Dovrà pur avere un nome quella guerra che hai in testa

Xavier & Lyra || 16 Marzo 2021 || Pomeriggio

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    Era forte quel sole pomeridiano, i raggi attraversavano le palpebre chiuse di Xavier frammentandosi in filamenti e forme di luce che, scomposte, si muovevano sul retro senza una direzione precisa. Le aveva seguite per un po', ma poi anche le iridi si erano stancate e avevano lasciato perdere, ora due punti fermi, annoiati. Era insistente quella fonte di morbido calore, una lampadina inchiodata in alto nel cielo che, terso, non era attraversato neanche da una nuvola; era assillante ma l'uomo non ci badava, i pensieri un intreccio di funi sciolte e alla deriva rese velluto dall'alcool ingerito, la bottiglia di bourbon a metà sul tavolino bianco, tondo come una pupilla sulla terra.
    Il cinguettio di un paio di uccelli trascinò la sua mente lontano, mostrandogli cose che solo chiudendo gli occhi poteva vedere. Lyra che cantava a bocca schiusa, il getto della doccia una miriade di punti minuscoli sulle spalle, le note che uscivano dalle labbra appena serrate appartenevano alle stesse ottave che Xavier sentiva nel suo mondo o almeno così gli pareva, col corpo nel presente e i ricordi in un passato che non aveva neanche mai vissuto davvero, un lasso di tempo costruito dalla sua penna e dalle sue parole, tra le cui curve Xavier si era adagiato tantissime volte trovandovi quello che cercava. Appagamento, riconoscimento, potere, in netto contrasto con la frustrazione che da ogni dove gli veniva punzecchiata, provocata, come tante dita che irritano pelle già graffiata. Beatrice che gli si negava e spingeva per il divorzio, le lettere che sulla tastiera suonavano sempre meno armoniose e più sterili, incapaci di susseguirsi per formare il romanzo che l'avrebbe reso ricco, la malattia che piano piano gli portava via il padre e che, come la spada di democle, per ragioni genetiche pendeva come un incognita sulla testa di Xavier. In quei momenti e durante tutti quegli anni, Lyra era l'unica pausa dal tormento, l'unico respiro nelle ore di apnea, e poco importava che non fosse reale: certe volte gli sembrava la cosa più vera che avesse. Non sembrava, ma c'era un equilibrio in tutto quello. Un bilanciamento che a volte si intoppava, come un singhiozzo quando cerchi di parlare, una sbandata presa in cui Xavier si perdeva talmente nella storia, talmente tanto in Lyra da perdersi per qualche giorno, a volte intere settimane, ala fine delle quali risorgeva e giurava: mai più. Non sembrava ma c'era, quel contrappeso tra perdersi e ritrovarsi, solo che poi era tutto finito. Paradossalmente proprio quando tutto era diventato più reale che mai.
    Da quando infatti Lyra era apparsa nella sua vita per davvero, Xavier non aveva più avuto un qualcosa a cui tornare che non fosse lei, che da allora non solo gli abitava la mente ma, anche, ogni ora di ogni giorno. Bisognava che trovasse un altro tipo di equilibrio, ma a lui non dispiaceva averla attorno anzi, non era mia stato così felice in vita sua. Se non fosse stato per la bugia fra loro, se non fosse che a volte gli sembrava più lontana che mai, impossibile da avere ora che non era più sotto il suo controllo, ora che Xavier era solo Xavier e non il protagonista misterioso di una sua storia.
    Equilibrio equilibrio equilibrio. Come lo trovo questo cazzo di equilibrio, pensò azionando i muscoli del collo per la prima volta in quasi venti minuti, spostando il peso della nuca in avanti per far atterrare il ponte nasale tra il pollice e l'indice della mano destra, un pizzico tentato per scacciare via i pensieri, oltre che l'emicrania. Neanche per quel movimento aprì gli occhi, Xavier, l'altra mano che tastava alla cieca davanti a sé, sul tavolino rotondo, fino a quando le dita non urtarono il bicchiere facendolo tentennare. Lo sollevò con un gesto fluido, legno aria labbra senza interruzioni, e la fine di quel liquido attraversò la lingua come con un ponte di papille filiformi che collegava l'esterno all'interno. Allora abbandonò di nuovo il bicchiere ormai inutile sul tavolo, rilassandosi di nuovo in una postura un po' stravaccata, il dietro della nuca rasata contro il bordo dello schienale, gli occhi due palpebre ancora chiuse rivolte verso il cielo. Era strano trovarsi lì da solo, in quella parte del parco troppo curata per farsi chiamare bosco ma lì vicino, tanto che a pochi metri gli alberi si infittivano e la flora prendeva il sopravvento sull'architettura urbana, su sedie, panchine e tavoli che cessavano di esistere. Era lì che si erano incontrati per la prima volta in quel mondo, al tempo tutto era coperto da uno strato di neve spesso qualche centimetro e, sebbene apparisse diversissimo, era impossibile per lui dimenticare.


