Quest 04: Black Day

01.04.2021

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    In una situazione come quella non si sarebbe interessata a nessun altro al di fuori del proprio perimetro di esistenza ma, nell'assurdità di quella realtà, Rei si focalizzò per qualche istante in più sui visi delle due donne che le erano apparsi vicino: sembravano giovani e altrettanto provate. Per qualche istante, la donna provò della simpatia nei loro confronti. Erano due visi anonimi, probabilmente anche il suo lo era ai loro occhi, ma di fronte a quel dolore che sembrava averle connesse, si somigliavano. Nella smorfia di tristezza, negli occhi velati dal pianto o dal turbamento, nel tremore del labbro inferiore e nella voce che usciva fuori dalle bocche come un sussurro - tiepido sentore di vita che ancora apparteneva a tutte e tre, forse per poco. "Ce la fai? Sono Lys, posso aiutarti?" La donna annuì, non seppe bene se stesse rispondendo alla prima delle domande o alla seconda, ma si lasciò aiutare. "Non credo e... grazie, Lys". Mormorò, indugiando per poco sulla mano della giovane che le aveva offerto il suo aiuto: credeva di riconoscerla o forse era una irriconoscibile e profonda pulsione interiore che la spingeva a farlo. Le strinse il palmo per qualche secondo in più, voleva rassicurarla senza sapere davvero come fare, e focalizzò il proprio sguardo per qualche secondo in più sul viso della giovane donna. L'amica di Astrid... Pensò, improvvisamente illuminata da quella presenza. La voce all'interno della testa di Rei si lasciò andare per poco al pensiero dell'amica e collega: anche lei si era trovata in una situazione simile? O forse era tornata a casa, quando si erano separate? Quanto tempo era passato dall'ultima volta che aveva messo i piedi sulla spiaggia? Continuò a fumare, certa che l'estinguersi di quella piccola fiammella fosse l'unico riferimento temporale a cui si sarebbe potuta affidare. "Eccolo di nuovo." Commentò, quasi annoiata, alzando gli occhi al cielo e trovandosi costretta a chiuderli almeno un po' per non lasciare che i raggi del sole l'accecassero. Iniziò ad avvertire l'umido abbraccio delle acque raggiungerle le caviglie e, prima di essere assorbita un'altra volta dal mare, sollevò le mani in modo da raggiungere le compagne di quelli che potevano essere i suoi ultimi, penosi, attimi di vita. Posò un palmo sulla spalla di Magdalena e con l'altro sfiorò la mano di Lys, almeno fino a quando tutte e tre non vennero divise da un profondo blu e, in qualche modo, confortante.
    Ancora più stanca e confusa, trovò una certa sicurezza nel stringere fra le dita la sabbia che aveva abbandonato chissà quanto tempo fa. Quando alzò il viso, uno scenario molto diverso da quello che l'aveva accolta la notte prima stava circondando lei e tutti i malcapitati che stavano vivendo una situazione simile. Cercò con lo sguardo le uniche due figure con cui aveva condiviso gli spazi di quell'arena desolante, provò ad individuare Astrid, ma prima che gli occhi scuri potessero posarsi su qualcuno di vivo, un pungente odore di morte le scavalcò la radice del naso per piantarsi nel bel mezzo del suo cervello. Avrebbe ripreso a vomitare se solo lo sgomento non avesse avuto la meglio: un terribile scenario si aprì davanti alle sue pupille, mentre lo splendore di scie di fiori si mescolavano a pile di corpi di donne e uomini, ormai senza vita. Quell'odore emanava vampate maligne e, ad esse, si stavano unendo parole o sussurri dei superstiti. Rei era convinta che presto si sarebbero uniti anche loro a quegli ammassi mortiferi e lugubri - o sperava di svegliarsi quanto prima. "Questo è reale. Sta accadendo davvero, non lo stiamo immaginando". Aveva sentito la voce di Lys chiaramente e non poté ignorarla, arrivando a realizzare ciò che aveva già presupposto, ora con una sicurezza cristallina. Presto, abbandonato il loro ruolo di osservatori, sarebbero stati costretti ad oltrepassare la materialità della tela, entrando in quel quadro deformato, forgiato da condizioni che agivano in senso contrario alla natura. Riuscì ad essere raggiunta dai ragionamenti di Magdalena, ormai incapace anche solo di forzare le corde che la legavano, trascinandola verso quello che immaginava essere il baratro. "Noi siamo ora come le rose… Come i petali delle rose". E infine un sussurro. "Sono stati privati del loro potere.". Rei non provò a ragionare su quelle affermazioni, assorbendole in modo passivo e al tempo stesso cementandole in se stessa. Forse avrebbe dovuto partecipare a quei lamenti e avvertì una spinta dall'interno spronarla a farlo. Prima ancora che potesse realizzare di star muovendo le labbra, la voce stava già fluendo fuori dalla bocca, accompagnando verità che non credeva di conoscere. "È stato qualcuno... qualcosa. Una sola persona, a fare tutto ciò. Quei corpi, quella gente... sono morti tutti per mano di un'unica persona. Il maligno... che nessuno ha saputo fermare". Non aveva idea di chi avrebbe potuto raccogliere quelle parole, scandite in modo chiaro e serio, mentre la mente sembrava liberarsi di ogni inquietudine con ogni passo compiuto verso la fine.
    Gli ultimi due passi le permisero di annullarsi del tutto. Osservò le proprie punte dei piedi raggiungere a malapena il bordo della pedana su cui, Rei insieme agli altri otto, erano stati condotti. Più la musica si faceva intensa, più nella sua mente regnava un pericoloso e inquietante silenzio, le vibravano i timpani ma tutto ciò che poteva ascoltare era il devastante nulla che volle accoglierla. Non riuscì a domandarsi se si trattava di una forma di meccanismo di difesa, se si stesse concentrando sugli ultimi respiri che avrebbe potuto fare, proprio come aveva promesso ai genitori, o se stesse cercando nell'imperante vuoto una qualche Divinità a cui aggrapparsi. Quando, nello schiudere gli occhi dopo aver gonfiato i polmoni di quell'aria putrida e penetrante, immaginò che l'evanescente presenza di fronte a lei sarebbe bastata a calmarla. "Per favore, non resistete, altrimenti sarà peggio. Dovete fidarvi di me, più lotterete e più soffrirete." Incorniciata da capelli corvini, aleggiava attorno a coloro che presto non sarebbero diventati altro che sacrifici. Stava donando degli ultimi attimi di conforto a chiunque potesse raggiungere e, in quella compassione, Rei trovò il modo per ammorbidire gli ultimi spigoli d'incertezza: se nel morire si sarebbe potuta affidare a lei, immaginava di poterlo fare in serenità. "Sono qui. Non vi abbandonerò." Rei si sarebbe sottoposta ad un esame di coscienza, chiedendosi semmai lei avesse voltato le spalle a quella presenza salvifica e dolce. Solo quando le fu immediatamente davanti, specchiandosi negli occhi opachi del fantasma, allora trovò le risposte che stava cercando, forse da sempre. "Hai davvero gli occhi come i suoi, e sei cresciuta, e sei..." Si pronunciò in un sussurro. Rei non continuò a parlare, quasi del tutto certa che, in quel delirio soprannaturale, potesse davvero avere davanti il fantasma di sua figlia: non si trattava di una lucida allucinazione che il suo cervello aveva voluto regalarle per farla stare meglio ma quella era sua figlia, abbandonata e mai conosciuta, che le veniva a far visita per consolarla. La donna si domandò che cosa avesse potuto far di bene nella sua vita per meritarsi un tal dono. La lama si stava avvicinando sempre di più, già impregnata del sangue d'altri, pronta a nutrirsi anche del suo. Prima ancora che l'arma letale potesse attraversarle da parte a parte il collo, però, un contatto più tenero le regalò gli ultimi secondi di sollievo prima dell'eterno buio. "Grazie". Accolse quel bacio in fronte, nutrendosene fino a quando non riuscì ad avvertire più nulla. Le aveva detto che l'avrebbe aspettata, le aveva chiesto di non lasciarla andare. "Lo giuro. Non più." Rei sperò, almeno nella morte, di poter tenere fede alle proprie promesse.


