Behind every door is a fall

Sibylla & Bellatrix | Mattina

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    La parte che dell’università preferiva restava la voglia di apprendere: la riscopriva non solo negli studenti e a cavallo di menti perspicaci, le stesse che aveva l’onore di istruire facendo del proprio meglio, ma anche e soprattutto in sé stessa e quella chiara volontà di scoprirsi nuovamente studentessa, capace di poter accogliere nuove informazioni da immagazzinare ed elaborare. Perché, più di ogni altra cosa, quello era ciò che Sibylla non riusciva mai a frenare, ossia il desiderio di superare limiti, scoprire un percorso non battuto dietro una coltre di siepi che altrimenti lo ostruirebbe e, quella mattina, forse l’avrebbe fatto comprendere anche ad altri. «Jakobsen. Cosa, esattamente, le ha fatto pensare che io potessi accettare questa proposta?» lo disse con tono deciso e forse un po’ saccente senza neanche guardarlo in viso mentre, con il contenitore di cartone ricolmo di caffè stretto fra le dita della mano sinistra, Sibylla posava una banconota sulla superficie fredda del bar per lasciarla strisciare in direzione della cassiera. Il rumore del cassetto che si apriva e richiudeva andò a mischiarsi alla voce del ragazzo in piedi di fianco a lei, la camicia abbottonata fino al collo e la cravatta stretta attorno ad esso non gli davano propriamente l’aria da adulto di cui forse cercava di appropriarsi vestendosi a quel modo. Sollevò brevemente lo sguardo sulla ragazza dietro al bancone e le sorrise gentilmente, Sibylla, prima di voltarsi e darle le spalle per guardare finalmente il suo studente, lo stesso che l’aveva seguita fin lì dopo averla incrociata nel corridoio che portava all’aula magna. «Non l’ho pensato neanche per un momento, professoressa, ma a quanto pare sono il più sfacciato del mio corso e per questo vengo sacrificato come carne al macello e mandato dagli altri qui da lei per pregarla di spostare l’esame.» lo disse senza prendere neanche un respiro, così quando le labbra si chiusero per impedire ad altre preghiere di venir fuori, Sibylla vide il petto del ragazzo sgonfiarsi ad una velocità incredibile dopo un lungo sospiro, lo stesso che fino a quel momento forse aveva trattenuto per cercare di contenere il treno di parole che l’avevano appena investita. Si fermò, spostando il peso da un piede all’altro mentre i tacchi sembravano piantarsi nel pavimento bianchissimo, e poi inclinò appena il viso da un lato mantenendo lo sguardo sul suo studente, le sopracciglia ora inarcate in un’espressione quasi incredula per via di quell’insistenza che, più di molte altre cose, Sibylla proprio non tollerava. Che ci fosse qualcuno a contestare le sue decisioni le sarebbe anche andato bene, se si fosse trattato di un argomento di studio in aula o di un’opinione differente riguardo un caso, ma che quella persona fosse uno studente e cercasse di farsi spostare la data di un esame, Sibylla non avrebbe potuto concepirlo, come forse la maggior parte dei peggiori insegnanti in circolazione, dopotutto sapeva bene di non essere in alto nella classifica delle preferenze. Ma ahimè, era anche per quello che c’erano gli altri professori da elogiare. «La vita è piena di ostacoli e giornate -se non settimane, mesi- stressanti. Il fatto di avere due esami lo stesso giorno è uno di questi. Superatelo.» sentenziò con tono grave mentre, un’ultima occhiata di rimprovero al ragazzo, Sibylla tornò a guardare altro, oltre le spalle magre avvolte dal tessuto della camicia azzurra di lui per poi superarlo e riprendere così ad avanzare in direzione del piccolo tavolino di metallo posizionato contro la grande vetrata a muro che si affacciava sul cortile interno dell’edificio ancora nascosto da un più sottile strato di neve bianca. «Ma, profess-» lo sentì richiamarla, inseguirla con la voce, e fu in quel momento che, senza neanche voltarsi a guardarlo nuovamente, Sibylla sollevò la mano libera all’altezza della testa, le dita perfettamente stirate ma strette le une alle altre in un segnale di stop. «Non una parola di più.» sibilò, anche se in maniera così forte e decisa da assicurarsi che il ragazzo cogliesse quello che a tutti gli effetti avrebbe potuto essere un ordine. E ferma a due passi da lui, spalle che si affacciavano a quel viso preoccupato, rimase per qualche istante ancora, il frammento di un secondo che si concesse per accertarsi che Jakobsen non avrebbe aggiunto altro. Quando riprese a camminare, lo sguardo terreo si era già posato sulla figura femminile che quella mattina aveva catturato tutto il suo interesse. Chioma bionda, silhouette snella e slanciata, occhi cerulei che più di una volta aveva avuto modo di vedere animati da idee ben formate e decise, le stesse che avevano preso vita nella sua mente trasformandosi poi in concetti e parole pregne di significati. Quando fu abbastanza vicina alla donna, anche lei ferma di fronte ai contenitori di zucchero e latte messi a disposizione dalla caffetteria e posti sulla superficie del tavolo, Sibylla si arrestò al suo fianco senza sollevare lo sguardo per afferrare una bustina di dolcificante. «Sono cambiate molte cose da quando ti ho vista l’ultima volta…» parlò, il tono della voce pacato e gentile. Aprì la bustina strappando via una delle due estremità di carta e lasciò che i granelli bianchi scivolassero all’interno del liquido ancora fumante, per poi afferrare uno dei bastoncini di legno e lasciarlo vorticare all’interno del caffè per qualche istante mentre andava a sollevare il viso nella direzione della donna e sorriderle apertamente in maniera cordiale. «…ma anche dopo tutto questo tempo sei rimasta fedele a te stessa e alle idee in cui credi.» aggiunse, annuendo brevemente col capo mentre estraeva nuovamente il bastoncino di legno dal contenitore di caffè e lo gettava nel cestino lì di fianco. «Come stai, Bella domandò allora, il sorriso che a labbra strette aveva preso forma sul suo viso si aprì definitivamente mostrando una dentatura bianca e perfettamente allineata, ferma. Ricollocare quei lineamenti ben marcati in una frattura della propria vita le venne piuttosto facile: un tempo teoricamente non troppo lontano, praticamente la vita di qualcun altro. Bellatrix Doyle non era solo una donna che lentamente iniziava ad affermarsi prepotentemente nella politica della città, per Sibylla era molto altro. Un sottilissimo filo conduttore legava le due donne ad un passato spezzato in due, diviso in parti che Sibylla aveva letteralmente nascosto fingendo di perderle di vista assieme all’addio dell’ex marito che, a conti fatti, doveva esser fuggito via da Besaid senza un ragionevole motivo. Quella era la versione più facile da raccontare, quella nata da un paio di mani attorno al collo e un colpo di pistola. Ma tra Sibylla e Bellatrix c’era stato qualcosa di più singolare, un attaccamento che non era poi effettivamente sopravvissuto allo sfascio di quella che avrebbe potuto essere la famiglia allargata d’entrambe. Si era ridotto ai ricordi di alcune giornate passate insieme, conversazioni animate che avevano fatto da culla a concetti tanto aspri quanto attuali, permettendo alle due donne di ritrovarsi a concordare su più di qualche punto, suture che avrebbero tenuto insieme la pelle di quegli ideali che sembravano spesso condividere. Passato, presente e futuro: la retta che prende forma ad ogni singolo passo e ad ogni decisione, creando il mondo in cui il singolo vive, quasi come fosse una spirale senza inizio né fine. E in quella rotazione d’eventi e conseguenze che Sibylla stessa avrebbe potuto collocare la figura di Bellatrix, in un punto preciso della propria esistenza, nonché il più caotico: abituata sin da bambina a controllare anche il più piccolo particolare della propria vita e addestrata per farlo, era da sempre stato raro che Sibylla si lasciasse strappare via quel senso d’affermazione che aveva ormai fatto proprio. Le era accaduto un paio di volte quando aveva abbassato la guardia e aveva permesso ad elementi estranei di addentrarsi, che questi fossero persone, sentimenti o paure non aveva fatto alcuna differenza, e tutto si era agglomerato attorno alla figura di Rem, Bella ne era stata inconsapevolmente compresa. E dunque Sibylla era tornata lucida e ce l’aveva messa tutta per restare sobria e a galla nella propria razionalità, quella che ora aveva imparato a perdere di vista solo saltuariamente. «Ero in aula magna, ti ho ascoltata. Mi mancava quella grinta, lo ammetto. Quanti anni sono passati?» commentò, sorridendo apertamente nella sua direzione mentre sollevava una mano ad indicare la sua figura ancora in piedi a meno di un metro di distanza. La domanda, retorica, non aveva bisogno di alcuna risposta. Per una persona come Sibylla, tenere a mente quanto tempo fosse trascorso da allora non era mai stato un problema, ma anzi, lo aveva fatto quasi compulsivamente seppur inconsapevolmente. Che fossero passati praticamente cinque anni sarebbe stato chiaro ad entrambe. «Che dici, ce l’hai il tempo per un caffè con un'ex quasi-cognata?» scherzò, drizzando piano la schiena mentre sollevava il mento e lasciava che le labbra si aprissero in un sorriso divertito, tanto ironico quanto forse melanconico in quel momento. Dopotutto, Sibylla aveva nascosto la maggior parte della verità più scomoda, ma quella di negare e omettere la follia che l'aveva spinta a sposare uno sconosciuto certamente non faceva parte della recita, la stessa che aveva imparato a mettere in scena per enfatizzare il ruolo -sottilissimo- della vittima. Le parti alla luce avrebbero dovuto esser più che convincenti così da non incuriosire gli altri tanto da spingerli a cercare nell'ombra.
