Youth's like diamonds in the sun and diamonds are forever

Rose & Mel

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    I piedi nudi lasciavano alcune tracce bagnate sul pavimento, mentre il vapore caldo riempiva la stanza, appannando l’ampio vetro che riempiva metà della parete di fronte a lei. Aveva dimenticato di prendere un asciugamano prima di buttarsi sotto la doccia, utilizzando i bagnoschiuma più profumati che possedesse. Metteva molto cura nella sua preparazione e nei profumi da indossare quando doveva mettere la maschera di Rose e indossarla per tutta la sera. Elise sapeva di non avere molto in comune con la figura che aveva creato per essere diversa, per poter vivere la vita che aveva sempre sognato. Sentiva di non poterlo fare con la sua stessa pelle. C’erano troppi ricordi, troppe cose nascoste, troppe paure. Elise sarebbe sempre stata schiacciata dal peso dei suoi errori, dalle paure che la notte continuavano a tenerla sveglia, anche a distanza di anni. Sebbene Harald fosse scomparso dalla sua vita da circa dieci anni il suo ricordo era ancora vivido nella sua memoria quando chiudeva gli occhi e le toglieva il respiro. Aveva perso il conto di quante volte si era svegliata in preda alle urla, nel cuore della notte, perché quella figura viva e poi non più continuava a tormentarla. Soltanto quando c’era qualcuno al suo fianco riusciva a spazzare via quei pensieri, a dormire serena, come se quella sola presenza fosse in grado di allontanare tutti gli spettri del suo passato. E allora, notte dopo notte, giorno dopo giorno, cercava qualcuno con cui condividere il suo tempo, accanto al quale addormentarsi anche solo per qualche momento, per sentirsi libera e finalmente al sicuro. Rose invece era libera, non c’era alcun passato a tormentarla, lei poteva essere ogni giorni una donna diversa, tingersi il volto di mille colori e indossare quello che preferiva. Non c’era alcun paletto in quel gioco di finzione, non c’era nessuno a trascinarla a fondo, giù, nell’oscurità che la avvolgeva. Rose era il bagliore di luce all’interno della sua vita, colei che sembrava riuscire persino a tenere a bada quella particolarità che le faceva paura. Perché Rose non aveva paura, non c’era nulla in grado di farle abbassare la testa. Si sfiorò la pelle della spalla, rivolgendo un leggero sorriso allo specchio che però si perse in mezzo a quella coltre di vapore. Qualche altro passo e poi finalmente riuscì a prendere un asciugamano per coprirsi appena, i capelli che ancora sgocciolavano sul pavimento.
    Non era mai stata una ragazza particolarmente ordinata e quando qualcosa le frullava per la testa non riusciva a pensare a nient’altro. Se non avesse dovuto lavorare quella sera probabilmente si sarebbe chiusa in una stanza, ad urlare. Il riflesso di Elise sul vetro la faceva stare male mentre il pensiero di sua madre si insinuava ancora una volta nella sua mente. Sarebbe dovuta andare a trovarla? Era quella la cosa giusta da fare? Non lo sapeva, nessuno le aveva mai insegnato la vera distinzione tra giusto e sbagliato, anche se qualcuno al centro Icaro gliene aveva dato una sua versione particolare. Erano tante le famiglie che aveva cercato di costruirsi negli anni, per sopperire a quella di sangue che non aveva mai avuto. Aveva guardato gli altri bambini correre verso le loro madri e i loro padri all’uscita da scuola e poi si era voltata dall’altra parte, sapendo che non ci sarebbe mai stato nessuno per lei. Afferrò il telefono, sedendosi sul letto per un istante, mentre cercava la voglia di vestirsi e affrontare quella serata. Non era sempre semplice indossare la maschera, far scivolare ogni cosa sotto la superficie, così che non potesse ferirle. Le sue memorie erano come finissime schegge di vetro, all’apparenza nessuno era in grado di vederle, ma bastava sfiorarle per non riuscire più a liberarsene. Si infilavano sotto la pelle, ferendo con sin troppa semplicità. Aprì le chat, scorrendo all’unica che le interessasse in quel momento, Eld. Quasi aveva dimenticato la prima volta che il suo sguardo attento si era posato su quello di quel ragazzo taciturno, per poi lasciarsi andare ad un sorriso tranquillo. Era stato Eyr a presentarli, dopo averla convinta a uscire insieme a loro almeno per una volta e da allora non li aveva più lasciati andare. Erano diventati la prima di quelle famiglie che si era costruita, quella a cui aveva sempre tenuto di più. -A che ora finisci di lavorare domani? - scrisse, velocemente, senza staccare gli occhi dallo schermo, mentre inviava quelle prime parole, per poi scriverne altre. -Posso aspettarti all’uscita? Ho bisogno di affetto. - continuò, aggiungendo poi l’immagine di alcuni fiori e cuoricini, giusto per smorzare l’effetto di quello che aveva appena scritto, come a volerlo cancellare o tramutare in qualcosa di molto meno serio. Eld, tra tutti, era sempre stato quello che meno si lasciava andare a gesti d’affetto, eppure non l’aveva mai scansata quando lei aveva cercato comunque di prenderseli, senza chiedere il permesso. Elise detestava chiedere le cose, ma questo loro lo sapevano.
    Lasciò cadere il telefono sul letto, sapendo che prima o poi una risposta sarebbe arrivata e che, probabilmente, sarebbe stata positiva. Si immerse all’interno della sua cabina armadio per cercare qualcosa di adeguato alla festa privata a cui avrebbe preso parte quella sera, in compagnia del Signor Karlsen. Non era la prima volta che trascorreva le sue serate con lui. Era un uomo abbastanza tranquillo, che occupava la maggior parte del tempo parlando. Forse in realtà ciò che desiderava era solo una figlia che non aveva mai avuto, qualcuno da considerare tale, anche se solo per qualche ora, dietro pagamento. Quella sera non riusciva proprio a decidersi. Il fatto che quell’uomo la trattasse molto spesso solo come una ragazzina la lasciava sempre un po’ di stucco e non riusciva a comprendere come lui potesse preferire vederla vestita. Alla fine optò per un vestito bianco piuttosto semplice ma elegante al tempo stesso, che l’avrebbe quanto meno fatta sentire a suo agio. Avrebbe lasciato i capelli sciolti, acconciandoli però facendo la piega affinchè ricadessero in morbide onde scure sulle sue spalle. Mise addosso un trucco leggero e terminò il tutto con un paio di scarpe scure, un cappotto e una pochette che avrebbe contenuto giusto l’essenziale per la serata. Non aveva chiesto quante ore sarebbe durata la serata, di sicuro gli accordi erano già stati presi e Agnes si era assicurata di ricevere il giusto compenso per quel tempo speso al di fuori del Lust, che ovviamente sarebbe costato un po’ di più, visto che a distanza non poteva assicurarsi che le regole venissero rispettate a pieno. Stava ai suoi dipendenti fare in modo che accadesse e andare dritti da lei a fare le loro rimostranze qualora qualcosa di spiacevole fosse accaduto. Aveva ricevuto alcune informazioni, tra cui quella di farsi trovare proprio al locale dove sarebbe passato il cliente a prenderla per condurla al luogo della festa. Diede un’altra occhiata allo specchio e poi, dopo alcune prove non proprio riuscite, sfoderò un sorriso raggiante, creato ad hoc per l’occasione. Sarebbe stato divertente, ne era sicura.

    Dopo circa un’ora da quando era uscita di casa aveva finalmente raggiunto il luogo dell’evento. Era una villa nascosta all’interno del bosco, non era stato semplice raggiungerla ma il signor Karlsen sapeva esattamente dove stava andando. Segno che forse era già stato lì, oppure che chiunque lo avesse invitato gli avesse dato delle informazioni molto attente e precise, affinchè non si perdesse. Non aveva voluto alcun taxi e aveva guidato di persona per raggiungere quel luogo. Immaginava che fosse qualcosa di segreto, ma da tempo ormai aveva compreso che quell’uomo nascondeva molto più di quanto voleva dare a vedere. In alcune occasioni le aveva raccontato delle cose che le aveva fatto promettere di sé, come se ci fosse stato un segreto professionale non scritto tra una escort e il suo cliente. Lei aveva accettato e non ne aveva fatto parola con nessuno ma sapeva che, se soltanto lo avesse voluto, nessuno le avrebbe davvero impedito di parlare. Il problema era che, se Mark lo avesse scoperto, avrebbe potuto rischiare la vita. Sorrise mentre, scendendo dall’auto, osservava l’ampio spazio verde attorno alla vita, dove qualche altro invitato aveva già iniziato a sorseggiare questa o quella bevanda. Fece per aprire lo sportello della macchina, ma Mak la precedette, scendendo velocemente dall’auto e aiutando lei a fare lo stesso, porgendole la mano. -Sei molto gentile, come sempre. - mormorò, ad un soffio dal suo orecchio, con voce dolce e gentile, per poi aspettare che lui chiudesse la vettura e le facesse strada verso l’interno. La musica e le chiacchiere la disorientarono per un momento, provocandole un leggero giramento di testa che però sparì piuttosto in fretta. Si concentrò sulle luci, sui profumi, sulle pietanze che i camerieri offrivano con dei vassoi. Afferrò subito un calice di champagne, prima ancora che qualcuno potesse offrirglielo e iniziò a sorseggiarlo mentre studiava l’ambiente attorno a lei. -Devo salutare delle persone, tu prendi pure qualcosa da mangiare. - le disse, indicandole una zona precisa nella sala più ampia della villa, per poi sparire dietro una porta all’interno della quale si trovavano già alcuni altri uomini.
    Lo osservò sparire dietro quella porta per poi avanzare lentamente, continuando a guardarsi attorno. Era un posto piuttosto singolare e dubitava di poterlo vedere di nuovo, dopo quella sera, quindi voleva imprimere nella mente ogni ricordo. Mandò giù un altro sorso di champagne, accettando poi qualche stuzzichino da un cameriere, continuando a procedere in avanti, fino a notare una figura che le era già capitato di intravedere in precedenza, anche se non poteva dire davvero di conoscerla. -Melodie? - chiese, come a voler essere certa di non aver sbagliato persona o di non aver confuso il suo nome. Poteva capitare con tutti quelli che doveva ricordare. -Sono Rose, ti ricordi di me? - domandò, con un sorriso leggero sulle labbra. Non c’erano cognomi tra loro, erano solo nomi sparsi al vento senza un vero perché, eppure era confortante averne uno. -Sei qui da un po’? Potresti aiutarmi ad ambientarmi? - domandò ancora, continuando a sorseggiare lo champagne, curiosa di sentire i commenti dell’altra donna su quella serata.