    non è degno del vostro masterpost e dei vostri post sopra... ma c'ho provato ragə :fiore:



    ora posso dirlo: MA QUINDI È STATO CLELYOOOOO??????? IL MALIGNO CHE NESSUNO HA SAPUTO FERMARE??????
     
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    Leo Wagner|28 y.o.|Soldier from the WW2| eclipse

    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: [guerra o eventi/momenti storici drammatici e traumatici (Seconda guerra mondiale. I temi non vengono trattati nello specifico, ma in base al suo background, il pg ragiona e si comporta come un reduce di tali eventi. La player si dissocia da qualsiasi esaltazione di ideologie obsolete o disturbanti).].
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.
    Le azioni descritte non sono ad ogni modo condonate e sono diretta responsabilità creativa di chi ha realizzato tali contenuti.


    Lupo



    Mia adorata madre, sorelle mie, spero che voi stiate bene. Conto i giorni che mi separano dal riabbracciarvi, anche se non ne serbo più così tanto la speranza. Ho perso il conto di quelli trascorsi a marciare tra città in rovina. Marciamo, un piede dietro all’altro, producendo sempre lo stesso rumore cadenzato. Conquistiamo ad ogni passo un centimetro di strada verso la fine della guerra. Eppure temo che questa guerra non finirà domani, né il giorno dopo ancora. Ad ogni passo che si muove, qui in terra straniera, un nuovo nemico fa un passo indietro e prova a tendere una trappola. Mi chiedo se ci fermeremo mai, o se saranno i nemici della nostra amata patria, che si moltiplicano come topi, a intimarci l’alt. Questa guerra non è più liberazione, non è più come aprire le acque del Mar Rosso per attraversarlo. E’ mera ricerca di potere, una gara a chi è più forte e resistente. Sogno le amate sponde del fiume, e il mulino, e l’odore del pranzo della domenica, le lenzuola pulite e l’acqua fresca sempre a disposizione. Fa caldo, tra le fiamme delle bombe e i fuochi accesi per bruciare ciò che al nemico potrebbe far comodo. E fa freddo, nel cuore, quando mi rendo conto di volgere il pensiero sempre più lontano.
    Spero che comunque siate riuscite ad avere un buon raccolto, quest’anno.
    Vi porto nel cuore, sempre.
    Leo



    Fu come sentirsi svuotati, quando riaprendo gli occhi non trovò più Ernst, lì. Quando rumori ruppero il silenzio idilliaco che aveva creato con tanta fatica e senza intenzione. Caddero, i pezzi di quella scacchiera morta, come bombe sul campo nemico. Si frantumarono, come macerie su un campo di battaglia in cui la vita non sarebbe potuta più esistere. Non era la sua guerra, quella. Nessuna guerra era mai stata sua. Eppure continuava a trovarsi intrappolato su un campo di battaglia dopo l’altro. Marciava ancora, dopo anni ed anni, ferite e orrore, cercando di conquistare un altro pezzo di mondo. Per chi lo facesse ormai non aveva più importanza. Sentì una donna urlare, e si voltò laddove il ragazzo che era con loro giaceva a terra in una pozza di sangue. Ancora morte e distruzione seguiva quei rumori. Ancora lamenti a squarciare il silenzio. Ancora quel cremisi dall’odore acre a macchiare la terra su cui camminavano. Si avvicinò alle due ragazze, che vegliavano sul compagno caduto come due figure d’una pietà scolpita lì dal destino malevolo. Meravigliosa da ammirare sulla pietra, straziante da guardare in quel momento, fatta di corpi umani. La morte era diversa da come la dipingevano gli artisti, o da come gli scultori la ritraevano. Non era così bella. Era terrificante.

    Una madre stringeva ancora tra le braccia il suo bambino in fasce, riversa insieme ad altri che come lei non erano riusciti a sfuggire alle bombe. La fuliggine anneriva le dita pallide ormai congestionate in un rigor mortis che avrebbe reso quella stretta ferrea per sempre eterna, il volto nascosto tra le vesti si intuiva solo dai capelli arruffati che spuntavano scomposti. Si chiese, Leo, se la vittoria valesse questo. Che ne sarebbe stato di quei figli mai nati, o di quelli che avevano appena assaporato la vita. Che ne sarebbe stato di quelle anime regalate alla morte per avere in cambio una vittoria in cui ormai nessuno sperava più. Si chiese se il potere valesse quell’abominio, se marciare in avanti bastasse a cancellare quelle immagini che di notte sarebbero tornate ad affollare gli incubi di quegli uomini strappati alle loro vite per servire una madre comune. Si chiese se la loro madre, la grande patria, li avrebbe stretti così forte e con così tanto amore, nel momento della fine. Moriva così la speranza, come una madre con suo figlio, su una strada conquistata nell’inverno del 1943. Moriva così, passo dopo passo, marciando.

