Are we dancing after death, you and I?

Beat x Lys | Mattina

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    If I let go, would you hold on? Would we fly?
    Is it safer if we just say that we tried?
    Are we laughing at the danger?
    Are we dancing after death, you and I?

    Non le sentì neppure, Beat, le molle del letto piegarsi e riprendere fiato dopo una notte passata a trattenerlo, schiacciate da tre corpi che fino al mattino le avevano esasperate muovendosi a lungo su di loro, come se non dovessero mai stancarsi. Mancavano poche ore all'alba quando alla fine si erano arresi, quegli involucri di carne, quegli scheletri presi da una danza tutta loro erano scivolati l'uno sull'altro senza premura di mantenere i propri spazi che, per quanto ne valeva, non contavano davvero nulla. E così si erano addormentati senza neanche accorgersene davvero, ossa rivestite che premevano su altre ossa ad angoli strampalati, tipi diversi di pelle che facevano contatto arrossandosi lì dove si incontravano; Beat aveva ceduto al sonno stanco di chi non lo è mai davvero, sempre troppo impegnato a consumare ogni centesimo di secondo di una cosa chiamata vita, che per gli altri aveva la forma di una casa col giardino, la macchina, il cane e la famiglia ma che per lui era solo una lunghissima notte, un concerto interminabile, una tecno incessante, abbracci stretti in un susseguirsi di scontri frontali fra casse toraciche, sigarette senza filtro, senza fine, una danza inesauribile, eterna fino a quando Beat non chiudeva gli occhi e, finalmente, si fermava.
    Non si accorse degli altri che lasciavano la stanza e poi la casa, Tore e Ida sempre in punta di piedi per non svegliarlo, come solo due amici avevano la premura di fare. Si rese conto di essere l'unico nella camera solo quando, qualche minuto dopo, qualcosa lo riportò a galla, una spinta inspiegabile, una chiamata che, ancora non lo sapeva per certo, ma attraverso i muri del soggiorno lo chiamava in silenzio alla vita. Una sensazione che sapeva di caffè, di palestra, e di pancakes bruciacchiati. Le braccia cercarono qualcosa sull'altro lato del materasso, quello che vuoto preservava il tiepido calore di quelli che ormai erano solo contorni, un tempo corpi fatti ora impronte che iniziavano già a sparire. Le corde vocali produssero un rumore rauco, affaticato, la ruggine del sonno faceva cigolare ogni cosa, dalla gola alle spalle, al torace, al collo alla schiena che, con uno sforzo non indifferente, si contrasse per tirare su Beat. Solo da seduto aprì gli occhi, richiudendoli repentinamente per proteggerli dalla lama affilata del sole che, dall'alto dei suoi anni luce di distanza, penetrava tra gli spazi delle serrande per infilzarsi nelle sue orbite. Con i gomiti contro l'addome scoperto, Beat piegò il collo in avanti per buttare la faccia nelle mani, con la parte inferiore dei palmi premuta forte contro le palpebre, quasi a volersele strappare. Restò così per un po', Beat, concedendo del tempo alle membra per ricordare come si facesse a muoversi, e al corpo di liberarsi dei residui di vino, cristalli sintetici e sesso della sera prima, ormai dei rimasugli di un frammento di vita estrapolato dal resto e reso confusione, un casino. Era certo di aver sognato qualcosa ma non ricordava cosa. Non era una novità per lui, sognare senza ricordare o non sognare affatto, al risveglio la mente costellata solo dai vaghi contorni di torri di fumo. Forse era colpa di tutto quello che dalla mattina alla sera Beat si calava, all'inizio gli aveva dato fastidio non riuscire ad acchiappare quelle immagini e farle davvero sue ma poi no, poi aveva capito che non serviva a niente. Prese un improvviso respiro, forte, come se fino a quel momento lo avesse in qualche modo trattenuto, traendo da esso l'energia necessaria per dirsi ok, ci si muove. E infatti drizzò il capo, spostando le gambe al di là del bordo del letto come se stesse per buttarsi nel vuoto al di là di un cornicione, solo che i piedi non trovarono il nulla ma il pavimento, sul quale aderirono accogliendone il freddo pungente. Lì, un'altra pausa.
    Le mani fra i corti capelli e la testa ciondolante, destra sinistra, un pendolo fra le spalle incassate. Lo sguardo si agganciò alla striscia bianca come ci fosse stato un nodo a stringerli, come se allineati su una vecchia cornice non ci fossero granelli di cocaina ma magneti in fila indiana che, seppur piccolissimi, avevano la forza di smuovere l'asse di rotazione su cui Beat girava. Afferrò la cornice spingendosi col corpo e il braccio di lato, ora il Beat di circa una decade fa ricambiava il suo sguardo, più vispo e lucido nella foto, nel presente imbronciato dal sonno che ancora gli stava incollato alle palpebre. Spostò le iridi blu di lato, pochi centimetri appena, posandoli sull'unica altra persona nella foto, il vero soggetto di tutto. Un ragazzino biondo e magrissimo stringeva le braccia intorno al suo collo, quello del Beat di dieci anni fa, sorridendo come se al momento che la foto era stata scattata lui fosse nel mezzo del giorno più bello della sua vita. Non c'era nessuna ombra sul viso di Jannik, a parte quella generata dalla striscia che qualcuno aveva lasciato lì per Beat, un regalo gradito che però andava oscurando il biondo acceso di quei capelli sottili che, dalla foto era impossibile saperlo, ma a Jan piaceva cospargere di profumo. Lo spruzzava in aria fino a formare un nuvoletta tossica e poi ci passava sotto, sostando così per qualche secondo e tossendo. Quante volte l'aveva visto compiere quel gesto senza senso? L'indice su una narice, col volto ormai a pochi millimetri Beat inspirò la striscia dalla foto, liberando la faccia di Jan per farla tornare a brillare. Con la testa all'indietro, le palpebre calarono per poi riaprirsi poco dopo, quando col dorso della mano Beat scacciò i residui dal naso, allungando di nuovo il braccio per lasciare la cornice sul comodino, questa volta alzata. Piombò di nuovo nel silenzio, qualcosa che non risuonava per niente con lui, che nella quiete non trovava riposo ma solo inquietudine.
    Dall'altra stanza, di nuovo quel rumore di stoviglie nel lavandino. Lasciatosi definitivamente il letto alle spalle, il ragazzo sgusciò in un paio di pantaloni della tuta grigi, i soliti, mentre muoveva i primi passi evitando indumenti, libri, qualche pianta sul pavimento e, afferrata una maglietta qualsiasi dalla sedia, apriva la porta della sua stanza.
    Fece il suo ingresso nel salotto con la maglietta intorno al collo, solo un braccio aveva trovato il suo posto, l'altro era ancora impegnato a cercare di infilarsi sotto al tessuto.
    La vide subito, Lys. La vide prima che lei reagisse al rumore della sua presenza e si voltasse verso di lui.
    Vederla per primo concesse a Beat alcuni secondi per osservarla senza che lei sapesse di essere guardata, una manciata di tempo che lui avrebbe interrotto non appena si fosse accorta di lui, un frammento minuscolo in cui Beat smise di ignorare la sua esistenza, dimenticandosi di volerla odiare a tutti i costi. Non solo lui, ma anche Lys in quel momento lasciava per terra le barriere, le liti, il passato e tutto quello che tra e fuori di loro era successo; ignara d'essere spiata, per una volta Lys era solo Lys e ballava, ondeggiando appena i fianchi da una parte all'altra si spostava sulla punta dei piedi seguendo una musica che solo lei sentiva e che nasceva da dentro, da una tana un tempo esplorata da Beat ma ora a lui sconosciuta, invisibile se non fosse stato per quel momento. La passò immobile, quella parentesi sospesa in un luogo bellissimo a metà tra il sogno e la vita reale, gli occhi puntati sulle spalle di Lys erano biglie azzurre incapaci di rotolare sulla sabbia. Ancorato a lei come a un miraggio, Beat scivolò con lo sguardo su quella schiena, una perfetta ipotenusa sulla base delle gambe, come se ne stesse accarezzando le vertebre una ad una; i capelli stretti in una coda lasciavano il collo scoperto libero di splendere nel suo pallore irreale, un filo sottilissimo di capelli era sfuggito dalla morsa e Beat lo seguì come a poterlo in qualche modo catturare con gli occhi e metterlo al suo posto, il profilo di Lys che si scopriva gradualmente mentre ruotava il collo di lato, come se avesse davvero sentito una carezza e stesse accompagnando le dita di Beat con un piccolo sorriso.
    Espressione a cui a Beat venne istintivo iniziare a rispondere, l'accenno del solito strappo fra le labbra che presagiva felicità, ma in quel momento la ragazza si accorse di lui e tutto si spense. Sorriso, carezze immaginarie, momenti fermi nel tempo, parentesi che si chiudono, persino la luce mattutina sembrò d'un tratto affievolirsi nella cucina stile industriale, come un po' tutto in quelle stanze ricavate da un vecchio loft. Si avvertì proprio nell'aria, quel cambiamento che sembrò incrinare le particelle di cui l'aria stessa era composta e metterle in disequilibrio totale. Era tornato quello spazio, quel buco dove ficcare le parole, bastava incastrarle l’una dopo l'altra ma Beat non ci riuscì. Non voleva riuscirci.
    Il gesto di infilarsi la maglietta riprese da dove era stato lasciato, anche quello momentaneamente bloccato come il respiro che l'uomo cacciò fuori forte dalle narici, ora, mentre andava al frigorifero per tirare fuori il cartone del latte. Allora non la guardava già più, mentre versava il liquido in una ciotola, la maglia stropicciata messa male sulle spalle e i capelli neri sparati in ogni direzione. Tregua finita.
    Quella storia andava avanti da quasi un mese, da quanto Lys aveva fatto finta di non conoscerlo, dopo il labirinto. Infatti, più che il negare ciò che era accaduto tra quelle quattro mura psichedeliche, quello che che l'aveva ferito davvero era stato il fatto che avesse finto di non avere la minima idea di chi fosse. Era stato zitto apposta, lui, nonostante scoprirla con Paul l'avesse fatto incazzare Beat era rimasto in silenzio per dare a Lys l'opportunità di gestire la situazione come meglio credeva, e lei aveva deciso di farlo in un modo che l'aveva inaspettatamente ferito. Non era certo di cosa si aspettasse, Beat, ma essere fatto passare per uno sconosciuto aveva scosso le fondamenta che da sette anni aveva provato a erigere.
    Lo infastidiva anche, stare così per lei. E se nel labirinto erano riusciti a saltare il baratro che per tutto quel tempo li aveva divisi, quello che era successo dopo aveva riaperto tra loro una fessura, come un terreno che si spezza, zolle che si smuovono dividendosi, e loro due sui lati opposti del precipizio, la stessa crosta terrestre che li separava. Per questo la puniva col silenzio, Beat, che intanto cercava di farsi passare qualunque cosa fosse quell'assurdità in atto.
    Era stretto lo spazio tra la cucina e il minuscolo isolotto, e il corpo di Lys rendeva ancora più difficile riuscire a muoversi lì intorno. Tra lei e il bancone si infilò Beat, ora dietro di lei che allungava il braccio per cercare di afferrare la scatola dei creali alla sua sinistra. Quella situazione non gli importava abbastanza (o almeno così si sforzava di credere) da cercare in ogni modo di evitare un contatto quindi, quando insinuandosi nello spazio minuscolo le mani e il suo corpo la sfiorarono, Beat pensò che non ci avrebbe neanche badato. Sicuro di quella cosa, si chinò persino in avanti fino a quando una parte del suo petto premette sulla spalla della ragazza. Pensò che avrebbe accolto quella sensazione come faceva con tutte le altre, il tessuto dei loro indumenti a proteggerlo dalle emozioni che da lei avrebbero potuto attraversarlo. Credeva di averla superata, aveva già catalogato il labirinto come una delle tante cose che capitano e andava benissimo così, si era convinto che quella che provava fosse solo una reazione naturale di due corpi che si piacciono, perché contro l'attrazione fisica si può fare ben poco, che non voleva dire che dovesse piacergli lei; che sarebbe passata presto, bastava un'altra donna, un altro uomo, un'altra pelle da toccare per far tornare tutto come prima.
    Dopo quel contatto però, Beat pensò con preoccupazione che non sarebbe bastato quello che di solito serviva.
    Non lo sapeva Beat, che sarebbe stato sufficiente che una parte infinitesimale di loro, coperta anche da strati di cotone, si toccasse per fargli perdere di nuovo l'equilibrio. Avrebbe scoperto presto come, per quanto si sforzasse di evitarla, ogni volta che le era vicino il suo cuore sembrava svolgere meglio il suo lavoro, come una macchina a cui serve sempre benzina. Lo stava per scoprire in quel momento, Beat, che quando si toccavano piccole scosse si propagavano dal punto in cui era avvenuto l'impatto, come impulsi elettromagnetici creati per dargli quel beat di vita da tempo perduto.
    L’urto delle emozioni sarebbe arrivato come una bastonata sullo sterno. Strizzerà gli occhi, ingoierà saliva e cercherà, a fatica, di parlare. I cereali. Avrebbe stupidamente detto spostandosi di nuovo di lato, lo sguardo sul muro di fronte, le mani vuote e la pelle che pulsava come se stesse bruciando da sotto i vestiti.

    Edited by Dead poets society - 27/2/2021, 20:44
     
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    I’m falling apart, I’m barely breathing. With a broken heart.

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    You get lost in me
    I get lost in you
    And there's a trace of me
    Mapped out in you

    Quando si coricavano prima che il cielo si tingesse d’arancio, Lys restava in un limbo tra il sonno e la veglia, in attesa. Aspettava che i raggi del sole frantumassero la quiete della notte e s’infrangessero all’interno di quelle mura oltrepassando i vetri alti delle finestre a parete, non lasciavano spazio alla privacy ma a loro non sembrava importare, era il modo che avevano di gridare al mondo della loro esistenza. E fu una fetta di luce quella che si adagiò sulle palpebre di Lys, spingendola ad aprire gli occhi ancora assonnati per ritrovarsi di fronte le dita dei piedi di Beat. Sorrise, gli angoli delle labbra che andavano ad impuntarsi nelle guance rigonfie, una ora in parte ricoperta da una ciocca di capelli castani e l’altra schiacciata contro il materasso. Oltre al frastuono gentile e silenzioso di quel raggio di luce che si era appropriato dell’intera stanza e del sonno di Lys, l'eco del respiro appesantito di Beat generava una bolla d’aria dalla quale lei si era abituata a lasciarsi cullare, un suono così naturale che le sembrò nascesse addirittura da dentro al proprio petto, separarsene sarebbe stato doloroso quasi come vedersi amputare un arto senza iniettata anestesia. Sollevò una mano per avvicinare le dita a quel piede che aveva davanti e andare a premere con cautela il polpastrello dell’indice contro la pianta di pelle ruvida, un tocco leggero che prese a camminare sulla cute calda come la marcia di formiche al lavoro. Spostò brevemente lo sguardo verso il basso, laddove il viso di Beat ora se ne stava vicino ai piedi di Lys per una qualche ragione che, durante la notte, li spingeva a muoversi e muoversi e spostarsi per prendere le forme più disparate, figure di pelle che la mattina si facevano reali una volta aperti gli occhi e spiegavano tanto di loro: qualsiasi fosse la posizione assunta lontani dalla veglia, nel sonno continuavano comunque a rimanere legati. Le dita che si sfioravano, il ginocchio di una posato contro la schiena dell’altro a volte ci lasciava qualche livido scuro che mai faceva davvero male, lo scontro di una fronte contro dita dei piedi che si trasformava in un mal di testa dopo la botta. Altre volte invece la stanchezza era così profonda da anestetizzare persino i muscoli, allora Lys e Beat si addormentavano e svegliavano stretti l’una all’altro, spalla contro petto, braccia intorno al busto e viso immerso in un fiume di capelli castani. Fra di loro mai niente restava inalterato, mai niente si rivelava monotono, neanche quando perdevano la coscienza per affondare nel sonno.
    E a quel tocco leggero del dito di Lys contro la cute chiara di Beat che un lamento soffocato si sprigionò dal petto del ragazzo per andare a scontrarsi contro la fila di denti nascosti dietro le labbra ancora serrate, riecheggiò all’interno del suo torace ora smosso da un respiro più profondo, un sospiro che annunciava il distacco della sua mente dal sogno. E quello era il momento preferito di Lys, che dopo aver recuperato improvvisamente tutte le proprie energie si sollevava, palmi delle mani che sprofondavano nelle sabbie mobili del materasso morbido sul quale dormivano, ritirava i piedi allontanandoli dal viso di Beat e avanzava nella sua direzione gattonando. A pochi millimetri da lui, inginocchiata di fianco al suo corpo disteso, Lys apriva le mani e ne posava i palmi sul suo viso, le dita si premevano insistenti su quella pelle ruvida per richiamarlo a sé, le guance di Beat costellate dalla barba incolta di qualche giorno e il sonno ancora appeso alla punta delle lunghe ciglia nere. Quando si sollevarono finalmente e lo sguardo oceanico di Beat si posò in quello azzurro del cielo di Lys, lei sollevò il mento e sorrise, un riflesso quasi involontario che non riusciva mai a controllare. Un bacio sulla fronte, uno sulla punta del naso, uno su un orecchio ed uno sull’altro. L’ultimo lo lasciò sul rosa secco di quelle labbra che si curvavano all’insù ad ogni dolce scontro fino a diventare il riflesso del sorriso di Lys. Quando si allontanò di nuovo da lui, restò intatto anche quello. «Ti puzzano i piedi.» lo disse perché non ci sarebbe stato mai momento migliore. «Guten Morgen, Sonnenschein.» e il risveglio mai era stato più dolce, nonostante quella voce roca e le mani che come tentacoli l'afferravano e intrappolavano tirandosela giù, di nuovo pelle contro pelle.