     
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    Aprì gli occhi muovendosi lentamente, un gesto ripetuto ed automatico svolto tutte le mattine senza avere ancora il tempo necessario per pensare, o per focalizzarsi su quello che vi era attorno a lei, su dove si trovasse, e in alcuni casi dopo nottate di sonno molto complicate anche su chi fosse. Il display illuminato del suo telefono le confermò l'orario della sua solita sveglia infrasettimanale: 5:30 del mattino. « Conferenza. » Commentò, in dormiveglia, alle prime luci dell'alba. Si alzò dal letto dirigendosi in bagno, il momento della giornata che preferiva era il momento in cui poteva sentirsi partecipe di prendersi cura di se stessa. Anni di fatica e costanza le avevano permesso di sconfiggere il mostruoso acne da cui era stata colpita, e adesso non rimanevano più neanche le macchie, ombre o piccole cicatrici sul viso segnato da una mancanza di pazienza della donna, sempre troppo incline a fare le cose di fretta e a togliere dal suo viso i segni di troppo di una ferita ancora non ben rimarginata. Nella mente cominciavano a comparire frasi del discorso che avrebbe dovuto tenere di lì a poco - o meglio, nelle successive ore della mattina. Parlare del futuro. Ma quale futuro? Un futuro per i giovani di Besaid. Si, belle parole, ma dovevano essere accompagnate da fatti concreti. Promuovere l'impegno e costruire l'integrazione tra gli sfortunati - ma ecco, quello era il cavallo di battaglia della sua campagna - la promozione dell'eccellenza. Nessun futuro si basa sul rendere uniformi le masse. Costruire incentivi per le menti più brillanti, sia che fossero ragazzi che venissero da un contesto più fortunato che meno doveva essere il primo punto di partenza per far accrescere tutta la collettività. Altrimenti non sarebbero andati da nessuna parte, soprattutto in un contesto così variopinto come quello della fantastica cittadina di Besaid. E chi poteva dirglielo. Ogni tanto ci pensava e ci ripensava, al giorno in cui si erano trasferite lei e Vega e si trovava a pensare a come Sirius avesse cercato di tacere e non tacere, confidarsi con loro senza spaventarle, in merito alla qualità e al potere che avrebbero potuto ottenere arrivando lì da lui. Si mise a ridere, come al solito lasciandosi trasportare dai suoi pensieri, immaginando di essere già lì sul palco dell'aula Magna dell'università di Besaid che era stata allestita per l'occasione del comizio del partito, e confondendo le immagini di quella mattina a quelle di un tempo passato. Nel frattempo guardò se stessa allo specchio, capelli biondi raccolti in due trecce ai lati del capo, leggermente scomposti, frutto della notte agitata che aveva affrontato. Posò via gli elastici stirandoli dai capelli, e sciogliendo le ciocche come districando nodi di corde complesse, con estrema lentezza. Tenne a mente il fatto che avrebbe dovuto scrivere ad Holden il prima possibile per ricordargli di raggiungerla con qualche ipad in più alla presentazione. Odiava il fatto che non avessero ancora abolito il cartaceo ovunque, e l'università continuava ad essere piena zeppa di strumenti di stampa, con le cooperazioni che continuavano a supportare le editorie per permettere la diffusione di copie stampate e pagate piuttosto che promuovere l'utilizzo e l'investimento di qualcosa che potesse durare nel tempo, essere riutilizzato e disponibile per tutte le nuove generazioni. Non che lei fosse nata circondata dal digitale, ma l'analogico non era mai stato in ogni caso parte del suo cromosoma genetico.
    Utilizzò come da rito il suo potere, anche quella mattina, e se Vega o Sirius si fossero alzati avrebbero visto i prodotti di pulizia e cura del viso che utilizzava la ragazza volteggiare attorno a lei in un cerchio abbozzato o sbilenco, un prodotto che pendeva ritmicamente da un lato o dall'altro del suo profilo e poi passava tra le sue mani per essere utilizzato. Più ne faceva uso e più si sentiva pigra e stanca di usare le sue mani, perciò cercava sempre di non abusare del suo potere e lo utilizzava solo quando era sola perché aveva bisogno di sentirlo suo, parte integrante della sua routine da dodici anni a quella parte, da quando aveva messo piede in Norvegia e da quando aveva scoperto che fosse suo. Ogni tanto si immaginava una nuova più forte versione del professor X della Marvel, e un pò tralasciava quel pensiero per non lasciarsi prendere troppo dall'entusiasmo. Aveva evitato di far sapere alla stampa e a qualsiasi informatore quale fosse il suo potere, come anche quale fosse il contesto da cui proveniva. Per sua fortuna anche i suoi fratelli erano schivi e riservati, in maniera completamente diversa l'uno dall'altro, Sirius aveva il suo sarcasmo e le sue prediche con cui sferzare gli altri, Vega ci andava più giù sul pesante ma era ancora meno incline del maggiore a confessare ad anima viva quello da cui si stavano tirando fuori con il viaggio dall'Irlanda. Quando Bellatrix ebbe finito rimise a posto con un dito i suoi prodotti facendo volteggiare in aria siero, crema e contorno occhi via dalla sua vista nel cassettino che condivideva in bagno con i suoi fratelli.
    Non avevano voluto spendere per una casa estremamente costosa per il loro affitto a Besaid. Adesso erano tutti e tre responsabili di loro stessi con i loro discreti stipendi a disposizione, ma nonostante fossero tanti anni che avevano superato da che non avevano una indipendenza economica era stato difficile pensare di voler spendere quel tanto di più per il loro posto nel nuovo mondo. Avevano trovato una casa carina ma non troppo. Né in centro né lontana da esso, distante dal quartiere residenziale con ville sceniche e complessi elaborati. Abitavano in un appartamento esattamente scandinavo, dai toni bianchi e neutri, linee semplici, ognuno aveva la sua stanza che ospitava essenzialmente un armadio e un letto grande, sala da pranzo e salotto della giusta dimensione perché non sembrasse piccola e condivisa. Era una casa pulita e minimale, ed ognuno l'aveva arredata nel rispetto dell'altro con le cose essenziali che servivano a ciascuno di loro. Ecco che Bellatrix si ritrovava ad avere un armadio pieno, oltre che di bei vestiti di cui era ossessionata, anche di prodotti e cosmetici accatastati uno sopra l'altro in cassetti e mensole allestite per poter essere più utilizzate di quello per cui erano stati anche solo pensati - il che poteva significare una grande differenza nelle quantità di cose da stipare. Non lo dicevano più l'un l'altro, ma sapevano ognuno dentro di loro che da dove erano partiti arrivare allora significava in effetti una grande conquista. Ma bastava per quel giorno continuare a rincorrere figure lontane. Il suo mattino cominciava allora.
    Dopo aver scelto con cura i vestiti della discussione di quel mattino - maglia scura con scollo curvo che si abbinava al motivo nero, bianco e grigio intrecciato della sua gonna lunga fino alle ginocchia - si ritrovò indecisa sul paio di scarpe da indossare. Optò per la scelta classica di un paio di décolleté nere in vernice, a punta. Ma passò una buona ora a ripetere a se stessa le parole sulle quali doveva indugiare del suo discorso, e pensò e ripensò più volte a come intervallare il discorso tra una risata, un'occhiata più pungente, e un momento di pausa, semplice e puro silenzio circondato da un'invettiva sofisticata. Uscì dalla loro abitazione di buon ora, con ancora il sole che mancava all'appello nel cielo, i tacchi ancorati tra indice e medio della mano destra - per non fare rumore al mattino e per guidare senza impicci se fosse stata fermata - e il bauletto Vuitton che ancora non poteva dire di permettersi davvero con lo stipendio che guadagnava nella mano sinistra. Arrivò a destinazione facendo attenzione a non essere vista da nessuno nel momento in cui chiudeva la portiera della macchina dietro di sé ed infilava le scarpe scelte, ed accomodò di conseguenza il suo passo a quello lento e sensuale che le richiedevano. Aveva guadagnato ancora un'ora buona prima della sua entrata in scena. Il resto del tempo tra quello e il suo discorso passò in rassegna delle persone che doveva salutare, dei colleghi e rivali che doveva accogliere con il suo sorriso disegnato ed abbozzato per non sembrare né raggiante né musona, e si lasciò andare ad un abbraccio più affettuoso solo quando fu raggiunta da Holden con dieci ipad pronti per essere distribuiti tra le prime file al rettore, il sindaco, e i membri più importanti della giunta, spuntati fuori da chissà dove.
    Quando arrivò il suo momento entrò quasi galleggiando sul palco, come le accadeva sempre quando recitava la sua parte sulla scena. I contorni delle persone svanivano per lasciare il posto a figure stilizzate o contorte, nessuna ombra sulle espressioni che le lasciavano poteva influire su quello che doveva portare avanti nel suo discorso. Solo una piccola impressione, una finestra sulla realtà doveva rimanere stabile e fissa mentre osservava il sentimento della retorica e come andava a ipnotizzare le persone che la ascoltavano. La frase culmine del suo discorso giunse come il monito che aveva prefissato a se stessa ore prima di ripetere instancabilmente tra una pausa e l'altra.