    Restò con la bocca semiaperta a guardarlo, ancora, senza essere in grado di proferir parola. Conosceva la morte, ma affrontarla era diverso, ogni volta. Si sarebbe accovacciato accanto a loro, scrutandone i volti. Non erano che altre vittime di quella guerra silente, loro due, che premurose si occupavano del loro amico.
    ”Sì, non lo lasceremo qui.” Sussurrò alla ragazza mora. Avrebbe voluto farlo da solo, risparmiare loro quella pena. Lui ci era abituato, alla morte. Che fosse un compagno trascinato su un campo di battaglia, o un prigioniero ammassato su una pila di altri corpi. Ma non fece in tempo. Così quando lei iniziò a caricarselo in spalla lo prese dall’altro braccio, passandoselo dietro al collo e tirandolo su di peso, mentre l’altra ragazza gli sollevava i piedi. Di nuovo l’immagine della deposizione dalla croce, tanto bella da ammirare su un quadro che aveva visto a casa di un generale, si sovrappose a quel patetico momento, che nulla aveva a che vedere con tanta bellezza. Non la testa di lui che ciondolava. Non il rumore cadenzato delle gocce di sangue che picchiettavano contro il terreno. Avrebbe voluto ci fossero altri rumori a camuffarlo, ma nulla s’udiva oltre ciò, se non il crepitio delle loro scarpe che calpestavano macerie e distruzione. ”Ma dove?” Chiese in un sussurro. Dove avrebbero dovuto portarlo? Dov’erano? Non aveva memoria di quel posto a Besaid, un posto in cui le macerie erano rimaste immobili, ad eterno memento di una guerra dimenticata da tutti. Il lupo fece capolino, di nuovo, mentore di una sventura che non aveva fine. Quasi cadde, quando il peso che portava sulle spalle venne improvvisamente meno, e si dissolse insieme al volume di quel corpo. Gli parve di attraversarlo, per un istante, quello sventurato soldato a cui non avevano potuto tributare alcun onore. Il suo respiro accelerò di colpo, mentre si voltava verso quel vuoto e trovava solo lo sguardo della ragazza dai ricci scuri. Di nuovo, non parlò. Sembrava superfluo in quel mondo onirico. Le parole erano sopravvalutate, in un mondo in cui nessuno voleva ascoltarle. Mosse qualche passo, con le gambe che sembravano macigni, gettando uno sguardo alle sue compagne di viaggio e chiedendosi se almeno loro sapessero cosa stessero facendo. Era stupido, si diceva, seguire di nuovo quella fiera che aveva condotto quel ragazzo alla morte, e che aveva portato loro a sfiorarla con un dito. Eppure sembrava impossibile farne a meno.

    I colori della spiaggia sembravano irreali, frutti di un Eden artificioso. Non avrebbe saputo raccontare come fosse tornato di nuovo lì. C’erano altre persone. La ragazza che gli aveva offerto la birra alla festa, alcuni volti intravisti per la città. Clienti dell’Egon, o semplicemente sguardi incrociati per caso. Gridavano, si disperavano, per qualcuno che era caduto ed era rimasto indietro. Succedeva sempre così, all’improvviso. Il dolore arrivava e frantumava ogni briciolo d’umanità. Lo strappava in mille frammenti, lo sbatteva a terra e lo calpestava, finché ai corpi non restava solo un briciolo di forza per continuare a respirare, e a chiedersi se fosse possibile sopravvivere. Sgranò gli occhi color del mare, il soldato esule della sua epoca, quando tra quelle persone vide anche il ragazzo che aveva appena visto morto.
    ”Ma che cazzo… Imprecò sottovoce, fin quando non vide qualcuno passargli attraverso. Poi lo perse di vista, mentre si limitava a chiudere gli occhi per dirsi di farla finita, che quelle erano solo allucinazioni. Succedeva sempre, da un po’ di tempo a quella parte. Succedeva dal momento in cui aveva capito quanto stupido fosse stato a non rompersi una gamba per evitare la leva. Quanto sciocco fosse stato a condannare il coraggio di suo fratello. Vedeva volti, da sveglio e quando chiudeva gli occhi. Volti di persone che aveva condannato a morire, occhi che lo avevano fissato senza paura alcuna, che avevano sfidato uno sparo o una sorte ben peggiore. Erano quegli incubi il suo prezzo da pagare, ed Ernst lo aveva aiutato a reggerne il peso finché aveva potuto. Lo aveva portato dalla parte opposta del mondo, eppure anche lì la guerra li aveva raggiunti. E infine lo aveva spedito oltre la linea del tempo; eppure la guerra l’aveva seguito anche lì. Non si fermava mai, il soldato che continuava a marciare, c’era sempre un’altra guerra da combattere.
    Non si fermava?
    Fuochi ardevano intorno a loro, mentre figure mascherate si muovevano quasi danzando, armate, mentre il mondo intorno a loro sembrava divenire scuro. Aveva una sensazione, Leo, come un deja vù. Era la sensazione che si prova a un passo dalla morte, la consapevolezza di non avere più il tempo di perdere il conto degli istanti, di dover fare in fretta e in furia tutto quello che doveva, perché poco dopo non avrebbe potuto più farlo. L’aveva già provata quella sensazione, quando aveva chiesto ad Ernst un ultimo ricordo felice. La provava ora, mentre alzava lo sguardo verso il gazebo. Si volse, verso la figura della ragazzina che sembrava fluttuare al suo fianco. Sembrava conoscerlo, mentre lui non aveva idea di chi lei fosse. Diceva di lasciarsi andare, che sarebbe finita presto. Come poteva chiedere loro di morire? Perché era di quello che si stava parlando, se lo sentiva. Tu.. Hai chiuso gli occhi, morendo prima di me. » Sospirò, restando a guardarla con espressione vacua. Lei sapeva, ogni cosa. Forse Besaid le aveva concesso la conoscenza. Era sempre stato assurdo, quel posto. Scosse la testa alle sue parole, in parte sconvolto da ciò che lei poteva sapere, in parte dal contenuto dei suoi discorsi. ”Io, loro. Non serve a niente tutto questo. Si ripeterà sempre, ciò che è stato. Ci sarà qualcuno la cui sete di potere sarà tanto grande da distruggere ogni cosa gli impedirà di averlo.” Il suo tono di voce si alzò, così che chiunque fosse sopravvissuto avrebbe potuto sapere. Sapere qualcosa che Leo stesso non sapeva di conoscere, ma che sentiva vibrare nell’animo. Rinascere, che cosa sciocca. Non aveva mai creduto in un dopo, nonostante si fosse affidato spesso a preghiere. Era così che funzionava la fede: ti portava a sperare nell’impossibile, a implorare per miracoli che non sarebbero mai arrivati. Di nuovo guardò Eira, rivolgendosi a Leo con tono calmo ormai, rassegnato. ”Non è che un’illusione, il dopo. Una negazione della verità. E mi sta bene. Forse me la merito la pena capitale. Ma loro? Tu? Morire per diventare uno strumento di qualcun altro? Nemmeno la morte ti ha dato pace. E mi dispiace per te." Nel frattempo, quei demoni d’ombra di avventarono su di lui e sugli altri. Provò a dimenarsi. Era forte, corpulento. Ma non bastò, così come non bastò provare ad usare la sua particolarità su di loro. Usare un potere contro la città stessa che l’aveva generato non era di certo una mossa geniale. E fu in quel momento che comprese.
    Arrivava per tutti, quel momento, prima o poi. Quello di iniziare a contare il tempo che separava dalla fine.
    Uno, due, tre…
    Nemmeno udiva le voci di quei demoni. Non poteva annullare loro, ma poteva smetter di udirli, volgere il pensiero altrove, mentre gocce di sangue iniziavano a cadere su delle teste da un ramo, mentre come ribelli si avviavano alla fucilazione. Forse, essendo sempre stato dall’altra parte, non si era mai reso conto di quanto fosse ingiusto, morire. Morire senza aver realizzato i propri sogni, senza aver detto addio alle persone che si amavano, senza aver vissuto con loro ogni momento.
    …quattro, cinque, sei, sette…
    Avrebbe dovuto dire grazie a qualcuno. Alzò lo sguardo verso Eira. Lei era ancora lì. ”Grazie per averci provato, a renderlo più facile.” A volte aveva sentito parlare i prigionieri del campo di una serie di Giusti, persone che controbilanciavano il male del mondo con la propria benevolenza, con la pietà e il coraggio. Forse Eira era una di quelle. Una di quei giusti di cui parlavano quelle persone, almeno dalle poche parole tedesche che riusciva a capire. O forse stava solo cercando di credere in qualcosa di bello, mentre il suo aguzzino avvicinava la lama a lui, dopo aver sgozzato un’altra vittima. Ancora morte, intorno a lui, ancora violenza. Era nato tra campi macchiati del sangue dei suoi padri, Leo Peters, e così sarebbe morto. Tra il sangue di quelli che avrebbero potuto essere i suoi figli e nipoti.
    …otto, nove, dieci, undici…
    Il pensiero volò a Mira, e al figlio che non aveva mai conosciuto. O magari sarebbe stata una figlia? Non li aveva cercati, alla fine, aveva avuto paura del tempo. Non aveva mantenuto la promessa, e forse era meglio così. Forse era meglio morire immaginandoli felici: lei ancora viva, accerchiata da nipoti e pronipoti, amata come lui non aveva saputo fare. A loro aveva già detto addio, prima ancora di riaprire gli occhi.
    ..dodici, tredici, quattrordici…
    Chiuse gli occhi. Avrebbe chiesto solo una cosa, se Ernst fosse stato lì. Solo di renderlo meno spaventoso. Avrebbe chiesto di udire la sua voce un’ultima volta. Ma aveva già fatto anche questo. Gli restava solo una promessa da rispettare, quella che un giorno sarebbe tornato da lui. Quella era l’unica strada possibile.
    …quindici, sedici…
    Pochi ma interminabili furono i secondi che la lama ci mise a scivolare dolorosamente sulla sua gola. E da lì smise di contare, mentre il suo campo visivo si riempiva di cremisi, di quel colore di un ultimo tramonto. Il colore di un bicchiere di vino trovato di contrabbando nei posti più sperduti della Norvegia. Il colore dei papaveri che spuntavano tra il grano.