     
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    La porta si chiuse alle spalle con un tonfo sordo dopo che la sagoma di Melodie si fu insinuata oltre l’uscio, le punte corvine dei lunghi capelli furono l’ultima parte della donna ad immergersi nella stanza dall’alto soffitto. Uno, due, tre battiti di ciglia, il mascara sembrava portarle a rattrappirsi mentre, ricurve verso l’altro quasi fossero la coda di un pavone, lasciavano che l’azzurro delle iridi portasse via l’attenzione da tutto il resto. Sorrise apertamente, chinando appena il capo da un lato mentre si avvicinava alla figura di Magnus che ancora le dava le spalle, in piedi di fronte al bancone del bar allestito nella salone principale. Quando gli fu abbastanza vicina da poter posare anche la borsa sul ripiano, di fianco al bicchiere di vetro che lui stringeva fra le mani, Melodie allungò una mano nella sua direzione andando a posare brevemente una mano sulla sua spalla, portandolo a voltarsi nella sua direzione. «Sei in ritardo. E hai la faccia da stronza.» la voce del sicario -o qualsiasi cosa lui fosse o figura rappresentasse lì dentro- risuonò greve ma divertita, chiunque lo conosceva davvero o aveva a che fare con lui per un tempo relativamente continuato ormai avrebbe potuto riconoscerne le diverse sfumature. «E’ anche per questa faccia che mi pagate tutti un sacco di soldi.» rispose lei, scrollando appena le spalle e continuando a sorridere, un lieve sospiro che andava a levarsi dal petto per sfuggire alle labbra ora schiuse. Lo vide scuotere il capo, ridacchiare silenziosamente appena prima di voltarsi nella sua direzione e lasciare che uno dei due gomiti si posasse sul bancone, così da reggersi lateralmente contro di esso mentre tornava a scrutarla. «No. Fai un sacco di soldi perché lavori per gente che conosci grazie al Perception.» constatò il sicario, inarcando una delle due sopracciglia e andando ad afferrare il bicchiere per buttar giù un altro sorso di quella che dall’odore le parve essere vodka. Ci era fissato, sembrava l’unica linfa vitale di cui avesse bisogno per sopravvivere. Lo scrutò, inclinando il capo nella sua direzione mentre spostava il peso del proprio corpo da un piede all’altro, entrambi avvolti nel tessuto pregiato di un paio di louboutin grigie dalla suola rossa scarlatta, s’intonavano al vestito a frange che aveva indossato per quella serata. «Sei geloso? Basta dirlo, a te faccio lo sconto.» ammise lei, le iridi ghiacciate che andavano ad infrangersi contro quelle altrettanto chiare dell’altro. Un altro sospiro, Magnus bevve l’ultimo sorso di vodka e lasciò il bicchiere sul bancone, dandogli una spinta leggera per passarlo al ragazzo assunto dal catering e permettergli di preparare e ripulire al meglio il tutto per l’incontro che si sarebbe tenuto a breve. «Stagli addosso stasera.» le disse poco dopo, drizzandosi mentre si affiancava a lei ed infilando le mani nelle tasche dei pantaloni restò lì, spalla contro spalla, ad osservare la furia degli ultimi preparativi della casa per la serata. Gli diede una gomitata leggera, Melodie, senza però voltarsi nella sua direzione mentre anche lei lasciava che le iridi vagassero per la sala. «Non sai quanto gli piacerà. Hai qualcosa per me?» chiese, arrivando a guardarlo mentre il mento si sollevava piano nella sua direzione, discreto. Lo vide annuire, le labbra che si arricciavano sul viso per non sorridere divertito. «Ma certo… dico ad Isie di detrarlo dalla paga?» propose ironico, voltandosi nella sua direzione, ogni singolo riccio castano che diveniva dorato sotto i faretti di luce al Led montati sul soffitto. «Vuoi o no che faccia un buon lavoro?» chiese allora Melodie portando le dita delle mani a stringersi sui fianchi e lasciando che oltre il suo viso anche la sua intera figura assumesse l’espressione d’attesa che l’avrebbe spinto a cedere. Non erano amici, non si conoscevano nemmeno, ma si vedevano praticamente troppo spesso per fingere di non essere qualcosa, qualsiasi cosa Magnus e Melodie fossero. Quando udì la lingua dell’altro scoccare contro il palato e la sua mano estrarre una boccetta dalla tasca dei pantaloni, Melodie sorrise soddisfatta. L’afferrò nel momento in cui la mano di lui fu abbastanza vicina alle sue dita e l’aprì, estraendone la sottilissima staffetta di metallo a forma di cucchiaino che posizionò in prossimità di una delle narici, attraverso la quale aspirò un po’ della polverina bianca. Le piaceva proprio tutto di quella vita, tranne l’idiozia della bionda che ogni volta sembrava voler sabotare ogni frammento di lussuria che a Melodie spettava. Richiuse la boccetta e, senza dire niente, la fece scivolare nella tasca dei pantaloni di Magnus, la stessa dalla quale lui l’aveva tirata fuori. «Grazie, signor Nyström.» sussurrò quindi all’orecchio di Magnus. Gli diede una pacca sul sedere e si allontanò finalmente da lui, riprendendo a camminare sulle sue louboutin come se tutta la sua pelle fosse fatta d’oro e dovesse farsi vedere luccicare sotto alle luci incastonate sul soffitto, che in quel momento parvero diamanti incandescenti.

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    Il mondo della criminalità si era adagiato a quelle curve da capogiro come il tessuto leggero di un abito da sera: Melodie lo pensava presuntuosamente e lo avrebbe ammesso senza remore. Le stava da Dio. Sebbene al contrario sarebbe stato complicato spiegare come funzionassero lei, Delilah e Judith, al Perception sembravano aver accettato quel problemino senza fare chissà quali storie, ma anzi cercando di trarne vantaggio in qualsiasi modo, loro glielo lasciavano fare. Sapevano che Delilah era Delilah, quando non avrebbe voluto vedere qualcosa avrebbe semplicemente voltato lo sguardo; Judith ne continuava ad ignorare l’esistenza e la sua complicità nell’insieme; e poi c’era Melodie, l’unica che sembrasse ragionare con razionalità e che fosse lucida tutto il tempo. Forse era per quel motivo che, a livello lavorativo, la maggior parte di loro al Perception avrebbero ammesso di preferirla all’altra, perché di Judith a stento sembravano conoscere il volto e di Delilah sapevano di non poterla mai afferrare davvero: quando pensavano di avere una parte di lei fra le dita, ecco che queste tornavano a stendersi e sul palmo non ci restava mai davvero niente, neanche un capello dorato sfuggito alla chioma. Ultimamente, poi, qualcosa stava accadendo e tutti loro, dall’interno, se n’erano accorti. Era per quel motivo che Melodie tornava a presentarsi così spesso, giorni interi, anche quando il potere sfuggiva al controllo e la donna si guardava nello specchio incastrando lo sguardo a quello che appariva nel riflesso pallido e più innocente. Quella sera c’era stata di nuovo lei, come ogni volta in cui Delilah aveva deciso di fare la vigliacca e nascondersi. Iniziava a comprendere come funzionasse, desiderando per sé anche sempre più spazio, sempre più visibilità: era avida, Melodie. Voleva sempre di più e, sebbene fosse consapevole di molte più cose che Delilah insisteva a non ammettere, era anche consapevole di essere qualcosa di illusorio, una sorta di cancro inesistente che, sperava certamente di no, prima o poi avrebbe mangiato tutto quanto o sarebbe semplicemente scomparso. Era ad ondate, lei esisteva a tratti solamente.
    -Melodie?- una voce femminile la chiamò e sembrò più reale di quanto si aspettasse, come se il fatto di non aver ancora visualizzato le labbra dalle quali quel suono era appena venuto fuori fosse frutto di una fantasia remota, ricordi che a stento avrebbe saputo collocare da qualche parte. Addentò una tartina di salmone e, portando la mano libera a premere il polpastrello del dito medio sull’angolo della bocca, fece scivolare via una briciola quasi invisibile mentre si voltava a fronteggiare la donna. Inarcò le sopracciglia e strinse le labbra l’una contro l’altra per fare in modo il rosso del rossetto continuasse a stendersi su tutta la superficie, sollevando gli angoli della bocca all’insù in un sorriso sorpreso e compiaciuto. -Sono Rose, ti ricordi di me?- domandò la bionda in piedi davanti a lei e avvolta in un bellissimo abito bianco perfetto per l’occasione. «Rose!» esclamò lei, il tono della voce sembrò avere lo stesso ego di Melodie, dato che s’innalzò di qualche ottava. -Sei qui da un po’? Potresti aiutarmi ad ambientarmi?- s’introdusse allora l’altra, stuzzicando le conoscenze e al contempo la curiosità di Melodie nei confronti dell’altra. Annuì gentile, ancora indaffarata con l’ultimo pezzo di tartina, lo stesso che mandò giù in un boccone mentre, riprendendo a camminare in direzione del bar, si trascinava Rose nella stessa direzione tenendola per mano. Quando furono davanti al bancone fece segno con due dita al barista di avvicinarsi. «Due martini.» ordinò, appena prima di fargli segno di avvicinarsi di nuovo. «E due olive ognuno.» aggiunse, chinando il capo così da fisare i propri occhi in quelli del tipo, non avrebbe ammesso il contrario e lui lo sapeva benissimo. Cavolo se la conoscevano, ormai. SI voltò nuovamente nella direzione della compagna, sollevando la mano che fino a quel momento aveva continuato a tenere stretta fra le proprie dita e spingendola quindi a fare una piroetta. «Wow, Rose. Sei una gran figa, lasciatelo dire.» si complimentò Melodie osservando i lineamenti del viso di Rose che, oltre che angelici, conservavano una sorta di particolari che mai su nessun’altra aveva visto. Il viso di forma appuntita rendeva gli occhioni incredibilmente profondi e a Melodie piaceva da matti. «Chi ti accompagna stasera?» domandò allora Melodie, lasciando andare la mano dell’altra per afferrare i due bicchieri a forma di imbuto che il barista aveva appena posato sul bancone e passandone uno alla ragazza. La domanda, del tutto specificatamente posta in quel modo, andava ad estrapolare il senso di rivalsa che provava Melodie nei confronti del lavoro che svolgeva. Sebbene le donne invischiate in quella categoria di mestiere si facessero pagare per esser chiamate accompagnatrici, Melodie la vedeva in maniera un po’ diversa: non era lei ad accompagnare chi necessitava la sua figura femminile al proprio fianco, ma era lei stessa a decidere di cambiare, mutare ogni sera la propria storia e fingere di essere qualcun altra, forse in maniera meno evidente di come Delilah decidesse di mutare per fingere di essere qualcun altro per avere un passato diverso. Solo che, a differenza di tutti quegli uomini, lei ci guadagnava nel farlo. Quello che accadeva dopo, nel privato, erano scelte che lei spingeva loro a compiere, così presa da se stessa e dal proprio valore in termini di denaro che, per Melodie, qualsiasi cosa al mondo avrebbe potuto avere un prezzo, anche la propria pelle, anche il proprio “no”.
    Andò a stringere lo stecchino infilzato in una delle due olive presenti nel suo bicchiere e lo portò alle labbra, lasciando che i denti bianchissimi la strappassero via da esso per mandarla giù, poi diede il primo sorso al Martini. Quando ebbe allontanato il bordo circolare del bicchiere dalle labbra rosse, tornò a sorridere in direzione di Rose. «Io adoro quando si mettono in società e hanno voglia di festeggiare, di fare le cose in grande.» sussurrò piano all’orecchio della bionda chinandosi lateralmente verso di lei mentre con il mento indicava il fondo della grande sala, laddove due uomini di cui non disse il nome ma che Melodie conosceva abbastanza bene si stavano stringendo le mani in una presa ferrea, giusto qualche secondo prima che uno dei due invitasse l’altro ad avanzare oltre la porta semi aperta, la stessa che si chiuse alle spalle dei due una volta spariti oltre di essa. «Gli uomini e la sete di potere. Si sentono tanto grandi ma sarebbero capaci di sborsare lingotti d’oro pur di avere un corpo qualsiasi premuto contro. Temono la solitudine più della povertà o della vergogna.» sussurrò ancora spostando lo sguardo di lato, sul viso di Rose in piedi di fianco a lei, per cercare un’anima complice. Le sorrise, avvicinò il bicchiere e bevve un altro sorso di martini. L’illusione degli altri, era quello ciò per cui lavoravano.
