Non avrai altro dio oltre al tuo gatto

Riley and Mikael |pomeriggio| 10.03.2021

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    Riley Møller
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    Prima eclissi di sole totale sull’intera Norvegia.
    Ormai non si parlava d’altro, Riley stessa ne aveva scritto più di una volta sul Besaid Daily News, soprattutto in merito allo stato d’allerta diramato dopo quella notizia. Riley non poteva sapere quanto un evento del genere potesse incidere sull’intera cittadina fin quando non ha testato con i propri occhi e orecchie quanto tutti ne parlassero incessantemente e corressero ai ripari, come se alle porte ci fosse un evento nefasto, quasi più letale della fine del mondo stessa. Aveva messo piede a Besaid da solo qualche settimana e molti meccanismi intimi della cittadina ancora le sfuggivano, così come le sfuggiva quell’enorme fetta d’infanzia che era sembrata ricomparire nella sua mente ricordandole che lei a Besaid, in realtà, vi era nata. Tutto ancora troppo assurdo, troppo nebuloso, persino per una persona positiva ed ottimista com’era lei e, difatti, tutto quel timore dilagante riguardo l’eclissi non lo comprendeva mica tanto. Dagli archivi del giornale aveva letto qualcosa riguardo ad eventi misteriosi, talvolta rovinosi, che avevano colpito la città in quel periodo dell’anno. In realtà, per lei, tutto quel parlare e quel correre ai ripari, le sembrava solo un’enorme esagerazione, un po' come si fa a ridosso di Halloween, quando si pensa che i morti possano tornare in vita. Credenze folkloristiche, questo erano. O almeno per Riley erano questo. E lo dice una ragazza che è cresciuta con miti e leggende africane, in cui gli animali parlano e le anime tornano in vita. E, oltretutto, a proposito di animali, Riley aveva già la sua palla di pelo di cui prendersi cura; Bono Vox non parlava, ma miagolava e graffiava quando veniva ignorato o, peggio, quando non gli veniva dato abbastanza cibo.
    Giusto per chiarire un paio di cose: Riley non maltratta gli animali, al massimo maltratta coloro che maltrattano gli animali, tuttavia il suo gatto himalayano ha un carattere da drama queen tale da voler essere sempre al centro dell’attenzione e, soprattutto, tale da lamentarsi miagolando per qualsiasi cosa. Riley lo adora, non potrebbe fare altrimenti, è come un figlio che le lascia graffi lungo le braccia da ormai tre anni, se ne prende cura e, ultimamente, scoppia a ridergli in faccia quando pensa che il broncio di Bono Vox, spesso, le ricorda quello del suo ormai non più nuovo caporedattore Lars Berg. Il bello è che Riley non dovrebbe riderne, non quando sta camminando ancora su un sottilissimo filo dopo il recente battibecco avuto con lui in cui, le costa molto ammetterlo, ad avere un pizzico di ragione in più era proprio Lars. Lei aveva fatto un errore da principiante ma la cosa, tutto sommato, si era risolta nel modo migliore e cioè: Riley ancora non era stata licenziata e poteva continuare a fare quel lavoro che amava tanto in un giornale che non era certo il Washington Post ma che, giorno dopo giorno, stava imparando ad apprezzare e addirittura a preferire rispetto a quelle testate altisonanti.
    Miao
    Si parla del diavolo e spuntano le corna; una zampetta di Bono Vox la stava chiamando insistentemente, mentre Riley era intenta a cercare su internet un annuncio di qualche stanza che si affittava a Besaid perché certo, l’Aamot Lodge era bellissimo e lei adorava starci, ma se avesse continuato a vivere lì avrebbe preferito avere una camera tutta sua. Non poteva di certo continuare a deliziare Ragen -il buono energumeno russo- dei suoi sgangherati sbadigli mattutini. «Fammi indovinare, hai fame?», un altro “miao” usci dal musino della palla di pelo e, a quel punto, Riley non potè più rimandare il momento che rimandava da qualche giorno: andare a comprare qualche scatoletta in più a Bono Vox. Una cosa in comune l’aveva sicuro con Lars: entrambi interrompevano sempre i suoi momenti di relax. Quindi sospirò e si alzò, lisciandosi i pantaloni della tuta e afferrando distrattamente la giacca e una borsa a caso per uscire e andare al negozio di animali.