    Era un po' come fosse il loro inizio, pensò e gli venne fuori una risata tirata. Qualunque cosa voglia dire. Si era immaginato una fine diversa, Xavier, che al momento in loro vedeva un punto e a capo impossibile da tirare su. Era l'alcool a condurre il gioco di quei lugubri pensieri, ma il fatto che Lyra avesse deciso di andarsene da casa per andare a vivere con un altro tizio beh, aveva buttato Xavier sotto a un treno in corsa.
    Fu solo quando il meccanismo della fontana si azionò per trasformarsi in quel famigliare rumore che Xavier aprì gli occhi, nuvole che ne guardano altre in alto nel cielo. Prese un grande respiro come sotto sforzo, spostando il capo verso destra per lanciare uno sguardo verso quella fontana che ogni giorno alla stessa ora si animava, persino di inverno. Era un complesso ben studiato, cinque o sei buchi nel terreno su una pedana di marmo grigio che spruzzavano in alto piccole colonne d'acqua fra le quali i bambini amavano rincorrersi d'estate. Era troppo presto per quello però, sebbene le giornate si stessero mitigando non c'era quasi nessuno lì, a parte una coppia che a qualche metro di distanza di baciava su una panchina. Si era premurato di sedersi dando loro le spalle, Xavier, a cui faceva male persino guardarli. Non si era aspettato di alzare la nuca e vedere altro che gli spruzzi come pistole ad acqua puntate contro il cielo, eppure qualcos'altro entrò nel suo campo visivo con la potenza di un fulmine. Lyra se ne stava davanti la fontana e lo guardava, o forse guardava lo spettacolo d'acqua e Xavier non se ne era accorto, colto alla sprovvista dall'essere stato trovato lì. Hai lasciato il tuo ragazzo a casa? Si tirò su a sedere più dritto distogliendo lo sguardo da lei, le suole delle scarpe ora piantate a terra come radici che entrano in profondità. Schiocò la lingua sul palato, inumidendosi le labbra mentre versava altro liquido nel bicchiere. Era troppo brillo per sentirsi in colpa fino in fondo, anche se sentiva il sentimento sbirciare nell'anatomia del suo cuore. Non voleva credere che potesse stare con quel tipo, Erik, ma invece di chiedere Xavier preferiva logorarsi nella tristezza e spezzarsi il fegato. Come mi hai trovato? Chiese allora tornado a guardarla, mentre con la mano spingeva il proprio bicchiere verso di lei, l'unico che aveva, un invito a farla bere se avesse voluto. La verità è che sperava che Lyra fosse arrivata lì spinta dallo stesso ricordo che aveva portato i passi di Xavier a fermarsi alle pendici del bosco, quello delle innumerevoli volte che proprio lì si erano seduti a guardare il gioco d'acqua che la fontana creava. Alla stessa ora ogni giorno. Era una cosa loro, un piccolo rituale che si trovavano a compiere spesso, come un punto fisso che non cambiava mai nel caos delle loro vite. Un po' cos'era Lyra per lui, anche se lei ancora non lo sapeva. Se ne era andata in fretta, o così gli piaceva credere deformando la realtà delle cose avvenute, perché era più semplice forse deprimersi piuttosto che accettare i fatto di non averla saputa trattenere meglio, di non aver neanche lottato bene per questo. Nonostante erano mesi che lo preannunciava, a Xavier sembrava se ne fosse andata da un giorno all'altro, lasciandolo solo come se non avesse più bisogno di lui. Scusa Lyra, sono ubriaco. Si sistemò sulla sedia, un leggero sorriso sulle labbra che si alzò senza però riuscire a raggiungere i grandi occhi azzurri, come al solito sempre un po' ombrosi. Dire cose cattive e scusarsi, la storia della sua vita. Come stai? È successo qualcosa? Incalzò a chiedere, come se credesse di essere cercato solo quando aveva bisogno di qualcosa da lui. Si era allontanato, Xavier, infrangendo la promessa tra loro che li aveva giurati uniti nonostante il trasloco. Tanto ci vedremo spesso comunque, no? Si, spesso. Parole scambiate per non far suonare quello come un addio, e perché avrebbe dovuto esserlo? Se solo non fosse stato così geloso e insicuro l'avrebbe capito anche Xavier, che lasciarla libera non significava perderla per sempre.