    La luce venne via per prima, scivolò giù dalla coperta di pelle che copriva le iridi bluastre di Lys e lasciò spazio all’ombra, chiara pure quella. Il cambiamento repentino generò un’increspatura involontaria fra le sopracciglia, la stessa che il tocco di un polpastrello andò a distendere con leggerezza. Quel gesto giunse secondo solo alla voce che sembrò avvolgerla in un vortice lontano mentre lento le si attorcigliava addosso. «Lys?» fu un sussurro pronunciato a fior di labbra, le stesse sulle quali avvertita il calore di un respiro non suo. Le arricciò piano e volse istintivamente il capo verso il materasso per nascondere il viso contro di esso per qualche secondo ancora, il tempo di realizzare che quello fosse un tocco amico e convincersi a tornare con il volto verso l’alto seppur mantenendo gli occhi serrati. L’ombra, il respiro sulle labbra, il profumo di quella pelle, Lys sapeva perfettamente chi avesse davanti senza neanche aver bisogno di guardare: e lì se ne stava Paul con le gambe in tensione mentre - flesso sulle ginocchia - si era accovacciato di fianco al bordo del suo letto sul quale era distesa Lys. «Svegliati, dormigliona.» tornò a dire prima di allungare il collo per annullare la distanza che li divideva e depositare un bacio sulle labbra di lei. Solo quando si fu allontanato di nuovo Lys si sforzò di sollevare una palpebra per accogliere con la vista i lineamenti di lui, della stanza, dei granelli di polvere che quasi invisibili fluttuavano per aria. Gli sorrise a labbra strette per qualche secondo ancora, immobile in un buco spazio-temporale che faticò a comprendere in maniera veloce. La sensazione di familiarità con quelle pareti alte e i finestroni a muro che davano sul cielo e sulla città fu destabilizzante, come quando si sogna qualcosa di così reale che nel momento stesso in cui si tornano a sollevare le palpebre non si riesce immediatamente a distinguere il vero dal falso, il passato dal presente. E se per Paul quella era la prima notte che Lys aveva trascorso sotto quel tetto grigio, per lei la faccenda era ben diversa, proprio come la sensazione di lieve smarrimento che le stava addosso in quel momento. Una matrioska che ingloba dentro sé altre matrioske per nasconderle alla luce, alla stessa maniera in cui Lys sotterrava i ricordi che in quella stanza da letto si erano già fatti vita dentro di lei solo sette anni prima, impercettibili agli occhi di Paul così come lo furono le terminazioni nervose che andarono a scuotere non solo ogni più piccola fibra del corpo di lei, ma anche la muscolatura che fino a quel momento era rimasta ferma sotto al controllo di una mente distaccata dal presente. Quando si riprese, tornando a galla e al presente, Lys sbloccò le giunture dapprima fossilizzate andando a compiere movimenti meccanici del corpo, così da stiracchiarsi sollevando le braccia oltre la nuca e distendendo le gambe mentre allungava la punta dei piedi quasi oltre il bordo del materasso, assumendo la forma di una parentesi ben delineata, un segmento d’ossa ricoperto da cute così elastica da sembrare muscolatura. «Ho voglia di pancakes.» lo disse con la voce ancora impastata dal sonno ma, quando tornò a voltarsi verso Paul, Lys era sveglissima e con i piedi di nuovo ben saldi nel presente.

    Un paio di corpi stanchi si erano trascinati fuori dall’appartamento senza che lei li avesse visti, i loro passi si erano ricalcati sul pavimento per riprendere le impronte lasciate solo qualche ora prima, quando fuori c’era stato il buio e una luna che ci aveva fatto dentro il bagno. Il via vai di quella casa era sempre stato continuo: si entrava, si usciva, si restava nel mezzo per godersi quella sensazione di calore che avvolgeva chiunque non appena si posava un piede oltre la porta d’ingresso. Era spoglia, tenuta in piedi da mura molto alte e finestre altrettanto imponenti, doppi vetri che comunque non riuscivano mai ad impedire alla luce del sole di entrare e illuminare ogni superficie o angolo, anche quelli più nascosti. Lys aveva avuto modo di esplorarne ogni metro quadrato, appiccicando a quelle sue pareti dei ricordi che, ora, tornavano ad illuminarsi per farsi osservare in silenzio mentre lei ne condivideva ogni attimo con la sé di otto anni prima. C’erano state serate piene, nottate altrettanto chiassose, eppure la mattina era quella che, nel silenzio generale, faceva più rumore: piedi che avanzano sul pavimento freddo, porte che si aprono e chiudo, fruscii d’acqua nei lavandini o sotto la doccia, respiri profondi e leggeri. Era quasi come se, nonostante il giorno avesse ventiquattro ore a disposizione, in quell’appartamento tutta la vita si concentrasse durante quelle dominate del sole, i momenti di calore inaspettato e di silente coraggio che tutto poteva mettere da parte, persino i brutti ricordi e il rancore. E Lys non ci mise poi tanto a decidere di ambientarsi di nuovo in quello spazio già così familiare, imponendo la propria presenza fra quelle mura come se non ci fosse mai stato un distacco dalla volta in cui si era chiusa la porta alle spalle non sapendo fosse l’ultima. Se ne stava lì, Lys, in piedi davanti ai fornelli della cucina con gli occhi che, di tanto in tanto, si guardavano intorno per posarsi su particolari un tempo diversi e alla ricerca di volti che non c’erano, non più. Tutto sembrava essere rimasto inalterato nonostante sapesse perfettamente che non era così: mancavano le occhiaie che come due barche avevano sempre cerchiato lo sguardo sincero di Jan; mancava la mano di Beat e la sensazione di solletico nell’avere le sue sopracciglia sotto il polpastrello del pollice ogni volta che lei ci passava sopra il dito; mancava la sicurezza di essere l’unica ad entrare, rimanere tutta la notte e poi uscire con lui dalla sua stanza. Tutto e niente era cambiato, ma non avrebbe fatto fatica ad accettarlo, si sarebbe ripresa il proprio spazio, anche se in maniera differente. Lo avevano deciso insieme, inconsapevolmente, nel momento in cui lei e Beat si erano detti addio e avevano mollato la presa dopo essersi rotti. Arrendersi era stato più facile che lottare e forse, anche se non avrebbero potuto mai saperlo, aveva fatto meno male.
    Pantaloncini neri, t-shirt azzurra di un paio di taglie più grandi, piedi scalzi e ciocche di capelli ferme in una coda che ondulava ad ogni suo movimento, vortice di rami dalle sfumature dorate che, troppo indecisi se restarsene dritti o curvarsi, prendevano sempre forme diverse come le chiome dei bambini, ingestibili sotto ogni punto di vista. Glielo avevano detto in tanti, Lys aveva i capelli morbidi e spelacchiati di chi sarebbe rimasta una ragazzina per tutta la vita e ora, con l’impasto dei pancake che le si era insinuato fra qualche ciocca, certamente non avrebbe potuto ribattere. Mentre faceva scivolare un’altra porzione d’impasto nella padella riscaldata, i piedi si animavano sul pavimento senza riuscire a stare fermi e Lys danzava sulle note di una musica tutta sua. Era qualcosa a cui si era abituata e che un tempo era sempre venuta naturale, nel prima: svegliarsi e sentirsi leggera, come se avesse avuto spilli sotto la punta delle dita che la facevano sentire viva. Finché non lo era stata più e il suo mondo si era disintegrato, portandole via certezze e quell’elettricità immaginaria che aveva poi iniziato a funzionare solo sotto forzata richiesta. Ci era voluto un po’, ma aveva imparato a gestire anche quello: premere i tasti giusti, pensare le cose giuste, aprire gli occhi e muovere i piedi nel momento giusto, l’importante era non restare mai troppo fermi, fissi con la mente o il corpo nello stesso punto. Si andava avanti, lo aveva fatto anche lei nonostante quel percorso sembrasse ora solo un cerchio e l’idea di vivere in un deja-vu voleva solidificarsi ad ogni suo step. Era quello a cui stava pensando quando una sottile scia di fumo si sollevò sotto al suo naso investendola, allora si affrettò a sollevare la padella per far scivolare i pancakes ora abbrustoliti sul piatto posizionato di fianco al piano cottura. Si lasciò andare quindi ad una smorfia, appena prima di posare nuovamente il piccolo tegame sui fornelli e farci cadere sopra l’ennesima porzione d’impasto chiaro. Non era mai stata una brava cuoca e questo lo sapeva alla perfezione chiunque la conoscesse. La consapevolezza di non esserne capace, però, non la fermava dal provare a creare altri disastri culinari. Paul si era salvato in calcio d’angolo per via dei suoi impegni, difatti aveva avuto solo il tempo di svegliarla ed indicarle dove trovare tutto l’occorrente per poi congedarsi da lei e dirigersi ad un incontro di lavoro con suo padre, così era rimasta apparentemente sola nel silenzio della casa.
    Un sospiro leggero venne via dalle labbra schiuse mentre andava ad afferrare uno degli ultimi pancakes bruciati e lo sollevava davanti al viso per osservarlo. Lo avvicinò alle labbra per tirare un morso e masticarne una fetta giusto in tempo per voltarsi e lasciarla ricadere nel cestino della spazzatura posto di fianco al frigo. Quando tornò ai fornelli camminando in punta di piedi -non perché non volesse far rumore, ma per via del fatto che fosse scalza- Lys controllò che la seconda porzione di pancakes almeno si cuocesse al meglio. Chinò il capo da un lato e la punta dei capelli tirati su in una coda finì per sfiorarle la spalla scoperta nel punto in cui subito dopo lei andò a posarvi due dita, così da scacciare via la sensazione di solletico che le ciocche chiare le avevano lasciato addosso. La sensazione d’esser guardata si fece forte come una spinta indipendente da qualsiasi legge fisica, più forte addirittura del rumore di sottofondo che i pensieri avevano invece soffocato, si sarebbe altrimenti accorta del cigolio proveniente dall’ennesima porta che si apriva se solo non avesse abbassato la guardia. Fu come uno spiffero d'aria fredda o come quando i più piccoli muscoli del corpo vengono percorsi da impercettibili spasmi, bolle d'aria che si gonfiano e sgonfiano sotto la pelle, e quando poi ti giri per guardare in quel punto, qualsiasi movimento dentro di te si ferma. E in quell’immobilità assurda Lys si vide con occhi diversi, come a starsi dietro per cercare silenziosamente uno spazio d’apertura, il punto in cui le giunture si fanno più morbide e attraverso le quali è facile passare per colpire dall’interno. Con il capo ancora rivolto dinanzi a sé e lo sguardo che, seppur posato sull’impasto dei pancakes si concentrava sulla loro forma circolare e il colore per controllarne la cottura, vedeva tutt’altro. Ondeggiava sul posto quando, ad intervalli quasi inesistenti tra l'uno e l'altro movimento, Lys si voltò piano con la nuca, il mento che per gradi si avvicinava alla spalla arrivando quasi a sfiorarla. Cosa avrebbe visto una volta sollevato lo sguardo era già chiaro al cuore, che come una mitragliatrice prese a sparare battiti ravvicinati, un attacco che invece di portare a termine una guerra la iniziava. E danzando a quel ritmo cardiaco che un sorriso trovò posto sulle sue labbra carnose, gli angoli perfetti della bocca andarono immediatamente a sollevarsi verso l’alto quando vide Beat nel mezzo della stanza, lontano solo qualche passo, fermo forse nello stesso limbo all’interno del quale era rimasta incastrata lei. Andavano e venivano, rischiavano di annegare per poi rendersi conto di riuscire a stare a galla, era un continuo ondeggiare fra quello che era stato e quello che non era più, a stento riuscivano a riconoscere i contorni di ciò che li circondava e segnava i limiti oltre i quali non avrebbero potuto sporgersi.
    Non ci furono parole ad accompagnare quel sorriso, la sola risposta da parte di Beat arrivò tramite una forzata indifferenza, l’unica considerazione che si impegnava a rifilarle da un mese a quella parte circa. E allora più Beat la evitava, più Lys invadeva il suo spazio, ne rubava l’ossigeno respirandolo tutto e s’imponeva nel suo campo visivo, faceva qualsiasi cosa per essere reale davanti a lui, farsi guardare, farsi ascoltare, immergersi nella sua vita e nei punti da cui lui voleva che lei continuasse a restare fuori. E se non era una guerra quella dei cuori, battiti che veloci sembravano voler esplodere nel petto di entrambi, allora lo era quella che vedeva Beat in difesa e Lys in attacco, per una volta era il sole a gravitare intorno alla luna, così vicino da volerlo accecare.
    Il sorriso non lo perse neanche quando tornò a guardare la padella di fronte a sé e, con i passi di Beat in avvicinamento, Lys non poteva fare a meno di sentirsi quasi come se fosse seduta sulle montagne russe. Ne catturò ogni suono e ogni movimento, prestando attenzione persino al modo in cui, senza neanche guardarlo, sapeva lui cercasse di evitarla perdendosi nello sforzo di farlo, esagerando con la vicinanza, un passo azzardato che costò ad entrambi una scossa, attacco e difesa che sparano, battiti violenti che dal torace esplodono sotto la punta delle dita e nelle tempie, colpi fortissimi come un defibrillatore appiccicato alla pelle e caricato al massimo: il lato della mano di Beat contro il braccio scoperto di Lys, il petto di Beat contro la spalla di Lys, ecco che entrambi tornavano a respirare, carne viva. Lo vide così vicino senza guardarlo realmente, con il viso chino da un lato e le iridi azzurre alla ricerca dei suoi contorni che trovò delineati dalla stoffa degli indumenti che indossava quando abbassò il mento in direzione della spalla colpita, la stessa che tirò piano verso l’alto con l’inconsapevole intento di sottrarla a lui per conservarci sopra l’impronta lasciata dal suo petto, una paura insensata quella che vedeva Beat portarle via altre parti di sé stesso che Lys voleva tenersi addosso, sulla pelle. «I cereali.» lo disse battendo in ritirata, allontanandosi frettolosamente da lei come chi si rende conto di aver sbagliato la strategia d’attacco, tornando in difesa e riprendendo fiato dopo la scossa, dopo lo scontro delle particelle d’energia che sembravano scorrere sotto la pelle d’entrambi e che, come miliardi di piccolissimi magneti, stentavano a stare lontani dopo essersi congiunti anche solo una volta, di nuovo. La notte del labirinto dopotutto non era lontana, un mese era niente in confronto a sette anni, e quello starsi intorno e nelle vicinanze tutto il tempo certamente non faceva che aumentare il desiderio, lo sapeva anche Lys che non riusciva a trovare un punto di stacco, un vuoto nel quale affondare per liberarsi dalla sensazione delle dita di Beat che si premevano sulle cosce per tirarle un pizzico mentre rendevano lo scontro ancora una volta reale. Sollevò velocemente la padella dal piano cottura per far scivolare l’ennesima porzione di pancakes sul piatto e, senza dire niente, prese a voltarsi verso Beat mentre una delle mani si allungava nella direzione del pacco di cereali che lui avrebbe voluto afferrare poco prima. Strinse le dita attorno al cartone per avvicinarlo a sé e avere modo di affondare per prima la mano libera al suo interno. Ne estrasse un pugno pieno di cereali che lasciò scivolare nella bocca mentre passava a lui il cartone, spingendoglielo contro il petto ed aspettando che lo circondasse con una mano per lasciarlo andare senza che finisse per terra. Per tutto il tempo non aveva smesso di guardarlo, le sopracciglia che si trasformavano in un arco e delineavano dall’alto il viso di Lys ora modellato da un’espressione divertita, una parentesi che si richiudeva allo stesso modo sopra il mento, dove le labbra tornarono a prendere la forma arrotondata verso l’alto non appena ebbe mandato giù anche i cereali. «Prego.» disse con un tono di voce basso e pacato, un’ultima occhiata diretta e decisa che s’infrangeva contro quelle iridi blu prima di tornare a voltarsi per afferrare il bordo del piatto ora ricolmo di pancakes e posarlo sull’isoletta che s’innalzava al centro della cucina. Prese sciroppo d’acero, marmellata e nutella dalla credenza contro il muro per lasciarli sulla superficie libera del ripiano che ora li divideva (lo sciroppo d’acero praticamente sotto al naso di Beat) e poi si sistemò su uno degli sgabelli, esattamente di fronte a lui. Trascorsero minuti di silenzio durante il quale gli unici rumori udibili derivavano dal loro masticare e dai passi di qualcuno sul pianerottolo, oltre la porta d’ingresso. Di tanto in tanto Lys sollevava lo sguardo per posarlo sul volto di Beat ancora segnato da sonno e stanchezza per scovarne particolari che in tutto quel tempo non erano mai mutati: i lineamenti spigolosi del viso, le orecchie appena più sporte verso l’infuori, le ciglia folte e scure che si muovevano ad ogni battito cardiaco, era capace di sentirlo attraverso la superficie dell’isoletta sul quale aveva poggiato i gomiti. Mandò giù una piccola fetta di pancake ricolmo di nutella e, finalmente, ruppe quel silenzio, dopo settimane sembrava addirittura essersi abituata ad averlo intorno e in mezzo a loro, così denso da credere fosse impossible riuscire a farlo tornare ossigeno misto a parole. «Non ti ricordavo di così poche parole.» affermò, ferma sullo sgabello mentre piantava le iridi sul viso di Beat alla ricerca delle sue. Avvicinò un’altra fetta di dolce alle labbra e la fece sparire oltre di esse. Masticò brevemente e, con la bocca ancora piena, sorrise nella direzione del ragazzo. «Qual è il problema, Beat?» chiese, il capo ora chino da un lato mentre tornava a scuoterlo lievemente e riprendeva a masticare. «Se c’è qualcosa che vuoi dire puoi farlo.» aggiunse, ora di nuovo seria e composta mentre lasciava che lo sguardo, ancora fermo su di lui, restasse vigile mentre lei sfondava il muro di silenzio che li divideva, un punto di non ritorno che conosceva bene tanto quanto aveva avuto modo di conoscere Beat. E da una fiamma sarebbe potuta esplodere una bomba proprio lì, nel mezzo della cucina, senza che venissero per terra anche le pareti. Più limiti le venivano imposti, più Lys sentiva il bisogno di superarli, farli a brandelli, continuare a spingere per spostarli e liberarsene finché non perdeva le forze, tanto esausta da farsi male.
    Sollevò i gomiti dal bancone e drizzò la schiena per andare a posare nuovamente i piedi per terra e avvicinarsi al frigo, avvertì i muscoli delle gambe semiscoperte cedere alla tensione che, seppur avrebbe voluto ignorare, con la presenza di Beat nella stessa stanza diventava impossibile da scacciar via. Gli diede le spalle per tirare fuori il contenitore del latte freddo e versarsene un po’ nella tazza ancora ricolma di caffè, poi tornò verso l’isola sulla cui superficie andò a posare la bibita ora color caramello e si sistemò di nuovo sullo sgabello, lo sguardo ora rivolto verso il basso e del tutto deconcentrato dai movimenti delle mani che, come per inerzia, strappavano via parti del pancake che le era rimasto nel piatto per immergerlo nella nutella. «Se invece preferisci continuare ad ignorarmi penso non mi resti altro da fare, se non assecondarti. Dovrebbe venirmi facile, dopotutto.» aggiunse, i ricordi di telefonate senza risposta tornavano a galleggiare come le bolle d’aria rimaste sulla superficie del caffè dopo averlo girato frettolosamente col cucchiaino. Quando sollevò lo sguardo su di lui, fu quasi impossibile celare un sottilissimo velo d’accusa oltre la solita espressione impassibile che si dipingeva sul viso.
    Schiena dritta, mento sollevato, sapeva di essere diventata imbattile: oltre a sé stessa, un tempo era stato Beat l’unico ad avere il potere di farle del male, di distruggerla. Forse si illudeva, ma in quel momento Lys non temeva più nessuno dei due.
     