    La tratta Aamot Lodge-negozio di animali Riley l’aveva imparata subito a memoria. Una delle poche che faceva con una certa frequenza, considerata l’insaziabilità del suo gatto. Dunque era andata a passo spedito senza rischiare di perdersi com’era accaduto qualche settimana prima quando l’arcobaleno Fae era, fortunatamente, accorsa in suo aiuto. Un segno del destino, forse, che le aveva lanciato un’ennesima ancora di salvezza per recuperare qualcuno dei suoi ricordi dell’infanzia che Riley ormai credeva perduti per sempre. Lungi dal pensare alla figura paterna che per tutta la sua vita era stata assente, aveva comunque iniziato ad avere una certa curiosità per scoprire chi fosse mai l’uomo, se anche lui fosse nativo di Besaid o di qualche altro luogo.
    In ogni caso non doveva perdere di vista il compito importantissimo che le era stato dato da Bono Vox -si, perché è il gatto che comanda, non lei-: fare rifornimenti importanti di cibo. «Buon pomeriggio!» Trilla allegro il saluto di Riley in direzione del commesso di turno che, ormai, la conoscerà almeno di vista, considerate le innumerevoli volte in cui è già stata in quel negozio in poco più di un mese! Andò diretta lì, dove c’erano le scatolette preferite del piccolo satana baffuto e peloso, prendendone più del normale, forse influenzata da tutto quel chiacchiericcio allarmante sull’eclissi. Meglio abbondare, pensa Riley senza fare i conti, però, con quanti problemi avrà nel portare tutte quelle scatolette fino all’Aamot Lodge e, come se non bastasse, non può esimersi dal comprare un giochino al suo Bono Vox, come se non fosse già abbastanza viziato e circondato da giochini che usa per un paio d’ore e poi molla in un angolo della stanza come un qualsiasi latin lover farebbe con una donna. Ma il cuore di mamma di Riley perdona il suo figlio baffuto, anche quando le fa spendere soldi inutilmente. «Grande spesa oggi, la mia palla di pelo mangia come un leone.» Lo dice al commesso che l’attendeva alla cassa, senza che questo le avesse chiesto nulla, nel caso non fosse chiaro che Riley attacca bottone con chiunque, anche quando non è assolutamente necessario. «Che gatto fortunato!» Il ragazzo le risponde con educazione, sorridendo e ponendo tutte quelle scatolette in ben due buste. Si, le scatolette sono tante. Riley paga il tutto, pensando che gran parte del suo stipendio viene speso solo ed esclusivamente per Bono Vox, poi prende con una certa fatica entrambe le buste e, mentre esce, continua a chiacchierare col commesso di quanto la palla di pelo sia fortunata di avere lei come mamma. Si si, si è definita proprio sua madre, di Bono Vox. Tutto normale.
    Esce dal negozio di animali, ufficialmente il posto più frequentato da Riley dopo la redazione del Besaid Daily News, e con la testa ancora fra le nuvole, ridacchiante per la breve conversazione avuta col commesso, entrambe le mani occupate dalle buste piene di scatolette, oltre al giochino per il gatto, non si rende conto che, appena girato l’angolo, va a sbattere contro qualcuno. Ora: è stato già ampiamente detto che Riley è estroversa e non lo è solo con le parole, lo è anche con i gesti, con le reazioni. Fatta questa premessa non ci vuol niente ad immaginare cosa possa essere successo non appena la ragazza è andata a scontrarsi involontariamente con uno sconosciuto. Da una busta erano cadute almeno una decina di scatolette, mentre l’altra si era rotta, probabilmente non aveva resistito a tutte le cose che vi aveva messo dentro. Fortuna che lei, Riley, non era cascata per terra ma ebbe modo di abbassare lo sguardo e vedere -in ordine sparso- scatolette qua e là, la busta bucata ormai inutile e il volto dello sconosciuto, ma tanto per lei quasi tutta Besaid era ancora sconosciuta. «Ottimo. Tornata a casa il mio gatto mi metterà in punizione per il danno che ho appena fatto.» Se l’immaginava Bono Vox nell’Aamot Lodge intendo ad attenderla all’entrata con una bacchetta in mano, pronto a punirla. «Tu stai bene? In qualsiasi caso lo so, è colpa mia, sono sempre distratta.» Si rivolge al tizio in questione, e continua a parlare senza che le sue perle di saggezza vengano richieste, senza sapere se lui sia ben propenso ad ascoltare i suoi vaneggiamenti o se la stia per mandare al diavolo nel giro di due secondi.
     