     
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    Elise non si interessava mai troppo di scoprire qualcosa sui suoi clienti, di spingere per avere delle informazioni. Di norma erano loro a parlare senza che lei avesse neppure il bisogno di chiedere. Vedevano in lei una persona di cui potevano fidarsi, qualcuno che non li avrebbe mai traditi, per nulla al mondo, qualcuno a cui avrebbero potuto dire qualunque cosa senza temere ripercussioni. Era parte del suo lavoro ovviamente dare l’illusione più adeguata a chi si trovava di fronte, essere esattamente ciò che gli altri si aspettavano che lei fosse. Era proprio per questo che, a sua volta, aveva scelto di crearsi quella bellissima maschera da indossare. Non era Elise a dover cambiare per quelle persone, perché lei non era lì. Si sentiva come un’attrice sul palcoscenico della vita e adorava poter indossare continuamente una pelle diversa. Se fosse stato per lei avrebbe mutato nome ogni sera, ma purtroppo serviva che i suoi clienti abituali avessero un solo nome con cui riconoscerla, chiamarla e chiedere di lei. Ma Rose in fin dei conti era tutti e nessuno. Era un piccolo bocciolo delicato, sempre pacato e con un sorriso gentile o un po’ più malizioso sul volto, che nascondeva dentro di sé tutti gli strascichi della vera vita che aveva vissuto. Come il fiore da cui aveva scelto di prendere il nome, le sue spine non erano sempre semplici da scorgere, ma bastava sfiorarle per un solo istante per farsi del male. E così era lei. Fingeva che tutto fosse perfetto, di non ritrovarsi invischiata in faccende molto più grandi di lei. Si nutriva della gioia e del divertimento di coloro che aveva intorno, perché non era mai stata in grado di sopportare il loro dolore e i loro malesseri. Li sentiva scorrere dentro di sé come ombre scure che penetravano in profondità facendole salire il voltastomaco. I sentimenti negativi di chi aveva intorno graffiavano dentro di lei, come se volessero insinuarsi nelle profondità del suo animo e diventare sue, senza tuttavia mai riuscirci. Forse per questo si era sempre interessata così poco degli altri: non voleva avere a che fare con i loro problemi, non se questo non era strettamente necessario. Soltanto i suoi amici, quelli veri, potevano ricevere la sua completa attenzione. Con le altre persone, in particolare i clienti, si limitava a sorridere senza ascoltare davvero, a meno che non si trattasse di qualche argomento succulento che avrebbe potuto ravvivare la sua serata.
    Il signor Karlsen era sempre stato molto vago sui suoi affari e su quello che era il suo lavoro principale. Era chiaro che fosse uno che se la passava bene, o non avrebbe certo potuto permettersi la sua compagnia in un locale come il Lust o fuori da esso. Che fosse invischiato in faccende illecite lo aveva sospettato da tempo, però le parve di coglierlo davvero soltanto quella sera, quando, dopo averla congedata piuttosto velocemente, sparì dietro una porta scura insieme ad altri uomini, tutti altrettanto eleganti. Si guardò intorno, cercando di cogliere ogni dettaglio di quella enorme villa. Si sentiva come una bambina che era appena stata lasciata da sola all’interno di un enorme parco giochi e non sapesse quindi verso quale attrazione muoversi per prima. Si mosse quasi senza pensare, guardando a destra e a sinistra, osservando per prima cosa gli abiti e le acconciature degli altri invitati. Erano tutti piuttosto eleganti a tirati a lucido. Qualcuno si voltò a guardarla mentre passava e lei sorrise, per niente a disagio davanti a tutti quegli sguardi. Probabilmente alcune di quelle persone dovevano essere incuriosite nel vedere un nuovo volto, che non aveva mai partecipato a quelle feste. Sarebbe stata curiosa di sentire i loro discorsi, le chiacchiere su questo o quell’altro invitato, ma sapeva che nessuno le avrebbe permesso di entrare nel giro la prima volta. Se era davvero nel tipo di ambiente in cui credeva di essere poi, avrebbe fatto meglio a tenere alta la guardia e mantenere una certa distanza da tutti loro, ma le cose tranquille e perfettamente razionali non le erano mai piaciute molto. Raramente infatti riusciva a portare a termine un piano esattamente come lo aveva pensato, finiva sempre con il farsi guidare dall’istinto o dalla sua emotività. Giusto o sbagliato dopotutto erano concetti soggettivi e nessuno avrebbe avuto il diritto di giudicarla davvero o dirle che cosa poteva o non poteva fare. Soltanto ad Agnes, all’interno delle mura del Lust, permetteva di farlo.
    Continuò ad avanzare, lasciando che la sua testa ciondolasse di qua e di là, rivolgendo sorrisi e leggere occhiate. Osservava, ma non aveva ancora deciso come divenire parte di quella festa, quale sarebbe stato il suo ruolo per quella sera. Prese un calice tra le mani, iniziando a sorseggiarlo lentamente, come fosse stato un prezioso siero che le avrebbe permesso di pensare più lucidamente, ma che proprio per questo non poteva essere consumato con avidità. Intrecciò tra le dita una ciocca dei suoi capelli, che per l’occasione aveva scelto di tingere di biondo. Di norma preferiva il castano, il suo colore naturale, ma in rare eccezioni sentiva quasi la necessità di mutare ogni più piccolo dettaglio del suo aspetto, a cominciare dai capelli, dal trucco e dal colore dello smalto. Si nutriva di quei piccoli dettagli, delle cose più sciocche che per lei tuttavia sapevano diventare importanti. Notò con la coda dell’occhio uno dei tavoli del buffet e si mosse in quella direzione. Pensandoci era da pranzo che non metteva qualcosa sotto i denti e iniziava quindi a sentire un certo languorino. Osservò distrattamente i vari stuzzichi in bella mostra sul tavolo, senza sapere da dove cominciare. Per un attimo la sua mente volò a Eld, a quanto si sarebbero divertiti insieme in un luogo come quello, ad assaggiare ogni cosa e parlarne come se fosse stata la cosa più importante del mondo. Un altro sguardo e quel pensiero sfumò velocemente. A Eld non sarebbero mai piaciuti luoghi come quelli, troppo eccessivi per qualcuno che aveva sempre fatto della semplicità il suo punto di forza. Percepì una strana fitta all’altezza dello stomaco, come se la sua personalità più vera stesse spingendo per tornare a galla e spingerla ad andarsene, a tornare a casa. Ma non era ancora il momento, non poteva andare via e non voleva permettere a se stessa di rovinare tutto quanto. Ricacciò in fondo alla sua mente tutti quei pensieri, sfoderando un nuovo sorriso, stavolta più attento, più interessato. Ora sentiva quasi la necessità di trovare qualcuno che riempisse il silenzio che aveva attorno, nonostante fosse circondata da persone che parlavano del più e del meno. Il chiacchiericcio di fondo era quasi fastidioso, ma era sempre meglio del silenzio.
    Una figura familiare catturò la sua attenzione, strappandole un nuovo sorriso, stavolta più deciso, mentre si muoveva verso di lei, perfettamente in equilibrio sulle sue scarpe dal tacco forse un po’ troppo alto. Sperò che Melodie la riconoscesse, anche se era trascorso qualche mese dall’ultima volta che si erano viste. Si voltò verso di lei con la solita aria sicura e un sorriso compiaciuto sulle labbra, prima di chiamarla per nome, forse volendole dare la conferma di sapere chi lei fosse. La seguì quando la bruna si mosse verso il bancone del bar, che Rose aveva ignorato sino a quel momento, prendendola per mano per accompagnarla. Il suo sguardo si perse a osservare la figura di Melodie, che si mosse sicura all’interno di quella sala, come se sapesse esattamente cosa stava facendo e dove stesse andando. L’alone di assoluta sicurezza e di sensualità che la avvolgevano la facevano brillare di luce propria, senza neppure bisogno delle luci. Sorrise davanti al suo complimento, terminando quella piccola piroetta. Forse non lo avrebbe mai ammesso, ma i complimenti le erano sempre piaciuti da matti, non le bastavano mai. -Anche tu sei bellissima, come ogni volta che ti vedo. - disse, senza alcun timore. Sapeva apprezzare la bellezza sia negli uomini che nelle donne e accompagnarsi con le une o gli altri senza particolari differenze. -Mark Karlsen. - pronunciò poi, quando Melodie le chiese un nome, guardando verso la porta dietro cui era sparito per vedere se finalmente si fosse aperta, arricciando poi le labbra in un’espressione scontenta. -Anche se oggi sembra avere altre priorità. - aggiunse quindi con uno sbuffo un po’ contrariato. Per quanto le piacesse poter fare quelle che voleva senza avere i suoi occhi addosso, detestava essere messa in secondo piano. Era pagata anche per stare lì, a fare il soprammobile, all’interno di quella enorme villa, ma non era divertente quanto trascorrere il tempo con qualcuno. -Tu invece? Sei con qualcuno? - domandò, piuttosto curiosa, mentre accettava il bicchiere che le era appena stato offerto, sorseggiando appena il suo martini. Le era sempre sembrata una donna molto indipendente, impossibile da mettere in un angolo o da costringere in una gabbia, come invece a volte si sentiva lei. Era una gabbia dorata, certo, e incredibilmente confortevole, ma era comunque una diminuzione delle sue libertà. Melodie invece sembrava aver definito delle regole molto precise per il suo gioco, che lei sola conosceva e poteva quindi gestire.
    Mangiò una delle sue olive dopo il primo sorso, mentre l’altra iniziava a discutere di feste, uomini e della loro voglia di potere e di mettersi un po’ in mostra. Il suo commento, appena sussurrato, era una delle cose più reali e veritiere che le avessero mai detto nella sua vita e si ritrovò quindi ad annuire appena, quasi in maniera impercettibile, per poi avvicinarsi appena, a sua volta, all’orecchio dell’altra. -Bisogna solo capire chi di loro sia disposto a spendere di più. - aggiunse quindi, lasciando che fosse davvero Rose a parlare in quel momento. Per Elise non faceva molta differenza, preferiva inibire i suoi sensi con alcol e droghe prima di avvicinarsi a qualcuno, a meno che non si trattasse di quella piccolissima rete di affetti e compagnie che si era creata, alla quale non sarebbe mai riuscita a rinunciare. -Sai se è in programma qualcosa di particolare per stasera? - chiese quindi, continuando a sorseggiare il suo drink e guardandosi appena intorno, come a fingere di non aver detto nulla poco prima, così da non attirare troppo l’attenzione su loro due e sulle loro chiacchiere. Si chiedeva se ci sarebbe stato qualche gioco, o magari un po’ di movimento, o se tutti sarebbero rimasti perfettamente dritti e impeccabili, come degli stoccafissi. Si avvicinò di nuovo all’altra. -Perché sono tutti così seri e tristi? - domandò quindi, come se ormai fosse sicura che Melodie potesse avere le risposte a qualunque domanda. Terminò il suo martini, intercettando un cameriere che portava con sé un vassoio, prendendo una tartina al salmone e facendo cenno all’altra di servirsi prima di lasciar andare il ragazzo con un sorriso angelico. Sul fondo della sala un altro ragazzo gestiva la musica. Era un sottofondo leggero e appena udibile, fatto solo per creare un po’ di atmosfera, senza tuttavia impedire delle amabili conversazioni. Lo indicò a Melodie con un leggero cenno del capo. -Dici che dovremmo cercare di movimentare un po’ questa serata? - mormorò quindi, con aria un po’ annoiata, per poi fare cenno al barista di portarne altri due. Di sicuro non sarebbe stata lei a pagare per quei drink, ma Mark non si sarebbe lamentato di farlo, visto che la stava lasciando sola troppo a lungo. -O piantiamo tutti in asso e andiamo a farci un giro dentro questo spettacolo? O magari fuori? - domandò, piuttosto indecisa sul da farsi. Avvicinarsi al ragazzo della musica e convincerlo a mettere qualcosa di un po’ più movimentato non sarebbe certo stato difficile, ma ne valeva davvero la pena?