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    La vide, lui, mentre l’immagine del suo sorriso gli scoppiava in faccia grande, enorme, denti bianchissimi e fossette profonde, due, ognuna su una guancia e della stessa misura del suo indice, come se chi li aveva creati volesse assicurarsi che si incastrassero come il resto di loro, quei corpi separati che si piegavano negli angoli giusti per colmarsi.
    La vide, Beat, e insieme al presente gli capitò di osservare frammenti dello stesso identico sorriso appartenenti a un passato imperfetto divenuto con gli anni remoto, stesi sui materassi di lana butterati, due o tre in una tenda minuscola, impilati l’uno sull’altro per non sentire il duro della terra fra le scapole, che poi quel trucco non funzionava mai, sentivi pure l'odore di muschio bagnato e tanto valeva dormire su una tavola di pietra; Lys sdraiata sul suo letto con le lenzuola delle liane blu intrecciate alle gambe, Lys che alzava la testa e diceva vieni qui, fa freddo, pure con ventotto gradi, pure con le labbra secche e il corpo sudato, l’angolo arrugginito dell'impalcatura del mobile che fuoriusciva e graffiava le ginocchia di chi entrava di corsa e su di lei si buttava. Stessi incisivi più grandi del resto, stesse infossature ai lati della bocca, negli occhi le stesse pagliuzze più chiare come creste di onde a galleggio su un mare mosso dalla tramontana, mosso dai lanci nel vuoto su una pedana nera, tuffi da lei a lui e viceversa, nel cuore; tutto era lo stesso tranne loro, che per farsi la guerra avevano scordato il resto o facevano finta; i loro corpi talmente attaccati da confondersi con i loro vestiti, un ammasso di cotone e poliestere che mormora, casse enormi che sparano musica stordendoli in mezzo alla gente, le braccia sull'altro come per aggrapparsi e non cadere all'esterno perché è pericoloso ma dentro sì, Beat in Lys e Lys in Beat, lì va bene, lì è l'unico posto per loro; una casa di cuscini che somiglia più a una cuccia per gatti, cani al massimo, ci entrano solo con la testa fino alle spalle, una tana dove guardarsi a una soffio dal naso e a mezzo millimetro da tutto, manca pochissimo e fanno quello che gli occhi e la mente già fanno da un pezzo: toccandosi si spogliano lenti; lenti come passi fra i mercatini di natale, ad ogni bancarella qualcosa la meraviglia, bracciali, orecchini, colori, è tutto bellissimo e Lys vuole toccare, sorride, la stessa mezzaluna poggiata su un lato come se fosse stanca e stesse riposando; o quando seduti in cerchio non notano gli altri ma solo loro due, lui con le labbra vicine all'orecchio le parla fitto e lei non risponde ma ride, chissà cosa le sta dicendo, è o un sogno o una scempiaggine o una porcheria, o forse tutti e tre, parlano così piano che sembrano confabulare. Quei ricordi scorrono veloci a ritroso, un nastro che li mangia fossetta dopo fossetta finché i sorrisi si sovrappongono e diventano uno, presente, tanto immutato quanto tutto il resto è diverso, in qualche modo più ingiusto.
    E la velocità di cancellazione del mangianastri fece male, malissimo, ma il bruciore durò qualche secondo calmandosi quando Beat distolse lo sguardo puntandolo altrove, come acqua ossigenata su una ferita aperta: fa la schiuma e pizzica, poi scompare.

    La vide girarsi e sorridere ma il momento passò perché fu lui a interromperlo, a volere che fosse così. Volere non era qualcosa a cui pensava spesso, Beat non programmava ma prendeva la vita un giorno alla volta, così come veniva e con quello che comprendeva, da come spendere le proprie ore a con chi passare la notte. Cosa vuoi? Se glie lo si chiedeva non avrebbe saputo rispondere, Beat, i cui desideri cambiavano con il passare dei minuti, di giorno una cosa e di notte l'opposto. Cosa voleva? Voleva essere libero, quello si, e forse erano più le cose che sapeva di non volere: non voleva cambiare, non voleva perdere la sua famiglia, non voleva essere solo, non voleva ferire Paul ma, al contempo, ogni volta che li vedeva insieme era sempre un po' peggio della carezza prima, del bacio di ieri o dello sguardo della scorsa settimana. Erano così tanti i non su cui concentrarsi, che spesso dimenticava le cose a cui corrispondevano di là, dalla parte dei desideri. Ho voglia di te. Avrebbe voluto dire ma si spense, quello slancio, Beat non sapeva più come parlarle. Mandato giù? Apri la bocca, fa vedere. Almeno non sono avvelenati. Disse invece con il bozzolo di un sorriso, la curva sempre a metà come bloccata da qualcosa, forse un ricordo, l'accento duro che del tedesco non voleva proprio liberarsi, neanche dopo una vita in Norvegia. Andarle così vicino non era stata una brillante idea e in ritirata si era buttato in silenzio, mento alto con occhi che non guardavano più ma migravano altrove, sulle boccette sale e pepe, sulla bottiglia di vino con il fondo quasi vuoto, sull'avanzo di patatine, sui residui di pancakes sparsi un po' ovunque come un'esplosione, pure fra i capelli di Lys che però Beat non guardava, sul tostapane sbilenco, sulle piastrelle sbeccate del muro, mentre pensava a riprendersi dopo quell'urto che poi era stato una carezza appena, troppo forte per chi non era più abituato al suo effetto. Fianco a fianco, spalle disallineate con distacco in altezza ma vicine, il pericolo non era ancora scampato e Beat lo sentiva nel cuore, nei suoi battiti, negli impulsi nervosi generati da Lys come fosse un suo organo esterno. Che fastidio, sentirsi così.
    Prima di un'allucinazione vivida, prima del sole e della luna, prima del labirinto, Beat covava i ricordi di Lys in un posto abbastanza lontano, quello più distante dagli occhi come il retro della nuca, diciamo. Se ne stavano in quel cantuccio accovacciati come animali tenuti a freno, ammansiti, pensieri che se non ci tornava sopra non voleva dire che avesse dimenticato, per niente, come si fa a scordare istanti che cambiano la vita? Erano stati buoni per un sacco di tempo, e ora ogni volta che Lys era vicina saltavano, una spinta che da lobo occipitale li sparava orizzontalmente sul retro degli occhi così che neanche quando Lys era assente riusciva a non vederla, neanche quando chiudeva gli occhi o dormiva. Non era sempre e solo il suo viso, anzi, spesso si trattava di momenti piccoli come tappi di birra che, premuti sulla pelle, lasciavano l'impronta circolare, una manciata di dentini impressi nella pelle. Bastava niente, ultimamente, perché quei frammenti perduti saltassero per invadergli la visuale, che poi cosa si stupiva a fare che i ricordi che aveva di lei balzassero in quel modo imprevedibile? Salti e prese acrobatiche, musica e motivetti mentali al cui ritmo muovere i piedi, mani affondate nei cereali che volevano dimostrare qualcosa, forse, cosa non avrebbe saputo dire però, comunque non c'era una parte di Lys che riuscisse a stare mai ferma. Calzavano il soggetto, insomma, tra il fastidio di Beat e la punta di un suo sorriso. Si mossero insieme, quei due, compivano diversi movimenti ma in sync come davanti a uno specchio, chi versava il latte su una montagna di cereali e chi assemblava pancakes in una forma simile, immagine discrepante che in qualche modo si allineava; pure nei passi si rispecchiavano, destro sinistro destro, cauti nel non toccarsi e attenti a non starsi troppo lontano da interrompere la scossa che, da Lys a Beat in circolo, li collegava. Sfuggì in parte a quella sensazione concentrandosi sul movimento meccanico della mandibola che mastica, Beat ora piegato con i gomiti sull'isolotto della cugina dopo aver spostato con un piede lo sgabello, con la testa china incassata fra le spalle faceva ondeggiare leggermente il collo un po' per stiracchiarlo, un po' sempre ballando. Non avrebbe potuto dimenticare la presenza di Lys neanche volendo, intorno c'erano un sacco di cose a parte lei, ma la presenza di lei sembra invadere tutto. Quello che poteva fare era evitare con testardaggine di guardarla e ignorare invece le iridi dell'altra che, poteva sentirle camminare sulla pelle, di tanto in tanto lo fissavano. E restarono così per chissà quanto tempo, lui appoggiato con la guancia sulla mano aperta e il mignolo che tirava la pelle sotto l’occhio inscurita dalla stanchezza, lei che con quelle mani faceva qualsiasi cosa, toccava i pancakes, spalmava nutella, afferrava la tazza e se le laccava pure qualche volta, le labbra a raccogliere impronte di cioccolata sulla punta delle dita.
    Se non lo avesse fatto lei, con ogni probabilità Beat non avrebbe parlato fino a dire tschuss, ciao, un saluto prima di sparire dietro la porta della sua stanza, del bagno o della stessa casa, ma Lys prese la decisione di incrinare l'equilibrio che da settimane c'era fra loro, una cosa fragile, dieci per cento monosillabi novanta per cento silenzio, una cosa che forse non sarebbe comunque durata. Fu in quel momento soltanto che il collo incassato nelle scapole di Beat si distese per sollevare testa naso occhi sulla ragazza seduta di fronte a lui, appollaiata come su un trespolo di metallo, un ginocchio piegato in alto verso il mento e l'altra gamba giù. Il problema? Diese dummen Pfannkuchen. Questi stupidi pancakes. Punzecchiò uno di quei dischi bruciacchiati con la punta più curva del cucchiaio, che staccandosi lasciò una mezzaluna nell'impasto. Prendersela con loro era più semplice che ammettere la verità, che dire ad alta voce ci sono rimasto male quando hai detto di non conoscermi.Mollò la posata nella tazza causando un mini tsunami di gocce di latte rimasto sul fondo, lo sguardo elettrico che ora non voleva sapere per nessuna ragione al mondo di abbandonare i lineamenti di Lys, le palpebre sbattute più rapidamente mentre la testa si muoveva piano in un diniego confuso. Non ho idea di cosa cazzo stai dicendo. Se vuoi chiedere qualcosa chiedila e basta, Lys. Altrimenti sei fastidiosa. Accompagnò alle parole un rumore strano, ibrido tra lo sbuffo e un'incredula risata. Si mosse per raddrizzare la colonna del suo scheletro mentre con una mano spostava lo sciroppo d'acero da sotto il suo naso, spazientito. Si stava già innervosendo e si vedeva. Unì le dita e tirò le braccia verso l'alto per stiracchiare tutto, anche il malumore, sperando di riuscire a farsi scivolare Lys addosso come acqua che passa ma non penetra. La seguì a pupille attente fino al frigorifero, soffermandosi ancora una volta sul retro di se stessa che lei non poteva vedere come faceva lui, non altrettanto facilmente, pensando per un momento di essere l'unico spettatore del modo in cui i capelli sfociavano sulla pelle del collo come onde che si scontrano su una spiaggia candida, un movimento statico da panorama speciale.
    Impermeabile Beat non era anzi, le emozioni lo attraversavano come se fosse trasparente, pura aria e non un ammasso bene o male disordinato di ossa, cartilagine e carne, e le accuse di Lys lo trafissero da parte a parte. Spilli da tenere conficcati nel cuore. Strinse sotto le dita il bordo dell'isolotto, una pressione forte da far sbiancare le unghie, incanalò il sentimento in quel gesto per riuscire a non scombussolarsi troppo in faccia, per non farsi guardare colpito. In un secondo, nella testa di nuovo il mangianastri impazzito: una cabina spoglia e puzzolente, una testa mento contro petto, il suo, come l'orecchio incollato a una cornetta prima muta e poi piena di pronto? pronto? Beat, sei tu? Il filo del telefono fra le dita come l’ipotesi di un cappio al collo. La voce morbida di Lys un sussurro indolenzito, la sua tristezza per lui violenta come una bestemmia, cosa aveva fatto? A Beat resterà impressa nella memoria come gli incubi, gli incidenti stradali, le botte, di più molto di più, sarà la fine di ogni storia immaginabile, il punto a capo avrà sempre il suono disperato di quella voce per lui.
    Non così facile come sparare stronzate al tuo fidanzato, dopotutto. Com'è, mentire quotidianamente? Omettere il fatto che non solo ti facevi il suo migliore amico tutto quel tempo fa, ma che te lo sei anche scopato dieci minuti prima delle presentazioni ufficiali? Devi avere una bella faccia tosta per riuscire a guardare chiunque negli occhi, Lys, complimenti. Ti senti forte ora? Sei fiera? Se lasciarti ti ha trasformato in questa persona cazzo, devo chiedere scusa a Paul. Non aveva alzato la voce anzi, le mani stavano anche sciogliendo la presa sul bancone, il viso una serie di angoli e increspature che parlavano di fastidio, sarcasmo e, più di tutti, delusione, con quegli occhi prima più sottili e poi spalancati, la bocca una piega in giù e poi in sù, insieme alle spalle sollevate come a dire: non mi interessa, è tempo sprecato. Prese la tazza per muoversi verso il lavandino lasciandola sul suo fondo, uno spruzzo d'acqua veloce al suo interno per evitare che i rimasugli di cereali si seccassero rendendo difficile la vita di chi li avrebbe poi dovuti staccare per pulirla. Invece di girarci intorno stavolta Beat si fermò dritto davanti al sole, forse seduto ancora su quel trono che l'aveva fatta sentire tanto forte, lo sguardo verso il basso che la scrutava come per trapassarla da parte a parte. Beat prese respiro come per far uscire qualcosa ma non ce la fece a dirlo. Sei stata tu. Mi hai ferito. Sei stata tu. Tu hai ucciso Jan. Quando ti sei buttata tu non volevi tornare indietro da quel lago. Tu volevi lasciarmi e quindi ti ho lasciata prima io. Non ti ignoro più, contenta? Questo le disse. Non riuscì a dirle che il suo arrivo gli aveva smosso qualcosa dentro, non riuscì a dirle che non parlare rendeva il tutto un pochino più sopportabile. E il fatto che dentro la tua testa si aggiri ancora la voglia di stare con me non ti da il diritto di incasinare la mia o la vita di Paul. Lasciale qui certe idee, ok? Hai già creato troppi danni. Il sorriso accennato da stregatto sulle labbra increspò la barba di qualche giorno, mentre con l'indice alzato ne premeva la punta sulla fronte di Lys, unghia corta e spirali del polpastrello nel centro esatto, un minuscolo canale di scambio unilaterale dalla pelle tiepida della ragazza a lui, tutt'intorno. Da quel macroscopico condotto Beat riuscì a provare per un secondo qualcuna delle emozioni di Lys, un misto di sicurezza forse vacillante, tristezza, rabbia e...qualcos'altro, non lo sapeva. Ritrasse il dito, compiendo un passo indietro per sottrarsi tutto da lei, come se non lo sapessero anche i pazzi e i senza cervello che non si potevano separare, come fossero calcificati l'uno nel calco dell'altra, indistricabili, allontanarli voleva dire strappare i loro corpi legati con la mente e con quel qualcosa in più che non poteva farli stare lontano, voleva dire farli sanguinare.
     