    Correvano tra le spighe alte, due bambini. Sembravano aver fatto amicizia da poco, anche se non si erano mai visti prima. Ma che importava, a quell’età? Che importava in quell’universo in cui le regole del tempo e dello spazio erano invertite? Nessuno di loro ricordava più il perché fossero amici, se per aver combattuto una guerra insieme o aver semplicemente rincorso un pallone. Correvano, con le spighe che gli arrivavano alle spalle, schiamazzando. Il mulino, possente, si stagliava sullo sfondo, con le pale che brillavano bagnate dall’acqua e illuminate dal sole cocente. Risero, quei due bambini, mentre giunti alla riva del fiume si buttavano a terra. Uno teneva una lucertola legata ad un laccio. L’altro rideva perché sì, una lucertola al guinzaglio era molto divertente. E poi si sdraiavano a guardare il cielo pieno di nuvole bianche, sulla riva del fiume che li aveva separati per troppo tempo. Nessun aereo squarciava più quel manto ceruleo, nessun rumore il lontananza disturbava il canto degli uccelli. L’aria era piena del profumo dei fiori e del pane che proveniva dal forno.
    Sorrise, il ragazzino biondo, al suo amico dalla zazzera scura e gli occhi di ghiaccio. Avrebbero potuto correre di nuovo, a zigzag, non più costretti a marciare in file ordinate come le formiche operaie. Avrebbero potuto attraversare il ponte e perdersi, rubare una pagnotta al fornaio giusto per sentirlo inveire. Avrebbero potuto fare tutto ciò che volevano, insieme.



    La guerra è finita, soldati.

     
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    La fine.