    Edited by Dead poets society - 4/12/2021, 12:18
     
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    Lyra Melodie Mayfair
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    Il vento della notte aveva allontanato le nuvole che macchiavano il cielo scuro, lasciando all’indomani un azzurro limpido quasi accecante. Giornate terse che insieme alle nuvole allontanavano le preoccupazioni, come fossero state spazzate via anch’esse dal vento. Lyra amava quelle giornate, che le mettevano addosso una strana energia e la voglia di non fermarsi mai nonostante la stanchezza del trasloco. Era stato strano allontanarsi da quella piacevole routine che si era costruita intorno a lei da quando era arrivata in quella città. La vita con Xavier era l’unica certezza che la accompagnava, come una mano salda, pronta a stringersi stretta nella sua nei momenti di insicurezza, pernio saldo per non vacillare. Eppure non poteva lasciarsi intrappolare dalla sua stessa paura dell’ignoto, non poteva legare la vita di una persona alla sua in modo così prepotente. Non dormiva, poteva vederlo da quello sguardo cupo e accentuato dalle occhiaie, non riusciva a lavorare, disturbato dalla sua presenza insistente nella casa e nonostante Lyra non potesse sapere che i motivi reali erano altri, nella sua mente si era instaurato un tarlo che, scavando a fondo la faceva sentire in difetto verso l’uomo, riuscendo a notare soltanto gli aspetti negativi della sua presenza in quell’appartamento troppo piccolo per essere due coinquilini. Ho trovato un lavoro, finalmente. Qualcosa di stabile che potrà permettermi un affitto gli aveva detto, dopo aver scoperto la realtà di quel club segreto nel quale iniziò a lavorare. Passò del tempo, prima che trovasse il coraggio di andarsene da quell’appartamento e la spinta le fù data da quello che sarebbe divenuto il suo attuale coinquilino. Erik Mathias Andersen si era trovato alle perse come lei, abbandonato da quell’assoluta certezza che da sempre gli era stato affianco. Due strade che avevano sempre corso parallele ma che oggi si erano trovate davanti ad un bivio che li aveva divisi, quei due migliori amici che condividevano tutto. Una coincidenza astrale particolare, quella di queste sue piccole calamite che si erano avvicinate con storie simili e che poi, si erano unite in quell’avventura che li aveva portati a scegliere una casina minimal tra l’inizio del centro e la periferia. Un posto carino ed accessibile per le tasche di due artisti che, dovevano alle volte campare di aria. Insieme al trasloco, si era ripromessa di non cadere nuovamente nel turbinio delle incertezze. Aveva deciso di di non farsi più domande a quella realtà straniera che l’aveva circondata da quando si era risvegliata insanguinata nel bosco. Un tacito accordo con sè stessa, quello di accettare il momento e di stabilizzarsi, prima di tornare nuovamente a scavare in quella realtà che avrebbe potuto farle male.

    Era un assassina, oppure era tutto frutto di un brutto sogno e di quelle strane particolarità che le avevano cancellato la memoria?

    Le mancava Maverick, quel giorno più del solito. Impegnata davanti all’armadio che stava cercando di sistemare, con quei capi di abbigliamento che aveva finalmente potuto comprare senza sentirsi in colpa, le era capitata tra le mani la t-shirt che l’uomo le aveva prestato la prima volta che si era risvegliata nel suo appartamento. Era bianca e profumava ancora del bucato che inglobava tutto l’appartamento dell’uomo quando veniva stesa la lavatrice. Un odore familiare e piacevole che aveva risvegliato in lei ricordi di settimane passate. Tienila, le aveva detto Xavier mentre la osservava distrattamente fare le valigie. Grazie le aveva detto lei, stringendo appena la maglia al corpo e piegandola poi con attenzione per riporla nella sacca. In sottofondo, la musica riempiva il silenzio che era calato tra i due.
    Dove sei? aveva digitato sul suo telefono, nella chat whatsapp che segnalava la ricevuta del messaggio da parte dell’uomo, ma non la lettura. Ti va di prendere un caffè insieme? aveva aspettato una decina di minuti, prima di inviare quel secondo messaggio. Aveva voglia di vederlo, di passare un po’ di tempo con lui perché gli mancava più di quanto avrebbe potuto immaginare. Ho voglia di vederti aveva digitato, ormai qualche ora dopo i primi messaggi inviati e ai quali l’uomo non aveva risposto. Canc. Aveva cancellato quel messaggio, bloccando il telefono per appoggiarlo poi sul tavolino del soggiorno. Erik era uscito con Ophelia, quindi Lyra era da sola nel loro appartamento dai colori del bianco e del grigio taupe, scaldati dal colore del legno e del ferro naturale. In esposizione nel soggiorno, la chitarra che il giovane musicista si portava sempre dietro e che stava provando ad insegnarle. La prese, strimpellando qualche nota intonata per poi, combinare un disastro quando si mise a provare una composizione più complessa. Non era dell’umore giusto, Xavier le stava rabbuiando quella giornata che era iniziata nel migliore dei modi. Non sentirlo, il fatto che la stesse ignorando la stavano infastidendo e rendendo insofferente. E se era successo qualcosa? Provò a chiamarlo, ma non ricevette ancora una volta risposta. Si alzò di scatto dal divano, per dirigersi nella camera dove prese un vestito che indossò velocemente, prima di andare in bagno per darsi una sistemata con un trucco leggero.
    Doveva uscire, o sarebbe impazzita.