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    Menti tu, mento io. Attacchi tu, attacco io. Odi tu, odio io. Ami tu, amo io.
    Dare e ricevere, mai tutto nella stessa misura perché quei due, da sempre cocciuti, si erano costantemente voluti superare in tutto. E all’inizio, nel prima, quello non era mai stato neanche un problema per loro, che al massimo potevano gareggiare a chi sussurrava più spesso un ti amo anche senza pronunciare le due esatte parole. Perché a trovare l’amore nella sequenza d’altre lettere veniva semplicissimo quando si guardavano negli occhi o si tenevano anche solo vicini, un dito che sotto al tavolo si trascina lento sulla pelle calda di una gamba scoperta, la punta del naso che s’infrange piano contro la pelle morbida del collo e si trasforma in carezza, la pianta dei piedi che si preme contro la rotula di un ginocchio più ruvido che rincorre l’incavo più morbido dell’altro. Anche prima, anche quando erano stati una cosa sola, Beat e Lys si erano dati così tanto da non aver avuto più spazio libero, crateri vuoti da riempire. Avevano costruito stanze ricolme d’un sentimento che forse nessuno dei due aveva mai davvero sperimentato a quel modo e che li aveva guidati senza alcun intoppo giorno dopo giorno, si erano affiancati tenendosi per mano con l’assurda ed impossibile certezza che mai niente avrebbe potuto portarli a slacciare le dita l’una dall’altro e viceversa. Fu quello a cui pensò immediatamente quando la spalla di Beat andò a sfiorare la sua e le loro braccia si scontrarono per un brevissimo istante: le competizioni d’amore che si erano trasformate a chi mollava la presa per primo, finché non c’era stata più alcuna gara a cui partecipare e, Beat e Lys, si erano stancati di giocare. Pausa, inevitabilmente lunga, talmente tanto da assumere la forma di un punto e l’impronta di un polpastrello che sulla tastiera preme in continuazione il tasto invio, a capo, e allora Beat e Lys erano finiti per posarsi gli occhi, le mani e le dita addosso di nuovo, forse alla ricerca di un punto d’accensione, una versione più aggiornata di quel gioco di cui un tempo avevano conosciuto le regole a memoria. E l’avevano anche ritrovato intatto ma avevano deciso di gareggiare per altro, e lì nel mezzo della cucina prendeva vita l’ennesimo campo di battaglia.
    Con la bocca ancora piena di cereali e la mano di Lys che ne spingeva la confezione contro il petto di Beat, la parvenza che ci fosse uno spiraglio di luce e pace avrebbe illuso solo chi non li conosceva bene. Mandato giù? Apri la bocca, fa vedere. Almeno non sono avvelenati. si pronunciò Beat in quella che ad orecchie superficiali avrebbe potuto suonare come una tregua ma che non ingannò quelle di Lys, non lo fece neanche il mezzo sorriso che riuscì a strappargli e che per un brevissimo momento tirò un angolo delle labbra di Beat verso l’alto. Una piccola vittoria per la mora, che con calma terminò di masticare la porzione di cereali per poi tirare fuori la lingua e mostrargliela. Giorni erano passati, forse trenta, forse meno, sembravano praticamente essere volati via mesi interi dalla sera al labirinto e il ricordo dell’ultimo acceso sorriso che gli aveva visto nascere sul viso era stato anche l’ennesimo che lei gli aveva tolto, scacciandolo con il gesto tanto semplice quanto folle della sua schiena che si era ricurvata piano sotto la leggera pressione delle dita di Paul che l’avevano accolta per tirarsela vicino, dita che Lys aveva scelto di tenersi incollate addosso anche quando, a labbra ormai strette e dritte come una linea retta che non si piega neanche sotto la più pesante delle pressioni, Beat l’aveva letteralmente fulminata e alla luce di quel lampo si erano illuminate di nuovo tutte le stanze e i crateri pieni di lui, delle parole pronunciate a voce alta o in sussurro, del profumo lasciato dal suo corpo sulle coperte incastrate dentro le pareti di stoffa di una tenda o sui cuscini sparsi sul parquet di una vecchia mansarda. E forse era per quel motivo che lui evitava lo sguardo decisamente più coraggioso di Lys, perché a fissare le sue iridi chiare dentro quelle di lei non ci sarebbe più stato alcun freno per lui e quel calderone pieno di ciò che erano stati avrebbe cominciato a sgorgare senza possibilità di fermo. Che in tutti quegli anni non avesse imparato, Beat, a tenersi dentro i ricordi che aveva legati a lei? Un’ultima occhiata a quel mezzo sorriso, poi alle iridi chiare che facevano di tutto per non incontrare le sue e Lys ritirò la lingua, tornando poi a voltarsi e provvedere a raggruppare tutto quello di cui avrebbero necessitato per la colazione mentre, anche senza guardarlo direttamente, riusciva a percepire ogni movimento dell’altro e il modo in cui, seppur frettoloso, cercava cautamente di starle alla larga, impostare accuratamente un’indefinita manciata di passi che avrebbe tenuto al sicuro entrambi e di cui, lui più di lei, sembrava spaventato di accorciare, quasi come se il pavimento avesse vita propria e ogni volta che Beat dimenticava quel particolare, le mattonelle ne approfittassero per restringersi così come l’intero spazio della stanza e le pareti pareva volessero chiudersi intorno a loro e soffocarli. E se da un lato c’era lui attento a non strafare, a non cadere in nessuna trappola da lei posta fra di loro solo per farlo cedere, dall’altro c’era Lys con i suoi movimenti del tutto invadenti, che dallo spazio personale di Beat non aveva né timore di farsi avvolgere, né voleva tantomeno averne rispetto. Metà in maniera inconscia, metà del tutto consapevolmente, Lys desiderava costringerlo a guardarla, parlarle, riversarsi su di lui sotto forma tattile e pensiva, imporglisi intorno come fosse lei l’unica porzione d’ossigeno respirabile, perché pur comprendendo le sue motivazioni, una piccolissima parte di lei non aveva mai effettivamente superato e confrontato l’idea che Beat non le fosse rimasto accanto, pur accettandola.
    Iniziare quella conversazione senza il suo consenso, sostituendola automaticamente a quello che avrebbe potuto essere l’ennesimo silenzio pregno di parole che normalmente avrebbero tutt’altra voglia che starsene riposte sotto al palato o fra scatole invisibili appollaiate contro le pareti della gola, in attesa che qualcuno potesse tirarle fuori chissà dove, chissà quando. E un po’ come accade per le cose belle e luminose, quelle tanto attese, che arrivano trascinandosi quasi sempre pure qualche ombra appresso, anche le constatazioni che Lys mise sotto al naso di Beat, oltre che ammanettare finalmente la quiete che li aveva silenziosamente accompagnati fino a quell’istante, atterrò fra di loro assieme a tutto quello che in realtà si dissero per farsi del male, perché odiarsi era la più facile delle opzioni.
    Fu quindi solo in quel momento che la sagoma di Beat prese a muoversi con estrema attenzione e lentezza, quasi come se a disincastrare tutti quei muscoli ci volesse più tempo del dovuto, lo stesso che gli servì per rispondere a Lys. Il problema? Diese dummen Pfannkuchen. sguardo di nuovo basso, mento rivolto verso la superficie dell’isolotto, Beat prendeva altro tempo mentre affondava la punta del cucchiaino dentro l’impasto ben cotto dei pancake ammassati l’uno sull’altro dentro al piatto fermo fra di loro, al centro esatto del territorio quasi a delimitare la zona dell’uno da quella dell’altra. L’osservò ancora in silenzio, Lys, spostando le iridi chiare da lui alle proprie mani ancora in movimento ed intente a spalmare un altro strato di nutella sul disco morbido che reggeva su un palmo aperto verso l’alto. Quando continuò a frammentare quel silenzio con altre parole, intercettò la schiena di Beat drizzarsi del tutto e, finalmente, sollevando lo sguardo su di lui incrociò anche il suo. Fu brevissimo, la frazione di un secondo lontanissimo, forse l’eco di un ricordo che aveva cercato di soffocare, eppure le parve chiaro come il soffitto bianco che sovrastava le loro teste: gli occhi di Lys non potevano vederli, ma sapeva che nella stanza ce n’erano tanti altri, di loro. Un paio se ne stavano gettati sul divano con una ciotola di pop corn sistemata sulle gambe e all’interno della quale era sempre una sola mano ad affondare per sfamare entrambi; a tratti ne compariva una terza, si gettava capofitto con la testa bionda sui cuscini del divano di fianco a loro e ci rimaneva giusto il tempo di creare scompiglio, far rotolare chicchi di pop corn ovunque sul pavimento e poi fuggiva via per chiudersi la porta della propria camera da letto alle spalle; altri due di loro apparivano fugacemente solo per attraversare il salotto e sparire frettolosi oltre quell’altra porta che dava sulla stanza in cui aveva invece dormito Lys quella notte, otto anni di mezzo a separare quella che chiunque avrebbe riconosciuto come la stessa identica figura femminile: stessa camminata, stessa coda di capelli castani che dondola ad ogni passo, stessi occhi elettrici e sorriso contagioso, eppure una persona ora decisamente diversa. Erano le altre versioni di loro che cercava a tutti i costi di lasciarsi alle spalle, quelle felici e ingenue che, nel momento esatto in cui Lys aveva incrociato nuovamente lo sguardo di Beat, aveva scorto nell’oscurità dell’ombra di lui proiettata sulla parete alle sue spalle. Abbassò brevemente lo sguardo, l’ennesimo frammento di tempo che si concesse per rialzarlo, pronta ad essere letteralmente colpita dalle accuse che, gliele leggeva negli occhi, stavano per arrivare non solo sottoforma d’espressioni facciali ma anche affilate come i contorni delle parole che lui lasciò finalmente cadere fuori dalle labbra, rimaste appese alla lingua forse da troppo tempo. Non ho idea di cosa cazzo stai dicendo. Se vuoi chiedere qualcosa chiedila e basta, Lys. Altrimenti sei fastidiosa. rispose, il tono della voce calmo e sicuro, dentro ribolliva e Lys lo sapeva. Calcò la mano, tirò la corda, si prese il tempo di respirare e diede a lui qualche istante di tregua ancora quando, scivolando giù dallo sgabello e mettendo i piedi per terra, si avvicinò al frigo per estrarne il contenitore del latte e versarsene altro nella ciotola. Come sbloccato da qualcosa, anche Beat sembrò finalmente tornare a muoversi nel suo spazio, lo vide infatti stiracchiarsi sullo sgabello mentre lei tornava a prendere posto di fronte a lui e, neanche lontanamente disposta a sollevare la bandierina bianca, sollevava lo sguardo su di lui e si pronunciava ancora, questa volta in maniera più affilata, un colpo che andò a sbattere direttamente contro quella barriera artificiale e astratta che Beat aveva innalzato per tenere lontana non solo lei, ma anche il modo in cui si erano ritrovati a rinnegare tutto quello che fra di loro era mai esistito.
    Dopo Jan non c'era stato poi più molto altro, solo un paio di pareti asettiche. Come chi non prende pace, Lys si era disperata in maniera contenuta, all'inizio: quella era stata la parte più difficile, mantenere intatta la speranza che quella realtà non sia com'è davvero davvero, che in realtà l'abbandono è solo un arrivederci mascherato con l'intenzione di far paura e basta, spaventare chi in quello stato pensa di doverci invece credere a tutta quella solitudine che sembra soffocare, senza un vero scopo o un significato, perché certamente non poteva esser vero che Beat stesse evitando proprio lei, le sue chiamate, il suo respiro. Ed incredula che stesse accadendo proprio a loro, Lys si era mossa avanti e indietro, aveva contato i passi che la separavano dalla porta alla finestra, in ripetizione, per notti intere e giornate lunghissime, più lunghe di quelle che aveva vissuto solo qualche mese prima. Intorno c'era stato un gigantesco e ovattato silenzio, si era propagato per tutto l'edificio ogni volta che il sole era calato e lei aveva cercato con lo sguardo i contorni luminosi della luna ferma lì in alto, mai immobile nel suo mare nerissimo. Quasi come se le parlasse ancora, l'immagine di Beat si era tramutata in una voce, il sussurro che in un respiro sul collo e dietro le orecchie faceva ondeggiare ciocche di capelli che le ricadevano sulle guance. Aveva cercato di acchiappare almeno quella parte di lui, dal momento che sembrava esserle negato tutto il resto. Avrebbe potuto giurare persino di sentirlo attraverso le pareti, oltre il vetro ghiacciato della finestra colpito troppe volte a ondate da una pioggia fitta. Occhi serrati, corpo che non riesce a star fermo, dita strette attorno al manico di un telefono appeso al muro, denti che si premono sulle labbra inferiori e ne tracciano segni rossi, mezzelune impazienti. "rispondirispondirispondi..." Che non volesse più parlarle? Che il motivo di quel silenzio fosse amore Lys non lo aveva saputo. Perché se l'abbandono era stato sinonimo di ti amo ma riconosco di non poterti aiutare, allora tutto era stato sbagliato sin dall'inizio e loro due avevano fatto un bel casino, lo stesso di cui volle incolparlo almeno in parte e che spinse nella sua direzione non solo attraverso le parole, ma anche tramite quello sguardo che d'un tratto aveva perso il solito luccichio, affogato per un secondo solo nel ricordo di quel distacco, dell'abbandono che poi tanto arrivederci non era stato e che col tempo era riuscita a smascherare ritrovandosi con niente fra le mani, se non una retta lunga intersecata nella cute e spezzata a metà in due brandelli fini e chiari. Non così facile come sparare stronzate al tuo fidanzato, dopotutto. Com'è, mentire quotidianamente? Omettere il fatto che non solo ti facevi il suo migliore amico tutto quel tempo fa, ma che te lo sei anche scopato dieci minuti prima delle presentazioni ufficiali? Devi avere una bella faccia tosta per riuscire a guardare chiunque negli occhi, Lys, complimenti. Ti senti forte ora? Sei fiera? Se lasciarti ti ha trasformato in questa persona cazzo, devo chiedere scusa a Paul. la risposta venne fuori così come lei se l'era aspettata, adornata da qualche altro particolare e uno sguardo deluso, eppure sinceramente ferito. Lo riconobbe immediatamente quando, seguendo con gli occhi ogni suo più piccolo movimento dalle mani alle spalle, Lys tornò a fissarlo in volto, seria. Tanto quanto lei, Beat sembrava covare dentro domande che non avevano mai avuto risposte, cocci di quello che un tempo loro erano stati e che senza averne alcun controllo avevano spiattellato per terra o sul fondale di un lago anonimo a chiunque tranne che a loro. Restò tranquilla, lei, ferma sullo sgabello con il pancake stretto fra le dita che si avvicinava alle labbra e spariva per metà oltre di esse, tranciato dalla fila di denti dritti e bianchissimi che si erano mostrati fieri a Beat almeno fino a qualche istante prima. Lo seguì comunque con lo sguardo, decisa a non perderlo di vista e convinta di voler cogliere anche il più piccolo particolare, anche quello che invisibile a chiunque a lei invece risultava tanto presente quanto egocentrico. Seguì la linea del braccio che si abbassava verso il lavandino per abbandonarvi la tazza al suo interno mentre una scia d'acqua si apriva dal rubinetto per coprire i resti di quello che prima o poi sarebbe stato lavato via. Un po' come loro e gli anni di indifferenza o quel silenzio che Lys tanto stava lottando per distruggere. Con la bocca ancora piena, Lys si ritrovò ad annuire forse solo a se stessa mentre, tornando ad abbassare un attimo lo sguardo sul piatto sotto al mento, mandò giù il boccone appena prima di tornare a drizzare la schiena e sospirare, voltandosi poi ad accogliere nel proprio campo visivo la figura di Beat che, ora più deciso, si muoveva finalmente nella sua direzione con intenzione. Lasciò cadere il pancake nel piatto, Lys, mentre serrava le labbra consapevole che da un momento all'altro Beat avrebbe ripreso le armi. Al ché lei attese, silente, con una gamba ancora tirata su vicino al viso e una penzoloni dallo sgabello. Chinò il viso da un lato mentre posava gli occhi sul viso di Beat e, di nuovo, finiva per vedere tutte quelle altre versioni di lui che solo lei conosceva bene. Il modo in cui le aveva spesso parlato nella sua lingua madre e le risate che ne erano seguite quando lei aveva provato ad imitare quell'accento più duro ma che aveva iniziato a sapere di casa sulla lingua di Lys, quasi come se imparare a dirgli danke o ich liebe dich volesse essere un nuovo modo di fare l'amore. Beat, ich liebe dich, sarebbe bastato pochissimo, due piccolissimi movimenti della lingua che andavano a spingersi piano contro l'arcata superiore del denti e generavano un suono che poi tanto suono non era, più un'esplosione, un campo d'energia che avrebbe forse annullato ogni cosa o l'avrebbe portata finalmente al termine. Non ti ignoro più, contenta? glielo chiese quando si fu fermato a pochi centimetri da lei, in piedi di fronte allo sgabello sul quale si era appollaiata facendo proprio non solo quello, ma anche l'intero spazio che l'aveva circondata fino a quel momento senza che fosse intaccato ed invaso dalla presenza di Beat che, seppur fosse diventata bravissima a tenersi sotto controllo, Lys proprio non riusciva ad ignorare. E il fatto che dentro la tua testa si aggiri ancora la voglia di stare con me non ti da il diritto di incasinare la mia o la vita di Paul. Lasciale qui certe idee, ok? Hai già creato troppi danni. lo lasciò parlare ancora, aggiungere quello che Lys pensò fosse quasi divertente, detto da lui. Abbassò lentamente lo sguardo dal suo viso al petto che aveva di fronte, fino a curvare il capo da un lato per la frazione di un secondo, la stessa che si concesse per riuscire a mettere in fila ciò che avrebbe voluto dire lei a lui. E se da un parte l'emotività che l'aveva legata a lui da sempre era così forte e ancora viva da trasformarsi nel battito accelerato del cuore che le pompava sangue in tutto il corpo, dall'altra quelle parole non fecero che alimentare l'idea che, a malincuore, di lui aveva voluto farsi, perché credere razionalmente che davvero non ci fosse più niente fra di loro era una follia. Allora, se Beat l'allontanava, Lys allontanava lui allo stesso modo, e di più. Sospirò con le iridi presenti ma la mente altrove per qualche altro secondo, prima di tornare a girare la nuca nella direzione di Beat che, a quel punto, aveva sollevato un dito all'altezza della sua fronte contro il quale andò a premere il polpastrello. Non si mosse di un millimetro, Lys, che preda di quel contatto forse si disse sarebbe stato l'ultimo, che l'elettricità scaturita da quel ponte fra di loro era solo l'eco di una scarica ben più grande esistita sì, ma solo tra quelle stesse copie di loro due che aveva visto nell'ombra di lui. Forse allo stesso battito cedette Beat quando ritirò la mano e portò via il dito dal viso di Lys, compiendo qualche passo nella direzione opposta per allontanarsi da lei. Un altro sguardo appiccicato al suo, le iridi si spostarono lungo la linea del collo scoperto oltre i bordi della maglietta, per seguire i lineamenti del braccio e finire sul dorso della mano, alla lenta ricerca di quella porzione di pelle che l'aveva appena toccata. Si sollevò di scatto, sciogliendo la curva della gamba tirata su e sul cui ginocchio aveva posato un gomito fino a quel momento, posando di nuovo i piedi per terra e, fermandosi di fronte a Beat, inarcò le sopracciglia in un'espressione serena e curiosa. «Ti senti meglio? Posso incassare altri proiettili, se ne hai. Forse però devi drizzare la mira.» partì in quarta, subito, come chi attende sette anni per dire ciò che pensa dopo aver lasciato parole e pensieri a lievitare dentro la testa, la pancia, nel cuore. «Non ti ho mai nascosto niente, non lo farei neanche adesso. Se volessi stare ancora con te, come forse erroneamente potrei averti fatto credere, non staremo qui a parlarne, lo sai tu e lo so io. Quello che è successo nel labirinto era l’eco di qualcosa che non c’è più, quindi...» si fermò, intrecciò le braccia di fronte al petto non per mostrarsi più sicura, ma inconsciamente per tenersi insieme, per non crollare e ricadere nella stanza dalle pareti bianche in cui si era aspettata di vederlo, prima o poi. «...no, Beat. Non mi sento colpevole, non ho difficoltà a guardare chiunque negli occhi e non mi pare tu sia nella privilegiata posizione di poter giudicare, se non ricordo male non ti sei tenuto stretto l'elastico dei pantaloni, lì dentro, o forse mi sbaglio?» commentò, scuotendo debolmente il capo mentre il tono di voce restava calmo. «Non hai niente a che vedere con quella che sono oggi, ho fatto tutto io, da sola, tu non c’eri. C’era silenzio fuori e dentro invece un gran casino. Certo, c’era soprattutto il ricordo, ma tu non c’eri e io ti ho aspettato. A lungo, Beat. Ti ho aspettato.» - un passo avanti e le braccia si sciolsero per portare le mani a stringersi sui fianchi coperti dal tessuto della maglia blu, il viso rivolto verso l'alto e gli occhi fermi e intenti a non perdersi neanche il più piccolo tremolio di un suo muscolo. In quel quadro di razionalità forzata in realtà Lys voleva sciogliersi per finirgli addosso, rivestirlo completamente e tornare ad essere sua. Ma i ricordi facevano male ancora come lame conficcate a caldo nella schiena, se il modo in cui si erano lasciati avesse avuto risvolti fisici sarebbero certamente stati quelli. «Se c’è qualcuno a cui penso ogni volta che fingo di non averti mai incontrato prima è proprio Paul, ma mi pare che tu faccia lo stesso, quindi siamo d’accordo, giusto? Tutto risolto.» sentenziò, serrando le labbra in una curva verso il basso e lasciando che il collo s'incassasse fra le spalle, ora appena più sollevate in un gesto di noncuranza. Una menzogna che aveva l'intenzione inizialmente involontaria di ferirlo, farlo sentire tanto piccolo quanto piccola e senza valore si era sentita lei. Che la dimenticanza si fosse poi protratta era stata solo una conseguenza e, considerando il modo in cui si erano poi evolute le cose fra loro due in particolare, per Lys non aveva avuto più alcun senso rimettere i tasselli al proprio posto. «Vivi la tua vita e io vivo la mia, come abbiamo sempre fatto. Starsi di fianco sembra ora inevitabile, non facciamola più drammatica di quello che è.» aggiunse a denti stretti, eppure dentro Lys si sentiva sgretolare. C'erano parti di loro che stavano finendo di cadere, rimaste prima appese chissà dove, uno di quegli angoli bui della mente che era assolutamente vietato attraversare. E mentre lo fissava per qualche secondo ancora, in Lys si consolidava quel pensiero rimasto in sospeso durante tutti quegli anni per via del distacco: mai niente e nessuno aveva amato di più. Mai niente e nessuno avevano significato tanto per lei. Benedizione e maledizione, gli aveva rovinato e salvato la vita per restare incastrata con lui in quello stesso spacco dal quale l'aveva ripescato, tirato fuori con la forza perché non ancora pronta a lasciarlo andare. L'ironia della sorte però aveva trovato il modo di metterli comunque su percorsi diversi e Beat e Lys avevano smesso di abbracciarsi alla luce fioca di un falò, di ballare vicinissimi al buio, di creare strade sulla pelle che nessun altro polpastrello avrebbe avuto il permesso di percorrere, punti della cute più caldi di altri, cuscini di pelle più morbidi contro i quali si erano abituati a far affondare la nuca addormentata. E fluttuante fra quei pensieri, il cuore di Lys prese a battere più veloce ma non cedette: aveva imparato a resistere all'addio di Beat. Gli occhi però inumiditi dal nervosismo e da una tristezza che mai gli avrebbe mostrato, tornarono a spostarsi e sottrarsi allo sguardo di Beat, seguiti poi dal resto del corpo di Lys che, quasi come se si fosse pietrificato davanti all'altro, tornò a muoversi con fatica verso l'isolotto. Diede quindi le spalle a Beat e afferrò la propria tazza per riporla sopra quella che lui poco prima aveva lasciato nel lavandino, voltandosi poi nuovamente nella sua direzione, ora un'espressione più serena sul viso. «E i miei pancakes non fanno poi così schifo, caccia via quel muso e mangia qualcosa, ti trascini e sembra che non dormi da giorni.» commentò dopo essersi avvicinata a lui ed essersi fermata alle sue spalle per posare un palmo della mano sull'avambraccio scoperto di Beat così da dargli una spinta leggera mentre circumnavigava la sua figura per afferrare il proprio piatto e tornare al piano della cucina. Inghiottì in fretta l'ultimo pezzo di pancake lasciato nel mezzo del marmo bianco e poi lasciò scivolare anche quel piatto nel lavandino: afferrò l'ormai consumatissima spugna gialla e vi lasciò cadere sopra una goccia di sapone, quindi prese a lavare le tazze senza voltarsi nuovamente verso Beat, che anche senza che lei lo guardasse rendeva così tattile la sua presenza che, per un momento, Lys pensò respirasse tramite i suoi polmoni. E se quelle ombre fossero state reali, se tutte quelle copie di loro avessero preso vita tutte di nuovo insieme, Lys avrebbe avvertito le labbra di Beat posarsi nell'incavo del suo collo scoperto dalla coda alta e le braccia di lui si sarebbero allacciate alla sua vita per tenersela un po' stretta, giusto il tempo per Lys di sollevare una mano ricoperta di schiuma e passargliela sui capelli spettinati. Ma quelle ombre non erano reali e il passato non avrebbe potuto replicarsi in un luogo che non gli dava la possibilità di tornare ad esistere.
    Così Lys sciacquò le tazze a sguardo basso mentre si costringeva a non voltarsi.
     