     
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    Melodie restava lucida anche quando in realtà non lo era. Restava impigliata nella realtà che Delilah invece non voleva guardare, ma a differenza dell’altra faceva suo quello spazio, tutto quanto, innalzandosi appena per riuscire a raggiungere con lo sguardo animato anche l’angolo più buio e quieto. Era lì che si nascondeva ciò che le altre due evitavano, e se da un lato sembrava quasi eretico per loro che anche solo una delle tre vi si avvicinasse per sbirciare oltre l’oscurità e farla amica, dall’altro Melodie ci trovava gusto e pensava che, così come la luce, anche il buio fosse inaspettatamente vitale. Era fatta di quello, Melodie, del buio che aveva letteralmente cancellato la sua esistenza, quella che in realtà avrebbe dovuto avere: non c’era infanzia nella sua mente, né adolescenza. Tutto ciò che Melodie era stata aveva preso vita nella mente annoiata di Delilah, la stessa che un giorno di diverso tempo prima, chissà poi effettivamente quando, aveva incontrato in una sconosciuta quegli stessi lineamenti e ne era rimasta così affascinata da cucirci addosso una storia, il passato di qualcuno che forse in realtà non era neanche mai esistito, creando l’origine di tutto, dando vita alla presunzione di Melodie, così come alla sua tenacia e avidità. Lo sapeva bene quindi, lei, che il buio di cui era fatta sarebbe stato anche il luogo in cui sarebbe sparita prima o poi, se solo non l’avesse lasciato sgorgare fuori ed invadere le zone in luce, quella stessa di cui sembrava diventare sempre più facile liberarsi, giorno dopo giorno. Ad aiutarla c'erano però diversi fattori esterni, quelli da cui l'altra si costringeva a scappare credendo che a starci lontana niente sarebbe mai potuto cambiare. Invece accadeva il contrario e quello che agli occhi di Delilah appariva innocuo o rassicurante, in realtà si rivelava spinoso e faceva di tutto per ferirla. Come aveva fatto Nikolaj, o persino Holden; il loro mondo si sgretolava lentamente e veniva giù in una pioggia di detriti cui ormai sembrava sopravvivere solo Melodie, la stessa che poi doveva rimboccarsi le maniche per riparare ai danni delle altre. Se avesse potuto, avrebbe addirittura lasciato Nikolaj morto sulla moquette scura contro il quale si era accasciato qualche settimana prima, ma non lo aveva fatto perché pur non volendo fosse così, anche quando era lei al comando non riusciva a sfuggire all'eco di ciò che volevano le altre. Col passare del tempo avrebbe potuto affievolirsi forse anche quello.
    C’era sempre meno Delilah e sempre più Melodie. Che potesse dunque cullarsi a quel pensiero, in attesa?
    Ad ogni suo movimento anche le frange leggere del vestito prendevano ad ondeggiare, accompagnandola ad ogni passo quasi fossero loro stesse a guidarla fra le alte mura della casa. La verità era del tutto differente e si poteva cogliere chiaramente ad ogni sguardo o azione da Melodie compiuta che, conscia di essere nel proprio territorio, ben riusciva a sentirsi come a casa all’interno di quella dimora. Fu mentre gustava una delle tartine sottratte al cameriere che la voce di Rose la sorprese, riportandola con i piedi per terra. Quando si voltò per salutare la sua interlocutrice, Melodie già sorrideva non solo a labbra strette, ma con tutto il viso. La bionda era un punto luminoso e nuovo all’interno della solita cerchia, qualcuno con cui scambiare effettivamente due chiacchiere e che avrebbe potuto assicurarle una serata decisamente diversa dalle solite. Fu infatti felice e sorpresa di ritrovarla lì, e non perché non avesse creduto possibile il loro incontro ad una di quelle serate, ma perché non avevano mai avuto modo di incrociarcisi prima. L’euforia di Melodie si tramutò velocemente in azione e, difatti, non attese oltre per trascinarla con sé in direzione del bancone, dove si ritrovò ad ordinare Martini per entrambe. Rose assecondò i movimenti di Melodie e con una piccola piroetta si lasciò guardare dalla mora. -Anche tu sei bellissima, come ogni volta che ti vedo.- ricambiò il complimento lei allora e Melodie non potè fare altro che sorriderle genuinamente mentre, compiaciuta, chinava il capo da un lato e assumeva un’espressione decisamente dolce. «Grazie, tesoro.» si affrettò poi a dire, scrollando appena le spalle mentre il suo ego s’ingigantiva. Domandò quindi a Rose chi fosse l’accompagnatore della serata, curiosa di sapere. -Mark Karlsen.- rispose l’altra lanciando istintivamente un’occhiata in direzione della porta dietro al quale, lo sapevano entrambe, si sarebbe dileguata la metà degli ospiti della serata ben presto. Qualche accordo da concludere, qualche stretta di mano, e poi sicuramente la vera festa avrebbe avuto inizio. Le camere dalle alte pareti di quella villa avevano visto di tutto e di più, così come gli occhi di Melodie avevano cercato di catturare quanti più particolari, nomi, volti possibili. Aveva imparato ad associare sigari a mani, mani a volti, volti a nomi. Anche quello pronunciato da Rose ne aveva uno in particolare che Melodie poteva ben ricordare, eppure non sembrò avere precisi ricordi al riguardo nella propria mente, probabilmente lei non ci aveva mai avuto a che fare in prima persona, ma sapeva perfettamente di chi si trattasse e, nel momento in cui Rose lo aveva nominato, Melodie non aveva potuto far a meno si sollevare un angolo delle labbra verso l’alto in un ghigno mentre, con il capo che si abbassava piano verso il basso, faceva in modo che lo sguardo blu elettrico si allacciasse a quello appena più scuro della bionda. «Uno dalle buone maniere.» commentò solamente Melodie appena prima di avvicinare il bicchiere nuovamente alle labbra rosse per berne un sorso, rimembrando tacitamente di quelle poche volte in cui si era ritrovata nelle vicinanze dell’uomo e dell’aspetto austero ma gentile che lui aveva assunto. -Anche se oggi sembra avere altre priorità.- udì poi le parole di Rose che, sempre di fianco a lei, continuò brevemente a far vagare lo sguardo all’interno della sala per provare a riconoscere la sagoma a lei più familiare del Signor Karlsen. Si ritrovò a sollevare una mano all’altezza della spalla di lei, Melodie, posando quindi il palmo aperto sul tessuto caldo del vestito che copriva la pelle chiarissima di Rose. «Tranquilla, quando avranno finito di giocare a fare i grandi si ricorderanno.» scherzò Melodie, ridacchiando divertita mentre finalmente afferrava i due bicchieri e gliene passava uno. -Tu invece? Sei con qualcuno?- le domandò allora l’amica, rivolgendosi a lei, curiosa. Sorseggiò il suo martini e si affrettò a mandar giù una delle due olive, di cui andava sempre così matta. Annuì alle parole dell’altra, mandando giù l’oliva prima di schiudere nuovamente le labbra e parlare. «Non ancora.» rispose, scuotendo appena il capo. Certo, un target ce l’aveva e sembrava preoccupare più l’intera famiglia Lennox che Melodie. Non era solita ficcanasare negli affari loschi gestiti dai suoi datori di lavoro, ma dopo tutto quel tempo trascorso nell’ambiente ormai sapeva come carpire le informazioni che avrebbero potuto esserle utili, conosceva i nomi di quei soci in affari così come quelli di coloro che erano soliti presentarsi al Perception. Si era diramata una fitta rete di conoscenze che ora le permetteva di sapere chi, cosa, dove, e quando. Quella sera, come tante altre prima, Melodie avrebbe dovuto avvicinare il diamante della serata, una di quelle teste piene di numeri e follia che avrebbe giovato ai Lennox avere in squadra, fianco a fianco. Si trattava di Eirik Bodvarsen, un giovane a malapena trentenne ancora e impresario di Stavanger che Roger aveva conosciuto ad Oslo tempo prima. Le trattative erano state lunghe, ma a quanto pare avrebbero trovato una giusta chiusura e affiliazione proprio a Besaid, in quei giorni. Era facile per Melodie pensare alle modalità di quell’accordo e a quanto fosse conveniente per loro fare in modo che si svolgesse proprio lì: avrebbero potuto manipolarlo a loro piacimento consapevoli che, una volta fuori, qualsiasi ricordo sarebbe andato perso e il povero Eirik avrebbe certamente posto meno domande di quante avrebbero potuto aspettarsene se avesse ricordato con esattezza tutto. Gli avevano fatto promesse che al di fuori di quei confini non avrebbero avuto alcun valore poiché inesistenti, mai pronunciate. Per Melodie aveva comunque poca importanza chi fosse o cosa facesse, sebbene non credesse di avere qualcosa da dimostrare agli altri, persisteva nel fare ciò che faceva esclusivamente per se stessa: non c’era alcuna sfida che non potesse superare, neanche quella col nome del Signor Bodvarsen. «…più tardi sicuramente.» aggiunse quindi, annuendo casualmente mentre, spostato lo sguardo nella stessa direzione di quello di Rose, aveva fissato per qualche istante la sagoma di Lennox Senior che, impettito e serio ancora in piedi davanti a quella porta, stringeva vigorosamente la mano di Eirik. Sollevò il mento in quella direzione, Melodie, indicando con noncuranza le due sagome e tornando poi a voltarsi piano verso Rose, così da farle comprendere chi volesse intendere. «Sempre che gli piacciano le more.» ironizzò dopo qualche secondo ancora, prima di continuare con aria evidentemente compiaciuta. «Anche se… credo di poter risolvere anche quello, in ogni caso.» ammise, più a sé che a Rose, mentre lasciava che le labbra si allargassero in un sorriso divertito e si girava quindi anche con il corpo in direzione di Rose mentre portava nuovamente lo stecchino delle olive alla bocca schiusa per strappare via il frutto verdognolo con i denti, ingerendolo. Fu ripensando alla situazione in cui si trovavano e all’atmosfera che le circondava che, Melodie, si lasciò andare ad un pensiero fugace, lo stesso che volle condividere con l’amica, ancora di fianco. Ritrovò in quello sguardo una similitudine di pensiero, qualcosa che divertì Melodie talmente tanto da lasciare che una genuina risata si levasse dal suo petto risalendo per la gola ed esplodendo in un suono che, seppur chiassoso, fu terribilmente elegante. -Bisogna solo capire chi di loro sia disposto a spendere di più. - udì quelle parole e non potè far altro che annuire, convinta di quanto fosse reale ciò che Rose aveva appena detto al riguardo. Conosceva bene quella sensazione anche Melodie, che col passare del tempo aveva compreso quanto importante fosse sentirsi pieni di valore, niente di meno. Era una delle tante, una donna distinta ed unica nel mezzo del mondo, tanto importante quanto desiderabile, come chiunque altra. Mirare ad avere sempre di più era qualcosa di più che legittimo, in qualsiasi campo.