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    Sakura Blossom

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    Mikael Alex Milkovic

    Mikael stava pulendo i tavolini nell’area del palco del Rød, si era offerto al posto della sua socia Rachel per ammirare le ragazze in abiti succinti mentre facevano le prove per lo spettacolo di Cabaret della serata. Quei body di lustrini neri abbinati al continuo movimento dei fianchi avevano catturato la sua completa attenzione, era rimasto con lo straccio immobile sul tavolo da chissà quanto tempo. Le vibrazioni della musica che veniva dalle casse attraversava le assi del pavimento sotto i suoi piedi, le percepiva mentre si mescolavano a quelle che provenivano dal continuo sbattere dei piedi delle ballerine. Era come se il pavimento fosse attraversato da un’autostrada energetica, lì sotto avveniva la collisione tra musica ed emozioni. Pochi riuscivano a sentire quello scontro così potente, Mikael era uno di quelli che dopo tanti anni ancora si lasciava affascinare dal ritorno energetico di chi stava sul palco, lui la definiva magia.
    ”Hey, hai finito di guardare il culo alle ballerine? Vai a comprare le lampadine per la cucina, un po’ di aria fresca potrebbe farti passare i bollenti spiriti.” la voce di Rachel lo colpì alle spalle, si voltò di scatto con un sorriso malizioso dipinto sulle labbra. ”Percepisco della gelosia nell’aria. Che c’è vorresti che ti guardassi allo stesso modo? Sono bravo a spogliare le donne con lo sguardo…” si passò la lingua sulle labbra, poi avvicinò un dito alla bocca per leccarlo insistentemente. Sapeva che avrebbe fatto esplodere la sua collega con quelle allusioni che di velato non avevano proprio nulla, insistette ancora un po’ quando vide che da parte di Rachel non arrivava nessuna risposta, solo uno sguardo infastidito. ”Piantala, che schifo!” finalmente la mano della sua socia in affari arrivò a scansare la sua con uno scatto. Ci provava a mantenere il controllo davanti alle provocazioni di Mikael, ma lui sapeva essere così esasperante da non poter fare a meno di suscitare una reazione d’ira in lei. ”Ti sopporto solo perché sei bravo nel tuo lavoro e perché sei mio amico, sennò ti avrei già licenziato per molestie, lo sai vero?” il tono arrabbiato durò pochi istanti, entrambi si lasciarono andare ad una risata liberatoria distraendo le ballerine sul palco che iniziarono a protestare a voce alta. ”Scusate, ragazze! Ce ne andiamo e poi per chi vuole c’è un po’ di Mik per tutte.” a quelle parole gli arrivò addosso una pioggia di cappelli pieni di lustrini, Mikael cercò di proteggersi con le mani ridendo a cuore aperto. ”Mi arrendo, mi arrendo!” mandò un bacio con la mano alle ragazze sul palco, poi si voltò a guardare Rachel facendole l’occhiolino. ”Lampadine, eh?”
    ”E vai!” lo sollecitò la ragazza incrociando le braccia al petto con impazienza. Mikael sollevò le mani in aria e abbandonò il campo di guerra con un sorriso divertito ad allargargli le labbra impertinenti.

    Rachel lo aveva riempito di messaggi da quando era uscito dal Rød, compra questo e anche questo visto che ci sei. Era stato costretto a prendere la macchina e a raggiungere il centro per acquistare tutte le cose che la sua socia aveva aggiunto alla lista, ad un certo punto le aveva messo dei freni, gli servivano almeno un altro paio di braccia per tutta quella roba. All’ennesimo messaggio le rispose solo ’vaffanculo, amore.’, ovviamente con uno smile vicino, non voleva di certo che lo assalisse alla giugulare al rientro dallo shopping. Sospirò uscendo dal… in quanti negozi era già stato? Aveva perso il conto, il cofano della macchina era pieno di buste di ogni tipo, quella che stringeva tra le mani era finalmente l’ultima. Da qualche lampadina era passato a prendere di tutto, persino un pacchetto di assorbenti per una delle ballerine. Era stato retrocesso a facchino, eppure una volta era certo di essere il comproprietario del Rød. Quelle accidenti di donne sapevano che avevano un grande ascendente su di lui e se ne approfittavano, il potere della vagina era qualcosa di inspiegabile per ogni uomo. Mikael doveva ammettere che anche lui aveva la sua dose di “superpoteri” quando si parlava di fascino e di portare le persone a fare ciò che desiderava, aveva una parlantina che gli garantiva il successo assicurato – questo era quello che diceva lui!
    Era quasi arrivato alla macchina, svoltò l’angolo che conduceva alla strada principale dove si era parcheggiato quasi un’ora prima, ormai. Doveva essere davvero sovrappensiero perché non vide minimamente la ragazza che gli venne addosso, si rese conto di cosa stava accadendo quando i loro corpi si schiantarono l’uno contro l’altro. Mise per sbaglio il piede su qualcosa di duro, non comprese subito che si trattava di una scatoletta di cibo per gatti. Riuscì a mantenere l’equilibrio senza finire a terra, non ribaltò nemmeno il contenuto della sua busta per fortuna, i suoi riflessi non erano poi così addormentati. Sollevò lo sguardo sulla malcapitata e si ritrovò davanti alle iridi una bellissima ragazza dai capelli chiari, Mikael indugiò con lo sguardo sul suo corpo, sfrontato come al suo solito. ”Il tuo è un gatto davvero fortunato.” un ghigno e un sopracciglio alzato. ”Ti aiuto, ammetto che non mi dispiace che tu sia così distratta, non ci saremmo scontrati.” posò a terra la sua busta e iniziò a raccogliere scatolette di cibo per gatti restituendole alla padrona. Un paio erano finite piuttosto lontane dal punto di scontro, si allontanò per prenderle, poi tornò verso la ragazza di cui ancora non sapeva il nome. ”Mikael.” indicò se stesso col dito e poi la giovane davanti a se’, una domanda muta la sua. ”A parte le scatolette ammaccate, tu tutto bene?” riprese la busta che aveva lasciato a terra e se issò dietro la spalla destra. ”Se mi fai posare questa in macchina, potrei darti una mano. Non capita tutti i giorni che ti vengano addosso delle belle ragazze.” sollevò le spalle con non curanza, come se avesse detto una cosa normalissima per una sconosciuta. Non gli importava granché dell’opinione della gente, la biondina poteva anche pensare che fosse un maniaco o un tipo fastidioso, ci era abituato e in parte se la cercava. ”E’ il tuo giorno fortunato, mi sento così buono che potrei persino offrirti un caffè. Affare fatto?” allungò la mano verso di lei con un sorriso divertito per il senso dell’umorismo del caso o forse più per il proprio…
     