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    And baby when you sleep do you dream of me?
    And when you're awake do you think of me?
    I need to know, how do you feel? ♦︎


    Non solo in casa ma anche nella testa, come se niente fosse gli si era piantata nella vita con la supponenza tipica dei Love, tipica di Lys, che da quando era riapparsa si aggirava fra il cemento delle mura e le ossa di Beat come se, da lì e da lui, non se ne fosse mai andata. Sarebbe stato bello fare finta che fosse così, sarebbe stato semplicissimo trovare un punto di incontro se nulla li avesse anni fa incrinati; sarebbe stato anche facile rincontrarsi come fosse la prima volta: che musica fa battere il tuo cuore? Mi piacciono i glitters, ti brilla la faccia, vuoi ballare? E dirsi i nomi solo a fine serata.
    Beat.
    Lys.
    Anche quello sarebbe stato semplice, un gioco da ragazzi per due che si erano voluti come si erano voluti loro, liberamente. Erano passati così i mesi bui dopo aver perso tutto, con Beat che tornava indietro e provava a rifare tutto dall'inizio, a cambiare le cose, se avesse detto e fatto così forse non si sarebbe trovato lì, da solo. Si parlava nella testa e molto più spesso parlava a Lys, riusciva a farlo per ore senza cedere al sonno o alla paura, perché per la Lys con cui parlava non serbava nessun rancore o colpa ma solo un malinconico affetto, lo stesso che si riserva alle cose bellissime andate perse per sempre.
    Pensa azzerare, pensa che bello poter cancellare: niente macchina, niente strada che diventa cielo e scarpe che calpestano la notte, niente Beat che, per un secondo, ha in mente di essere un astronauta nello spazio. Che stupido pensiero da avere prima di morire. Pensa niente impatto e più Jan, anni e decadi di Jan, pensa niente acqua ma più ossigeno nei polmoni, pensa a quanti respiri ancora da scambiarci al passaggio di una sigaretta, di una risata o, conoscendoci, magari di un mio bacio sul tuo sorriso. Ma i vetri si rompevano, succedeva sempre, puntualmente, notte dopo notte a ogni ossessiva rivisitazione dei momenti che avevano sbaragliato la sua vita e che a lungo Beat aveva cercato di cambiare come se, avvolto nel letto da coperte di cotone e tristezza, avesse mai avuto qualche speranza di evitare la fine di tutto. Ci aveva provato a lungo, per mesi nella sua testa la macchina aveva sterzato e perso la rotta proprio come loro, come la loro storia; notte dopo notte era volato ancora e ancora tra le schegge, gambe in aria e testa in basso lui, che a conoscerlo si poteva giurare di non averlo mai visto guardare altrove se non verso l'alto, fuori da quella macchina era una navicella in rotta di collisione. A pensarci lucidamente, non avrebbe saputo dire che ore fossero e neanche dove stessero andando, cosa avevano mangiato? Cosa avevano bevuto? E quanto avevano fumato? Erano altri i particolari che ricordava di quella notte, certe cose assurde che proprio non si spiegavano. Le schegge di vetro erano tante e facevano paura, ma prima di loro c'era uno sguardo azzurro che senza aver bisogno della bocca rideva nello specchietto retrovisore; c'era una mano, prima, la sua mano sulla coscia di Lys al volante, c'erano le gocce di pioggia sul parabrezza che, colpite dalla luce del semaforo, la sfaldavano per colpire il viso della ragazza e tingerlo di rosso giallo verde; quella sera Lys aveva addosso tutti i riflessi della città che stavano attraversando, come se la luce di ogni oggetto non potesse scapparle e finisse intrappolata da qualche parte su di lei, come quella dei lampioni fra le ciglia o le insegne al neon degli autogrill sulle guance. O come Beat, un po' fuori e dentro di lei.
    Beat ricordava quello e ricordava la musica, anche se non avrebbe saputo nominare artista o canzone, ricordava di finestrini abbassati che non riuscivano a contenere quei tre sfasati mentre loro, con nessuna preoccupazione, urlavano cose senza senso per farsi sentire dal mondo fuori. Quello che ricordava più di tutto però era una sensazione difficile da identificare, qualcosa che nonostante le canne, nonostante l'MDMA, la cocaina, le birre, la techno, le storie passeggere, le centinaia di albe viste, nonostante la famiglia che si era scelto - grande e bellissima, - nonostante ci provasse con tutte le sue forze no, Beat non avrebbe mai più provato con tale assolutezza: la felicità di essere vivi e sentirselo in ogni cellula del corpo.
    Ma niente era cambiato, alla fine del film tutto deragliava, la notte si era presa quello che voleva finché non aveva lasciato più niente. Così, quando Paul aveva teso la mano, ad alzarsi era stato un Beat più leggero perché, dentro, aveva lasciato perdere. Aveva smesso di provare.