    « È vero che i discorsi non risolvono tutti i problemi, ma è vero anche che se non riusciamo a ispirare, a convincervi a credere in qualcosa, non importa quante riforme e policy abbiamo in testa. Non ditemi che le parole non contano. » Mormorò, alla fine della discussione. Scambiò qualche parola con i giornalisti dopo come da rito aver atteso fine degli applausi, aver aspettato di condurre il resto delle persone in fila ordinata fuori dal palco, seguendo il capo lista oltre l'aula magna dopo che ebbe annunciato che la sessione di domande e risposte sarebbe stata commentata solo dopo la pausa dalla discussione. Raccolse le sue cose - che Holden aveva tenuto con sé sapendo quanto fosse scrupolosa nel lasciare le sue proprietà sparse nei guardaroba di posti che non conosceva - e si diresse alla caffetteria, aspettando che venisse allestita la scena per le domande poste dal Besaid Daily News subito dopo. Fece appena in tempo a distaccare i pensieri da quanto avvenuto, tornare come faceva sempre alla realtà ed ai contorni definiti con le forme al loro posto e le persone integre in carne ed ossa a circondarla, che in fila al bancone vicino alla cassa una voce la raggiunse. Si voltò, osservando la figura dalla quale proveniva: «Sono cambiate molte cose da quando ti ho vista l’ultima volta…» Affiorò un sorriso sulle labbra di Bella, il solito sorriso composto, un angolo delle labbra portato in su a labbra chiuse, dipinte del rossetto tenue che usava di giorno. « Sibylla. » Confermò, senza farsi trovare impreparata, quasi come se l'altra donna le stesse ponendo un interrogativo sulla sua persona. Soffermò il suo sguardo sulle sue fattezze, immaginando che stessero facendo entrambe la stessa cosa. L'ultima volta che si erano viste era oramai persa nei ricordi del suo passato recente, e forse non sapeva neanche più dire lei con precisione cosa fosse accaduto quella famosa volta. Faceva parte del passato che aveva cercato di tenere confuso e nascosto - tralasciato indietro come una vecchia parte di sé che doveva rimanere lontana da lei - perché oramai frutto di un legame che aveva reciso come se avesse tagliato rami secchi di un giardino in inverno. C'era qualcosa in Sibylla che le faceva pensare a quel tempo perduto, un tempo in cui si stava ancora informando, ed affermando, per cercare di arrivare a puntare alla precisione, all'arte della dedizione e del perfezionamento. C'era qualcosa nella stessa Sibylla che la faceva sentire vicina alla ragazza titubante che era stata, e lontana da se stessa. Un occhio scrupoloso pronto a cogliere qualsiasi meccanismo sbagliato che esacerbasse da se stessa. Guardò i suoi occhi cangianti, le iridi ambigue a metà tra il verde ed il castano, e le sopracciglia ben definite, dai colori completamente diversi dai suoi. « Si, è passato molto tempo. » Fece un rapido calcolo di quanto tempo fosse in effetti passato. Il matrimonio tra Sibylla e Rem era finito anni prima, prima ancora della fine del rapporto con Astrid. Era stato strano mettere insieme i cocci di quello che era stato. Era stato surreale mettere assieme anche per lei le considerazioni che aveva lasciato la loro disavventura e calarle nel rapporto che aveva con la donna che amava. Era stato difficile guardare Astrid sconvolta e passare un anno duro, fino a che le cose non erano tornate nell'ordine dei loro spazi, e molto tempo dopo anche la loro storia era finita. Si accorse con disappunto di non averla notata tra la folla. Piccolo errore. Entrambe - sì, poteva includerla in quello, erano molto simili sotto certi aspetti - erano attente a che nulla potesse filtrare tra le righe, tra un sorriso o un'occhiata crucciata, un'inflessione delle loro parole. Quello era il modo in cui erano fatte. Non aveva motivo di pensare che fosse qualcosa che le provocasse fastidio però, perché si scoprì inconsapevolmente felice nel rivederla. Era solo stupita e indispettita da se stessa per non averla notata prima tra gli spettatori al suo discorso. « E' passato anche troppo tempo. Posso abbracciarti, da ex-cognata? » Mormorò, accostandosi a lei per un abbraccio che l'altra avrebbe potuto minimizzare a una pacca sulla spalla, o condurla un pò a sé. Una piccola vocina nella sua mente le ricordò che probabilmente il ruolo che aveva assunto Sibylla all'università le conferiva anche una piccola spalla in più di sostegno e conforto qualora la discussione con i giornalisti dopo non fosse andata nel modo in cui sperava andasse lei, ma non si riduceva tutto a quello. Sibylla aveva conosciuto luci e ombre di Bellatrix Doyle, sapeva come era fatta. Era in maniera genuina una donna buona, qualche volta aveva troppe idee in testa, altre volte si accostava ad una figura studiata e calcolatrice, ma non deragliava mai tra i dettami di ciò che non era giusto. Le sorrise, lasciando andare la sua maschera di perfezione in un sorriso aperto con tutti i denti in vista. « A me è mancata la tua voce. I tuoi commenti seri, veritieri. Eri inflessibile, se dicevo stupidaggini mi guardavi, io ti capivo, e raddrizzavo la rotta. E questo non sai quanto mi è servito dopo. » Le disse, senza ulteriori filtri. Se avesse dovuto pensare quella mattina di rivederla avrebbe pensato a commentarle altro, ma era un'occasione che non sapeva se si sarebbe ripetuta di lì a poi, e tanto inaspettata da farle decidere in quel momento stesso di poter essere se stessa, e di dirle quello che era stato nel loro passato, in una frase semplice che racchiudeva in qualche modo tutto il loro rapporto. « Io sto.. bene. » Sussurrò, inclinando la testa di lato. « Io e Astrid ci siamo lasciate tanto tempo fa. Non la sento da un pò. » Aggiunse, con un tono di voce sereno, che forse avrebbe lasciato intendere ad un velo di tristezza per ciò che era passato. Alla proposta di un caffè insieme annuì, visibilmente divertita dalla richiesta. La condusse con lei tenendola per il braccio, al quale si appoggiò come le piaceva fare quando emergeva il suo lato socievole ed era conquistata dalla compagnia. « Prendiamo il caffè insieme così mi racconterai un pò di te. » Mormorò, indicando il caffè di Sibylla e tornando ad indicare la cassa il caffè che non aveva ancora preso lei. Ne ordinò uno, americano lungo da portare via, anche se immaginava si sarebbero sedute lì proprio nella caffetteria per parlare insieme. La donna non aveva indicato altro luogo, e poi sapeva che dopo la pausa sarebbe tornata in aula magna per continuare la discussione del giorno. « Vuoi qualcos'altro? » Le disse, indicando il menù di fronte stampato ed appeso come un manifesto alle spalle della cassiera che aspettava e serviva il suo ordine, prima di tornare a guardarla. Bella era indecisa se ordinare altro o aspettare, ma si disse tra sé e sé che avrebbe optato per la seconda opzione. « Tu come stai? » Le domandò infine, a contatto con la manica della sua giacca, domandandosi cosa era successo nella vita di Sibylla da quando era diventata un’ombra confusa di cui non sapeva molto altro se non della sua carriera in ambito universitario.

    Edited by wanderer. - 14/2/2022, 19:20
     
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    Furono forse solo frazioni di secondi, quelle in cui si persero ad osservarsi Sibylla e Bellatrix. Eppure, amalgamate a quello sguardo e mai pesanti da poterci affondare per adagiarsi sul fondale, c’erano immagini ancora ben vivide di due vite che, un tempo, si erano incrociate ed erano finite per starsene così vicine da mischiarsi anche in piccola parte, rendendo i confini di ognuna delle due sempre appena più annebbiati. In quel momento, in cui la fermezza di un istante solo sembrava dilatarsi e ripercorrere parole e gesti che un tempo erano durati praticamente anni, tutto tornava a miscelarsi e i loro confini, di nuovo, ad unirsi e sovrastarsi. Una accanto all’altra, infatti, quelle due figure si accostarono appena con l’inspiegabile intento di accogliersi fra le braccia, e fu forse quella sensazione che Bellatrix fu più brava a tradurre in parole, perché non ci mise tanto a riconoscere in Sibylla una parte di ciò che, dopotutto, lei stessa era stata solo qualche anno prima. E il sorriso di una trovò un riflesso nell’altra, se non proprio uguale allora simile, generato probabilmente dalla stessa emozione di ritrovare una parte di tempo smarrita in qualcuno che, col senno di poi e quasi per inerzia, era stato messo inevitabilmente da parte. « Sibylla. » fu quella la prima vera parola che la bionda riservò alla mora, gli occhi ora rivolti esclusivamente nella sua direzione, il corpo ancora così slanciato e dalla postura sicura che ben ricordava appartenerle. Era forse stata anche quella, una delle cose che più avevano colpito Sibylla di lei ogni volta che aveva posato le iridi verdognole sui contorni della sua sagoma, due spalle magre eppure ben dritte, imponenti ed orgogliose. Con il contenitore del caffè ancora stretto fra le mani, Sibylla avanzò di poco nella sua direzione e chinò il capo verso un lato, le sopracciglia ora due grandi ma sottili archi che andavano a delineare le caratteristiche della sua amichevole espressione, altrettanto curiosa perché sorpresa di ritrovare il viso di Bella ancora così pulito, quasi come se il tempo non fosse mai passato attraverso la sua pelle. Inevitabili domande si generarono dentro la prima, e riguardavano la sfera privata di Bella. Quanto ancora effettivamente la conosceva? Quali parti del suo passato che lei ancora ricordava erano rimaste inalterate? E quanto ancora, Bella, faceva parte di un lontano ma imponente frammento di vita di Rem? Per una mente come quella di Sibylla, allenata a cercare e ricercare informazioni, trovare trappole e burroni, una nuova mappa cognitiva stava lentamente prendendo vita dentro la mente, bottoncini colorati che andavano a collegarsi ad altri e mettere insieme pezzi di un puzzle che si era lasciata alle spalle definitamente solo troppo tardi, forse, sempre in costante attesa che qualcosa, anche solo un piccolo particolare, potesse esserle sfuggito. Dopotutto, sebbene tutto sembrasse filare liscio senza alcun intoppo, c’era sempre stato un enorme buco nero che, forse ingenuamente, aveva voluto soprannominare come fortuna: era lì dentro che il corpo di Rem era precipitato per non venire mai più a galla. « Si, è passato molto tempo. » ammise quindi l’altra in risposta alla domanda posta da Sibylla. Pausa. Si guardarono ancora e i due sorrisi sembrano rilassarsi in maniera tanto naturale quanto frettolosa. Se il primo approccio era stato cauto e attento, il secondo giunse privo di qualsiasi barriera e diffidenza. « E' passato anche troppo tempo. Posso abbracciarti, da ex-cognata? » mormorò allora Bellatrix accostandosi poi a Sibylla che, con simil entusiasmo, si ritrovò immediatamente ad accogliere il corpo dell’altra per stringerlo con affetto al proprio. «Un abbraccio è il minimo che possiamo concederci, dopo tutto questo tempo.» spiegò lei, mantenendo ben distante il contenitore di caffè dalla spalla di Bella mentre si appropriava di quello spazio con la mano libera, la stessa che a palmo aperto andò a spingere contro la schiena di lei per portarsela vicina. Col mento brevemente