    C'era questo incubo che faceva, una cosa semplice, abitudinaria e a tratti banale, che da bambino a notti alterne rincorreva il suo sonno per acchiapparlo lì dentro, nella versione più intima e vulnerabile di lui. Con il tempo le cose erano migliorate e peggiorate, migliorate perché quasi ogni notte riusciva a disfarsi dell'incubo, peggiorate perché alla mattina niente gli restava impresso nella mente, non la tachicardia dei brutti sogni ma neanche la dolcezza che ti lasciano sulla pelle quelli belli: le droghe l'alcool e il fumo spazzavano via tutto senza fare neanche un rumore. Così Beat aveva smesso di sognare.
    Quasi smesso, perché a volte qualcosa riusciva a trovare una fessura per rendere il buio ancora più nero con quel sogno strano da cui era impossibile svegliarsi in tempo. In quell'incubo Beat non esisteva o meglio, c'era ma nessuno poteva vederlo né sentirlo mentre urlava di essersi perso e di dover tornare a casa. Poi finiva sempre allo stesso modo, si addormentava risvegliandosi nel suo letto e Dio, che conforto sentire la mamma arrivare di corsa, i piedi scalzi sul parquet strofinavano sempre, a scacciargli con due dita i residui di quel brutto sogno dalle palpebre. Era un gesto che gli sarebbe mancato moltissimo, quello dell'indice e il medio che lo sfioravano in punti precisi, prima lungo la fronte e poi giù fino alle ciglia sulle guance. Era un vizio bellissimo, quello, che dopo una certa età non avrebbe mai più sentito sulla pelle. Una tradizione che ricordava a Beat di esistere.
    L'incubo capitò anche quella volta ma a un tratto cambiò o forse fu Beat a cambiare, a continuare ad esistere ma scomposto, come se d'improvviso la propria genetica non contasse più nulla e il corpo lo abbandonasse, solo coscienza in un nero di pece. E mentre le onde di Max arrivavano con un secondo di troppo, mentre le mani di Bella stringevano le sue e le braccia di Leo cercavano di portare il suo corpo vuoto al sicuro, mentre tutto quello accadeva Beat era già altrove e inconsapevolmente si perdeva quei gesti importanti. Certo l'avrebbe fatto sorridere di riconoscenza vedere sconosciuti e conoscenti fare di tutto per non lasciarlo solo, preoccupandosi di qualcosa che ormai era solo il contenitore che un tempo l'aveva accolto. Se avesse sentito le urla e le mani su di lui, forse Beat si sarebbe premurato di dire loro di non preoccuparsi, aveva fatto una scelta ed era troppo tardi per tornare indietro, che loro dovevano andare avanti perché solo nella morte potevano trovare se stessi. Beat però sull'asfalto già non c'era più, Beat stava volando in un turbinio di coscienza che non avrebbe mai saputo come descrivere; sentiva di muoversi ma non si vedeva, c'era e non c'era fino a quando dopo qualche minuto, o forse anni luce, nel buio esplosero le immagini, grandi e enormi occupavano tutto il suo mondo di persone e momenti a lui preferiti, forse per addolcire la morte e per rendere meno difficile il compito che gli spettava. Volti, sorrisi, occhi blu verdi e marroni si susseguivano insieme a un sacco di mani, strette, abbracci, alberi di natale sbilenchi, sulla cima una bottiglia di birra vuota capovolta; luci di un pub, luci di una discoteca, di una stanza, del sole in una stanza, luci di sguardi che brillavano anche al buio. Si susseguirono così come a rincorrersi, mentre nozioni e consapevolezza di cose a lui prima sconosciute riempivano quella nuova versione di sé, poi avvertì come una botta e tutto andò a ritroso ancora più velocemente fino a quando, finalmente, si fermò.
    Nell'alzarsi, quella volta le palpebre erano pesanti e leggerissime al contempo, come se esse e il corpo fossero sfuggiti a tutte le preoccupazioni, al passato, al presente e al futuro. Anche, forse, al peso della gravità. E allora, quando gli occhi si affacciarono su un cielo metà luce e metà ombra, con i granelli di sabbia contro la pelle e nei capelli che non riusciva a sentire come prima, con le onde del mare che placide gli lambivano le gambe senza che lui ne avvertisse davvero la forza, allora Beat seppe di non esserci più. Alzandosi dalla sabbia quella non si mosse, neanche l'aria si spostò mentre Beat si rimetteva in piedi come aveva fatto ognuno dei suoi compagni di viaggio, anche quelli che avevano scelto di vivere, e nel semplice gesto di mettersi in piedi capì di non far parte più del loro mondo ma di essere in qualche modo rimasto ancorato ad esso, come chi lascia andare senza voler mollare la presa. Ancora per qualche minuto.

    L' accettazione.

