e il portatile di Riley mentre seguivano Sam fuori dalla porta, per ascoltare il suo resoconto.

    anche oggi il vostro Lars di quartiere salva la giornata ahahaha
     
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5 replies since 15/1/2021, 17:29   227 views
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