incastrato nell’incavo della spalla, Sibylla si lasciò andare a quel gesto d’affetto amichevole, ritrovandosi nuovamente ad essere il riflesso della bionda e abbandonare così ogni posizione d’attacco o difesa. Quando tornò ad allontanarsi, sorrideva genuinamente e qualcosa, nell’intimità di quel gesto, le fece immediatamente pensare ad una rottura: uno spacco nella vita di Bella che, proprio come era accaduto a Sibylla, l’aveva sicuramente portata a cambiare rotta per mirare ad altro, e non solo a livello lavorativo o di idee, ma anche nella sfera personale. Le parole successive, difatti, non fecero altro che confermare l’istintiva teoria formatasi nella mente della mora. « A me è mancata la tua voce. I tuoi commenti seri, veritieri. Eri inflessibile, se dicevo stupidaggini mi guardavi, io ti capivo, e raddrizzavo la rotta. E questo non sai quanto mi è servito dopo. » confessò Bellatrix, gli occhi grandi e color ghiaccio che sembravano animarsi ad ogni parola, ad ogni ricordo che, proprio in mezzo a loro, non solo prendeva vita ma tornava anche ad alimentarsi istante dopo istante. Compiaciuta, Sibylla si lasciò andare ad un breve respiro e un sorriso più che sincero, soprattutto perché con quelle parole Bella non solo tornava a riallacciare effettivamente il legame con l’altra, ma ne alimentava l’ego, che inconsapevole andava a smuovere Sibylla fino al midollo. «A guardarti ora mi sembra che tu abbia fatto passi da gigante. Sono certa che tu sia perfettamente in grado di riportare sulla giusta via la tua Bellatrix, come dici che io ho saputo fare con la mia ammise Sibylla, il tono affettuoso di chi effettivamente ritrova una piccola parte di qualcosa di prezioso smarrito chissà dove e ritrovandosi ad annuire energicamente senza mai distogliere lo sguardo dall’altra. Lo disse compiaciuta della donna che in quegli anni era divenuta e che ora le stava fieramente di fronte. Dopotutto, non aveva mai avuto alcun dubbio al riguardo: sin dal primo incontro, Bellatrix si era rivelata terribilmente affascinante non solo nei modi e nei gesti, ma anche ad ogni singola parola o frase pronunciata, occasioni che avevano permesso alla mente investigativa di Sibylla di restare in movimento, una costante contemplazione astratta dell’intelligenza e la cultura più che palese che Bella da sé lasciata trapelare. Si ritrovò quindi ben presto a domandarle come stesse, mettendo da parte per un momento il contesto lavorativo in cui si erano ritrovate e ponendo attenzione sulla sfera più intima, sempre che l’altra avesse accettato di aprirsi nuovamente a lei. « Io sto.. bene. Io e Astrid ci siamo lasciate tanto tempo fa. Non la sento da un pò. » le spiegò quindi Bellatrix, chiarendo immediatamente la propria posizione in quella che era un tempo stata la loro vita, il vagone momentaneo di un treno che avevano lasciato per prendere percorsi ben differenti. Le sopracciglia s’incresparono appena e il viso di Sibylla assunse un’espressione dispiaciuta nonostante il tono della voce dell’altra risuonasse più che sereno. Si ritrovò a serrare le labbra ed inspirare brevemente, un sospiro che avrebbe anticipato le emozioni trasformate poi in parole. «Oh. Mi dispiace.» constatò, sincera. Nonostante odiasse anche solo l’idea di Rem e tutto quello in cui l’aveva trascinata, Sibylla ricordava comunque con affetto non solo Bellatrix, ma anche Astrid. Eppure, le due cognate avevano finito per perdere i contatti e mai più avevano effettivamente ricercato approccio. « Prendiamo il caffè insieme così mi racconterai un pò di te. » accettò quindi la proposta di Sibylla e le domandò se volesse altro, al ché la mora si ritrovò a scuotere gentilmente il capo. «La caffeina è tutto quello che mi serve. Fà come se l'avessi preso, grazie.» scherzò sollevando appena il contenitore della bevanda calda per mostrarglielo in risposta. Attese che Bellatrix decidesse se prendere altro e, restandole di fianco, fu pronta ad accompagnarla nei pressi di un gruppo di divanetti grigi sul quale fece cenno all’altra di sedersi, alle spalle la grande vetrata che illuminava l’intera sala e permetteva quindi alla luce mattutina di riversarsi anche su di loro, illuminandone alla perfezione i colori degli abiti o delle chiome e gli zigomi pronunciati. « Tu come stai? » le aveva domandato Bellatrix, domanda alla quale Sibylla prese a rispondere non appena si furono accomodate entrambe sui cuscini morbidi e forse un po’ consumati del divano. Portò il contenitore del caffè alle labbra e ne bevve un sorso caldo, lasciando che il sapore amaro della caffeina si impossessasse letteralmente della sua bocca. «Abbastanza bene, grazie. Mi divido un po’ come posso, sai? Fra l’università e un po’ di casi in centrale ho sempre un po’ di cose da fare. Diciamo che non mi annoio.» cominciò, guardandola con un’espressione gentile e sicura di sé in volto. Fece una brevissima pausa prima di tornare a dar voce ai pensieri, conscia del fatto che, se avesse voluto mantenere quell’incontro abbastanza intimo con Bella, come lei aveva iniziato a fare, anche Sibylla avrebbe potuto riavvolgere il nastro di quelle esperienze vissute insieme per tornare a parlare di ciò che, tempo prima, le aveva legate. Una sorta di spinta che non avrebbe di certo spianato la strada nella direzione sbagliata ma, al contrario, avrebbe creato un nuovo percorso diretto verso il futuro di entrambe e di scenari che, a differenza di quelli vissuti nel passato, avrebbero avuto esclusivamente loro nel ruolo delle protagoniste, niente più comparse. «Mi sono ben rimessa in piedi, non ho davvero nulla di cui lamentarmi. La vita da separata direi che mi dona, non trovi?» aggiunse, riferendosi a quella parte di sé di cui la gente solitamente temeva di portare a galla e al modo in cui, dopo la fase di sbandamento abbattutasi su di lei anni prima, la cocciutaggine di Sibylla e la sua mania del controllo le avevano permesso di ritornare sui propri passi ad una velocità quasi surreale. Con quell’affermazione dava tacitamente il permesso a Bella di indagare ed addentrarsi così a sua volta in quella parte di conversazione che avrebbe forse ripescato e portato alla luce vecchi particolari e legami un tempo ancora intatti e ora dissolti nel nulla, di cui entrambe erano ben state a conoscenza. Ricordava della sensazione di inganno e tradimento, del dolore iniziale trasformatosi poi, a lungo andare, in una finzione e un gioco di recitazione, qualcosa che aveva dovuto necessariamente mostrare per fingere che quella rottura l’avesse ferita in maniera profonda. E se da un lato era stato pur vero e reale - ne ricordava il bruciore di cicatrici invisibili allo sguardo umano - dall’altro la fretta di passare avanti e rimettersi in carreggiata aveva avuto molta più importanza di qualsiasi sentimento o dolore e la rabbia aveva preso il posto di quasi ogni altro sentimento. A far prevalere la razionalità sulle emozioni era sempre stata la sua specialità. «Comunque, come puoi immaginare anche io ho perso un po’ i contatti con Astrid, motivo per il quale non sapevo vi foste lasciate. Non dev’essere stato semplice, vi ricordo molto affiatate.» aggiunse quindi, il tono della voce sempre più sincero e con un’evidente inclinazione più intima, la stessa che Sibylla lasciò trapelare anche attraverso i gesti mentre, piano, scrollava le spalle e si sporgeva appena in avanti per poggiare i gomiti sulle proprie ginocchia mentre si rigirava il contenitore del caffè fra le mani. «D’altro canto devo confessarti che ti vedo abbastanza serena, quindi direi che nonostante qualche momento buio sei riuscita a trovare il tuo posto nella luce.» constatò, tornando a sorriderle prima di drizzare nuovamente la schiena e avvicinare così il contenitore del caffè alle labbra per berne ancora un altro sorso.
    Quando tornò ad abbassare il bicchiere, un'espressione curiosa prese vita sul suo viso. Ripensò per un momento al discorso di Bellatrix in aula magna e al fatto che, col senno di poi, Sibylla si trovava in una posizione che, per via del lavoro al governo, si piazzava in un punto impreciso. Aveva parlato di integrità, di incentivi per le menti più brillanti, poco importava il contesto dal quale arrivavano. Era esattamente ciò che era accaduto a lei quando, vent'anni prima, l'avevano cercata appositamente per tirarsela fra le fila della fazione governativa e solo perché la sua particolarità si era rivelata utile ai loro scopi. Ci aveva pensato spesso a cosa sarebbe potuto accadere se ai piani alti nessuno avrebbe ritenuto interessante ciò di cui Sibylla era capace grazie a Besaid. I ricordi degli attimi di confusione, i continui dolori alla testa, la stanchezza e il non saper gestire il potere, tutto avrebbe potuto portarla forse alla pazzia, se qualcuno di loro non fosse mai entrato in gioco per insegnarle a mettere ordine e controllare la particolarità. Consapevole del fatto che non sempre tutti venissero trattati e aiutati allo stesso modo, Sibylla aveva rivisto in Bellatrix e nelle sue idee qualcosa di nuovo, di stimolante. Qualcosa che, con molta probabilità, andava contro le idee governative, le stesse con le quali era praticamente cresciuta e di cui aveva fatto il proprio mantra, seppur mantenendole come fattore puramente esterno alla propria persona, che di ideali da seguire vedeva esclusivamente i propri. «Ciò di cui hai parlato in aula magna è stato molto interessante. L'idea di provvedere ad incentivi per i giovani, la fascia di cittadini che, se non presa nel modo giusto e nel tempo giusto, può trasformarsi in un problema più che in una soluzione. Le tue parole potrebbero contare, Bellatrix, e anche molto.» confessò, annuendo piano nella sua direzione mentre, seria, Sibylla spostava lo sguardo sull'altra per lasciarlo aderire all'azzurro delle sue iridi, tanto coraggiose quanto quelle verdi di Sibylla stessa.
     
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    Si accostò al corpo di Sibylla sovrapponendo il viso al suo, le mani e il resto del corpo adagiati in un abbraccio sincero. Si rilassarono entrambe al contatto con l'altra, lo sentì chiaramente: il suo corpo rilasciò la tensione andando a trovare spazio per incastrarsi meglio tra le braccia di Sibylla ed ispirò il suo profumo. Arancio e uva rossa. Un'essenza avvolgente, le ricordava la dolcezza dell'acino spremuto e la nota pungente dell'agrume. Un tempo faceva a gara con Astrid ad indovinare a cosa somigliasse il profumo di pelle che avevano gli altri - o piuttosto indovinare una fragranza famosa effettivamente indossata da una persona. La affascinava pensare che a tutti fosse associata una nota di profumo che potesse derivare anch'esso da qualcosa. Astrid lo associava alle conseguenze dell'eredità genetiche delle persone e allo stile di vita che conducevano, per Bella rappresentava anche altro, era pensare alla loro indole, alla sfera dei sentimenti, a qualcosa che andasse oltre al percepibile e direttamente giustificabile a qualcosa che fosse tangibile, per forza derivante da qualcosa. In quello era sempre stata la meno razionale delle due. Nel resto maledettamente per entrambe, la sua razionalità aveva raggelato un qualsiasi possibile futuro assieme.