    -Sai se è in programma qualcosa di particolare per stasera? Perché sono tutti così seri e tristi?- si ritrovò a chiedere quindi l’altra guardandosi intorno e notando quanto effettivamente serena fosse l’atmosfera. Al che Melodie si ritrovò a scuotere frettolosamente il capo mentre, osservando con la coda dell’occhio i movimenti di Rose, aveva notato la mano dell’altra afferrare il braccio di uno dei camerieri che girovagavano lì intorno con i vassoi ricolmi di tartine. Bevve il resto del martini allontanando quindi il bicchiere dalle labbra per posarlo nuovamente sulla superficie fredda del bancone a pochi passi da lei, alle loro spalle. «Questa è la fase iniziale. La porta, quella oltre il quale si sono rinchiusi? Quando quella porta si riapre allora inizia la vera festa, Rose.» spiegò gentile Melodie, consapevole del fatto che i momenti iniziali di quel particolare ricevimento erano riservati al riscaldamento dei corpi e delle menti stesse, che come i muscoli di ogni essere umano prima di un vero e proprio allenamento fisico, necessitavano di una fase di stretching, quasi a prepararsi per ciò che, altrimenti, il corpo non sarebbe stato capace di sopportare. Per esperienza Melodie lo sapeva: le serate come quelle non finivano mai davvero, anzi, si protraevano fino al mattino seguente quando, con sulle palpebre ancora il peso ora vacuo dell’adrenalina in corsa sotto pelle dal giorno prima, c’era chi stentava addirittura a ricordare cosa effettivamente fosse successo durante la notte. Quasi come attraversare un varco spazio-temporale che, una volta lasciato alle spalle, diviene solo l’eco di un pensiero che teme d’esser ricordo. Accettò l’offerta silenziosa della bionda e si ritrovò ad allungare il braccio in direzione del vassoio sostenuto dal cameriere ora fermo e in attesa di fronte a loro due. Incastrò una tartina fra dito indice e pollice per poi portarla alle labbra, addentandola. «Grazie.» non dimenticò le buone maniere, sorridendo quindi prima al cameriere e poi a Rose che, prontamente, aveva pensato di fermarlo. -Dici che dovremmo cercare di movimentare un po’ questa serata?- chiese allora Rose in quello che sembrò essere un mormorio. -O piantiamo tutti in asso e andiamo a farci un giro dentro questo spettacolo? O magari fuori?- propose quindi l’altra dopo aver ordinato loro altri due drinks. Li afferrò entrambi, Melodie, non appena il barista ebbe completato l’opera con tanto di stecchino cui erano infilzate due olive a testa. Sorrise divertita mentre stringeva le dita sottili attorno allo stelo di vetro dei bicchieri per passarne poi uno a Rose. «Skål!» non esitò nel far scontrare i due bicchieri per brindare. «Direi di piantare tutti in asso. Vieni, andiamo da questa parte, ti faccio vedere una cosa.» annunciò allora, invitando Rose a seguirla con un gesto della mano. Camminò fino al grande arco che separava la sala da un largo corridoio adiacente all’interno del quale si ritrovarono subito. Continuò ad avanzare dopo essersi accertata che Rose la stesse seguendo. Giunsero ai piedi di una grande scalinata a chiocciola dai gradini in marmo scuro con intarsi più chiari e la si fermarono per un momento. Sollevò la mano libera all’altezza del corrimano e ne posò il palmo aperto e caldo su di esso, voltandosi poi in direzione di Rose, sorridendole appena prima di sollevare la nuca verso l’alto per lasciare che lo sguardo si rivolgesse sul soffitto lontano almeno due piani e composto da uno strato si vetri colorati che andavano a formare una piccola cupola policromatica. «Guarda su, Rose.» la invitò ad avvicinarsi allungando poi la stessa mano nella sua direzione per permetterle di stringerla e salire sul primo gradino, così da trovarsi nel centro esatto: se avesse sollevato la nuca da quella posizione, Rose avrebbe avuto l’impressione di essere sotto un piccolo arcobaleno artificiale. Le pareti interne e laterali della scalinata erano infatti tappezzate da piccole pietre a specchi incastonate nel cemento e durante le ore solari s’illuminavano per via del riflesso di quei raggi del sole che, fino al tramonto e come in quel momento, finivano per riflettersi da una parte all’altra della scalinata, fino a raggiungere il pian terreno quando il sole era alto nel cielo, assumendo sfumature di colori tutte diverse. Era uno spettacolo che riusciva ad incantare Melodie ogni volta che metteva piede in quella grande casa appartenuta alla famiglia Lennox ed era certa che avrebbe fatto piacere coglierne un pizzico di bellezza anche a Rose. La superò, quindi, indicandole di seguirla al piano superiore mentre in una delle due mani manteneva ancora il bicchiere di Martini. Lasciò andare il corrimano sollevando il palmo e riportandolo fra i capelli li spostò piano, sistemando la chioma dietro le spalle mentre avanzava nel corridoio del primo piano con altrettanta decisione e sicurezza. Raggiunse la quarta e ultima delle porte presenti ai lati delle pareti e l’aprì con decisione. «Questa è la mia preferita.» annunciò una volta che fu dentro anche Rose. Si voltò a guardare la bionda e sorriderle mentre, ora quasi come se fosse a casa propria, girovagava nel grande salotto all’interno del quale si erano appena spinte. Al centro esatto della stanza vi erano tre grandi divani posizionati come un arco che si apriva di fronte ad un grande camino spento attorno al quale delle lastre di marmo ospitavano un paio di cuscini su cui sedersi: fu li che lasciò il bicchiere subito dopo averne bevuto l’ultimo sorso. Le pareti erano ricoperte di grandi quadri rappresentanti paesaggi quasi astratti ma pieni di colori accesi e caldi, mentre sulla superficie dei mobili che costeggiavano tutta la stanza vi erano diverse foto, momenti che per la maggior parte dei Lennox avevano davvero poca importanza, da quello che le era parso di capire. Alle spalle del divano centrale si apriva una grande finestra che portava su un piccolo terrazzino e affacciava sul giardino interno della grande villa. «Ci verranno a cercare.» disse, dandole brevemente le spalle. Sapevano sempre dove trovarla. «E ci troveranno qui.» aggiunse ancora, così da evitare che Rose potesse trovarsi impreparata quando, con certezza, qualcuno sarebbe entrato da quella stessa porta e le avrebbe trovate all’interno del salotto con poca sorpresa. Si avvicinò quindi ai bordi delle tende beige ancora semichiuse e, carezzandone brevemente la stoffa mentre stringeva le dita attorno ad essa, le aprì del tutto, lasciando quindi che la luce ormai debolissima del sole al tramonto s’insinuasse nella stanza per avvolgere loro. Tornò a voltarsi e, facendo il giro intorno ai divani, raggiunse il mobile posizionato di fianco al camino. Si accucciò brevemente e ne aprí le ante per sbirciare dentro. «Rose, ti piace lo Champagne?» chiese allora, voltandosi brevemente verso l’altra mentre sorrideva divertita e maliziosa. «Oh, e non preoccuparti, offre la casa.» si affrettò ad aggiungere con finta aria ingenua prima di tornare a voltarsi col busto verso la fila di bottiglie e affondare le mani nell’ombra del mobiletto, estraendole a dita strette intorno al collo di un prestigioso Bröel & Kroff d’annata 2002. Lo guardò per un istante e poi, soddisfatta, si risollevò. «Vuoi che lasci a te l’onore?» chiese, avanzando verso Rose e porgendole la bottiglia così da permettere a lei di aprirla. «A cosa vorresti brindare?» domandò Melodie, curiosa, prendendo a camminare intorno a Rose senza distaccarsi con lo sguardo dalla figura slanciata dell'altra.
     
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    Entrare in case come quelle era sempre molto strano per lei, abituata a ben altre realtà. La casa della sua infanzia era stata una catapecchia nella periferia della città, con le finestre sgangherate da cui filtrava l’acqua, con i soffitti scrostati da cui ogni tanto cadevano nuovi pezzetti di tinteggiatura e di intonaco, pareti dai colori ormai sbiaditi, tendenti al grigiastro. Ricordava ogni dettaglio di quel luogo, e per questo aveva cercato di rendere il suo appartamento completamente diverso. Non voleva più vivere nella foschia, nella luce flebile di una lampadina mal funzionante. Aveva quindi scelto un appartamento in uno dei piani più alti di un edificio ai margini del centro, con grandi finestre che si aprivano sul panorama e le permettevano di fuggire, almeno con la mente, dalla sua vita. Cercava di muoversi come se il mondo tra quelle pareti color pastello fosse sempre stato il suo. Anche in quel momento fingeva di muoversi con naturalezza, spostando lo sguardo da una parte all’altra senza mai soffermarsi troppo, senza guardare, ma in realtà con quei movimenti cercava di cogliere piccoli dettagli con brevi colpi d’occhio, senza che qualcuno lo notasse. Si sentiva fuori luogo in quella società, fatta di denaro, ricchezza, potere. Indossava una maschera elegante che le permetteva di passare inosservata all’interno di ambienti in cui era quasi obbligatorio mantenere un certo codice di abbigliamento, così come di comportamento, ma se quella mascherata fosse calata sapeva bene che le porte per quel mondo le sarebbero subito state precluse. Non era cresciuta in una famiglia facoltosa, sua madre non le aveva insegnato le buone maniere e suo padre non sapeva neppure chi fosse. Il poco che conosceva sul portamento, sul modo di muoversi e di parlare per risultare affascinante e sempre al giusto posto, glielo aveva insegnato Agnes prima di accettare di assumerla. Era stato un cambio radicale all’interno della sua vita poter dare un’occhiata a tutte quelle cose che le erano sempre mancate, iniziare a sentirsi una ragazza diversa, più bella, più sensuale.
    Faticava ancora a legare quegli stessi concetti alla semplice Elise, alla ragazza che era sempre stata e che non sarebbe mai andata via del tutto. Non aveva importanza quanto ci tentasse, quando il sipario calava e tornava a casa i suoi pensieri riuscivano comunque a raggiungerla, per quanto velocemente cercasse di fuggire. L’unica cosa che poteva fare quindi, per concedersi dei momenti solo per sé, era fingere di essere qualcuno di diverso, una ragazza che era nata in ambienti come quelli, che si muoveva a suo agio tra quelle mura alte e perfettamente addobbate, come se non la mettessero affatto in soggezione. La finzione era tutto ciò che le restava da vivere per non finire vittima di quell’oscurità che sentiva ingrandirsi dentro di lei, minacciando di prendere il controllo, di trasformarla in una creatura che reclamava solo sofferenza e distruzione. Non si tratteneva mai troppo a lungo vicino a qualcuno, non scavava dentro l’animo delle altre persone per aiutarle a stare meglio, era solo la semplicità ciò che desiderava, chiacchiere fugaci, leggere, che non la costringessero a condividere le emozioni più negative di chi aveva incontro. Avrebbe voluto nutrirsi di allegria, di affetto, di sentimenti positivi, invece tutto ciò che il suo corpo assorbiva era solo negatività. Si chiedeva spesso se anche lei non fosse fatta che di quello, un concentrato di sofferenza emotiva che non si sarebbe mai spenta, non aveva importanza quanto i suoi amici cercassero di riempirla di emozioni diverse. Era ciò che si celava nelle profondità più recondite di lei a caratterizzarla.