    Ora che la osservava da vicino, ora che la guardava davvero forse per la prima volta alla luce del sole che dalla finestra mandava ogni suo dettaglio in fiamme, ora che grazie alla sua ostinazione si stavano di nuovo parlando o meglio, sputando rancore per cercare di colpirsi nei punti che un tempo avevano accarezzato e sapevano essere fragili, ora che, da bravi vigliacchi, puntavano come spilli parole cattive in quelle fessure che anni prima avevano giurato di proteggere ora, Lys, era contenta? Perché lui no, era tutto tranne che felice, anche se smuovere il silenzio era servito a sollevare un leggero peso dentro di lui, come se incolparla finalmente ad alta voce gli avesse permesso di respirare meglio. Ma a guardare bene, sotto quel masso non c'era prato verde ma insetti, altre colpe, altre accuse e, da qualche parte, anche la brutta sensazione che gli provocava ferirla perché, nonostante tutto, oggi come allora farle del male andava contro la natura di Beat. La guardava e sostava senza riconoscerla fino in fondo, come se il naso, gli occhi, i capelli tutto fosse uguale e insieme diverso, come se negli anni senza lui a guardarli avessero cambiato qualcosa e ora stonassero, o forse era semplicemente lui quello ad essere diverso e ad accorgersi di cose che prima l'amore gli impediva di scorgere. Come il modo che aveva di incrinare le labbra ora che era arrabbiata, pronta a lottare, quante volte glielo aveva visto fare? Eppure gli sembrava la prima volta. Gli formicolarono le gambe, forse perché non gli aveva mai spiattellato in faccia una così grande quantità di cose in grado di ferirlo, con l'intento di farlo. Del resto, dovevano essere cambiati entrambi, perché non avrebbero mai potuto parlarsi così prima, quando si amavano. Con che facilità si torna a essere sconosciuti. "Quindi è stato un errore e un gioco farmici credere. Wow, ja okay, dì qualsiasi cosa serva a farti sentire meno una stronza. " Non ci credeva, prima, ma a vederla così avrebbe forse dovuto? Fissava lei e la sua postura da assi cartesiani, la sua indifferenza. Dall'indice andava ancora in circolo qualche scia di quelle emozioni che toccandola aveva preso in prestito, una serie di piccole scosse confuse che Beat faticava a scindere e identificare ma che, come sempre quando si trattava di lei, riuscivano a destabilizzare quella parte che di lui era meno visibile agli altri, la stessa che si era chiusa nel momento in cui loro erano finiti.
    «...no, Beat. Non mi sento colpevole, non ho difficoltà a guardare chiunque negli occhi e non mi pare tu sia nella privilegiata posizione di poter giudicare, se non ricordo male non ti sei tenuto stretto l'elastico dei pantaloni, lì dentro, o forse mi sbaglio?» Non si sforzò di controllare l'accenno di un sorriso obliquo. Perché avrebbe dovuto, l'accusa era tanto assurda da divertirlo.
    "I miei pantaloni possono andare in qualsiasi direzione, non sono fidanzato io. Tu invece? È stato sempre così facile per te alzare la gonna o è solo perché Paul non ti piace abbastanza?"Con un dito tra pelle ed elastico, li fece schioccare contro la pancia. Un sottolineare le sue parole, rincarare la dose con sfacciataggine. Se per tutto quel tempo aveva taciuto, ora Beat ribolliva, e lo si capiva dalla quantità di stronzate che stava sparando. Non ci aveva neanche pensato al fatto che, quando stavano insieme, lei avesse potuto tradirlo in qualche modo, ma l'aveva sfiorato il presuntuoso pensiero che lei potesse stare con Paul solo per non stare sola o per farlo ingelosire.
    Spostò lo sguardo forse vergognandosi di quel colpo basso, il taglio fra le labbra ora solo un balugino laterale di denti appena visibili mentre tutto il viso mutava espressione a ogni nuova parola, da divertito a incredulo a, ancora, incazzato quando passò senza preavviso a rivangare un passato che doveva rimanere vissuto e mai più parlato, era la regola. Scosse la testa, Beat, pianissimo, mentre spalle e busto spingevano all'indietro a scacciare quell'opzione, sopracciglia arcuate e labbra strette, con la bocca che si muoveva come a resistere alle parole che da lì cercavano di uscire. Parole poco carine. Si è portati a pensare che a chi lascia sia riservata la parte più facile, che solo a chi resta spetti il lusso di stare male e soffrire, come se a perdere qualcosa non si sia comunque in due. Molto invece aveva perso Beat sette anni prima, che fosse stato lui a non rispondere al telefono non cambiava niente: lasciarla era stato difficilissimo, e aderire ogni giorno a quella decisione era stato quasi impossibile. Che ne sapeva lei di quanto male era stato? Che ne sapeva, Lys, delle giornate passate a non muovere neanche un muscolo? Solo perché era stata internata non voleva dire che lui non avesse passato momenti in un buio senza fessure. Serrò le mascelle fino a sentir scricchiolare i denti, come se fossero al mare e il vento spingesse sabbia nella bocca. "Sta' zitta." Chiuse gli occhi inclinando la testa di lato, una mano era salita verso il collo senza sapere bene cosa fare, forse solo sfiorarsi il triangolo lì tatuato. Questa volta la voce era molto più dura e secca, ruvida come se si fosse dovuta fare strada fra qualcosa di molto resistente, come se a dire quella parole Beat stesse masticando sassi. "Non c'era più niente da aspettare, eravamo finiti molto prima e lo sai. Quello che è venuto dopo? Un inutile e francamente patetico tentativo di dar vita a qualcosa che era già morto. " Dopo Jan non potevamo esistere. Solo in quel momento tornò a guardarla, il collo ruotò così bruscamente da fare male, mentre gli occhi si scontrarono di nuovo nell'azzurro di quel mare di nome Lys. "Ci sono cose che non si portano indietro, penso che tu ormai l'abbia capito." Farle male, l'ho detto, non era quello che avrebbe voluto, almeno non rinfacciandosi torti ma piuttosto con quella infima e codarda guerra fredda che lei, tanto ostinatamente, aveva voluto allentare. Da quando il mondo si era compresso e poi era esploso non c'era mai, così gli pareva, un tempo giusto per loro. Sempre troppo tardi capitavano, questo era il problema, che almeno Beat puntuale non lo era mai stato in niente, figurarsi in anticipo. Arrivavano in ritardo alle conclusioni, quando la battaglia era già iniziata e a smettere sarebbe servita una forza di volontà e un coraggio che nessuno, a conti fatti, sembrava disposto a mostrare. E preferivano allora fare finta di dimenticare di essersi mai voluti fare altro che quello, male: da quando fra loro era diventato più semplice ferirsi che togliersi i vestiti? "Non si torna lì. Mai. Ok? Mai." Abbassò le iridi sulle proprie mani per distendere una a una le dita dopo che, senza accorgersene, le aveva serrate strettissime. Tornare indietro a quelle giornate era doloroso nella sua testa, intraprendere quel viaggio con lei avrebbe fatto male come fosse stato ieri. Era sempre come se non fosse passato neanche un giorno, in realtà, ma solo senza pensarci Beat era riuscito ad andare avanti e non aveva bisogno che Lys scombussolasse anche quello. Sembrava più triste ora, Beat, che a occhi bassi tentava di nascondere quel tormento proprio a lei, l'ultima da cui avrebbe pensato di doversi mai difendere a quel modo. Che Lys avesse dentro la capacità di ferirlo non gli era stato chiaro da subito, non è una cosa a cui si pensa quando provi per la prima volta una cosa come quella che aveva provato Beat per Lys, o forse a tenerci di più a sé stesso sarebbe stata la prima cosa di cui si sarebbe preoccupato, ma non era da lui pensare al peggio o pensare affatto: quei trecentosessantacinque giorni, Beat li aveva vissuti con la semplicità delle cose belle che arrivano e si colgono al volo. Senza valutare i se e i ma, senza prudenza aveva deciso invece di impiegare il suo tempo osservando Lys e le sue espressioni, le sue spalle strette, Lys e le palpebre un po' spesse, il modo che aveva di ridere fortissimo anche al chiuso, anche in pubblico, anche al cinema, e come quella risata lo faceva sentire fiero, come se avesse fatto chissà cosa. Beat aveva passato intere giornate a sentirla, sforzandosi di farlo in tutti i modi che gli venissero in mente. Con le orecchie quando gli parlava, con il cuore quando non lo faceva e con le mani quando era turno del corpo di esprimersi: spesso, con lei, tutte e tre le cose insieme. Era questo che di lei lo faceva impazzire, la complessa semplicità delle sue micro sfumature e di come a lui venisse semplice circondarle tutte, una a una. Gli era piaciuto poter pensare di sapere cosa le piacesse e cosa invece era meglio di no, e ancora di più aveva amato trovarsi a sorprendersi nello scoprire qualcosa di nuovo che di lei ancora non sapeva.
    Senza dirglielo, l'avrebbe tenuta fra le cose che non si scordano mai. Anche dopo, anche quando aveva conosciuto tutti i modi che Lys aveva di ferirlo. «Vivi la tua vita e io vivo la mia, come abbiamo sempre fatto. Starsi di fianco sembra ora inevitabile, non facciamola più drammatica di quello che è.» "Se lo dici tu, okay." Niente di più, tutto lì. Cosa avrebbe potuto dire che non si erano già detti? Molto di più, molto di più, ma sopratutto quanto poco delle parole pronunciate fino ad ora fosse vero. Molto, tanto di più. Mi manchi, tanto per dirne una; vorrei sapere quello che pensi davvero, conoscere tutti i desideri che esprimerai sopra candeline in fiamme, ad ogni stella cadente e ciglia persa, e ancora, voglio esserci per ogni cosa bella che ti capiterà e anche per quelle più brutte. Tutte cose che sentiva e non sapeva darsi un perché, cose che andavano al di là dell'amore di un tempo che forse era finito o forse no, cose più profonde e solidificate in lui come una vecchia abitudine che, a pensarci, non è poi così male. Avrebbe potuto dire molte cose ma proprio non ci riusciva, il distacco di Lys lo paralizzava tanto quanto la propria cattiveria nei confronti di lei. Come ci si riduce così?
    Muovendosi Lys sbloccò più cose e fra esse la tensione di quel momento, che iniziò a creparsi in più punti come sotto una spinta che comprime ma da sollievo. «E i miei pancakes non fanno poi così schifo, caccia via quel muso e mangia qualcosa, ti trascini e sembra che non dormi da giorni.» Gli occhi di Beat, come se avessero ricevuto un okay, ora non la smettevano di seguirla ovunque andasse e qualunque cosa facesse, perdendola di vista solo quando lo superò da dietro. Era come se gran parte della rabbia fosse crollata con il corpo di Lys che, districando le braccia dal petto, aveva lasciato perdere un po il resto dando così l'occasione anche a lui di rilassare i minuscoli. Ora restava solo una grande stanchezza, come se per mesi Beat non avesse dormito né mangiato né ballato, come se non avesse fatto altro se non impegnarsi a ignorarla e ora, finalmente, potesse allentare la presa. Con le iridi blu puntate sulla cucina, Beat non poteva vederla ma poco importava: come quando stavano insieme e Beat la sentiva, dove non arrivava una parte di lui ci pensavano gli altri sensi a fargli esplodere Lys ovunque. La sensazione di quei polpastrelli sul braccio ebbe lo stesso effetto di avercela davanti e anche di più: non solo sapeva perfettamente cosa stesse provando, ma riusciva in qualche modo anche a immaginarsela di fronte, con la tristezza a ridosso di quegli occhi grandissimi a renderli ora un po' umidi. Non si mosse, la reazione avvenne tutta a livello interiore o almeno così gli parve, tanto preso dal cuore che batteva fortissimo da non dar peso a pelle e peluria rialzate lungo tutto il braccio come se, a toccarlo, Lys avesse dato il via a una risposta non verbale. Lo sapeva, Lys, dell'effetto che gli faceva? "È perché non dormo da giorni." Rispose mentre Lys tornava nel suo campo visivo e Beat liberava un piccolo sorriso, che sperò potesse udire nella voce visto che continuava a dargli le spalle. Dopo qualche secondo passato a studiarle la linea del collo, che controluce sembrava la via lattea a racchiudere il sole la luna e tutte le stelle, finalmente l'uomo ritrovò capacità motoria per compiere qualche passo e piegarsi sull'isola della cucina, ingoiando quasi tutto d'un fiato il succo d'arancia dal bicchiere. Poi, ormai sbloccato e necessitando di fare qualcosa, la lasciò contro il lavandino mentre si muoveva nel soggiorno alle sue spalle, leggero come se stesse sempre a calpestare un ritmo, mentre arrivava a piegarsi sulle ginocchia davanti alle quattro colonnine dove teneva i cds, l'unico al mondo forse ancora a possederne ancora così tanti. Mentre i vinili erano al sicuro nella sua stanza insieme al giradischi, in salone di solito si accontentavano di un vecchio ma buono stereo che Beat aveva preso con Jan tantissimi anni prima, uno dei suoi primissimi acquisti in Norvegia. "Mal sehen ... wo bist du?" Vediamo... dove sei? Parlava al cd che stava cercando, ovviamente, e se in quel momento Lys si fosse girata avrebbe visto un tedesco amante della musica che sussurrava con la lingua fra gli incisivi ai suoi dischi come le persone normali parlano alle donne, ai propri cani e ai bambini, un tedesco con i capelli dritti dal sonno e la maglietta stropicciata con un buco verso il bordo, sulla schiena, un tedesco che stava per mettere una canzone che parlava di casa. Uno schiocco di lingua le avrebbe suggerito che c'era riuscito, Beat aveva trovato quello che stava cercando e si era alzato in piedi come una molla, l'indice nel buco del disco e le altre dita distese per non lasciare impronte digitali su quella preziosa superficie. Forse con quella attenzione non voleva più di tanto proteggere l'oggetto ma piuttosto quello che sopra vi albergava: le orme dei polpastrelli di Jan. Ovunque in quella casa c'erano tracce invisibili che il biondo si era lasciato dietro negli anni, nei mesi e persino il giorno prima, non potendo sapere che quelle sarebbero state le sue ultime ore di vita. C'erano così tanti oggetti che proprio per questo Beat maneggiava con cura maniacale e altri, invece, che non aveva mai più toccato. Non sopportava l'idea di dimenticare, non reggeva il pensiero di perdere altre parti di lui quando, si diceva, doveva già convivere con l'assenza di quella principale. Voleva che dell'amico restasse un ingombro, qualcosa in grado di occupare uno spazio in una vita che non avrebbe mai più abitato.
    Quando partirono, le prime note di Einmal riempirono la stanza e Beat alzò il volume mai abbastanza alto per i suoi gusti, lui che credeva che la musica bisognava sentirla forte per capirla davvero, o non sentirla affatto. Drizzò la schiena per distendere le vertebre, mentre chiudeva gli occhi e iniziava a canticchiare a bassa voce seguendo ritmo e parole che, nonostante tutto quel tempo, non aveva mai dimenticato. Parlava più che cantare, stonato com'era, le dita che si muovevano come bacchette d'orchestra e i piedi seguivano il maestro facendo ondeggiare Beat leggermente. In un momento ebbe la stessa sensazione di quando, tanti anni addietro, lei si fermava a guardarlo ascoltare musica nelle cuffie e...e basta, Lys lo guardava e basta. Rispondeva proprio così, lei, quando spostando da parte la cuffia destra o sinistra Beat le chiedeva cosa stesse facendo lei diceva,ti guardo e basta, con quell'alzata di spalle che ti vuole dire che non c'è niente di più logico e che tu sei un po' un coglione per non esserci arrivato da solo. Era così che aveva imparato a fare altrettanto, Beat, cominciando a copiare i suoi comportamenti per capire cosa vedesse di tanto sorprendente da non trovare necessarie le parole. La risposta gli era stata chiarissima da subito, da quando aveva iniziato a guardarla fare le cose più semplici, guardarla non tanto per vederla ma di più, per andare oltre, per scovare nei gesti più innocui un tratto di lei che prima non conosceva. Un esempio: da Lys che osservava fuori dalla finestra aveva imparato che amava fissare il sole dritto e tanto a lungo che le macchie nere e gialle non se ne andavano dalla visuale per dieci quindici minuti buoni, e lo faceva per abituare gli occhi ai salti e alle prese su una pedana all'aperto come quella delle regionali, quando il mento restava alto e gli occhi puntavano spesso ancora più in sù, nel cielo. Sempre da Lys aveva scoperto che a volte di notte parlava, e se eri abbastanza bravo a mantenere la voce soffice riuscivi anche a farti rispondere, dando vita alle conversazioni più strampalate del mondo. Sempre mentre dormiva, Beat aveva notato un modo che aveva di rannicchiarsi in una forma che gli ricordava quella di un piccolo paguro, e quella somiglianza al tenero crostaceo Beat non l'avrebbe mai saputa se non avesse imparato a guardare, come non avrebbe mai scoperto quanto intensamente volesse essere, lui, la conchiglia tutt'intorno a lei. Quando le palpebre si alzarono, Beat era sicuro di trovare le iridi celesti di Lys dall'altra parte. Era sicuro come si è sicuri delle dita della propria mano, una cosa che si sa e basta, senza dover dare troppe spiegazioni. Ma erano cambiati, ricordate? Tanto era successo e a quello Beat non aveva pensato quando, a occhi chiusi fra le note della lingua a lui più vera, per un attimo aveva creduto di essere tornato indietro nel tempo. L'aveva quasi sentito, quello sbalzo dimensionale, come un piccolo spiffero e una botta di assestamento che ti fanno capire di essere atterrato da qualche parte, altrove, forse in una delle tante mattine consumate esattamente a quel modo con Lys, tra musica e pancakes abbrustoliti. Anche il rumore dell'acqua che si mischiava alla canzone era lo stesso, anche la luce, anche i profumi erano uguali, il freddo del pavimento sotto le piante nude di Beat era lo stesso, e da un momento all'altro la voce di Jan si sarebbe schiantata nei suoi timpani e quasi nello stesso momento le braccia di Lys si sarebbero aggrappate al suo collo, tirandolo giù per far scontrare le labbra.
    Ma erano cambiati, le cose erano diverse e sebbene ci fosse lo stesso sole a brillare e il pavimento sotto le dita fosse ancora ghiacciato, aprendo gli occhi Beat sapeva di essere appena tornato in un presente inevitabilmente meno pieno, senza le mani di Lys sulle sue spalle e il richiamo di Jan dall'altra stanza. Un cambiamento che poteva decidere di accettare o di continuare a combattere.
    Non era sicuro se Lys si fosse mai davvero girata a guardarlo o se quella sensazione fosse stata davvero solo frutto della sua immaginazione ma, ritrovandosi a osservare le scapole sporgenti sotto la sua maglietta blu oceano, un po' Beat rimase deluso. Avanzò ugualmente verso di lei, non c'era tempo per restare male di qualcosa che, Lys lo aveva detto, non c'era più. Tanto valeva scegliere come continuare il resto delle loro vite.
    Arrivato esattamente dietro di lei, il ragazzo picchiettò con l'indice sulla spalla destra di Lys proprio dove la clavicola incontra le ossa del braccio, chiamandola. "Hey", collisione fiato di Beat contro collo di Lys, dolcissimo scontro, prima di spingersi subito dall'altro lato e, con piccolo salto, sedersi sul ripiano della cucina vicino al lavandino, alla sinistra della ragazza. Affondò due dita nel getto d'acqua e la schizzò piano, un gesto stupido come quello di picchiettare su una spalla e poi spostarsi sull'altra, il modo che aveva di provare a scacciare la tristezza che appesantiva lei e, insieme, anche lui. L'avevo detto che, nonostante le parole cattive, Beat non voleva farle del male. "Com'è il tuo tedesco ora? Sai cosa vuol dire einmal? Parla di momenti che non si ripetono e per questo forse più importanti di altri, ma mi piace perché ne parla senza tristezza, non so, quasi una celebrazione del fatto che ci sono stati in primo luogo, un invito a gioirne e ad esserne grati. Lo capisci anche senza conoscere le parole, riesci a sentirlo? Ha qualche senso per te quello che sto dicendo?" La testa mora di Beat ondeggiava leggermente mentre gli occhi si abbassavano sulla sigaretta che aveva tirato fuori dal posto segreto che tanto segreto più non era, la scatola dei biscotti nella prima anta sulla destra che dovette piegare il collo per evitare mentre l'apriva. Ormai tutti sapevano, ma nascondiglio era rimasto come se niente fosse, come se fungesse ancora da tana alle sigarette che Jan, una volta, aveva provato a smettere di fumare a ripetizione e Beat, desideroso meno di zero di unirsi all'eccidio, aveva ideato quella scappatoia per aiutare l'amico a disintossicarsi e, nel contempo, mantenere per sé un minimo di equilibrio mentale. Lo sapevano tutti e non serviva più da un pezzo, ma Beat continuava a rifornire puntualmente la scorta, un po' per tradizione, un po' perché, quella ne era la prova, prima o poi tornavano sempre utili.
    Strinse leggermente gli occhi, se la rigirò tra le labbra serrate e, accesa la fiamma, tirò lunghe boccate rilassate. "Questa, invece, si chiama come te." Tornò a guardarla solo dopo aver finito di parlare e fece un gesto che faceva spesso con l’angolo della bocca, lo sollevò un po’ verso l’esterno come in un mezzo sorriso. Quella mossa preludeva sempre a qualcosa di bello, come un significato nascosto ma imminente. "Allora, Liebe..." Love. Un sospiro. Odiarla era più semplice, si, ma ogni volta era una costrizione, il pericolo continuo di andare a sbattere. " ...amici?" Con la sigaretta incastrata all'angolo della bocca il gomito si fece in avanti, la mano aperta fra loro che aspettava di essere stretta per suggellare quel patto. Più la guardava e più cercava di convincersi che ce l'avrebbero fatta, che potevano riuscirci. Tutto sarebbe continuato identico, meno la loro battaglia, e i loro incontri non avrebbero generato nel mondo alcuna scossa. Sarebbero capitati come quello, in un tempo sospeso, un'inaspettata benedizione.