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    La porta verde scuro dell’appartamento dello scrittore rimase chiusa anche dopo le molte bussate violente che Lyra aveva scagliato su questa. Come se bussando, avesse potuto risvegliare l’uomo più del suonare il campanello molto più rumoroso. Xav sono Lyra! aveva continuato imperterrita, divenendo sempre più preoccupata per lui. Forse non era stata una buona idea separarsi, aveva pensato fra sè e sè, mentre il cuore continuava a prenderle in modo sempre più prepotente nel petto, fino a sentirlo forte in gola. Signorina Lyra, Xavier è uscito questa mattina presto e non è ancora rientrato a casa. Aveva detto infine un vicino, quello con il cagnolino vecchio e spelacchiato quanto lui che ricordava tanto la scena iniziale della carica dei 101. Sa dove è andato? chiese, consapevole che sarebbe stato impossibile, sia perché non aveva senso che l’uomo lo sapesse, sia perché Xavier era così restio a parlare di sè stesso. Forse non le voleva rispondere, le ripeteva una vocina nella sua testa. Era arrabbiato con lei o semplicemente, si stava finalmente facendo una vita senza la sua presenza persistente. Il pensiero la disturbò, così tanto da chiuderle lo stomaco e farle tornare in gola quel poco cibo che aveva ingerito nel tragitto tra la sua casa e quella dell’amico.
    Non le piaceva quella sensazione, per niente.
    Bastardo figlio di puttana pensò, mentre si girava su se stessa alla ricerca di buoni motivi per non essere arrabbiata con lui per quella sparizione. Sapeva di non dover pretendere niente, eppure le era impossibile non avere pensieri contrastanti su di lui: paura, rabbia, preoccupazione, nervosismo, mancanza. Piccole sfere luminose che aleggiavano nella sua mente interscambiandosi tra loro alla velocità della luce. Se qualcuno l’avesse analizzata in quel momento, probabilmente avrebbe deciso di metterle una camicia di forza. Prima il panico che Xavier si fosse fatto del male, che gli fosse successo qualcosa di grave per cui non poteva risponderle. Poi quello per cui era arrabbiato con lei e non voleva risponderle, senza affrontare il motivo di quella rabbia è semplicemente ignorandola. Poi quello della libertà riconquistata, che l’aveva reso nuovamente libero di poter fare quello che voleva, con chi voleva. Forse quell’ultima opzione, era quella che più le faceva contorcere lo stomaco.
    Doveva andare via di li, o avrebbe sfondato la porta.

    Allontanandosi da quelle abitazioni, il verde scuro del portone blindato si faceva sempre più cupo, come l’umore della ragazza che non riusciva a migliorare. Aveva preso a camminare per la città sovrastata dai pensieri. Non riusciva a mettere a fuoco l’ambiente intorno a lei, come se fosse stata catapultata in una realtà parallela. Si accorse di essere arrivata al parco alle pendici del bosco, solamente quando il rumore della fontana si azionò risvegliandola dai pensieri e rischiando, di annaffiarla da capo a piedi - fortunatamente le erano arrivati soltanto alcuni schizzi. Si scansò di riflesso, maledicendo la sua disattenzione prima di rivolgere i suoi occhi in direnzione retta. Poco lontano da lei, seduto su di un tavolino con una bottiglia di liquore davanti, Xavier si lasciava andare al vortice della malinconia mista ad una grande ebbrezza di alcol. Erano nel loro posto. Il cuore le fece un balzo nel petto, donando un ritmo più tachicardico. Stava bene, era vivo e non era in compagnia di nessuna donna. Ma allora perché non voleva parlarle? Perché non voleva vederla?
    Strano come in balia delle emozioni era stata portata lì, inconsapevole di quel percorso che aveva appena compiuto con i suoi stessi piedi. Come una barca in balia delle onde, lei era tornata al suo porto sicuro, senza allontanarsi dalla costa. Fece un bel respiro, prima di avvicinarsi a lui, che brillo aveva iniziato a parlare incespicando nelle sue stesse parole.
    Non sapevo di avere un ragazzo rispose lei, piuttosto piccata per quella fuoriuscita dello scrittore. Era arrabbiata con lui perché non le aveva risposto, perché l’aveva fatta preoccupare in quel modo e l’unica cosa che gli veniva in mente di dire, era quella idiozia. Come mi hai trovato? chiese ancora, continuando a maneggiare quel liquido ambrato che contrastava con il tavolino in ferro bianco Sei un emerito coglione! Ti sto cercando da stamattina, ti ho mandato venti messaggi e fatto altrettante chiamate! lo accusò senza prendere fiato Sono venuta perfino a cercarti a casa per paura che ti fosse successo qualcosa e tu dove eri? Qui a ridurti in questo stato! la voce le tremava dalla rabbia, il sangue le ribolliva nelle vene fino a raggiungere il volto che aveva preso un colore contrastante con la sua pelle diafana. Stringeva i pugni Lyra, mentre si rivolgeva all’uomo che probabilmente non era neanche in grado di capire la sua preoccupazione, mentre le porgeva l’unico bicchiere in suo possesso. Lo prese, versandolo a terra con rabbia. Io credevo che ti fosse successo qualcosa.. che tu.. tu fossi arrabbiato con me o che … non continuò la frase, perché era troppo da dire. Lo osservò negli occhi, colpevolizzandolo per quelle pessime sensazioni che le aveva fatto provare, lei che non era troppo abituata a preoccuparsi di qualcuno se non di sua madre. Scusa Lyra, sono ubriaco. Lo osservò ancora con rabbia, mentre dall’alto della sua posizione eretta lo pregava - senza dirlo - di smettere di bere. Come stai? È successo qualcosa? domande come una fuga per scappare dall’imbarazzo della situazione, della cazzata fatta. Non mi basta la scusa dell’essere ubriaco, non va bene così incalzò lei, senza rispondere alle domande che le aveva fatto, erano superflue in quel momento. Facciamo due passi, magari ti riprendi un po’ lo incitò. Non era una domanda la sua, era un ordine. Non le importava se fosse brillo, ubriaco o come diavolo ammettesse di essere. Voleva semplicemente farlo muovere per cercare di fargli smaltire la sbornia, farlo spostare di lì perché aveva bisogno di parlare con lui di cose non superflue. Inoltre non nè poteva più Lyra, di avere a che fare con persone sempre ubriache, incapaci di prendere in mano le situazioni e risolvere i problemi. Lo aveva già vissuto con suo padre e non aveva intenzione di viverlo nuovamente con lui. Eppure il Signor Mayfair, era semplicemente un prolungamento della piuma di Xavier e forse, in lui vi erano più caratteristiche in comune di quante Lyra avrebbe voluto.
    Porse il braccio verso lo scrittore, aiutandolo a trovare il giusto equilibrio per stare in piedi. Riusciva a camminare meglio di quanto Lyra avrebbe voluto sperare e non appena si assicurò di averlo alle spalle, la giovane donna prese a camminare, prima verso la fontana, poi verso il bosco. Credo che un po’ di acqua fresca possa tornarti utile ammise, aspettandolo mentre lo aiutava a bagnarsi i polsi ed il viso con un po’ di acqua gelata. Un brivido lo travolse, potette vederlo mentre non riusciva a scollare gli occhi da lui. Era così maledettamente felice di vederlo, nonostante fosse tanto arrabbiata. Non farlo mai più disse, girandosi di fronte all’uomo, con il volto ancora bagnato da quelle goccioline trasparenti. Occhi negli occhi, per la prima volta da quando si erano visti quel giorno. Azzurro nell’azzurro, sfumature diverse delle stesso colore. Mi hai fatta preoccupare ammise, facendo un passo verso di lui, afferrando il calore del suo corpo che era stato baciato dal sole. Era alto Xavier, più alto di lei e la sua testa arrivava ad appoggiarsi perfettamente sul petto dell’uomo, nel quale sentiva il cuore, battere ad una velocità simile alla sua.
    Non ho riletto.
    L’ho scritto in spiaggia.
    Ciah <3
     