    Si ritrovò Eira accanto senza accorgersene davvero, e anche in quel momento scoprì di possedere già dentro la consapevolezza che fossero uguali, lui e lei, diversi da qualsiasi altro. Vedeva tutto così chiaramente ora, Beat, che da otto anni invece non aveva fatto altro che spingersi a non vederci più niente e a capirci sfocato, preoccupato che il male potesse aggirarsi nella chiarezza del dolore, negli angoli precisi della verità. Per questo aveva deciso di preferire le pieghe morbide di un torpore confuso, di vivere in una realtà aumentata di cose confuse e dettagli ingranditi. Era assurdo pensare che Beat riuscisse a distinguere ogni cosa con assoluta chiarezza soltanto ora, quando era troppo tardi; era una sorte ironica quella che gli era toccata, destino che non poteva far altro che accettare. D'altronde, era stata colpa sua.
    Un lato della bocca tirato di poco verso l'alto, quello il suo saluto per Eira. Pensò in un lampo alle loro vite che, seppur solo sfiorandosi, gli avevano sempre lasciato dentro la voglia di approfondire quel rapporto rimasto però solo superficiale.
    Se solo ce ne fosse stato il tempo.
    Se avesse avuto altro tempo Beat avrebbe fatto tante cose diversamente, ma per quei due la clessidra aveva sabbia agli sgoccioli e non c'era più nulla da fare, ora bisognava aiutare gli altri. Guardando in quegli occhi, due pietrucce verdi e malinconiche, il ragazzo sentì l'animo farsi meno travagliato al pensiero di cosa li attendeva. «È stato per amore, no?» Slacciato lo sguardo dal suo, non riuscì a rispondere niente. Aveva visto i segni della corda sul collo esangue di Eira e non aveva bisogno di controllare per sapere di avere un marchio anche lui, diverso per forma e posizione ma vero come i raggi del sole e la luna che ora lo attraversavano senza scaldarlo. Pensò che non avrebbe voluto lasciare delle cicatrici su chi era rimasto, non avrebbe voluto che anime ed epidermidi si lacerassero a furia di ricordarsi di lui e, quasi a leggergli nella testa, Eira fornì per lui una risposta. Lo sapeva anche Beat, in fondo, che certe cose sono per sempre. "Anche io." Ammise con quel sospiro che non gonfiò il petto neanche di un centimetro. "Anche se avrei preferito che tu ce l'avessi fatta." Aggiunse poi, il tono tranquillo venato da una tristezza che non gli apparteneva ma che gli sarebbe rimasta incollata addosso lungo tutto quel cammino, il dispiace che affligge i consapevoli di un futuro che non li vedrà partecipi e la gioia segreta di chi, lo sa per certo, il mondo andrà avanti senza di lui. Ma su quella spiaggia Beat non si sentiva affatto solo: con lui c'erano non sono Eira ma anche altri che, ora poteva scorgerli in mezzo ai falò, prima di lui avevano compiuto la stessa scelta o, al contrario, qualcuno aveva deciso per loro quel destino. Li vedeva e sentiva ovunque, quei volti e quelle anime, come se dai cadaveri sulla spiaggia giungessero respiri che gli entravano dentro per non andarsene più. In quella folla di corpi ammassati gli parve di scorgere due iridi scure sotto una zazzera di capelli biondo cenere, ma fu questione di un attimo prima che Beat tornasse a concentrarsi altrove, lo sguardo davanti: quello era un momento da dedicare ai vivi, per i morti ci sarebbe stata tutto il resto del suo tempo.
    I suoi passi sulla sabbia sembravano affondare ma era l'abitudine a illuderlo così, solo l'abitudine, dietro non c'era traccia né di lui né delle nike sul bagnasciuga bagnato, e lo stesso gioco dei sensi lo spingeva a socchiudere gli occhi difendendosi da una luce e un caldo che, se ne rese conto dopo un po', non influivano su di lui come un tempo avrebbero fatto.
    La prima a pararsi sul suo cammino fu Max, una delle persone più care a Lys che mal sopportava Beat, accusandolo forse del male che senza volere aveva inflitto alla sorella. Dirle quello, invece, avrebbe voluto davvero fare: spiegare a Max, a tutto il mondo, quanto male lo facevano stare gli errori e gli sbagli commessi. Ma non c'era tempo e lì non si trattava di lui, quei momenti erano tutti per loro e Beat era solo un contorno che, lo sperava, li avrebbe aiutati ad affrontare il loro destino. "Max." Si tenne a qualche passo da lei dopo averla salutata, lo sguardo serio di chi è sul punto di pronunciare l'impronunziabile. "Questo..." si indicò il corpo come a sottolineare un'ovvietà, una gamba mozzata, un braccio mancante, un qualche ferita: ma non c'era niente, lì, Beat appariva integro, forse terribilmente triste, ma intero. Anche se niente appariva fuori posto, uno sguardo più attento avrebbe notato una lieve stranezza, come se al contempo tutto sembrasse non combaciare, come se fosse lo stesso e anche qualcun altro. Qualcos'altro. Ma non era a lei che avrebbe dovuto spiegare, Max sapeva: Max l'aveva visto succedere. "... non è in alcun modo colpa tua, io avevo già scelto, ma grazie per averci provato." Si riferiva al tentativo della riccia di salvarli tutti, ora che sapeva Beat sentiva le vibrazioni del suo potere nella pelle come a scoppio ritardato. "Sarò vicino a te e a ognuno di voi fin proprio alla fine e so di non averti mai dato modo di avere una grande opinione di me ma... ho ancora un ultimo favore da chiederti." Con due passi colmò la distanza fra loro e le labbra, ora vicinissime ai suoi capelli, sussurrarono all'orecchio di Max senza che il suo fiato intaccasse la staticità del momento, raccontandole di gesti segreti che, semplici, custodivano un significato così grande da non riuscire a spiegarlo, non al di fuori di lui e Lys. E infatti Beat si bloccò d'improvviso come soprappensiero, forse cercando parole giuste che non esistevano, compì poi uno due passi indietro per separarsi di nuovo da lei e guardarla con cipiglio serissimo. "Un pizzico, tutto qui . Puoi farlo per me?" Una richiesta che pareva assurda la sua, una preghiera che sperò con tutto il cuore che Max esaudisse, anche senza necessariamente comprenderla fino in fondo. In sintesi, le stava chiedendo di fidarsi proprio di lui, che era stato a tanto così dal distruggere la sua persona preferita. Era necessario però che Beat riuscisse a farsi ascoltare da lei e dagli altri, a farsi credere nonostante tutto, ne valeva del loro futuro. "Ora vai, stanno arrivando gli altri e ricordati, per piacere: è importante."

    ...E la cosa più difficile di tutte.