    Edited by Dead poets society - 7/6/2021, 09:46
     
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    Se si fosse distratta anche solo un secondo, il piede non si sarebbe premuto con tanta precisione e decisione sul pedale del freno e la macchina sarebbe finita per aria, un volo con violento atterraggio, una distruzione che avrebbe fatto male per anni ed anni, forse anche dopo, forse avrebbe fatto male anche fra quegli spacchi dello spazio e del tempo che loro non avrebbero conosciuto. Ma Lys non aveva distolto lo sguardo vigile dalla strada e il riflesso di quelle luci si erano contrapposti al buio della notte, così lei aveva potuto vederli, quegli altri che tutto avrebbero potuto rovinare: un auto grigia, una velocità non consentita, l'auto era sfrecciata davanti alla loro e un solo attimo di spavento si era sovrapposto ad un'ipotesi di vita in cui niente sarebbe stato lo stesso.
    Idioti. lo avrebbe sussurrato con le dita allacciate al volante e gli occhi quasi sbarrati e fissi sulla strada. A trovarsi lo sguardo di Beat addosso ci aveva messo ben poco, lei che sapeva sempre di averlo accanto si era allora girata e lo aveva accolto, il panico di un secondo che scivolava via sciogliendosi sui tappetini dell'auto sotto i suoi piedi ben saldi, saldi come sempre quanto poneva forza nelle gambe e sotto la pelle che copriva i muscoli allenati, pronti a saltare per toccare il cielo fitto e denso che le piaceva guardare quando perdeva la costrizione della gravità che invece la voleva sempre riportare a terra. Arschlöcher! lo avevano urlato quasi all'unisono, Beat e Jan, che per un momento avevano visto quello stesso futuro passato davanti agli occhi di Lys e ne avevano avuto paura.
    La mano di Beat si sarebbe posata sull'avanbraccio di lei, che già prima di percepire il calore di quei polpastrelli aveva dimenticato il sapore amaro di qualcosa che sarebbe potuto accadere. E invece no, erano lì e solo due secondi dopo stavano ridendo per qualcosa di cui forse non avevano compreso la gravità fino in fondo, ancora persi in una delle loro notti movimentate, quando un guasto non è mai nulla di grave, quando un sorriso può cancellare tutto ciò che di brutto potrebbe sostituire il bello.
    Allora il piede sarebbe tornato ad alleggerirsi sulla frizione e a premersi sull'acceleratore, sarebbero ripartiti, il volume della radio di nuovo alle stelle, il bosco intorno avrebbe potuto danzare al loro passaggio proprio come quel beat che si stavano portando sotto la pelle da ore, un movimento scandito da suoni che altri non avrebbero mai davvero compreso, ma loro sì, era ciò che sembrava unirli, ciò che non li avrebbe di certo mai separati. Un sorriso sincero, piccolo, di quelli che silenziosi dicono tutto e non serve nient'altro, quel sorriso avrebbe dedicato loro due Lys una volta voltatasi a guardare nella loro direzione, lo stesso sorriso che venne sommerso dal bacio di Beat che, estroverso e plateale, andò a posarsi sulle sue labbra, sul collo, un solletico d'affetto che l'avrebbe scossa per tutto il tragitto, anche mentre con una mano gli allontanava il viso ammonendolo di lasciarla guidare in santa pace.
    E sarebbero giunti sotto casa, una corsa fino all'uscio di quel nido, il posto più sicuro del mondo, ancora una manciata di patatine che scivolano sulla lingua, una tenerezza disarmante anche nello sfottersi come al solito sia in tedesco che in norvegese, quella sensazione di casa che Lys avrebbe creduto sarebbe stata eterna. E forse avrebbe avuto ragione. Forse, premuto il piede sul pedale del freno a quel modo e in quel preciso istante, tutto sarebbe stato esattamente così, come lei lo avrebbe immaginato ancora e ancora milioni di volte, fino alla fine, fino all'ultimo capello bianco.