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    Non riusciva ad essere felice e non capiva il perché. Non ricordava neanche l'ultima volta che lo era stato, stato per davvero, nella maniera semplice e naturale causata dalle cose che contano. Era successo mai? Forse da bambino, quando il padre era ancora in grado di distinguerlo e riconoscerlo e passavano i pomeriggi a leggere i caratteri sui francobolli sbiaditi sulla veranda, davanti a una grande caraffa di limonata aspra che solleticava le gengive e raggrinziva la lingua. Anche con Beatrice c'era stata felicità, era durata pochissimo ma i primi mesi erano stati inondati da un sole caldo che scalda le ossa. Se c'era, per Xavier la gioia non persisteva mai troppo a lungo, come se avesse fretta di andarsene, di passare al prossimo fortunato. Forse colpa di tutti i libri che divorava, l'uomo aveva però sempre creduto che, al di là della nebbia pesante della tristezza, c'era la luce ad aspettarlo: bisognava solo attraversare quelle paludi infernali. Era sempre andato avanti così, spinto dall'ostinata convinzione che non potesse essere tutta lì la sua vita, doveva trattarsi di di più, e quel di più per lui era come un'ossessione: l'amore. Nonostante tutte le delusioni e le tante parole fine ricevute era sicuro, non poteva restare solo per sempre, la persona per lui esisteva, solo che a starsene in quel buco di città non l'avrebbe mai trovata. Ma poi si era ricreduto in entrambe le circostanze, perché l'arrivo di Lyra in quel fazzoletto di terra sperduto nella neve gli aveva fatto pensare d'averla trovata. Un incontro insperato, quasi un miracolo, una di quelle cose che non capiteranno mai più, mai altrove.
    Sbagliato di nuovo, sbagliato doppiamente. Non ce la faceva più, perderla l'avrebbe rovinato fino alla fine, fino a quando non sarebbe rimasto più nulla di lui. E cosa faceva lui? Come al solito accettava, restava immobile, non lottava anzi, alle volte scappava pure. Faceva lo stesso con Beatrice, non voleva arrendersi e lasciare davvero la presa ma aveva comunque troppa paura di fare davvero un passo, di combattere. Preferiva di gran lunga isolarsi nell'alcool e nella commiserazione, armature che gli si addicevano sicuramente più del coraggio. Quando la vide, il cuore, la mente e forse altri organi di Xavier arrestarono la loro normale funzione per prendersi una pausa, qualche secondo per guardarla come se non l'avesse mai vista prima, colto di sorpresa e con gli occhi velati dall'alcool. Quello con cui hai deciso di andare a convivere. Rispose pacatamente, le parole faticavano a uscire senza incespicare l'una sull'altra. La osservò dal basso, concentrando l'attenzione sul modo in cui i capelli cadevano piegandosi sulle spalle e l'agitarsi nervoso delle mani, quasi volesse prenderlo a pugni ma si sforzasse di trattenersi. Sembrava arrabbiata e preoccupata insieme, era ancora più bella così. Inarcò leggermente le sopracciglia quando la sfuriata lo colpì, uno schiaffo in viso, corpo e un po' ovunque. Era confuso mentre tirava fuori dalla tasca della giacca il telefono per scoprirlo spento, come se avesse perso una gran fetta della giornata senza accorgersene e solo ora ne ricostruiva pochi frammenti. È spento. Ammise come se la cosa lo stupisse. Da quanto tempo era lì? Spinse il tasto di accensione e dopo pochi secondi l'aria venne riempita da un trillo perpetuo, la miriade di messaggi e chiamate di cui parlava Lyra e che lui aveva perso. Lesse di un paio la prima riga ma poi smise, le lettere digitali si confondevano davanti ai suoi occhi dandogli la nausea. Si pentì subito di averla attaccata a quel modo. Scusa, devo averlo spento prima senza rendermene conto. Vedi però? Sto una meraviglia, niente di cui preoccuparsi. Aprì le lunghe braccia, che ricaddero poco dopo per la lunghezza dei fianchi. Tuttavia, quando Lyra continuò il suo sfogo accusatorio rompendo addirittura il bicchiere per terra, qualcosa nell'espressione di Xavier si indurì e le sopracciglia si contrassero insieme alla mascella, dando al modo di guardarla una sfumatura più dura, meno colpevole. Non va bene così perché, esattamente? Iniziò a denti stretti, si protese anche in avanti con un gomito poggiato sul taovlino tondeggiante. Non sei mia madre né tantomeno la mia ragazza, sono un uomo adulto e se voglio ridurmi