    « Eh già, dopo tutto questo tempo. » Mormorò facendo eco alle sue parole. Un miscuglio di sensazioni si era agitato dentro di lei, facendola pensare non soltanto ai grandi innominati tra le righe di quel discorso, ma all'incontro con una persona che aveva tanto ammirato tempo prima e di cui in effetti si sentiva complice e partecipe. Un mondo che l'aveva avvicinata ed ammaliata sempre in passato, e lo poteva vedere come se stesse guardando al di là di un paesaggio oltre una finestra, visibile, ma che non poteva toccare con mano. La bella coppia che rappresentavano Rem e Sibylla, seppure Rem fosse stato un tempo da lei presentato a sua sorella Vega, e i cui due avevano effettivamente provato ad avere una storia assieme. Le cose non erano andate a buon fine e anche il loro rapporto si era sciolto, era passato appena poco tempo, e Rem era tornato da Astrid - e involontariamente da lei - con una splendida moglie al suo fianco di cui nonostante avesse poi rimpiazzato la sorella che adorava, aveva conquistato la sua fiducia e la sua ammirazione. Bella li aveva sempre visti come una coppia ben assortita, come un tempo pensava che lo fosse anche lei con la sua, di compagna. Però c'erano tanti ma e tanti se, confermati anche dalla figura affascinante ed enigmatica di un uomo come Rem che aveva fatto cedere definitivamente le sue incertezze in grandi dubbi e nello sconforto insopportabile che la sua relazione con la sorella dell'uomo, Astrid, non fosse poi perfetta. Non come la volevano loro.
    «A guardarti ora mi sembra che tu abbia fatto passi da gigante. Sono certa che tu sia perfettamente in grado di riportare sulla giusta via la tua Bellatrix, come dici che io ho saputo fare con la mia.» La risposta di Sibylla la tirò a concentrarsi su di loro. Quanto di lei era in effetti cambiato da prima a dopo lo sapeva bene. Aveva acquisito seppur a discapito di cose che aveva sacrificato, uno status e una immagine encomiabile tra le figure di spicco del momento, quelle da tenere sempre presenti nell'occhio del mirino. E forse come le stava suggerendo Sibylla quel momento che stava vivendo era davvero quello in cui era riuscita a raddrizzare il tiro in maniera concreta. « Sono in grado di guardare al futuro, adesso. » Mormorò, quasi riflettendoci lì e allora tra sé e sé per capire che cosa fosse cambiato. Lo sguardo sul presente l'aveva distratta nel bene e nel male - considerando influenze su relazioni sociali ma anche scelte di potere. Non le capitava più di pensare alla Bella che era, quella che stava vivendo, ma sempre di più a quella che sarebbe stata.
    Ci rifletté su, pensando poi in maniera concreta alla scelta di parole che aveva adottato. E più ci pensava più le veniva da ridere, e ridendo accompagnò il movimento inclinando la testa di lato, facendo ondeggiare la chioma bionda da una parte all'altra del capo.
    « E questa non vuole essere una battuta pessima sulle nostre particolarità, colpa mia. » Aggiunse, dando conferma a quello che pensava, e ritenendo opportuno raccontarle meglio perché la pensasse così. « Mi piace concentrarmi sul cosa succederebbe se, e forse il cambiamento è nato così. Concentrarmi su quella che sarò. Sono sicura che puoi capirmi bene. » Si ricordò quando le aveva raccontato la sua particolarità, tanto tempo prima. Le persone cambiano e crescono e maturano, si evolvono in qualche modo, ma Besaid aveva regalato a loro un dono che restava quello per sempre, a tutti i cittadini della zona, al massimo poteva evolvere l'ampiezza del raggio di azione se una persona diventava più forte o imparava come usarlo al meglio. A parte quello le cose non potevano cambiare, ma Sibylla aveva un potere che in qualche modo poteva evolversi con lei man mano che si adoperasse sul come utilizzarlo. Non sapeva bene che addestramento avesse fatto, ovviamente Bella non sapeva nulla del lato top secret di organizzazioni di cui non poteva essere a conoscenza di dettagli concreti, ma quando Sibylla le aveva spiegato cosa poteva capire degli altri e delle cose che le circondavano poteva capire quanto fosse importante parlare degli sviluppi e del miglioramento personale, così come accostarlo a quale ottica cambiasse nel guardare una lente sul futuro. Era una cosa che, tra tutte le persone che conosceva, forse poteva lei sola capirne la vera estensione, molto più di Bellatrix stessa.
    Quell'io e Astrid che aveva pronunciato era rimasto un pò per aria, e aveva lasciato i contorni di qualcosa di detto e non detto lì proprio tra di loro e ad aleggiare nei suoi pensieri. Non la feriva parlare di Astrid, ma la colpiva più di quanto credesse ricordare e portare il passato al presente senza poterlo lasciare indietro come a chiudere una finestra su di esso, tenda e persiana annesse. Sprangare tutte le emozioni che portava con sé. Dire addio ad Astrid era stato come infliggersi una punizione: la storia era finita tra loro, eppure si era ritrovata spesso a pensarla e a sperare di non incontrarla in giro, da nessuna parte, tante e tante volte. Non l'aveva quasi mai ammesso ad anima viva, solo a James aveva confessato cosa aveva significato lasciarla indietro - ed il fatto che avesse lasciato dietro anche James nella sua vita che era stato il rapporto su cui aveva voluto investire più tempo e anima proprio per non lasciare mai niente di non detto l'aveva effettivamente segnata. Quelle due storie erano finite, per mano sua, perché allora si ritrovava ancora a scriverne la pagine? Chissà se anche Sibylla pensava a Rem quando guardava indietro e pensava al suo passato. E quanto alla figura di Bella andava ad associare alla sua storia di un amore perduto. Una storia di cui era sempre stata curiosa di saperne di più, ma non aveva trovato neanche in passato il coraggio di chiedere ad Astrid cosa sapesse e cosa fosse successo, preoccupata di sconvolgerla più di quanto non avesse già fatto tutto l'accaduto. Cosa era davvero accaduto a Rem restava un'incognita per lei. Cosa invece fosse accaduto a lei da quello che aveva causato lui con le sue parole lo sapeva bene, lei sola.
    Anche Sibylla si dispiacque. Lesse sul suo viso la sua espressione triste, e forse una traccia di imbarazzo nel risponderle apertamente quanto ne fosse... delusa? Sicuramente Bella sentì la sua empatia, e la reputò una reazione sincera. « Non ti preoccupare. Ho fatto una confessione inaspettata. Stai tranquilla. » Mormorò, sorridendole, affrettandosi a rimediare al suo vizio di correre con le parole e le spiegazioni e forse talvolta porre già le persone con le spalle al muro di fronte alle cose fatte. Non che Sibylla non fosse in grado di reggere un confronto del genere comunque, ma le sembrò quasi bello poterglielo dire. Va tutto bene, ho deciso così. Ho deciso di mia mano e di mio pugno. E cosa si dice di chi è artefice del proprio destino?
    Rimasero davanti alla cassa della caffetteria in coda finché non arrivò il caffè di Bella, che prese tra le mani il contenitore da portar via in cartone. L'odore del caffè macinato di fronte a lei le tolse via il ricordo del profumo di Sibylla. Si voltò verso di lei, quasi per constatare che non gliel'avessero portata via nel frattempo che si fosse allontanata, e le sorrise, prima di riprendere caffè e indicare una mini forma di pasticceria al cioccolato sul banco che aveva adocchiato e di cui improvvisamente le era venuta voglia. «La caffeina è tutto quello che mi serve. Fà come se l'avessi preso, grazie.»« Va bene. » Sussurrò in risposta, finendo di pagare alla cassa il suo acquisto e ritornando a imbracciare lei. Riprese il caffè e sacchetto con il mini cioccolatino annesso. In quello non sarebbe mai cresciuta. Ogni tanto doveva concedersi qualcosa di piccolo e dolce, di quelle che lei pensava facevano bene anche al cuore. Ma meglio non ripeterlo a Sibylla - probabilmente lo sapeva già come funzionava la testolina bionda e buffa di Bellatrix. Si sedettero ai divanetti grigi della caffetteria, sotto la luce della vetrata ampia che le illuminava. Lasciò il caffè sul tavolino che aveva di fronte, assieme al pacchetto che aveva nell'altra mano. Ripensò a quello che aveva pensato prima, delle coppie ben assortite. Anche loro sarebbero stata una coppia ben assortita, non nel senso romantico del termine ovviamente, ma di quelle in un senso più mondano e affaristico del termine, una coppia di donne con la mente di quelle che non si accontentavano di guardare solo al di là del proprio naso - un bel pò più in là. Si appuntò mentalmente di tirar fuori questo nesso prima o dopo nella conversazione con Sibylla. «Abbastanza bene, grazie. Mi divido un po’ come posso, sai? Fra l’università e un po’ di casi in centrale ho sempre un po’ di cose da fare. Diciamo che non mi annoio.» La lasciò parlare. La ascoltò e soppesò le sue frasi prima di risponderle, con vorace curiosità. Tutto quello che non sapeva ancora era una fonte di scoperta. « Sapevo che avevi continuato ad insegnare qui, ma ammetto di essermi persa un pò di novità in questi anni. Che corsi stai tenendo? E i casi in centrale che segui come sono, che tipo di situazioni stai gestendo? » Mormorò incalzandola nel discorso. Sapeva che non poteva eviscerarle tutto quello che stava facendo in quegli anni lì e subito in un racconto fatto e finito, ma anche una risposta sommaria della vita che conduceva era abbastanza per ricostruire il ritratto della Sibylla del presente. Si riappropriò del caffè e cominciò a bere qualche sorso anche lei, piegando le gambe lungo un lato sotto al divanetto per poggiare entrambi i piedi solidamente sui tacchi. «Mi sono ben rimessa in piedi, non ho davvero nulla di cui lamentarmi. La vita da separata direi che mi dona, non trovi?» «E' vero. Ti trovo molto bene, e sono contenta di vederti così. E' una bella cosa. Non avevo dubbi che sarebbe stato così, però è ancora più bello vederlo con i miei occhi. » Le disse, sorridendole a labbra chiuse. Non era una frase che aveva alcuna inflessione di invadenza o diceria, qualcosa detta tanto per dire. Un tempo forse si sarebbe preoccupata di chiederle scusa per essere diretta, era una cosa che aveva completamente dimenticato potesse essere utile e giovare a qualcuno - chi ha bisogno di sentirsi chiedere scusa quando si ascolta una domanda? L'argomento tornò su Astrid, così come era naturale nel confluire della conversazione. Stavano parlando dei loro innominati, delle persone che avevano dato loro un legame forzando la mano del destino. Se non avessero avuto il vincolo del diventare quasi cognate probabilmente non si sarebbero mai incontrate.