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    Riley Møller
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    Aveva sempre la testa fra le nuvole, era disattenta e spesso non guardava dove metteva i piedi. Riley era l’incoerenza assoluta se si considera che, invece, sul posto di lavoro era l’esatto contrario: attenta ai particolari, sveglia e concentrata. Sembrava praticamente un’altra persona, tranne nei momenti di pausa. Ecco, in quei momenti era il solito clown che faceva battute in continuazione e combinava danni involontariamente, come quella volta che aveva rovesciato il caffè sul maglione pulitissimo e chiarissimo di Lars. Come dopo tutto questo ancora non l’avesse licenziata era un mistero. Ma Riley non si poneva troppe domande e continuava a lavorare, essendosi ormai totalmente ambientata a Besaid, anche se il suo clima un po' freddo ancora le stava stretto. Tuttavia quella cittadina per lei rappresentava un nuovo inizio, un inizio in cui non avrebbe mai sperato, non dopo essere stata mandata via da Washington. Temeva che la sua carriera fosse ad un punto di stallo e, grazie al Besaid Daily News, invece, stava procedendo, in maniera del tutto nuova ed inaspettata, ma Riley lo apprezzava. Dopotutto non è mai stata una maniaca del controllo e non va in crisi appena qualcosa prende la strada che lei non aveva programmato. A dir la verità è addirittura contenta quando qualcosa nella sua vita non va come aveva immaginato, serve a rendere meno costanti le sue giornate. Non che siano noiose, è che l’imprevedibile ha sempre un certo fascino per lei, come quello scontro appena avuto con uno sconosciuto. Piuttosto che arrabbiarsi perché qualcuno le era andato addosso -o lei era andata addosso? Poco importa- un campanello aveva trillato felice nella testa di Riley perché aveva pensato ”wow, una nuova persona con cui socializzare!”, e infatti non perse tempo a rivolgere la parola allo sconosciuto mentre recuperava da terra le scatolette per Bono Vox. Osservò il nuovo arrivato, mentre raccoglieva a sua volta tutte quelle scatolette sparse e non le toglieva gli occhi di dosso. Chiunque sarebbe stato pazzo a pensare che non era un bel ragazzo, insomma non gli mancava proprio nulla, ma ciò che attirò Riley furono proprio quegli occhi chiari che la squadrarono. Sfacciati, senza un minimo di discrezione. Avrebbe dovuto esserne infastidita, certo, ma la realtà è che Riley è convinta che, se un paio di occhi si possono comportare così, posandosi sfrontati su di lei senza alcuna maschera, allora ciò vuol dire che il suo proprietario è limpido, diretto e sincero, proprio come i suoi occhi…o almeno gli concede il beneficio del dubbio. ”Ti aiuto, ammetto che non mi dispiace che tu sia così distratta, non ci saremmo scontrati.” Riley sorride, davvero divertita. <i>So esattamente dove vuole andare a parare, pensa. Dopotutto il flirt dello sconosciuto è talmente palese che sarebbe riuscito a vederlo anche un cieco. Ma si tratta di un flirt non fastidioso, almeno non per Riley che ne è assolutamente divertita, le avesse detto qualcosa di volgare sicuramente gli avrebbe lanciato contro un paio di scatolette di Bono Vox. «A me invece non dispiace di essermi scontrata con qualcuno che mi aiuta a raccogliere tutto piuttosto che urlarmi contro, grazie.» C’è sincera gratitudine nella voce della giornalista, dopotutto non è da tutti essere così gentili, che si voglia o non si voglia flirtare con qualcuno. Mise nella busta le scatolette rimanenti che Mikael -così si presentò- aveva raccolto. «Riley! E si, io sono ancora tutta intera, Bono Vox sarà felice di vedermi