così, mi riduco così. Odiava le scenate, anche se non c'era nessuno nei paraggi, anche se fossero stati soli a casa, ma purtroppo le donne come lei quella cosa non riuscivano proprio a capirla, come se dare in escandescenza fosse un tratto caratteristico del loro genoma. Ancora un po' accigliato dalla sgridata, Xavier dovette però ammettere che fosse arrivato il momento di riprendersi almeno un po', quindi rimase zitto e si lasciò aiutare annuendo leggermente in favore della sua proposta. Fu un bene che gli fosse al fianco perché, una volta in piedi, si rese conto che da solo non sarebbe mai riuscito a sostenersi tanto era ubriaco. Si schiarì la voce, era visibilmente imbarazzato mentre avanzava piano verso la fontana, a quanto pareva c'era una piccola parte ancora sobria in lui che lo faceva vergognare della sua condizione. Con l'acqua su polsi e viso, l'uomo trasse un respiro: il freddo gli aveva dato una scossa potente che, seppur senza vanificare la sbronza, quantomeno servì a svegliarlo un po' e a fargli passare l'incazzatura nei confronti di Lyra. Ah no, per quello bastò sentirla contro i fianchi e il petto, mani intorno alla vita e testa poggiata all'altezza del cuore. Inizialmente Xavier si irrigidì, succedeva sempre, succedeva perché, a discapito delle apparenze, il contatto femminile non era qualcosa di abitudinario per lui. E poi si trattava di Lyra, la sua Melody. Quante volte aveva immaginato un momento del genere? Deglutì, il pomo d'Adamo alto e sporgente, riuscendo a rilassare le spalle solo nel momento in cui decise di stringerla in un abbraccio. Le goccioline d'acqua scivolavano dai suoi zigomi nei capelli di lei senza far rumore. Scusa. Ripeté, stringendo la presa, le dita della destra iniziarono a muoversi piano per un tratto ristretto lungo le sue vertebre che, impossibile ma vero, gli sembrava di sentire attraverso i vestiti. Si allontanò leggermente con il busto e il movimento la costrinse a fare altrettanto, a sollevare il capo per guardarlo di nuovo negli occhi. Si sentiva incredibilmente sveglio tanto da credere che non avesse mai bevuto, eppure solo l'alcool poteva dargli il coraggio di fare quel che stava per fare. Districò le mani che dalla colonna vertebrale si posarono sul suo viso, con i pollici che le accarezzavano piano la pelle. In quel modo avrebbe voluto spianarle la preoccupazione dagli occhi e dagli angoli della bocca, ma quello che poteva fare era solo cedere finalmente all'istinto e avvicinare le labbra alle sue. La cercò immediatamente con la lingua, stringendo la presa sul suo viso col passare dei secondi in cui quel bacio si dilatava, diventando sempre più infervorato. La voleva, lì, in quel momento. La voleva con ogni fibra del suo essere e glie lo disse, le disse proprio così o forse lo immaginò solamente, difficile a dirsi. Fatto sta che le mani si staccarono da lei per iniziare a sfilarle dalle spalle il giacchetto primaverile, solo per rendersi conto in un successivo momento di trovarsi nel terreno pianeggiante nel bel pezzo di un parco frequentato da famiglie e bambini. Ma c'era un bosco a pochi metri da loro, Xavier lo sapeva senza aver bisogno di guardare e porre fine a quel contatto che sperava durasse all'infinito. Poteva farcela, era davvero vicinissimo. Allora si distanziò, quel tanto che bastava a sussurrare piano sulla sua bocca. Andiamo. Non aveva aperto gli occhi, non ancora, sperava che così facendo la magia non si rompesse. Afferrò la mano di Lyra. Ma quando fu costretto ad alzare la palpebre, Xavier quasi si sorprese nello scoprirla ancora lì. Iniziò a camminare verso gli alberi con Lyra al suo fianco, se avesse voluto seguirlo. Gli fu difficile non mettersi a correre o non baciarla in quei pochi passi, e le si spinse contro non appena furono al riparo delle fronde. Poggiò la fronte contro la sua respirando già più rapidamente contro le sue guance. Ho davvero bisogno di questo. Di te. Ammise chiudendo gli occhi, colmando poi quasi subito la distanza tra loro. La spinse ad indietreggiare mentre ancora la cercava con le labbra, e si arrestarono solo quando le spalle di lei batterono contro il tronco rugoso di un albero. Con le mani si infilò sotto i suoi vestiti, e un brivido di piacere lo investì nel sentire per la prima volta la pelle calda del suo addome sotto le dita.
     