    «Comunque, come puoi immaginare anche io ho perso un po’ i contatti con Astrid, motivo per il quale non sapevo vi foste lasciate. Non dev’essere stato semplice, vi ricordo molto affiatate.» Annuì Bella, quasi facendo ammenda con il movimento della testa. E bevve un altro sorso di caffè prima di risponderle. « E' stata una giusta scelta per entrambe. Se Astrid mi sentisse dire questa cosa mi ucciderebbe, ovviamente. E' stata una scelta molto sofferta. Però è stata colpa mia. Spero che con il tempo questa colpa possa essere lenita e curata, ma sempre colpa resta. Lo dicono anche i miei fratelli. » Confermò, con le sue parole, l'intenzione di aver voluto lei lasciare la sua compagna dopo quattro anni di amore. Era un pò come se si stesse svelando a più riprese dopo aver sentito le parole dell'altra, e un pò alla volta entrambe si lasciassero andare a una confidenza per turno. Anche Sibylla lo confermò, rispondendole ancora e dando spazio alla conversazione in quello che Bella le avrebbe aggiunto ancora. «D’altro canto devo confessarti che ti vedo abbastanza serena, quindi direi che nonostante qualche momento buio sei riuscita a trovare il tuo posto nella luce.» Bellatrix sospirò, avvicinandosi anche lei di riflesso così come si era avvicinata Sibylla a lei. Se qualcuno le avesse osservate al di fuori di quella scena sembrava si stessero confessando un segreto inconfessabile. « Dovevo lasciarla andare per capire dove fossi disposta ad arrivare. Mi fa sembrare una persona spiacevole ammetterlo, ma non sarei riuscita ad andare avanti. » Mormorò. Quella era una frase che, nonostante l'intensità della rivelazione, non le faceva male pronunciare. Forse andava perfino a rafforzare il suo significato, il perché avesse preso quella strada e quella decisione. Non era stata una passeggiata, ma aver scelto significava averla anche tolta dall'indecisione. Sorrise, nel riflettere sulle sue parole: Bellatrix alla luce. Era quello che aveva sognato per tutta una vita. Mentre continuava ad ascoltare Sibylla prese il pacchetto contenente il suo premio e cominciò ad addentarlo, continuando a guardarla.
    Sibylla riportò l'attenzione all'argomento che non avevano ancora affrontato. Ci pensò su, quello che le disse le fece ovviamente piacere. Era quello su cui il partito, ma soprattutto lei come futura capolista si stavano ponendo di portare avanti lungo il percorso. «Ci sono molte zone d'ombra che le persone vogliono accettare perché non hanno voglia di interessarsi troppo, o raramente anche paura. Ma è soprattutto mancanza di voglia di fare. Si, il messaggio che sto passando è quello di investire di più in alcuni settori, e portare all'attenzione di tutti che soprattutto a Besaid è necessario - è pur sempre una situazione che se non controllata rischia di essere ingestita. Non possiamo pensare di costruire una gabbia dorata senza pensare agli individui che la abitano. » Quello che intendeva Bella era che altri partiti puntavano a pensare di investire nelle cose belle e sul territorio facendo credere ai cittadini che avessero solo bisogno di quello che volevano gli altri. E il fatto che prima o poi personalità particolari potessero emergere e andare fuori controllo la spaventava molto più di quello che gli altri facevano intendere. Gli investimenti dovevano essere distribuiti certo, ma anche capillari. Il ragionamento sul mucchio senza interesse di chi lo componga era completamente sbagliato. Bisognava partire prima dal singolo e poi ripensare i benefici sulla comunità.


    Fabi note side story necessarie:
    - A Sistermance is born :hero:
    - sono diventata una maître parfumeur
    - cito a caso testolina buffa alla sailor moon


    Edited by wanderer. - 14/2/2022, 19:21
     
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    La sensazione di aprire un vaso di Pandora le scivolò dalle braccia alle mani nello stesso momento in cui Sibylla raccolse il corpo di Bellatrix contro il suo in un abbraccio che sanciva la fine di una lunghissima distanza non solo in termini di lontananza, ma anche e soprattutto di tempo. Che il destino le avesse fatte incontrare in maniera laterale e non davvero centrale era stata forse solo un'illusione, perché a pensarci bene ora e con lo sguardo sempre rivolto al futuro, Sibylla credette in un istante solo ed improvviso che, dopotutto, non era mai stato davvero un gioco, ma in qualche modo il seme per qualcosa di grandioso che avrebbe poi preso vita nel futuro, quello stesso e prossimo che ora, una di fronte all'altra, Sibylla e Bellatrix stavano creando.
    « Sono in grado di guardare al futuro, adesso. » E di futuro si trattava sempre e sempre si sarebbe trattato, loro due sembravano averlo compreso al meglio. Una vita a sacrificare parte di sé stesse per un motivo ben più grande, ragioni che ad altri sarebbero parse illogiche, disfunzionali, ma mai per loro due. Bellatrix con il proprio percorso nell'ambito politico, sotto i fari luminosi di un palcoscenico di cui era padrona e che, passo dopo passo, parola dopo parola si sarebbe ingigantito tanto da portarla in alto; Sibylla, una vita divisa fra ombra e luce, un lavoro da backstage di cui nessuno ha davvero il coraggio di parlare ma che tutti suppongano esista; il filo conduttore fra i loro mondi, più simili di quanto si potesse immaginare e loro due, insieme, a tenerne i lacci da un estremo all'altro. «Certamente, posso capirti. Abbiamo sempre guardato nella stessa direzione, io e te, anche senza saperlo con certezza. Ora ne abbiamo la conferma.» annuì Sibylla, riferendosi alle parole che l'altra aveva pronunciato poco prima riguardo al concentrarsi su quella che sarebbe stata. Magnifico quanto su Bellatrix visibili quei cambiamenti fossero agli occhi di Sibylla, era quasi come vedere la proiezione delle conversazioni che tempo prima avevano avuto sedute intorno ad un tavolo ricolmo di cibo sotto il tetto di una casa familiare ad entrambe. Forse era stato proprio grazie a quei cambiamenti sofferti ma necessari che Bella aveva dovuto anche lasciarsi Astrid alle spalle, Sibylla poteva comprenderlo. I ricordi che aveva di loro erano ancora abbastanza nitidi da ricordare che fossero affiatate, che si volessero profondamente bene, questo l'aveva capito anche solo guardandole; eppure, c'era sempre stato qualcosa a dividivele, una sottile crepa che le aveva a volte mostrate slegate ai suoi occhi, tanto quanto forse lo erano stati Sibylla e Rem. Forse un endgame non era mai stato nel loro futuro e Sibylla e Bella erano state capaci di vederne l'ombra anche senza guardare davvero.