    Sette anni dopo quello che non c'era stato, eccoli a guardarsi nella maniera più intensa del mondo e gridarsi tutto quello che invece avrebbero giurato a loro stessi di non poter provare, perché odiarsi non era mai davvero stata una possibilità, eppure fermi l'uno di fronte l'altra in quella cucina facevano a gara a chi ci riusciva meglio. "Quindi è stato un errore e un gioco farmici credere. Wow, ja okay, dì qualsiasi cosa serva a farti sentire meno una stronza." - stronza, Lys arricciò inconsapevolmente il naso, un colpo che l'affondò con sorpresa, lei che spesso restava immobile di fronte a ciò di cui era certa. Ma le parole sgorgavano da quelle labbra come lame affilate e Lys iniziava a stancarsi di non riuscire a schivarle, soprattutto se era lui a volerla ferire. E allora partiva quel contrattacco che, ci sperava, potesse sfinire lui tanto quanto stanca si era sentita lei in tutti quegli anni. Nessun errore e nessun gioco, magari vedi quello che ti va di vedere e basta. rispose con tono piatto mentre lo sguardo ora acceso si era letteralmente aggrappato al suo, eppure a guardarle dentro c'erano mari ed oceani di altre parole che un tempo Beat avrebbe pescato, scavato dentro di lei per trovare l'oro come i minatori nel buio di una miniera profondissima. Gli era sempre venuto facile, a Beat, trovare quello che gli altri in Lys invece non vedevano, gli era sempre bastato allungarsi su di lei per trovare ciò che agli altri era impedito persino cercare. "I miei pantaloni possono andare in qualsiasi direzione, non sono fidanzato io. Tu invece? È stato sempre così facile per te alzare la gonna o è solo perché Paul non ti piace abbastanza?" ribolliva sotto la pelle bianchissima, Beat, che dal volersi tenere tutto dentro ora non sapeva più come fermare le parole e i pensieri, il risentimento che aveva conservato muto e costretto dentro al torace forse da anni, da quanto non aveva più voluto cercarla, guardarla, toccarla neanche per sbaglio, neanche per un calcolo di spazio sbagliato. Da quanto te le stavi tenendo dentro queste cose, eh? Rinfacciare ti piace da matti, vedo che molte cose non sono cambiate, solo noi due sì, su questo davvero non ti sbagli. sferrò lei, le sopracciglia corrucciate di chi proprio non si vuole tenere dentro niente, di chi non se ne vuole risparmiare neanche una solo per vedere le fiamme del falò davanti innalzarsi sempre di più fino ad incenerire anche quel cielo che a lei piaceva da sempre toccare con un dito. E più Lys spingeva e più Lys avrebbe voluto spingere, più Lys parlava e più Lys avrebbe voluto parlare, Beat fu capace di notare quelle ondate per anni silenziose ora divenire suono, voce, grido, nessuno dei due sarebbe potuto più scappare da ciò che stava arrivando, motvo per il quale neanche Lys fu capace di frenarsi e il passato venne a galla: non quello che forse in due avevano spesso immaginato, tornando ad essere tre. No, il passato che tornò ad investirli come acqua fino alla gola fu lo stesso che gli occhi anche ricordavano, lo stesso che le mani di Lys avevano modificato senza chiedere alcun permesso affinché divenisse il futuro che meno le avrebbe fatto male. Si era concessa spesso pensieri cattivi, quelli in cui si ripeteva che aveva sbagliato, che a perderlo per perderlo forse avrebbe dovuto lasciar vivere Jan così come il destino avrebbe voluto. Se glielo avevano tolto una volta, un motivo forse c'era stato, o no? Allora perché nonostante tutti quei pensieri, Lys non riusciva ad immaginare un mondo senza Beat anche quando loro non camminavano più sulla stessa strada? E perché faceva ancora così male sentirsi in colpa per aver desiderato, per anni ancora, che lui stesse bene? "Sta' zitta." lo disse a labbra strette, occhi chiusi e mano per aria, alla ricerca forse di un appiglio perché, Beat ora lo percepiva proprio come Lys, quella era una discesa ripidissima e nno c'era alcun modo di frenare o tornare indietro, appena prima di quel punto in bilico in cui, un solo passo, e tutto diventa già troppo tardi. "Non c'era più niente da aspettare, eravamo finiti molto prima e lo sai. Quello che è venuto dopo? Un inutile e francamente patetico tentativo di dar vita a qualcosa che era già morto." le parole che vennero via dalle labbra di Beat le finirono contro come quando una volta, agli allenamenti, il terreno si era fatto sempre più vicino, sempre più piatto, e le sue spalle ci si erano scontrate contro perché nessuno era stato pronto lì sotto per afferrarla in tempo. Ricordava di aver sbarrato gli occhi e aver digrignato i denti così tanto da credere di poterli perdere. Si era stretta fra le braccia, le dita delle mani che avevano cercato invano di tenersi dentro il dolore, sotto pelle, come se a lasciarsi andare ci si sente esplodere, saette di scosse elettriche che avrebbero potuto tirar giù tutta la palestra, e invece eccole lì che le implodono solo nella testa, si spostano sotto pelle dalla radice dei capelli fino alla punta dei piedi contratti e spinti contro le cosce. Quella, la stessa sensazione che le provocarono le parole di Beat, eppure non si era schiantata contro il pavimento, non si ritrovava piegata per terra per contenere il dolore o una contusione. Beat parlava e tornava a guardarla e tutto, in lui, gridava le stesse emozioni che Lys sentiva sotto pelle. Questo l'hai deciso tu per entrambi. lo disse per incolparlo di nuovo, l'ennesima volta, ritornando a quel passato di cui lui proprio non sembrava voler parlare. "Ci sono cose che non si portano indietro, penso che tu ormai l'abbia capito. Non si torna lì. Mai. Ok? Mai." e fu silenzio, un attimo di tregua in cui quei due forse si arresero, un momento di pace che sembrò richiamare vecchi ricordi nell'aria, quelli stessi di cui lui voleva privarsi, voleva che anche lei si privasse, perché non c'era più niente da fare per riportarli alla vita, a galla, alla luce e all'ossigeno. Perché a rovinare tutto non ci avevano messo niente proprio come ad innamorarsi girandosi intorno ad un festival fino ad avvicinarsi, circondarsi con gli sguardi, piano con quelle mani lì che, lo sapevano, se si fossero anche solo sfiorati una volta non avrebbero mai potuto distaccarsi di nuovo. E in quell'equilibrio precario del passato si ergeva lo stesso del presente, nella cucina asettica, fra isolotto e fornelli, pugni stretti lungo i fianchi e lo sguardo di Beat rivolto verso il basso, Lys sentiva di non appartenere a nient''altro se non a lui, e forse un tempo avrebbe teso dito indice e pollice per tornare a sollevare quel mento appuntito e portarlo verso di lei, sentiva le dita prudere e spingere per un contatto ma non lo fece, il rischio di beccare una mina e far esplodere tutto era troppo grande, ingestibile, un salto invece che un passo dopo un altro. A guardarlo così, le sembrò inerme tutto d'un tratto, il riflesso di qualcosa che non potrebbe essere, che agli occhi degli altri si mostra imponente, fiero, forte come le rocce che si sgretolano pianissimo al vento o per via delle onde del mare che gli si scontrano addosso e le levigano. E Beat era stato levigato dalla vita in modi che Lys neanche avrebbe potuto immaginare, persino lei gli si era scontrata contro per trecentosessantacinque giorni, eppure aveva la sensazione di averne levigato la sua pelle più nel dopo, più quando neanche aveva potuto guardarlo. Come se anche solo il pensiero di lui nella mente di lei, durante quei sette anni,. avesse potuto ferirlo o indurirlo. Come avrebbe mai potuto spiegarglielo che non c'era stato neanche un secondo in cui a lui non ci aveva pensato? Come avrebbe dovuto spiegare a Beat che non voleva tornare al passato, ma voleva averlo almeno nel presente, saperlo nel suo presente, sentirgli il cuore battere sotto la maglietta o animare il tatuaggio sul petto, vedere quei due piccoli crateri riempirsi di una vita che lei gli aveva passato dimezzandola con la propria, con quella di Jan, con i sensi di colpa che l'avrebbero rincorsa tutta la vita, per sempre, perché gli aveva tolto forse il pezzo di famiglia più importante che Beat avesse mai avuto. Di lui aveva saputo sempre poco, eppure quello che aveva imparato a comprendere guardandolo, standogli accanto, era pur bastato, e non perchè avesse poca importanza, ma perché Beat con il suo passato così muto e mai pronunciato aveva avuto lo stesso valore di quello che sarebbe stato se a Lys si fosse raccontato.
    A sancire quella tregua finale fu una promessa un po' finta, l'avrebbero saputo anche i muri che a vivere due vite separati non era poi davvero così bravi, anzi. Due incapaci che si pensavano troppo, con l'intensità di chi non ci crede mica che sette anni bastano a creare due mondi da una solo, uno compatto e completo che in mezzo ad una miriade di riflessi nella luce delle stelle da l'impressione di avere gemelli, ognuno calpestato da un'anima diversa. No, certo che non potrebbe essere vera quella promessa, un "okay" volato per aria solo per terminare una conversazione meno veritiera di tutto quello che invece si erano detti. Era bastato infatti sfiorargli il braccio con i polpastrelli caldi delle dita per riviversi tutto, per ricordare che un tempo quel tocco era stato forse un pizzico infastidito di chi cerca attenzioni o di chi vuole una vera promessa, di quelle reali che ti si attaccano addosso, diventano capelli o ciglia, sguardo bluastro che si trasforma in onde per sopraggiungere tutto, per spalmarsi su ogni superficie morbida o dura, per bagnare ogni centimetro di pelle scoperta e farla propria, esattamente come era accaduto a loro così spesso da averne perso addirittura il conto, a intervalli brevissimi. E ora le ombre di quei movimenti persi si ripropagavano sulle pareti di casa, riprendendo vita nei passi più alleggeriti di Beat che, dopo averla fissata mentre Lys gli dava ancora le spalle, tornava a mettersi in marcia per disincastrare l'immobilità che le brutte parole appena dette avevano creato nella stanza.
    Perdonarlo, perdonarsi, l'impresa più complicata di tutta la vita: guardarsi da una sponda all'altra in attesa di un altro passo falso, l'ennesimo, perché ci si prova sempre a perdersi e a perdere fiducia nell'altro, a loro era bastata una notte ed ecco che il mondo si era capovolto ed erano finiti letteralmente sottosopra. L'ammonì, eppure non vi era più alcun rimprovero nel tono della voce, più una sfumatura d'affetto, un "hey, guarda che a te ci tengo ancora nonostante tutto, nonostante il muso lungo, nonostante lo sfiorarsi e quelle scintille che ne derivavano ad ogni battito, pelle contro pelle per qualche secondo e tutto tornava proprio dove era cominciato, dove poi l'avevano lasciato. "È perché non dormo da giorni." lo disse con lo stesso tono di voce addolcito di chi si arrende ma non vuole ammetterlo, non così chiaramente, non di più di quanto lo avesse fatto lei. Un passo in avanti per Lys, un passo in avanti per Beat, al centro mai un punto d'incontro? E come una scintilla fulminea lo vide, il sorriso che gli scoprì la fila di denti bianchi e appuntiti, piccoli come pietre gemelle incastrate in un terreno di cui Lys aveva conosciuto tempo prima il sapore. Non lasciò però che il proprio sguardo si soffermasse su quel momento di libertà, una concessione che forse non avrebbe meritato di godere se solo non avesse aperto il brutto discorso che da ormai troppo tempo aveva cercato di evitare; eppure era lì', certo non come per tutto quel tempo lei lo aveva sognato, ma Beat e Lys c'erano di nuovo e, passo dopo passo, avrebbero dovuto imparare a starsi affianco. Il pensiero di Paul le balenò immediatamente nella mente, il motivo per il quale lei e Beat avevano iniziato a ripercorrere la stessa strada, starsi accanto, guardarsi. Paul che era giunto nella vita di Lys come un fulmine a ciel sereno e di lì proprio non si era voluto schiodare, non finché lei non gli aveva concesso un nome, poi un appuntamento, poi un bacio, poi una notte insieme. Paul che l'aveva travolta letteralmente e caoticamente, tirandosela nella propria vita, la stessa che per tutti quegli anni lontani da lei lui aveva condiviso anche con Beat. C'era qualcosa di tremendamente simile al prima, in quel presente, che sebbene fosse privo di Jan e della sua risata contagiosa, aveva riportato il suo sottosopra nuovamente a capovolgersi, difficile ora per Lys comprendere quale effettivamente fosse la realtà che stesse vivendo per la prima volta. E fu al pensiero di Paul, ancora una volta, che Lys si costrinse a terminare di lavare piatti e tazze, voltandosi solo dopo e di sfuggita verso la figura slanciata e ora più sciolta di Beat per coglierne i movimenti e vederlo avvicinarsi allo stereo che, ancora se lo ricordava benissimo, c'era già quando in tre si gettavano sul divano esausti dopo l'ennesima notte insonne, un paio di sorrisi che si tiravano da una bocca all'altra, denti scoperti che proprio non volevano saperne di nascondersi agli occhi di chi non desiderava altro che guardarli e sentirsi pieno. Posò la tazza appena lavata sul piano della cucina, di fianco al lavandino, stendendoci sopra uno strofinaccio a righe rosse e bianche. Si asciugò le mani e, voltandosi nuovamente verso l'isolotto al centro della cucina, posò cautamente lo sguardo azzurrino sulle spalle larghe di Beat, ora piegato in direzione del lettore CD. "Mal sehen ... wo bist du?" lo sentì mormorare ed ecco che un piccolissimo sorriso venne fuori istantaneo sul viso ancora un po' intristito di Lys, le stirò le labbra tirandone su gli angoli morbidi fino alle guance, lei che a vederne di scene così ci aveva quasi fatto l'abitudine, tanto tempo prima. Sentirlo parlare ai dischi, l'unico che ancora forse ci teneva così tanto a comprarne ancora e ancora, anche solo per lasciarli scivolare lì dentro e finire di dimenticarseli finché un giorno, proprio come quello, sarebbe giunto il momento di tirarli fuori e premere play sulla canzone giusta, quella perfetta, quella che ne avrebbe avute a centinaia di parole giuste per loro, per lui, avrebbero raccontato una storia che forse lui neanche aveva il coraggio di formulare. Quando fece schioccare le labbra lo seppe, aveva trovato il cd, le parole, la musica, qualcosa che fosse per lui, forse anche per lei. Abbassò immediatamente lo sguardo, si concesse un respiro, un ricordo e un pensiero, lo sguardo intristito tornò a voltarsi seguendo la traiettoria del viso che si girò nuovamente in direzione del lavandino, perché sì, meglio lasciarsi alle spalle il sorriso, meglio nascondere la malinconia che spingeva sulle iridi e sotto le palpebre, la sentiva prontissima a venir fuori come ad infrangersi contro una diga, lei che aveva imparato a gestire le emozioni a volte faceva tremendamente fatica, a volte-spesso con Beat faceva davvero fatica. Anche senza guardarsi, standosi solo di spalle, quei due si tenevano vicini. Una guerra che non li metteva più l'uno contro l'altra, ma li faceva scontrare con ciò che avevano dentro e che, invece, li avrebbe voluti strettissimi, vicinissimi, una cosa sola come dentro quel labirinto, un respiro solo che avrebbe dovuto animare gli alberi e smuovere le foglie, i pianeti tutti, le onde di un mare che a vederselo intorno non avrebbe fatto più paura come un tempo. A starsi così vicini, quei due, anche di spalle si guardavano senza aver bisogno di cercarsi con le iridi chiarissime di chi può vedere tantissimo. E si perse dentro quei pensieri Lys, che più cercava di ignorare la presenza di Beat lì dentro, più proprio non riusciva ad evitare di percepirlo lì, profumo, passo leggero e abituato, respiro pesante di chi va sempre di corsa, di chi deve sempre riuscire ad avere tutto quello che riesce a prendere, così quando il dito leggero di lui si premette sulla sua spalla, Lys sobbalzò appena. Mento contro spalla, le folte ciglia si sollevarono verso l'alto mentre, voltatasi lateralmente, andava a cercare la sagoma del colpevole e ritrovava lo sguardo addolcito di Beat, lo stesso che aveva imparato a riconoscere ad ogni elle, ipsilon, esse, nella dolcezza di chi sa pronunciare un nome con sentimento e non solo come appellativo. Lo sentiva ancora, Lys, l'amore che Beat aveva provato per lei tanto tempo prima, ne avvertiva l'eco dopo anni ancora sotto la cute. Come avevano fatto a perdersi così? Il getto d'acqua si scontrò leggero contro la sua pelle e sul tessuto leggero della t-shirt blu che le arrivava fino a metà coscia. Scostò di poco il viso, allontanandosi brevemente col busto per poi tornare ad avvicinarsi al lavandino e, con la mano piena di sapone per i piatti, spalmò un po' della schiuma sui capelli spettinati di Beat, per poi tornare ad afferrare il piatto ora pulito dal lavandino e allungarlo nella sua direzione. Hey tu, asciuga questo, è il tuo. lo canzonò quindi. Lo posò di fianco a lui mentre lo vedeva allungare una mano in direzione del mobile e tirar fuori una sigaretta dalla scatola dei biscotti, un particolare di quella casa che Lys ricordo d'improvviso. Ridacchiò divertita mentre scuoteva il capo nella sua direzione, inarcando appena le sopracciglia. Se vuoi smettere di fumare dovresti lasciare che sia qualcun altro a nasconderti le sigarette. puntualizzò con tono divertito mentre sollevava il mento in direzione della scatola che ora Beat stava richiudendo. La melodia di sottofondo faceva da involucro a qualcosa che non accadeva ormai da diverso tempo, le sembrò quasi di ritrovarsi in uno di quei momenti in cui le era piaciuto perdersi fra i propri pensieri e gli scenari ipotetici che mai avrebbe pensato potessero avverarsi. Capiva poco, ricordava ancora meno di quella lingua che mai effettivamente aveva masticato. "Com'è il tuo tedesco ora? Sai cosa vuol dire einmal? Parla di momenti che non si ripetono e per questo forse più importanti di altri, ma mi piace perché ne parla senza tristezza, non so, quasi una celebrazione del fatto che ci sono stati in primo luogo, un invito a gioirne e ad esserne grati. Lo capisci anche senza conoscere le parole, riesci a sentirlo? Ha qualche senso per te quello che sto dicendo?" parlò Beat, parlò a Lys, così come aveva fatto così spesso dentro una tenda, sotto il tetto di stoffa scurita dal fumo di sigaretta dentro un auto, sotto una coperta leggerissima che solo le gambe di lei copriva d'estate. Le aveva parlato a quel modo così spesso, anche all'inizio, che Lys si era innamorata di lui di nuovo, daccapo ogni volta, un pizzico in più del normale. Se non avesse distolto lo sguardo da lui in quel momento forse ci sarebbe cascata di nuovo. Allora strinse forte la spugna fra le dita mentre la strofinava lungo il metallo delle posate gettate lì dentro forse da giorni. Einmal. lo ripeté ad occhi bassi e con le dita attorno alla spugna e alle posate, i polpastrelli bianchi e la pelle fredda sotto il getto dell'acqua. Cosa si risponde a qualcuno che parla a quel modo di un passato che si è condiviso? Cosa si risponde a qualcuno che cerca di lasciarselo alle spalle mentre negli occhi dell'altra rimane un'eco gigantesco, enorme, un buco nero che vorrebbe risucchiarsi via tutta la luce che si è conquistata a fatica negli anni standosi lontani. Eppure niente avrebbe mai potuto esser paragonato ai colori di cui Beat l'aveva inondata e vestita, luci fluorescenti che si erano distese su di lei e le erano entrate dentro fino ad esplodere come una stella nel mezzo di un universo troppo infinito per poter essere davvero distrutto. E lei era rimasta lì', lui anche, si erano ritrovati, perché sarebbe dovuto restare tutto ancora solo un Einmal? Mi piace, suona bene. lo disse tornando finalmente a sollevare lo sguardo su di lui, un piccolo sorriso a labbra strette che avrebbe potuto dire molto di più ma che frenò qualsiasi altra parola, lei che da dire aveva sempre avuto così tanto, soprattutto a lui. Quando poi la canzone terminò e un brevissimo momento di silenzio si interpose fra di loro, Lys non avrebbe potuto immaginare che quel sorriso si sarebbe aperto nuovamente di fronte a lui e al suono delle sue parole. "Questa, invece, si chiama come te." commentò Beat ancora seduto sul pianto della cucina mentre ora, forse ritrovato coraggio, forse solo consapevole di quanto potessero farsi bene anche solo essendo amici, tornò a guardarla senza rancore. Love? trillò lei, sollevandosi appena sulla punta dei piedi mentre tornava a sorridergli a labbra larghe, felice. E come con uno specchio quella realtà si divise in due, laddove quei loro mondi tornavano finalmente a guardarsi senza volersi fare male. Il sorriso di Lys divenne lo stesso sorriso di Beat, il tono di voce di Lys si addolcì tanto quanto quello di Beat che, tornando a guardarla e compiendo quello strano movimento delle labbra, tornava ad abbracciare la presenza di Lys nella propria vita forse una volta per tutte. "Allora, Liebe... amici?" lo domandò allungando una mano verso di lei e Lys si soffermò brevemente a guardare le sue dita affusolate sporgersi nella sua direzione. Sospirò piano mentre il sorriso tornava a chiudersi senza però scomparire e lei, con calma, andava a chiudere finalmente il rubinetto appena prima di asciugarsi le mani allo strofinaccio posato di lato. Con un passo si spostò di lato verso di lui e, dopo avergli afferrato cautamente la mano, gliela strinse piano, lo sguardo azzurro che andava a ricercare il suo e compiva promesse silenziose, le stesse che sperava lui avrebbe condiviso con lei in quel breve silenzio. Glielo avrebbe voluto chiedere, come aveva fatto a stare lontano da lei, ma quel passato era solo un "einmal" che un tempo aveva avuto il suo nome e allora che importanza avrebbe avuto ora? Però in quello sguardo Lys lo sapeva, ci avrebbe trovato sempre un posto sicuro, inutile convincersi che un giorno sarebbe stato diverso. Amici, ja? lo prese in giro, tirandolo d'un tratto giù dal piano della cucina per avvolgergli le braccia attorno al busto e abbracciarlo piano. Si concesse un momento, rubò qualche secondo ancora al tempo che li voleva separati, spingendo le dita contro il tessuto della sua maglietta e cercando la forma del suo corpo, le spalle larghe e al contempo magre, la linea della spina dorsale che così spesso aveva sfiorato con le dita durante la notte o solo per il tempo di un abbraccio come quello. Non dimenticava proprio niente Lys, neanche l'odore della sua pelle la mattina, la posizione di quel ciuffo di capelli scuri che spiccava in piedi in mezzo a tutti gli altri più schiacciati. Abbassò appena il mento contro l'incavo del suo collo mentre, in punta di piedi per raggiungere la sua altezza, stringeva le dita in due pugni e li spingeva piano contro la sua schiena, il viso che si nascondeva agli occhi di Beat, quasi a volersi tenere stretto addosso quel momento di tregua e intimità che non aveva idea di quanto sarebbe durato o quando si sarebbe mai ripetuto. Quando si staccò, d'improvviso e repentinamnte, Lys gli sorrideva apertamente. Vai a farti una doccia, Mann, qui finisco di pulire io. gli disse mentre, con le dita che andavano ad infilarsi fra i suoi capelli corti, glieli spettinava un po'. Quando gli diede le spalle, Lys si sentiva forse più appesantita di prima: possibile che non vi fosse un'alternativa al tutto che da lui voleva per sé?

    scritto a spezzettoni, non riletto, scusa ti amo ciao <3
     
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5 replies since 27/2/2021, 19:50   280 views
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