    Sorseggiò il suo Martini, rispondendo con tranquillità alle domande dell’altra. -Lo conosci? - domandò, quando Mel con poche parole sembrò inquadrare velocemente il suo accompagnatore. Non sarebbe stata affatto gelosa di sapere che non era l’unica con cui gli piaceva prendere parte alle feste. Era un uomo perbene ma non per questo lei provava chissà quale affetto nei suoi confronti. La faceva sentire tranquilla sapere di dover trascorrere delle ore insieme a lui piuttosto che con altri clienti, ma se da un giorno all’altro avesse smesso di chiedere di lei o di recarsi al Lust non avrebbe certo trascorso notti insonni pensando a lui. Il vero affetto lo riservava a ben poche persone. In quel momento poi, seccata com’era per essere stata lasciata all’oscuro delle cose più importanti e piccanti di quella riunione, l’unica cosa che poteva fare era combattere contro il suo temperamento e cercare di mantenere la calma. Se fosse stato per lei, per la vera lei, non gli avrebbe risparmiato una scenata e atteggiamenti infantili, o forse se ne sarebbe semplicemente andata, lasciandolo da solo come lui aveva fatto con lei. Ma Rose non poteva permettersi di essere come Elise, di mettere il broncio per ogni cosa o di chiudersi in silenzi difficili da penetrare, urlando e graffiando per convincere gli altri a starle lontano. Quante volte i suoi amici avevano dovuto sopportare i suoi cambiamenti d’umore e quante volte l’avevano sostenuta, nonostante tutto, accettandola per come era davvero. Di questo non gli sarebbe mai stata grata abbastanza. Tuttavia quella sera doveva comportarsi in maniera adulta e matura e pensare soltanto ai soldi che avrebbe guadagnato alla fine di quella serata, perché era per questo che lo faceva, no? Era quel pensiero che le permetteva di andare avanti nelle giornate più difficili, quando sentiva solo la voglia di gridare, di strapparsi quegli sciocchi vestiti di dosso e camminare sotto la pioggia, senza una meta. Il destino non le aveva riservato una vita semplice e lei, nel suo piccolo, non aveva fatto nulla per cercare di renderla tale, finendo invece con il renderla solo più complicata. Non ci si vedeva a svolgere una vita normale, come tutte le altre persone.
    Mise su un bel sorriso, come se tutto quello che le accadeva attorno non le importasse e fosse interessata soltanto alla sua interlocutrice, ancora alla ricerca della persona con cui si sarebbe intrattenuta entro la fine della serata. La incuriosì il fatto che sembrasse attendere qualcuno, sebbene non fosse sicura dei risultati che avrebbe ottenuto. Seguì il suo sguardo quando la mora si voltò verso un uomo che Rose aveva solo intravisto in alcune occasioni, che stringeva la mano ad un ragazzo molto più giovane, con un’aria abbastanza compiaciuta. Chi dei due fosse il suo obiettivo di quella serata non aveva importanza per Rose, quindi trattenne la curiosità di Elise, spegnendola con un altro sorso di Martini. Aveva imparato da tempo che non sempre fare delle domande era la scelta più opportuna, a volte era meglio mantenere un profilo basso, restare silenti ed evitare di mettersi nei guai. Chi ficcava il naso all’interno di certi ambienti a volte spariva nel nulla e lei non voleva certo fare quella fine. Era bella Melodie in quella sua fierezza, con quello sguardo sicuro e la posa di chi sapeva esattamente cosa voleva ed era certo che sarebbe riuscito a ottenerlo. Fallire sembrava un pensiero impossibile per lei da formulare e Rose avrebbe colto quei dettagli con cura ed estremo interesse, cercando di portarli con sé. Sotto certi aspetti sentiva una certa somiglianza, sapeva di avere a che fare con una mente simile alla sua, con qualcuno che poteva comprenderla, eppure per altri si sentiva su un gradino decisamente più basso di quello su cui viveva l’altra. Rose era meno esperta nel muoversi in quel mondo e decisamente meno consapevole dei suoi pericoli e delle ricchezze che nascondeva sotto il tappeto. Non capiva ad esempio il perché di tutta quella calma, il silenzio spezzato soltanto da alcune chiacchiere sommesse. L’altra le rivelò che si trattava della fase iniziale della serata e che, soltanto quando la porta dove erano andati a chiudersi quegli uomini si sarebbe riaperta, sarebbe iniziata la vera festa. Si lasciò sfuggire un’espressione delusa, per un istante. Aveva sperato in un qualcosa di molto più vivo sin dall’inizio, ma comprendeva che ogni realtà aveva le sue regole, in particolare quando si trattava di feste private come quelle. Erano i proprietari del luogo, o comunque gli organizzatori dell’evento, a dettare le regole. -Vorrà dire che dovrò aspettare allora. - disse, con un leggero sorriso a coprire l’impazienza davanti a un’attesa purtroppo inevitabile. Non amava stare ferma ad aspettare, la faceva sentire fragile, in balia di eventi che non poteva controllare. Eppure, in fin dei conti, era stata lei ad accettarlo quando aveva deciso di intraprendere quel lavoro. Ancora ricordava i primi anni ai bordi delle strade, decisamente più pericolosi di quelli trascorsi all’interno di luoghi accoglienti, caldi, dove qualcuno si preoccupava per te. Era stata Arden a farle cambiare vita, a farle trovare un’altra direzione.
    Poi, in un guizzo di ribellione, cercò nell’altra il sostegno giusto per movimentare almeno la loro serata, evitando di starsene lì, con le mani in mano, come due belle statue messe in bella posa da qualcun altro. Sorrise, decisamente più radiosa, quando l’altra afferrò i due calici, offrendole un brindisi al piantare tutti in asso e prendersi del tempo solo per loro. Fece tintinnare il suo bicchiere con quello dell’altra, ne mandò giù un sorso veloce e poi, con ancora quell’espressione felice sul volto, affrettò il passo per seguirla verso un grande arco che separava la sala principale da un corridoio che si apriva verso le altre stanze della villa. Sentì il cuore accelerare ad ogni passo, come se sentisse di stare facendo qualcosa di non consentito, ma non si fermò, felice di poter provare quel brivido che la faceva sempre sentire viva. Come quando lei, Eld, Eyr e Dean da piccoli si intrufolavano in case abbandonate, nel cimitero, al Luna Park. Per un istante si sentì di nuovo quella ragazzina che ancora non aveva scoperto a pieno quanto il mondo potesse essere pieno di mostri e che, talvolta, tutti erano costretti a diventarlo per poter andare avanti. Dopo qualche altro passo raggiunsero un’imponente scala a chiocciola rivestita in pietra, dove Mel la invitò a raggiungerla e guardare verso l’alto, dove una composizione di vetri colorati dava vita a una piccola cupola. Con il naso all’insù Rose si perse per qualche momento a osservare il gioco di luci che filtravano da quella vetrata, dando vita a un piccolo arcobaleno artificiale. Sollevò una mano verso l’alto, continuando a sorridere come una bambina, come se avesse voluto sfiorare quelle tante luci e farle sue. -E’ così bello da non sembrare reale. - sussurrò, sapendo che lei sarebbe comunque riuscita a udirla da quella distanza ravvicinata. Le cose belle di cui lei aveva memoria di rado erano frutto della realtà, il più delle volte derivavano dalla particolarità di Dean o di Eld, o dal piccolo universo che loro due insieme sapevano creare. Faceva quasi strano pensare che anche in natura potesse esistere qualcosa di così bello, da vivere da sveglia.
    Un gesto di Melodie la riportò alla realtà e allora riprese a muoversi, percorrendo l’intera scalinata con occhi nuovi, alla ricerca di ogni dettaglio di quel gioco di luci e colori che non avrebbe dimenticato tanto in fretta. Camminarono in silenzio ancora per qualche metro, lasciando che solo l’eco dei loro passi facesse da accompagnamento. I rumori della festa arrivavano molto più ovattati in quella zona, sembrava quasi di trovarsi in un luogo completamente diverso. Gli era davvero consentito spingersi sin lì? Non se ne curò, ci avrebbe pensato a tempo debito se qualcuno avesse mosso loro delle obiezioni. Melodie aprì la porta di un ampio salone con le pareti ricoperte di quadri di diverse dimensioni, la sua stanza preferita, a suo dire. Rose si chiuse la porta alle spalle, facendo poi qualche passo per la stanza, osservando le figure astratte alle pareti. Non era mai stata brava nell’interpretare quel tipo di arte, quindi di fece più vicina per poter leggere le piccole targhette dorate contenti i titoli delle opere, nella speranza di ricevere da essi qualche spiegazione. Era affascinata da tutto ciò che non comprendeva. Un ampio camino dominava la stanza da un lato di essa, proprio di fronte a un maestoso divano dietro cui si apriva una finestra che dava su un piccolo terrazza. Diede una veloce occhiata al giardino, posto qualche metro al di sotto della zona dove si trovavano e, senza volerlo, andò a cercare qualche zona fiorita. -E la cosa sarà un problema? - domandò, senza che ci fosse alcuna traccia di preoccupazione nella sua voce, soltanto una certa curiosità, mentre posava il suo bicchiere ormai vuoto sul tavolino che stava di fronte al divano. Forse Agnes non sarebbe stata felice di sapere che stava andando a cacciarsi nei guai, ma in quel momento non le importava di cosa potessero pensare gli altri. Lei era inebriata da quella sensazione di pericolo, anche se l’altra non sembrava affatto turbata, come se fosse del tutto preparata a quell’evenienza e non fosse la prima volta che accadeva. -Sì, mi piace. - rispose, osservando l’altra cercare qualcosa all’interno del mobiletto degli alcolici. Sorrise davanti allo sguardo fintamente ingenuo dell’altra che ci tenne a precisare che quello era offerto dalla casa. Per un istante si chiese dove fosse stata Melodie per tutto quel tempo e se non sarebbe stato meglio presentarsi per come era davvero, farle vedere il vero lato di se stessa. Quel pensiero tuttavia sfumò in fretta, consapevole del fatto che quello non fosse un posto per stringere legami profondi. Lei e Melodie si sarebbero incontrate di nuovo, di questo era certa, ma dubitava che le loro vite si sarebbero potute incontrare in situazioni diverse da quella. Poteva quindi solo approfittare di quei brevi istanti, fingendo che potessero durare per sempre.
    Prese la bottiglia, annuendo in direzione di Melodie, iniziando a togliere la carta che si trovava nella parte più alta della bottiglia, preparandosi ad aprirla. -Alla libertà. - rispose, senza pensarci troppo, mentre il suo sguardo si perdeva per un istante sul vetro della bottiglia, per poi tornare sull’altra. -A una vita che sia solo nostra. - aggiunse poi, sfilando il tappo, ma stando attenta a non lanciarlo in giro per la stanza, per evitare di rompere qualcosa. -A noi. - disse ancora, sempre più convinta delle sue parole, annuendo appena. Un po’ di schiuma fuoriuscì dal collo della bottiglia, colandole sul braccio prima di finire sull’ampio tappeto. -Ops. - disse quindi, per poi ridacchiare appena mentre versava lo Champagne nei loro bicchieri, posando poi la bottiglia su un tavolino e allungando la mano verso Melodie, per quel brindisi. Il suo sogno era sempre stato quello di essere libera. Dalle convenzioni, dalle persone che volevano decidere dalla sua vita, persino dai legami. Osservò la mora, curiosa di sentire invece quale potesse essere il suo brindisi, facendo tintinnare appena il bicchiere con il suo prima di mandare giù un lungo sorso. Chissà quanti sarebbero riuscite a berne prima che qualcuno venisse a cercarle. Si avvicinò di nuovo al terrazzino, osservando in direzione del giardino. -Prima o poi avrò una casa come questa. - disse, affermandolo come se fosse una certezza, come se non volesse mettere in dubbio che prima o poi ci sarebbe riuscita. Non le piaceva farsi abbattere. Sognava in grande ed evitava poi di lasciarsi condizionare dalle cadute, fingendo che non fossero mai capitate. Terminò il suo bicchiere, versandosene un altro e facendo lo stesso con Melodie, prima di accomodarsi sul divano. -Quanto tempo credi che abbiamo? - domandò, curiosa, cercando un orologio sulle pareti decorate, riuscendo a identificarne uno a parete. Ora improvvisamente iniziava a desiderare che quella riunione durasse a lungo. -Raccontami qualcosa, qualunque cosa. Che sia vera o falsa non fa differenza. - le chiese, posando la schiena contro il divano e puntando lo sguardo verso il soffitto. Dopotutto vero e falso erano solo due concetti relativi, Rose riteneva di poter scegliere in che cosa credere, anche se questo voleva dire aggrapparsi a cose che non esistevano, esattamente come il suo nome, la sua persona. Guardò di nuovo Melodie, rivolgendole un sorriso sereno, felice di quei momenti di relax.