tornare con il suo cibo…Bono Vox è il mio gatto.» Le viene sempre naturale specificare che il Bono in questione è il suo gatto e non il cantante degli U2 per cui, inoltre, lei ha una cotta svergognata da quando ha più o meno 13 anni. «Tu stai bene? Ad occhi e croce direi che anche tu sei tutto intero.» Anche lei lo ha squadrato, non è cieca! Tutte le sue ossa sono a posto, nessuna spalla lussata, nessun piede rotto, e tutti i muscoli perfettamente guizzanti sotto i vestiti. Mikael era sano come un pesce, era evidente! Un bocconcino che il suo gatto avrebbe divorato molto volentieri. Il gatto, non lei, precisiamolo. In fondo Riley non ha il tempo di fare quel genere di pensieri, non li faceva da tanto a dirla tutta. Ora che ci pensava, nemmeno ricordava quando fosse stata l’ultima volta che aveva flirtato con un ragazzo. Molto tempo fa, questo è poco ma sicuro. Mikael, comunque, sembrava un ottimo banco di prova per ricominciare a farlo, dopotutto non c’era nulla di male finché entrambi si divertivano in maniera consapevole. ”Se mi fai posare questa in macchina, potrei darti una mano. Non capita tutti i giorni che ti vengano addosso delle belle ragazze.” A quelle parole Riley rise di gusto. Niente da fare, la gente che non aveva filtri almeno quanto lei le stava troppo simpatica. La sua risata, divertita e non di scherno, la convinse a rompere definitivamente il ghiaccio con Mikael. «Ti prego, dimmi che dici così a tutte le ragazze che incontri, altrimenti potrei offendermi e rifiutare il tuo aiuto!» Gioca un po' su quello che è il luogo comune degli uomini che dicono le stesse cose a tutte le donne che incontrano, Riley però, la rende quasi un qualcosa di comico, qualcosa da non prendere troppo sul serio. Le bastò quella frase, poi, per intuire che Mikael era un ragazzo di pancia: faceva quello che sentiva senza badare troppo alle opinioni altrui e ci voleva un bel coraggio per essere così, in una società che ci vuole sempre omologati e trattenuti dal fare qualsiasi strappo alla regola che possa darci un minimo di sollievo in questa vita già di per sé difficile. ”E’ il tuo giorno fortunato, mi sento così buono che potrei persino offrirti un caffè. Affare fatto?”, agguantò meglio la busta nelle mani e annuì con vigore, i capelli ribelli che le andarono un po' sul viso, per fargli intendere che il suo invito a prendere un caffè era più che bene accetto. «E quando non ti senti buono cosa offriresti alle ragazze che ti vengono addosso con tante scatolette di cibo per gatti?» Domanda legittima quella, sempre contornata da un velo di ironia che ormai sembrava essere ricaduto su quell’incontro, sin dal momento dello scontro. Era facile sorridere di riflesso a Mikael, le cui labbra quando si schiudevano facevano intravedere una linea perfetta di denti bianchissimi. Il classico sorriso perfetto, quindi, al contrario di quello di Riley che era molto più scomposto. «Dove hai la macchina? Ti accompagnerei io ma sono a piedi, ma non sarei comunque d’aiuto perché di solito mi muovo con una bicicletta, mi mantengo in linea.» Alza il braccio destro e lo piega all’altezza del gomito, come a voler far vedere i suoi muscoli praticamente nulli rispetto a quelli che troneggiavano sulle braccia di Mikael. Infine, Riley, si morde la lingua per zittirsi. Parla sempre tanto, anche quando non è a suo agio, figurarsi quanto era in grado di parlare adesso che, invece, con questa nuova conoscenza si sentiva parecchio a suo agio.
     
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2 replies since 10/3/2021, 16:08   123 views
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