    Le cose più difficili sono sempre le prime che bisogna lasciare, le parole più impronunciabile le prime a dover essere dette e le persone più difficili da salutare sempre le prime a cui dover dire addio. La vita era stata ingiusta con quei due e forse andava bene così, che senza incontrarsi e perdersi forse non si sarebbero mai ritrovati lì, più onesti di quanto fossero mai stati, a non perdere più altro tempo. Peccato che fosse alla fine di tutto che doveva succedere, ma la fine non è forse anche l'inizio? Solo perché c'è un punto non vuol dire che la storia sia terminata, forse un capitolo nuovo sta per iniziare, forse sarà diverso, forse sarà difficile adattarsi ma succederà. Beat ora sapeva cose che non avrebbe potuto rivelare a nessuno di loro anche volendo, conosceva il passato e il futuro che sulle loro teste si delineava e non poteva parlarne, non stava a lui intromettersi, ma quando in lontananza apparirono i volti di Riley, Bella, Astrid, Magda, Leo e Rei, Beat desiderò ardentemente poter dire loro ogni cosa. Quando Lys parlò, poi, figurarsi come potè sentirsi Beat, che l'unica cosa che voleva davvero era anche quella impossibile da fare: come abbracciarla, stringerla, far scivolare le dita sulle sue vertebre per contarle a bassa voce.
    Come al solito quando si trattava di lei, prima ancora di vederne i capelli o gli occhi spuntare Beat ne avvertiva qualcosa di invisibile ma altrettanto potente, come la risata o in quel caso il sospiro di sollievo pervenuto dalle sue labbra mentre stringeva le braccia al collo della sorella, un semplice respiro che dalla bocca della ragazza arrivò a lui come se gli stesse accanto, proprio attaccata, come se quella dozzina di metri tra loro non esistessero o non fossero comunque abbastanza da impedire, a Lys, un effetto su Beat. Eira gli passò accanto, leggerissima come se scivolasse senza toccare terra, e la lasciò andare ad aiutare alcuni di quei volti che li guardavano confusi e sollevati al tempo stesso. Beat dagli altri non fece in tempo ad arrivare, non subito, perché in fondo è vero che le cose più difficili sono quelle da affrontare per prime; e, per come era lui, quel momento risultava impossibile.
    Ma alla fine arrivò comunque l'attimo tanto atteso e temuto, quando i loro sguardi si intercettarono e persino quel limbo sembrò mettersi a tremare. La vide illuminarsi come una lampadina, come il sole i lampioni e le lucciole in una notte d'estate, quando il mondo girava ancora nel senso giusto e la loro preoccupazione più grande era darsi quanti più baci e carezze prima del sorgere dell'alba. La vide accendersi mentre correva verso di lui, le gambe forti e i piedi nella sabbia, la vide brillare e dentro fece male e bene insieme, come del resto fanno tutte le cose più preziose. D'abitudine l'angolo sinistro della bocca si sollevò, un vizio, quello, che scattava in automatico ogni volta che era lei a dire Beat a quel modo, con il punto di domanda alla fine che attirava l'attenzione, la pretendeva, faceva presagire un seguito che poi era racchiuso nei loro sguardi, nel silenzio che, senza parole, diceva tutto il resto. E non aveva mai capito, Lys, che anche senza punteggiatura, anche senza chiamarlo affatto Beat si sarebbe girato a cercarla nella folla, nella notte, su balconi qualunque e stanze sempre piene.
    E sempre per abitudine Beat strinse la mano per afferrare quella di Lys, che di slancio si era buttata nella sua come in cerca di un abbraccio fra dita da tempo lontane ma sempre state complementari. Chiuse le proprie nonostante sapesse, ci provò con tutto se stesso a prenderla per non farla cadere nonostante fosse consapevole del male che quel piccolo grandissimo gesto avrebbe causato, la detonazione di quella fine che, inconsapevolmente, aveva cercato fino ad ora di rimandare. "Lys..." Pronunciò il suo nome pianissimo, ogni lettera uno scroscio triste che tanto storpiava la voce che lo stesso Beat stentò a riconoscersi in essai. Avrebbe voluto fermarla, trattenerla tra le braccia finché il respiro non si fosse placato, schiena contro torace a scambiarsi di tutto solo così, senza parlare, da fermi; voleva tranquillizzarla, il tuo petto si alza e si abbassa troppo velocemente, stai respirando? Ma come le dita intorno alla sua mano strinsero nient'altro che aria, così Beat non avrebbe più potuto farsi sentire in quel modo da lei, toccandola, che poi era il metodo che da sempre preferivano per dirsi le cose. No, quella volta avrebbe dovuto contare solo sulle parole - quelle, sue nemiche da sempre. "Lys Lys Lys Lys ascoltami, per favore..." Cercare di attirare la sua attenzione era difficile, allungava d'istinto le mani verso di lei e subito dopo le lasciava cadere lungo i fianchi, una volta che ricordava. Vedeva gli occhi di Lys tentare di appigliarsi a quelli degli altri senza sostare troppo a lungo suoi suoi ora che, lo sapeva, lo evitava come si evita una realtà troppo cruda da accettare, una di quelle che la mente non riesce neanche a pensare. E allora non c'è altro da fare che respingerla con tutta la forza e la determinazione di cui si è capaci, scacciarla in malo modo per non farla tornare più. In fondo quante volte l'aveva fatto anche Beat, negare qualcosa per non cedere al panico? E Lys, in quel momento, sul baratro del terrore ci stava proprio in equilibrio sul bordo. Quando indirizzò la rabbia su di lui, Beat avrebbe voluto che riuscisse a colpirlo, poteva sopportare tre passi indietro e la pelle che brucia, avrebbe amato i segni delle dita su di lui: quello, loro così, gli risultava invece intollerabile. Con le mani attraverso il suo petto Beat chiuse gli occhi, mentre spalle, sopracciglia e bocca erano tutte curve che puntavano tristi verso il basso. "Non abbiamo più tempo, Lys, devi ascoltarmi." Nel bel mezzo di quella parole le palpebre di Beat tornarono a riaprirsi e questa volta su Max, di cui intercettarono lo sguardo che parve dirle, tacitamente, è arrivato il momento, aiutami a farle capire.. Fu difficile ascoltarla spiegare a Lys quello che lui non riusciva a dirle, le pupille puntarono verso la sabbia al suono di "Beat ha scelto di rimanere lì." Forse quel gesto a Lys sarebbe parso crudele nei suoi e nei confronti degli altri, in effetti l'egoismo aveva giocato un ruolo importante in quella partita ma non era tutto lì. Se solo avesse saputo che, proprio in nome di quello che da sette anni negava, Beat aveva fatto quello che aveva fatto. Se solo avesse saputo...Ma non poteva dirglielo no, non voleva rischiare di farle più male.
    Quel pizzico Beat giurò di averlo sentito un po' ovunque su di lui, sapeva di estate e di fiati sospesi, di pelle contro pelle e ossa adagiate le une sulle altre come se non ci fosse altro posto per loro se non quello.
    Come sbloccato e reso vero dalla consapevolezza che si solidificava pesante nel cuore e nella mente di Lys, il sangue cominciò a scivolare dalla ferita lungo la pelle nuda del suo torso senza che Beat avvertisse però alcun male. "Ja Lys: ich bin's, Beat " Sono io, Beat. Disse sottovoce rispondendo non alle domande di cui Lys chiedeva a voce risposta ma a un'altra più nascosta, quella che pochi istanti prima del pizzico l'aveva spinta a rifiutare di credere che fosse davvero lui. Sapeva come funzionava la sua testa, l'aveva abitata per un anno o poco più ma così intensamente da valere una vita intera: l'idea che si trattasse di una sua versione cattiva era più semplice da accettare del fatto che fosse morto.
    Con quelle semplici parole, Beat si stava accertando che l'avesse capito.
    Lasciò che i respiri di Lys si accavallassero gli uni sugli altri come onde di un mare diretto alla tempesta, permise alle lacrime di scivolare dalle ciglia alle guance senza poter fare niente per acchiapparle prima dell'inevitabile salto nel vuoto, senza riuscire a raccogliere quelle che, invece, si concentravano minuscole nella curva tra labbra e mento. Quella era una delle tante parti che di lei amava, attratto modo in modo particolare dagli avvallamenti che quel corpo sfoggiava senza nascondersi, come le fossette delle guance, la curva dell'ombelico e le pieghette delle ginocchia.
    "Io? Smettere di seguirla?" Da Max le iridi si spostarono fermandosi sulla sorella minore. "Niemals." Mai. L'accenno di un sorriso dolce e triste al tempo stesso, mentre pensava di essere felice che quelle due si avessero l'un l'altra. "Per quanto riguarda i guai, scusa Max ma non posso promettere niente. Da certi casini si imparano un sacco di cose." Bisognava apprendere a sbagliare per bene, a fare gli errori esatti, quelli giusti, e magari a non rifarli più o a rifarli altre mille volte, dipende. Chi non sbaglia mai non è saggio, è morto.
    «Come faccio stavolta ad aggiustare tutto se...» Seguendo quel gesto, Beat piegò appena il collo come se, anche se non poteva sentirla, stesse davvero riposando su quella carezza a dita aperte. «...se non posso neanche toccarti, Beat?» Chiuse per un secondo gli occhi, Beat, l'increspatura tra le sopracciglia ora un po' più profonda." Avrei dovuto capirlo..." Disse riaprendo lentamente gli occhi per allacciare lo sguardo a quello di Lys. Che non eri tu, non potevi essere tu, tu non mi avresti mai chiesto di farlo. "Mi dispiace." Di cosa? Di tutto e del resto, degli sbagli e dei silenzi brutti, così diversi da quelli che, a spazi alterni, avevano riempito quell'unico anno trascorso davvero insieme.