     
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    A guardarla, Rose dava l'impressione di essere forte, quasi indistruttibile. L'incarnazione di un qualcosa che nessuno poteva osare toccare, non prima di aver picchiettato con le dita sulla corteccia di porcellana dal quale sembrava esser rivestita. Il frutto di un sogno strambo, uno di quelli in cui si sa di avere di fronte una sagoma che, pur volendo credere sia fragile, inconsciamente incute timore e forse un po' di inadeguatezza. Melodie la osservava con attenzione, cercava di coglierne i particolari e registrarli nella propria mente senza neanche saperlo, così da condividere il risultato di quel puzzle con le altre, archiviarsi dentro un nuovo io, qualcuno da rimirare e, magari, imitare. Così, col bicchiere di Martini ancora fra le dita, Melodie non tentennò neanche per un momento ad affiancarsi a Rose e sussurrarle nell'orecchio, snocciolare qualche piccolo segreto a bassa voce per lasciarla entrare, accoglierla come chi non vede l'ora di mostrare la propria meraviglia agli ospiti. -Lo conosci? - le domandò l'altra, riferendosi al suo accompagnatore di quella sera. Annuì subito, Melodie, accompagnando il gesto con un piccolo accenno laterale del capo. Sì, lo conosceva, sapeva chi fosse, eppure non aveva mai stretto alcun affare con lui, cliente abituale del Lust per cui lei non aveva mai lavorato. Se c'era qualcosa cui Melodie teneva, era l'esclusività del Perception, forse proprio come Rose teneva all'esclusività del Lust. Era raro che cooperassero, ma quando lo facevano per Melodie era sempre divertente ritrovarsi a scambiare chiacchiere con le ragazze dell'altro club e, in più, aveva l'occasione di familiarizzare con molte più donne che condividevano più o meno gli stessi guadagni. In realtà, e questo non avrebbe potuto ammetterlo, c'era sempre Delilah di mezzo: difficile svolgere una professione quando il tuo io interiore finge che per la metà del tempo sia qualcos'altro. «Sì, ne ho sentito parlare.» rispose quindi, senza scendere troppo nei particolari e rivolgendo un sorriso a Rose appena prima di bere un altro sorso del suo martini. Quando Rose poi le chiese se la festa fosse tutta lì o se ci fosse dell'altro, Melodie spiegò apertamente che quella era solo la fase iniziale, il momento dedicato ai contratti, agli accordi che avrebbero preso e firmato dietro la porta di quella stanza che Roger Lennox e i suoi affiliati si stavano chiudendo alle spalle, sparendo dietro la nuvola di fumo dei sigari che probabilmente avrebbero annebbiato non solo le pareti, ma anche le loro menti. La risposta verbale e fisica di Rose le strappò via una risata, per Melodie impossibile da contenere nonostante l'altra avesse provato a restare piacevolmente educata. Si domandò, Melodie, a che tipo di feste Rose fosse abituata, per quali eventi venisse contattata, se funzionava alla stessa maniera anche per il Lust. L'esperienza che il Perception le aveva permesso di accumulare riportava alla mente serate spesso simili a quella, con il silenzio smosso da un leggiadro chiacchierio quasi austero all'inizio, e finali da capogiro per il caos che ne restava quando giungeva l'alba: i Lennox sembravano svolgere i propri accordi seguendo uno standard ben preciso, quasi come se per anni non avessero fatto altro che quello: ingannare. E, Melodie non sapeva poi davvero tutto, ma ciò che aveva potuto constatare era che, alla fine, riuscivano sempre ad ottenere quello che volevano. Roger aveva assunto -nella mente di Delilah e non solo- la forma di un ragno gigante che, attraverso la sua fitta connessione di ragnatele, riusciva a mantenere il controllo su ogni cosa, ritrovandosi a posizionare tanti altri piccoli ragni a continuare la tessitura accertandosi che ognuno di essi sapesse perfettamente cosa e come farlo, e questo a Melodie piaceva da matti, forse e soprattutto perché, in fin dei conti, anche lei aveva imparato a tessere nel suo piccolo, guadagnandosi la fiducia di chi le aveva permesso, semplicemente, di essere quel che era, quel che voleva. «Sii paziente, piccola Rose.» si pronunciò poi quasi sottovoce e con tono affettuoso mentre posizionava una delle proprie mani ora libere sulla spalla di lei, stringendo poi con le dita sottili un fiocco di pelle in un pizzico che non le avrebbe causato alcun dolore.
    Quando il sorriso di Rose riapparve sul suo viso, Melodie si ritrovò a ricambiarlo e decise quindi di condurla altrove per soffocare la sensazione d'attesa che avevano intorno. Non c'era poi davvero bisogno di sapere tutto di lei, di Rose, dentro Melodie già conosceva la sua storia, il modo in cui immaginava solamente che l'invincibile donna si fosse fatta strada, ad occhi di altri quella sbagliata, eppure lì era giunta, a sollevare il mento per osservare col naso all'insù il gioco di luci che le aveva illuminato teatralmente la figura e l'aveva posta su un piedistallo, un gradino appena più in alto, mentre gli occhi bluastri dell'altra avevano goduto dello spettacolo. Che poi, alla fine, per Melodie così come per Delilah, si trattava proprio di quello: lasciare spazio, spingere l'essere umano in una posizione di privilegio per registrarne le increspature del viso, l'inarcarsi delle sopracciglia dopo aver scoperto una meraviglia, far scivolare i polpastrelli delle dita scoperte lungo il corrimano di una scala a chiocciola. C'erano persone che si stupivano dell'alba e del tramonto, e poi c'erano loro che, invece, la bellezza più fine e misteriosa la ritrovavano sulla pelle di qualcuno. -E’ così bello da non sembrare reale.- e l'estasi di lei si tramutò in voce, così Melodie chinò appena il capo da un lato per posare le iridi blu e curiose su di lei, onde del mare che si annientavano dolcemente sulle rocce pungenti degli scogli senza volerle scalfire, senza volerne rovinare neanche la punta più piccola e sporgente. Quasi si dispiacque a trascinarla via e guidarla nel salotto all'interno del quale spesso si nascondeva. -E la cosa sarà un problema?- domandò Rose per rispondere alle parole di Melodie riguardo al modo in cui, sicuramente, le avrebbero ritrovate lì dentro. Scosse energicamente il capo, Melodie, mentre si avvicinava al mobiletto in cui erano conservate le costose bottiglie di Champagne. «Ogni problema ha la sua soluzione, dolcezza.» si pronunciò quasi senza neanche pensare troppo alla domanda e alla sua risposta, quasi come se per Melodie non esistesse neanche il motivo di porsi quel punto interrogativo nella testa. Problema? Melodie? Mai. A quel pensiero si ritrovò addirittura a ridacchiare in maniera quasi silenziosa fra sé e sé, le mani già pronte ad afferrare il collo di una delle bottiglie di vetro verdi per tirarla fuori e, risollevandosi, allungarla in direzione di Rose così da permetterle di afferrarla, invitandola a stapparla e a brindare. -Alla libertà. - udì Rose pronunciare e, in maniera del tutto istintiva, Melodie si ritrovò a battere le mani, completamente d'accordo con l'altra. La libertà, l'unica vera prerogativa di Delilah, l'unico vero desiderio di Melodie, il punto di scontro che generava ormai da troppi anni sempre la stessa guerra interna, due facce della stessa moneta che, lo sapeva benissimo forse solo Melodie, mai si sarebbero davvero guardate. Perché per Melodie l'unica vera essenza dell'essere libera era, appunto, prevalere su Delilah, cancellarla completamente e prendere il posto da protagonista, decidere, ottenere, gestire, vivere, morire e tutto in lei, niente altrove, niente sotto la pelle chiarissima dell'altra, di chi invece voleva vederla giungere quando sentiva il bisogno di fuggire. -A una vita che sia solo nostra. - continuò Rose appena prima di sfilare il tappo alla bottiglia. -A noi.- disse ancora e dal collo della bottiglia venne fuori un rivolo di schiuma, Rose fece in tempo a versare il liquido ambrato nei bicchieri senza però evitare che un po' di Champagne finisse anche sul tappeto sotto i loro piedi. Accompagnò la risata dell'altra anche Melodie mentre afferrava il bicchiere dalle mani di Rose e si accingeva a brindare con lei. «All'euforia di essere ciò che si vuole essere.» disse lei, abbassando appena il mento per posare lo sguardo ora fermo in quello dell'altra ancora di fronte a lei. «Alla libertà di poterlo decidere quando più ci è comodo.» continuò, il tono della voce dolce eppure tremendamente deciso. «A noi.» aggiunse, sorridendo nella direzione di Rose mentre avvicinava il proprio bicchiere al suo e lasciava che si scontrassero appena, poi buttò giù lo Champagne tutto d'un sorso e se ne versò un altro bicchiere.
    Quando Rose le diede le spalle per avvicinarsi al terrazzino, Melodie non distolse neanche per un secondo lo sguardo da lei, osservando il lineamento delle sue spalle fino alla schiena avvolta nel tessuto bianco del vestito angelico e, dentro, Melodie si sentì terribilmente attratta da lei. Le parlò, Rose, osservando il giardino che si apriva oltre il vetro della grande finestra, ma Melodie non rispose: sorrideva. Non la perse di vista neanche quando tornò a voltarsi nella sua direzione per riempire nuovamente i bicchieri e accomodarsi sul divano. -Raccontami qualcosa, qualunque cosa. Che sia vera o falsa non fa differenza. - aggiunse ancora Rose puntando poi lo sguardo sul soffitto e Melodie avanzò piano ripercorrendo gli stessi identici passi di Rose. Si avvicinò alla finestra, guardò fuori per osservare con i propri occhi la scia di ciò che l'altra aveva seguito con le iridi più scure e sentendosi in connessione con lei, sentendosi Rose. Quando si voltò per raggiungere il divano sul quale si trovava l'altra, Melodie non era più Melodie, di nuovo, ma questa volta per scelta.