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    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: [sesso].
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico. Le azioni descritte non sono ad ogni modo condonate e sono diretta responsabilità creativa di chi ha realizzato tali contenuti.


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    Lyra Melodie Mayfair
    '89 | cantante | scudo

    La solitudine era una cosa che aveva imparato a sperimentare presto Lyra. Imparare a conviverci, era una cosa che invece non era mai riuscita a fare. Aveva sempre odiato la solitudine, quel piccolo nodo nel petto fatto di cose che non riusciva a capire e che, non aveva la minima idea di come fare a sciogliere. Troppo presto si era posato su di lei, che non era abbastanza preparata per convivere con il vuoto. Con il tempo, avrebbe capito che non lo sarebbe mai stata, pronta, perché ogni volta quel vuoto assumeva sfaccettature diverse e non vi era un unico comportamento da mostrare.
    Aveva uno sguardo malinconico fin da bambina, uno sguardo che sapevano leggere soltanto gli adulti e che Lyra, cercava di nascondere agli altri bambini con i suoi sorrisi migliori. Negli occhi però, si poteva vedere quel velo che li faceva apparire più grigi di quanto in realtà non fossero. Si sentiva sempre così sola: i suoi genitori non le sapevano volere abbastanza bene, non ne erano capaci nella disgrazia del loro essere così piccoli. Gli amici spesso non c’erano, la guardavano dall’alto al basso definendola per il modo in cui i Mayfair osavano vivere. Gli amanti, quelli in grado di scaldare il suo letto e le sue giornate, erano forse le persone che più erano riuscite a colmare la sua solitudine, con un affetto fittizio, qualcosa che non sarebbe mai durato nel tempo. Poi, quando era divenuta Melodie, c’era stato il successo che l’aveva travolta, insieme all’affetto delle persone che la circondavano. Ma ben presto aveva dovuto fare i conti anche con quello: le volevano veramente bene, oppure gli faceva semplicemente comodo? Quella domanda la tormentava, tanto che perfino anche il suo agente si era accorto che qualcosa non andava Non lo capisci? Stare da sola è bello ammise lei sospirando mentre seduta al ristorante, osservava le sue mani giocare tra di loro, stuzzicandosi le pellicine ma non essere sola continuò, velando i suoi occhi di quei pensieri.
    Xavier era stata la prima persona a colmare quel vuoto, giorno dopo giorno aveva aggiunto al suo cuore un calore che non aveva mai provato prima. In quei mesi in cui l’aveva ospitata, era stato certezza per lei. Sensazione che portava dentro di sé, nella mente e nell’anima. Era una tregua a quella malinconia che aveva cercato sempre di affondarla e quando era sparito in quel modo, l’aveva spaventata o per meglio dire, terrorizzata. Un’emozione esagerata forse, ma qualcosa che non poteva certamente controllare e che la mandava in confusione. Non era una persona particolarmente gelosa, non lo era mai stata perché non ne aveva avuto bisogno. Eppure con lui, le si attivava un senso di protezione e appartenenza che lei stessa durava fatica a riconoscere, come se una parte di lei fosse indissolubilmente legata all’uomo. Un filo di Arianna che non si sarebbe mai spezzato da qui all’avvenire. Non lo sapeva Lyra, ma c’era una spiegazione: lei era e sarebbe sempre stata parte integrante di Xavier, parte della sua storia e della sua anima.