    Si sedettero sui divanetti di fianco l'alta vetrata che dava al giardino esterno, la luce del sole era brillante quella mattina, tanto quanto l'idea che sembrava ora accomunarle. Non si risparmiarono sorrisi, neanche uno, continuando ad osservarsi occhi negli occhi con la felice sensazione d'essersi ritrovate stretta contro il petto. Il calore del caffè le riscaldò la gola e aromatizzò le sue labbra rosee ricoperte da un leggero strato di rossetto mentre, dedicata la sua più totale attenzione nei riguardi di Bella, Sibylla annuiva alle parole dell'altra, felice di poter rispondere alle sue domande e al contempo tanto curiosa da volerne porgere a lei. « Sapevo che avevi continuato ad insegnare qui, ma ammetto di essermi persa un pò di novità in questi anni. Che corsi stai tenendo? E i casi in centrale che segui come sono, che tipo di situazioni stai gestendo? » chiese quindi Bella, prendendo a sorseggiare il suo caffè. «Criminologia. Mi piace far confrontare gli studenti con la struttura mentale dei criminali, è quello in cui sono specializzata. Aiuta a far comprendere le radici di un crimine, dopotutto parte tutto da qui.» disse, sollevando la mano libera per portarla ad indicare la nuca. «Non si tratta mai di sentimenti o irrazionalità, nessuna di queste opzioni giustifica mai un'azione di questa portata.» spiegò con tono calmo, consapevole delle parole che stava pronunciando. Aveva trattato spesso anche casi di violenza domestica grazie alla collaborazione in centrale, provando a dare il proprio contributo nel riconoscere che tipo di crimini fossero e ritrovandosi spesso a fronteggiare opinioni del tutto errate generate da menti ancora troppo tradizionali. «In centrale si tratta spesso di consulenze più che altro tecniche che mi vengono affidate per aiutare le investigazioni così da indirizzare l'attenzione delle indagini sui giusti indizi.» aggiunse quindi, per rispondere ai quesiti posti da Bellatrix riguardo il suo lavoro e ciò di cui specificatamente si occupasse. Il lavoro al governo restava una parte della propria vita di cui non avrebbe potuto parlare, non così apertamente, quindi se lo tenne per sé nonostante qualcosa dentro di lei le suggeriva di potersi fidare di Bella, che l'altra potesse in qualche modo accettare una confessione di tale portata. Eppure, la razionalità di Sibylla vinceva su qualsiasi altro stimolo o percezione astratta, per cui si fermò lì pur vagliando improvvisamente opzioni e scenari che, in futuro, sicuramente avrebbero preso forme ben diverse e più definite. Si trattava di pensieri che, da quel momento in poi, difficilmente avrebbe messo nuovamente da parte o cancellato. Era forse l'inizio di un nuovo percorso insieme? Dopotutto la posizione politica di Bella aveva un valore decisamente importante, soprattutto agli occhi della bruna che, sebbene nell'ombra, conosceva una parte della città così profonda e significativa che, prima o poi, anche lo sguardo di Bella avrebbe potuto vedere con estrema chiarezza. Concluse con un sorriso confermando quanto, dopotutto, si sentisse bene dopo essersi rimessa in pari con se stessa e aver lasciato dietro tutto quello che non avrebbe voluto o dovuto accompagnarla nel futuro che, ora, era divenuto il suo presente. «E' vero. Ti trovo molto bene, e sono contenta di vederti così. E' una bella cosa. Non avevo dubbi che sarebbe stato così, però è ancora più bello vederlo con i miei occhi. » si complimentò Bella e Sibylla sorrise apertamente, chinando appena il capo da un lato mentre scrutava dolcemente la bionda seduta lì con lei. La sensazione di serenità che le trasmetteva era difficile da ignorare, Sibylla avvertiva dentro di sé una crescita strabiliante di quella stessa inspiegabile forza che un tempo le aveva legate e che quella conversazione non faceva altro che alimentare ancora, nonostante tutto il tempo trascorso separate. « E' stata una giusta scelta per entrambe. Se Astrid mi sentisse dire questa cosa mi ucciderebbe, ovviamente. E' stata una scelta molto sofferta. Però è stata colpa mia. Spero che con il tempo questa colpa possa essere lenita e curata, ma sempre colpa resta. Lo dicono anche i miei fratelli. » si ritrovò a spiegarle Bella una volta riportato l'argomento sulla sue ormai chiusa relazione con Astrid. Sospirò appena, Sibylla, scuotendo lentamente il capo mentre lo sguardo restava concentrato nella sua direzione, gli occhi magnetici di Bella sui cui Sibylla manteneva i propri per non perdersi neanche un'accenno delle emozioni che l'altra provava. Cercava di raccogliere tutto, la mora, qualsiasi parola, qualsiasi inclinamento nella voce dell'altra, qualsiasi movimento o sguardo così da comprendere al meglio chi fosse diventata e quali fossero le crepe che ancora non riuscivano a rimarginarsi su di lei o dentro di lei. «Non parlare di colpa, Bellatrix. Non è mai una colpa, se non era qualcosa che aveva posto nel tuo futuro.» mormorò poi, sollevando il mento nella sua direzione. Ripensò a come la sua, di relazione, era giunta al termine, solo cinque anni prima e, malgrado quel proiettile parlasse di peccato o una colpa che avrebbe dovuto scalfire l'anima di Sibylla, la sensazione di colpevolezza non l'aveva poi accompagnata troppo a lungo. Aveva fatto ciò che andava fatto, aveva ripulito la propria vita da qualcosa che non aveva avuto più alcun spazio all'interno di essa e che, con le sue mani intorno al collo di Sibylla, l'ultima sera di condivisione aveva addirittura tentato di soffocarla. No, non era una colpa. Non lo era mai stata. « Dovevo lasciarla andare per capire dove fossi disposta ad arrivare. Mi fa sembrare una persona spiacevole ammetterlo, ma non sarei riuscita ad andare avanti. » continuò Bellatrix dunque riferendosi ad Astrid e al mondo in cui aveva dovuto interrompere tutto, spezzare quel legame che, altrimenti, avrebbe potuto rinchiuderla in un luogo senza futuro cancellando dalla sua vita qualsiasi percorso ancora ignoto e di cui era stata tremendamente curiosa di sapere dove l'avrebbe portata. «Non siamo nati per sacrificare la vita per una persona. Siamo destinati a cose ben più grandi, Bella, e tu ne sei la prova. Restando con Astrid probabilmente non saresti mai arrivata dove sei ora e da qui puoi fare cose immense, ne sono certa.» constatò Sibylla che, pur comprendendo quanto potesse esser stato difficile per lei dover dire addio a qualcosa di sentimentalmente profondo che aveva condiviso con Astrid, provò a mostrare a Bella il mondo magnifico che era riuscita a costruirsi intorno senza l'aiuto di nessuno. Si collegò da questo al discorso che aveva tenuto in aula magna solo poco prima, complimentandosi con lei per le parole scelte e le idee che aveva esposto con fierezza, ammettendo di condividere con lei la maggior parte di queste. «Ci sono molte zone d'ombra che le persone vogliono accettare perché non hanno voglia di interessarsi troppo, o raramente anche paura. Ma è soprattutto mancanza di voglia di fare. Si, il messaggio che sto passando è quello di investire di più in alcuni settori, e portare all'attenzione di tutti che soprattutto a Besaid è necessario - è pur sempre una situazione che se non controllata rischia di essere ingestita. Non possiamo pensare di costruire una gabbia dorata senza pensare agli individui che la abitano. » spiegò quindi l'altra, rispondendo alle parole di Sibylla con un'intensità di idee e fermezza da cui la mora rimase totalmente affascinata. Nella sua posizione, Sibylla si ritrovava giornalmente di fronte a paletti che difficilmente sarebbero venuti meno, paletti costruiti su una base sociale e giuridica che non aveva scelto lei e che, in tutti quegli anni, raramente eran stati smossi per fare spazio ad un nuovo mondo. Era quasi come se tutto ciò che era nato a Besaid e con Besaid non dovesse mai sottostare al vento del cambiamento. «Sono d'accordo. Ci sono dei pericoli che, anche se vengono visti, sono poi letteralmente ignorati e questo non va bene. Sono certa che avrai sentito parlare della Setta, spopola fra i giovani e questo non è un segreto: viene offerto l'aiuto che dovrebbe essere assicurato loro da altri, il vero problema è che, senza che se ne accorgano neanche, questi ragazzi vengono letteralmente manipolati. Se ci fosse un dialogo aperto, delle idee chiare e più inclusive, tutto sarebbe diverso. Besaid sarebbe diversa.» commentò con tono di voce pacato e serio, consapevole delle parole che stava pronunciando e di quanto effettivamente quello fosse un argomento complicato. Eppure lo aveva provato sulla propria pelle e, solo per via dell'utilità della sua particolarità, era stata fortunata da esser scelta. Quella era, dopotutto, una parte della propria vita a cui ripensava spesso con un sospiro di sollievo. Dove sarebbe finita, se venti anni prima il governo non avesse deciso di aver bisogno di lei?
    Sollevò il contenitore del caffè per berne l'ultimo sorso e, quando tornò a posarlo sul tavolino, sollevò lo sguardo nuovamente su Bella, sorridendole. «Hai tutto il mio sostegno, Bella. Mi piace come pensi, mi piace la ventata fresca e giovane che porterai in politica. Per qualsiasi cosa, qualsiasi aiuto ti serva, sarò più che felice di dedicarti il mio tempo.» aggiunse Sibylla con tono fermo e orgoglioso, annuendo nella direzione di Bella con fare deciso.

    scuuuusa il ritardissimo <3 ue lov iu tu
     
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    Dietro ad una figura politica se ne possono nascondere tante altre. Non si tratta di nascondere il proprio viso dietro ad una facciata differente, si tratta di indossare vesti che richiedono la consapevolezza del proprio ruolo, assumere oltre che gli onori di una vita di rilevanza e presenza costante sotto i riflettori, le responsabilità di una cognizione differente, la volontà di essere forti e presenti per altri prima di se stessi, la coscienza di ammettere che per raggiungere un obiettivo bisogna sacrificarne tanti altri, e per questo saper essere pronti a sacrificare perfino se stessi. Con una maschera però le persone possono essere sinceri. Dietro ogni menzogna possibile, indossata una veste, si può assumere una forza inaudita, un coraggio che poteva essere impensabile, una volontà da far tremare chiunque. L'obiettivo di Bella era chiaro e voleva raggiungerlo a tutti i costi, per poter finalmente indossare quella maschera che agognava. Eppure c'era ancora molto sforzo da compiere, percorsi da intraprendere, una vita di lavoro da colmare, tanta pressione che avrebbero dovuto sopportare le sue spalle ossute. Così come si erano dette con cura e facilità dopo anni di separazione, arrivate tanto vicine ai loro traguardi - almeno da vederli chiari e non così offuscati - l'incontro tra Bella e Sibylla sembrava svelare un appiglio, un passo in una direzione più lontano, e per Bella quella giornata sembrava essere un ritorno al passato a guardare dalle cose giuste che aveva lasciato dietro di sé ma che aveva anche fatto, scelte sagge compiute anche per uno scopo più grande. Era una giornata che sembrava celebrare tutto quello che aveva così meticolosamente accumulato, e che andava anche a sommare il dolore della perdita di Astrid con un velo più dolce di rassegnazione mista ad affetto, con il rimpianto di aver lasciato andare una presenza cara per un ricordo dolcissimo che sarebbe perdurato senza dubbi nel tempo.