    A ricaderle lungo la schiena una lunga chioma castana, il viso aveva preso la forma triangolare della compagna, le braccia lunghe e magre si muovevano elegantemente per seguire lo stesso andamento della figura snella che aveva preso il posto di quella appena più formosa di Melodie. Posò i palmi delle mani a dita aperte sulla spalliera del divano, esattamente ai lati delle spalle di Rose, accovacciandosi piano verso di lei senza che però potesse essere guardata. Quando il viso fu vicino a quello dell'altra, Melodie -ora con le sembianze di Rose- ridacchiò leggermente. «E' un dilemma...» si pronunciò, una ciocca di capelli castana ricadde lungo la spalla destra solleticandole il braccio, ora Rose poteva vederla voltandosi lateralmente, poteva vedersi. «...distinguere il vero dal falso.» continuò appena prima di ridarsi una piccola spinta e raddrizzarsi con la schiena. Circumnavigò il divano per raggiungerla e sederle di fianco, afferrare il bicchiere di Champagne e stringerlo fra le dita magre mentre posava lo sguardo sul proprio riflesso fatto però di pelle e muscoli, cuore e mente. «Ho mille nomi, tutti quelli che voglio.» disse, allungando una mano in direzione del viso di Rose per afferrare una ciocca dei suoi capelli e arrotolarsela al dito indice qualche istante, poi lasciarla andare in un piccolo ricciolo che si distese nuovamente quasi subito. «Raccontami di Rose, cosa c'è sotto il rivestimento di porcellana?» domandò, ritirando la mano e sistemandosi sul divano mentre posava un gomito sulla spalliera e voltava il busto in direzione dell'altra per guardarla. «E' indistruttibile perché già distrutta una volta?» chiese Melodie, le labbra ora due fili rossi stretti l'uno contro l'altro dalla corda di una curiosità che le galoppava dentro con ferocia. Aveva dimenticato della festa, aveva dimenticato della gente che sotto i loro piedi stringeva mani e accordi. Aveva dimenticato persino di Delilah o, forse, ci si stava amalgamando così bene da non riuscire neanche più a distinguere chi fosse chi.
     
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    ..un luogo al di là del tempo e dello spazio..

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    L’accenno di un sorriso colorò le sue labbra quando l’altra le disse che aveva sentito parlare del suo accompagnatore. Non domandò altro, mantenendosi su un atteggiamento professionale mentre faceva scorrere lo sguardo da un angolo all’altro della sala. Forse una parte di lei non voleva sapere affatto ciò che Melodie conosceva. Preferiva che le cose restassero com’erano, sapere solo ciò che le serviva. La maggior parte delle volte, dopotutto, c’erano cose che era meglio non sapere sulle persone, limiti che era importante non valicare. A lei stava bene fingersi una semplice accompagnatrice, qualcuno che dispensava sorrisi, che camminava con la giusta grazia ed eleganza quando veniva richiesto di presenziare a occasioni come quelle. Le piaceva agghindarsi per feste come quella, la faceva sentire importante. Le permetteva di mettere da parte la ragazzina che proveniva da uno degli angoli dimenticati della città, quella che aveva dovuto toccare il fondo e rimanerci a lungo, prima di potersi permettere qualcosa di davvero suo. In luoghi come quello, invece, tutto sembrava dovuto, senza bisogno di sforzi, senza bisogno neppure di dire per favore. Le piaceva quel genere di vita e la scarica di adrenalina e di felicità che le dava sentirsi così importante. Che fosse tutto una facciata, una finzione, non faceva alcuna differenza. Accettava volentieri di tornare negli inferi per quei pochi momenti in paradiso di cui poteva bearsi. Respirava a pieni polmoni quell’aria, cercava di memorizzare all’interno della sua mente quanti più dettagli possibili per conservarli lì dove nessuno avrebbe potuto portarglieli via. Per cancellare i ricordi brutti e tenere solo i momenti come quelli. Non era affatto semplice, ma era da molto tempo che ci lavorava ormai. Aveva creato una maschera ben definita a cui aveva imparato ad attarsi e quella maschera continuava a mutare, sulla base delle necessità.
    Vide Melodie sorridere davanti alla sua impazienza. Tendeva ad annoiarsi quando veniva lasciata da sola, soprattutto quando si trattava di feste che facevano fatica a decollare. Si lasciò andare a un leggero sospiro quando l’altra la invitò a essere paziente, con tono gentile, quasi affettuoso. Sii paziente Rose era quello che le aveva detto anche Agnes quando l’aveva introdotta all’interno di quel mondo, facendo sì che imparasse tutto ciò che c’era da sapere prima di permetterle di varcare la soglia. Era importante che ognuno giocasse il suo ruolo al meglio. Per un momento si sentì come una bambina che veniva privata di uno dei suoi giochi preferiti, ma si ricompose in fretta, raddrizzando la schiena e assumendo un’espressione più serena. Non era il momento di abbassare la guardia o di lasciare trasparire troppe debolezze. Per quanto Melodie le piacesse non poteva certo sapere per quanti e quali ruoli la pagassero all’interno di quella sala. Lei, d’altronde, si considerava anche gli occhi e le orecchie di Libra in tutte le situazioni come quella, pronta a captare qualunque informazione potesse essere loro utile. Le piaceva molto sentire di vestire i panni di una spia. Abbandonando però quel terzo ruolo, almeno per un po’, decise di seguire l’altra all’interno della grande villa, che lei sembrava conoscere piuttosto bene. Rimase a bocca aperta nell’osservare le meraviglie che nascondeva, lontana dagli sguardi indiscreti di tutti gli invitati, che non avrebbero mai potuto sapere che cosa si stavano perdendo, rimanendo fermi nella sala principale per tutto il tempo. Improvvisamente la festa sembrava aver preso una piega diversa e il broncio infantile era ormai sparito dal suo volto, nient’altro che un ricordo lontano, messo in un cassetto che non intendeva riaprire.
    Le sorrise con aria complice quando Melodie le fece intendere che probabilmente il loro spostamento sarebbe stato un problema, ma che, in ogni caso, sarebbero riuscite a trovare una soluzione. Le piaceva quel modo di pensare, era una tecnica che aveva adottato spesso anche lei. Fermarsi o disperarsi non era una cosa che le andava a genio, preferiva andare avanti, improvvisare, fingere che tutto andasse sempre esattamente secondo i suoi piani. Brindarono a un ideale che non sapevano di condividere, a una libertà che entrambe avevano sempre desiderato, senza poterla mai davvero toccare con mano. Versò lo champagne facendone cadere un po’ sul tappeto, ma non si scompose troppo. Era sicura che non avrebbe lasciato alcuna macchia e sarebbe bastato poggiare qualcosa al di sopra, prima di uscire, per far si che nessuno lo notasse. O che, quanto meno, se ne rendessero conto quando loro due erano ormai altrove, lontane, impossibili da accusare. Annuì alle parole dell’altra, come se Melodie in quel momento fosse stata uno specchio dei suoi stessi pensieri. Quanto poteva essere incredibile divenire chi si voleva davvero? Se lo era chiesta tante volte mentre cercava di modellare su di sé il personaggio migliore, senza mai fermarsi a chiedersi chi lei volesse essere davvero. Era facile divenire la persona che gli altri volevano, molto più difficile comprendere che cosa si nascondesse davvero dentro di lei. Era complicato leggersi dentro e per questo Elise aveva sempre evitato di farlo.
    Anche lei mandò giù lo champagne, lasciando che le bollicine le dessero un leggero fastidio al naso, consumate tutte d’un fiato. Si allontanò appena, alla ricerca di un momento per sé, per ricomporre la maschera o magari indossarne una diversa, più adatta a quel momento. Prese una boccata d’aria, beandosi dello spettacolo che aveva davanti, per poi rivolgerle un’espressione serena e tornare verso il divano, pronta a sostenere una nuova conversazione. Anche l’altra si mosse, ripercorrendo gli stati passi che lei aveva compiuto qualche momento prima muovendosi poi alle sue spalle per raggiungerla. Solo quando Melodie fu a un passo da lei si rese conto che c’erano qualcosa di diverso. Persino il suono dei suoi passi le era parso strano per un momento, ma il tono della voce fu ciò che la fece sobbalzare appena. Si voltò di lato e solo allora la vide. Il bicchiere che teneva tra le mani scivolò a terra, infrangendosi in mille pezzi. I frammenti di vetro andarono a coprire una porzione del tappeto che stava di fronte a lei, ma Elise continuò a fissare la figura dell’altra, ora decisamente troppo simile alla sua. Battè le palpebre per qualche momento, perplessa da quella visione. Che cosa era appena accaduto? Perché improvvisamente c’erano due di lei? Percepì il cuore battere più velocemente mentre la personalità di Elise spingeva per venire fuori, mandando al diavolo ogni recita portata avanti fino ad allora. Faceva paura vedersi attraverso uno specchio. Poteva sentire anche i suoi pensieri? Poteva sentire le stesse cose che sentiva lei? Quell’idea le fece ancora più paura. L’altra continuò a parlare e non le fu chiaro se parla di se stessa oppure di Rose, di Elise. Era curiosa la scelta dei termini che aveva utilizzato. La paura si trasformò quindi presto in curiosità. Quella nuova figura si sedette accanto a lei, intrappolando il suo sguardo nel suo. Le accarezzò il volto per un istante e anche Rose allungò la mano, per cercare di comprendere se quello che aveva davanti fosse reale. -Come hai fatto? - domandò, dopo essersi guardata attorno e aver visto che, in quella stanza, c’erano soltanto loro due. Era forse questa la sua particolarità? Poteva divenire altre persone? -Puoi già conoscere quello che penso? - chiese ancora, cercando di comprendere fin dove si spingesse quella copia, se era solo qualcosa di esteriore o se tutta la sua mente e la sua storia erano state copiate. -Sai già chi sono? - aggiunse di nuovo, evitando in un primo momento di rispondere alle domande dell’altra. Anche lei voleva delle risposte.
    Attese qualche momento, continuando a guardarla con occhi rapiti, prima di decidersi a rispondere. -Rose è chiunque e nessuno allo stesso tempo. - disse, con un sorriso divertito sul volto, come se avesse appena raccontato la cosa più assurda del mondo. -Una figlia, una sorella, una confidente, un’amante. - aggiunse ancora, seguendo il filo dei suoi pensieri, senza però distogliere lo sguardo dal riflesso dei suoi stessi occhi. -E’ il cliente a decidere chi è Rose, mai il contrario. - terminò, con un nuovo sorriso, per poi scostarsi appena e versarsi un altro bicchiere di champagne. -La sua storia varia in base alla giornata e ogni volta è altrettanto vera. - sussurrò, per poi mandare giù un lungo sorso di liquido chiaro. Non sapeva se fosse chiaro o meno che lei non era affatto Rose, non davvero, quanto meno, ma non aveva intenzione di essere più diretta di così in quel momento. Ogni parola regalata poteva sempre essere molto pericolosa. Inclinò di nuovo la testa verso l’altra, ora più curiosa e accigliata. -E tu invece? Che cosa dai raccontare? - domandò, voltandosi meglio nella sua direzione, pronta ad ascoltare qualunque cosa. Sotto certi punti di vista il suo lavoro consisteva anche in questo: stare ad ascoltare. Eppure in quel momento non sapeva più se fosse Rose o Elise quella si trovava in quella stanza con il suo strano riflesso. Una parte di lei aveva paura, temeva che quella donna, chiunque lei fosse, avrebbe preso il suo posto, portandole via ogni cosa, l’altra parte invece era incuriosita da tutto quel potere e dal modo in cui le persone avrebbero potuto reagire. Qualcuno avrebbe capito che non era reale? I suoi amici avrebbero saputo cogliere le differenze? Oppure la sua sparizione sarebbe finita in una semplice nuvola di fumo?
     
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