    Aria, le aveva nuovamente riempito i polmoni quando la prospettiva davanti a lei le aveva disegnato il profilo dell’uomo. Il cuore aveva ripreso a battere con un tono cardiovascolare più normale e l’angoscia, l’aveva abbandonata per essere sostituita dal fastidio che le provocava l’assenza di lui nella sua vita. Aveva ascoltato le sue parole, le sue pessime scuse arrabattate da un cervello confuso dall’alcol. Molto alcol in realtà. Era stanca di quelle scene, le aveva viste così tanto volte che perse completamente il controllo su sé stessa. Reagì male, molto male nei suoi confronti perché non voleva che l’ennesima persona a cui teneva si lasciasse consumare così. Tristezza che si fermava come un nodo alla gola da sciogliere bevendo, perché l’alcool era l’unica cosa che riusciva ad allentarlo. Lo sapeva Lyra ma non riusciva a concepirlo, non quando aveva sofferto così tanto a causa di persone inebriate. Eppure l’accusa di Xavier l’aveva colpita in pieno, facendola sentire in difetto nei suoi confronti. Aveva ragione, chi era lei per dirgli come comportarsi? Forse, solo una persona che gli vuoleva molto bene e che teneva a lui, che non voleva vederlo ridotto in quella condizione che gli faceva solo male, seppur apparentemente sembrasse alleviare il tormento. Ma preferì tacere, lasciandosi andare tra quelle braccia che altre volte avrebbe voluto riempire in quei mesi fatti di sguardi silenziosi e nascosti da parte di entrambi. Era sempre stata maliziosa Lyra, decisa su come comportarsi con gli uomini ma con lui, era diverso. Era come se le importasse il suo giudizio come non era successo con altra persona alcuna ed un diniego, l’avrebbero ferita tanto da farla restare un passo indietro. In quel momento però, tra le sue braccia, aveva trovato una pace che raramente le aveva fatto da padrona. Il respiro di Xavier su di lei, la inebriava tanto quanto l'odore dell’alcolico che aveva bevuto. Era forte ma piacevole al contempo, come le parole di scusa che arrivarono questa volta più dolci, pacate. Se avesse potuto, avrebbe voluto fermare il tempo in quel calore che piacevolmente l’avvolgeva e la rendeva parte di un qualcosa. Le mani di lui che adesso avevano raggiunto il suo volto, con un tocco gentile ma anche desideroso di un contatto, tanto quanto lo desiderava lei. Poi prese coraggio Xavier, quella spinta che avevano represso in quei mesi e che se non fosse arrivata da parte sua, probabilmente sarebbe arrivata da parte di Lyra che desiderava baciarlo da quando le si era avvicinato così. Non si tirò indietro anzi, colmò quella minima distanza che era rimasta tra loro buttando le sue braccia dietro al suo collo, sfiorando quei capelli rasati sotto che lo rendevano terribilmente affascinante, con quel look anni ‘20. Voleva sentirsi mancare il fiato, talmente coinvolti erano i loro baci dal gusto di passione, un gusto che gli creava dipendenza e che gli faceva dire dammene ancora. E nessuno dei due voleva rinunciare a cercarne altri, più emozionanti, più intensi tanto da cercare una privacy che in mezzo a quella piccola piazzetta nel parco, non potevano trovare.
    Gli aveva chiesto di seguirlo, seppur non ce ne fosse stato alcun bisogno perché in quel momento, Lyra si sentiva legata a lui come se l’uomo fosse la sua stessa aria e senza di lui, non potesse più riuscire a respirare. Si fece trasportare in quel bosco dove le loro mani, le loro labbra, i loro corpi si cercavano coinvolti ed attratti. Ho davvero bisogno di questo. Di te. Quella confessione che la fece infervorare di passione ancora di più, eccitare come se nulla avesse più dovuto dividerli. Dispersi in quell’angolo improbabile di paradiso si, in quel momento anche le fronde degli alberi sembrano essere magia, a creare quel nascondiglio intimo di cui avevano proprio bisogno, Lyra sentì il bisogno di diventare sua, tanto quanto lui aveva bisogno di lei. Voleva appartenere a qualcuno come non le era mai capitato, voleva che lui la facesse sua senza tanti fronzoli ma possedendola come solo due amanti folli potevano fare. Non le importava il luogo, non le importava che qualcuno potesse vederli, in quel momento erano soltanto Lyra e Xavier, Maverick e Melodie. Due corpi che si appartenevano e che avevano bisogno di toccarsi l’un l’altro, eliminando quella stoffa che era soltanto d’ingombro tra loro. Voglio essere tua sussurrò al suo orecchio, scatenando quella sicurezza che la penetrò poco dopo avverando quel desiderio che apparteneva ad entrambi. Erano un tutt’uno, l’una parte dell’altro come lo erano stati fin dall’inizio, inchiostro su carta.

    Edited by liriel - 29/1/2022, 21:38
     
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3 replies since 28/3/2021, 20:59   208 views
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