    Guardò Sibylla ricambiando la sua espressione con un sorriso affettuoso, le labbra distese con naturalezza dipinte nel rossetto tenue che indossava per la giornata. «Forse doveva proprio andare così.» Si sentì dire. Cosa poteva rispondere a Sibylla, con una frase che fosse sentita e certa, con una risposta che vedesse il suo stesso punto di vista senza ripetere cosa aveva detto lei? Avrebbe voluto dirle davvero che era un peccato che non fossero diventate sorelle, che il tempo aveva spezzato un legame che sarebbe potuto nascere con un bel nodo che avesse legato assieme i loro destini con la scelta che avevano fatto dei loro compagni. Ma forse quel destino non era mai stato in quel disegno, e il nodo che poteva legare le due donne sarebbe stato costruito in futuro con la loro caparbietà, frutto non tanto delle circostanze ma di volontà. Sarebbe stato allo stesso modo concreto, e lo sapevano entrambe. Ritornò silenziosa, in attesa che l'altra le rispondesse e potessero rincorrersi piacevolmente nei loro discorsi. La ascoltò parlare del suo lavoro, quello che Bella ancora conosceva poco, quello che aveva proseguito Sibylla dopo molti anni. Assaporò il caffè concentrandosi sulle sue parole. Se doveva pensare quanto fosse certo, come faceva intendere Sibylla, che la mente avesse il sopravvento in una scelta irrazionale quanto quella di compiere un crimine di quella portata, pensare che fosse da quello che avesse origine il tutto e che le persone potessero davvero razionalmente decidere di porre fine alla vita di qualcun altro era assurdo ed aveva anche una connotazione per lei sbagliata, un retrogusto amaro a cui però poteva attribuire un significato: gli individui potevano sempre intenzionalmente decidere di far del bene o del male, e il controllo restava punto cardine e fondamento del libero arbitrio. Anche lei ne era convinta, per quanto potesse far male arrovellarcisi su, pensava spesso al fatto che non era possibile che le persone dimenticassero il buon senso e seguissero l'istinto, le passioni, quando si trattava di motivare una scelta terribile come quelle azioni avventate. In qualche modo quella branca di studio si collegava seppur in maniera molto remota a quella che seguiva lei nel suo lavoro: il suo compito consisteva nello studiare le menti e influenzare gli animi, essere guida e ispirazione delle persone per disegnare una strada ancora non esistente e mostrare agli altri una via, quello di Sibylla sembrava indicare la storia contraria, risalire a ritroso lungo le ragioni che ispiravano l'uomo a compiere azioni deterministiche - mancava della parte felice delle scelte, a vederlo sembrava un lavoro che non tenesse conto della bellezza della vita ma solo delle brutture. « Non ti pesa mai? Sei sempre ispirata a seguire questa carriera? Anche quando il bello diventa solo la congettura, scoprire l'arcano, e il brutto diventa una connotazione sempre presente? » Così come Bella l'ebbe pensato glielo disse. Si immaginò nelle sue vesti. Avere un cuore buono non significa per forza pensare che sia difficile che sia dotato anche di una corazza, e persone sensibili possono essere in grado di compiere cammini ardui, continuare a vivere nelle brutture senza esserne scalfiti. Forse una mente audace come quella di Sibylla poteva permettersi di farlo. In parte, pensò, consapevolmente, forse, avrebbe potuto farlo anche lei. Ma non essendocisi mai trovata non avrebbe potuto saperlo, e chissà, forse la vita le avrebbe risposto più avanti, mostrato il suo orgoglio e coraggio prima che fosse in grado di rendersi conto lei stessa di quanto ne potesse disporre. Bellatrix non lo sapeva, ma sarebbe arrivato molto presto, così presto che tutte le conferme avute quel giorno sarebbero sparite per qualche tempo.
    Si sorrisero. Bella lisciò il tessuto della gonna ripiegata sul divanetto dove erano sedute, posò lo sguardo sul tavolino di fronte a loro e finì di mangiare il dolce al cioccolato che aveva comprato come premio per la sua giornata assieme al caffè. Aveva detto delle cose gentili che sentiva davvero nel suo cuore, era contenta che quella giornata fosse andata in quel modo, proprio come quando succede qualcosa di inaspettato e bello in una giornata che era partita e cominciata come tutte le altre. Le aveva spiegato la sua sensazione e i suoi pensieri sul dopo Astrid, la sua vita dopo di lei, e cosa era successo. Parlare di lei restava tuttora molto strano, non sapeva se le facesse meno male con il tempo o se il tempo avrebbe complicato le cose quando sembravano sbrogliarsi da una matassa complicata. Aveva parlato di colpa, però. Oltre che una decisione sapeva che quello che aveva fatto lasciando andare la persona che amava, intimamente, se la sarebbe sempre attribuita come una colpa. Era difficile usare dei termini studiati con una persona con cui voleva, volutamente, lasciarsi andare alla verità, ma era anche difficile usare parole che fossero diverse da quello che sentiva. Sibylla fu comprensiva con lei, nelle sue parole lasciava andare il senso della colpa e le parlava invece di decisioni. La sua decisione dunque la faceva procedere lungo una strada che aveva segnato a tavolino, in quel preciso disegno di Bella che muoveva le sue decisioni sui passi di una strada da calcare, su un percorso che sarebbe invece stato impossibile da compiere con la sua Astrid. Forse anche Sibylla aveva compiuto scelte del genere nella sua relazione, troncando aspetti che non avrebbe potuto portare dopo con sé, nel suo bagaglio personale di esperienze. Le parole di Sibylla la investirono di una carica grandissima di ammirazione e rispetto, che lei contraccambiava. Era dura pensare che avrebbe proseguito la sua vita senza Astrid proprio perché aveva scelto il cammino politico. Eppure. Tra l'amore e se stessa aveva scelto se stessa. Suo fratello diceva che sarebbe stato sempre amore, e che in realtà omnia vincit amor sempre e comunque. Sirius era convinto che se anche la strada fosse stata più irta alla fine avrebbe potuto perseguire e salvare se stessa oltre che il rapporto con Astrid, e lei lo adorava perché poteva essere in grado di vedere sempre tutto così saggiamente. Ma c'era un ma grande, incredibile, da considerare. «Sicuramente se l'avessi incontrata dopo sarebbe stato tutto diverso.» Era una riflessione con se stessa fatta di fronte a Sibylla. Se Bella avesse incontrato Astrid dopo, e un dopo significava aspettare prima di aver conseguito e realizzato i propri sogni, le proprie aspettative, raggiungere la stabilità nello scenario politico ed essere riuscita ad arrivare fino al parlamento della sua nazione, allora avere Astrid accanto sarebbe stato più facile. Il suo sogno sarebbe stato più concreto, e la saggezza di Sirius si sarebbe sposata ad una ideologia che sarebbe stata più facile da accettare. Sarebbe diventata prima politica, e poi compagna di una donna. Era un sogno ad occhi aperti. Avrebbe voluto tanto vedere le Bella ed Astrid del futuro, come sarebbero state. Ma non era qualcosa su cui avrebbe potuto costruire un rimpianto, era un obiettivo che non sarebbe stato perseguibile, non sarebbe stato loro - significava sognare su qualcosa che non poteva più accadere. Le fece tenerezza, portare quel ricordo con lei. Le fece pensare che sarebbe stato bello, ma irreale. «Ma se l'avessi incontrata dopo non ci saremmo neanche mai conosciute.» Disse poi, aggiungendo una frase ad un pensiero surreale. Non solo non avrebbe potuto mai conoscere Sibylla ma tutte le persone che l'avevano circondata in quegli anni. Magari non avrebbe conosciuto nessuna delle persone che aveva incontrato dopo, cambiando il tassello Astrid della sua vita la sua vita sarebbe stata agli antipodi. Era grazie ad Astrid, oltre che a se stessa, che era arrivata fin lì. Chissà cosa sarebbe successo invece. Si fermò dal proseguire, le conseguenze di quel futuro erano così imprevedibili da essere di difficile rappresentazione. Ascoltò le parole di Sibylla raccogliendo l'aiuto che le stava porgendo. Non solo l'idea del futuro per loro, ma anche per Besaid. Insieme due donne come loro avrebbero potuto progettare grandi cose. «Grazie per le tue parole. Sono sicura che sapremo costruire un futuro più bello per Besaid.» Sussurrò, a voce chiara e definita, eppure ridotta, un pensiero fermo e deciso su un volto sereno. La discussione aveva portato Bellatrix a pensare in grande. «Lavoriamoci insieme. Teniamoci in contatto.» Le disse, sfiorandole un braccio mentre le parlava. Le sue parole e il suo modo di avvicinare gli altri avrebbero cambiato molte cose, ma aveva bisogno oltre che del suo coraggio di una mente analitica quanto quella di Sibylla. Con l'aiuto imprescindibile da cui oramai contava su Nora immaginò di aggiungere figure delle più disparate nella propria campagna politica, oltre i diretti colleghi, una rete infinita di agganci di cui si sarebbe fidata non solo per il futuro professionale, ma per il suo, nella sua vita personale. Inesorabilmente il discorso era passato sulla via del lavoro, in un senso concreto. Le idee di Bella avevano bisogno di questi stimoli. Avrebbe potuto costruire grandi cose insieme alle altre, perché da solo un uomo può indicare soltanto, ma ha bisogno di un manipolo di persone per portare avanti un progetto.
    Nel risponderle Sibylla le rivelò una indicazione particolare: l'esistenza della Setta. Era un nome che non si sapeva e una realtà che non si sapeva come definire, la manipolazione delle persone era però reale e loro sapevano che venivano usati scopi sbagliati per dirottare persone lungo strade pericolose. Annuì a Sibylla, prendendo dalla borsa che aveva con sé un fascicolo ripiegato con informazioni che ovviamente non erano classificate, ed erano appunti che Bella aveva tracciato assieme ai colleghi del suo movimento proprio per capire e sottoporre i dettagli all'attenzione di esperti, molto più tecnici di loro. «Questo è quello che sappiamo. Stiamo cercando di capire se in questo momento le persone al potere sono partecipi. Sì, ne dobbiamo parlare in privato. » Aggiunse, strizzandole un occhio all'occhiata seria di Sibylla. Stava fornendo lei dei dettagli su cui si basava la sua candidatura ai progetti futuri, aveva bisogno di una alleata che potesse sostenerla. Per fortuna di Sibylla tutti gli appunti di Bella erano stati scrupolosamente archiviati da Nora, che per fortuna di tutti, era stata molto brava a catalogare le informazioni di cui avevano bisogno per andare avanti nella loro personalissima ricerca. Ovviamente quello che portava con sé quel giorno era solo un briciolo di quelle informazioni.
    «Sentiamoci domani, aggiorniamoci dopo la conferenza. Ti passo il mio numero.» Le disse, sorridente e decisa. Si alzarono in piedi entrambe, e Bella lisciò di nuovo il tessuto della gonna affinché cadesse sul ginocchio, composta nella sua figura slanciata, rimettendosi dritta sui tacchi. Le persone che avevano partecipato alla conferenza stavano confluendo nuovamente nell'Aula Magna dell'università, e così anche loro ritornarono assieme all'interno, Bella ritrovando il suo posto e richiamata dal fedele Holden che le agitava il braccio per indicarle dove si stessero spostando al di là del palco. Il loro mondo stava per cambiare, in più modi di quelli che avrebbero pensato, ma anche sferzata dalla tempesta Bella si sarebbe piegata, accartocciata terribilmente, ma si sarebbe rimessa a posto senza cedere mai.
     
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