    L'inizio.

    La loro bolla mostrò le prime crepe quando le figure raggiunsero il loro gruppo e Beat sussurrò "Stammi vicino" a Lys, per poi affiancare Max, Bella e Astrid ormai circondate dagli uomini dalla faccia dipinta."Presto sarà tutto finito, meno resistete e meglio sarà: lo so che per alcuni risulterà difficile ma vi prego, fidatevi di me." Rivolse alle donne quelle parole proprio mentre cominciavano a muoversi attraverso i falò e fra il sentiero stipato di fiori coloratissimi, giungendo infine al gazebo in cui, gli occhi sbarrati dalla paura, si assieparono strette l'una all'altra. Come promesso, Beat restò con loro per tutto il tempo, anche quando vennero legati a spesse colonne e costretti ad inginocchiarsi di fronte a quel pubblico maledetto, in faccia al loro destino. Allora il ragazzo si fece più vicino a Lys, la prima tra le cose a lui più care, la più difficile da salutare per sempre. Perché? Si inginocchiò proprio accanto a lei, la fronte vicina che a tratti si mischiava con quella di Lys. Ad ogni movimento di quel rito intorno e addosso a lei, ad ogni respiro più forte della ragazza Beat si sovrapponeva a lei di qualche centimetro, attraversandola da parte a parte per restarle dentro il più a lungo possibile. "Hey Sonnenschein..." Un sorriso leggero, un fiato invisibile e senza peso, una testa che strofina contro l'aria. "Io lo sapevo anche prima che ce l'avresti fatta, non mollare proprio ora. Alla fine della giornata sei sempre quella su cui punterei ogni cosa. " Il coro di voci e canti si alzava sempre di più, ma nonostante quello Beat non aveva bisogno di alzare la voce per farsi udire. " Tienimi qui, nel tuo cuore che batte, fino a quando avrai bisogno di me. Poi lasciami andare senza tristezza, non farti carico di un altro peso: il tuo posto non è a fondo ma in superficie, ricordalo sempre. " Con l'indice sfiorò Lys lì dove albergava il suo organo vitale, la punta incorporea del polpastrello che entrava appena attraverso il suo petto. Non importava quale ultraterrena nozione avesse ricevuto, la tristezza spingeva in tutti punti più dolorosi di Beat, di quel corpo che se c'era o non c'era davvero non aveva importanza: quel male non risparmiava neanche il centimetro più stretto. "Non avevo capito, il lutto, la paura e la rabbia offuscavano tutto senza fare distinzioni, sopratutto le cose migliori: te. Ma ora ho visto molte cose Lys, ora so, chiudi gli occhi e va' senza più alcun peso sul cuore, va' sapendo che non le lascerò sole. " Si riferiva a Max, Astrid, Bella e tutti gli altri. La figura incappucciata era apparsa dietro le loro spalle e Beat sapeva che quelli, quegli istanti, erano davvero gli ultimi da passare con lei.
    La ascoltò parlare, la vide chiudere gli occhi e, posizionatosi dietro di lei, la avvolse con le braccia stando attento a fermarle lì, proprio sui rispettivi confini. Non chiuse gli occhi Beat, ma li concentrò sul profilo rigido della sua Lys. "Ti sto stringendo, Lys, riesci a immaginarlo? A lui sembrò di essere altrove, al centro di una tenda stranamente enorme, in mezzo a un bosco che conteneva solo loro due occupati a trattenersi fra le braccia e a ballare così, dolcemente. "Stiamo ballando in mezzo al nulla perché niente ci serve a parte noi; l'odore del sale è nell'aria anche se siamo lontanissimi dal mare, sono i tuoi capelli che profumano così? O forse è il nostro sudore che si mischia ai baci sul collo, alle dita strette l'una dietro l'altra come soldatini in fila indiana. Stiamo ballando, Sonnenschein, riesci a sentirlo anche tu?" Sorrise appena, Beat, anche se a quel punto non c'era più nessuno a scorgere quella piega obliqua tra mento e naso.
    «Solo una, e sai quale sarà?» "Beat?" La dissero insieme quella parola, quel nome con il punto interrogativo finale, l'unica domanda a cui non avrebbe mai avuto bisogno di rispondere: dietro c'era di più, molto di più, sempre di più e ora lo sapevano. Un secondo prima che tutto finisse, Beat le disse piano, proprio nell'orecchio. "Io, di amarti, non ho mai smesso."
    Quando fu tutto finito, Beat si alzò con un sospiro, giusto in tempo per incrociare lo sguardo di Riley e annuire con malinconica dolcezza a quella ragazza che, seppur appena conosciuta, avrebbe voluto scoprire di più. Attraversò lo spazio cercando di non guardare i corpi di coloro che erano già caduti, era devi vivi che doveva preoccuparsi. Affiancò Max che, al contrario della sorella, si agitava come un legnetto alla mercé del vento. "Max Max, ascolta: sei una forza della natura e non temere, tutto presto ti sarà più chiaro." Cercò di catturare lo sguardo della riccia riuscendovi solo in parte, Max sembrava già essere altrove, persa in chissà quale terribile pensiero." Ho visto molto di te, Max, cose che prima non potevo neanche immaginare. So che hai avuto un grande amore nella tua vita e questa cosa, l'avrai ormai capito, ci avvicina più di quanto credessimo. Hai rinunciato a tanto per difendere le persone che ami e le idee in cui credi, forse ora è tempo di concedere qualche centimetro di spazio in più al cuore. Se lo vorrai. Quando Max cadde, Beat colmò con cinque passi la distanza che lo separava da Astrid, la migliore amica di Lys. "Astrid, so di non essere la persona che vorresti al tuo fianco in questo momento così delicato." Le sorrise però, sempre un gesto in qualche modo dolce seppur appena accennato. Si posizionò al fianco della ragazza, osservandone i capelli muoversi al tocco leggero della brezza primaverile. "Hai sofferto tanto nella tua vita, riesco a vederlo, hanno cercato di cambiarti ma tu sei stata più forte, non l'hai permesso. Ti sembra di aver perso cose e persone dal valore inestimabile, non lasciare che sia ancora così. Vorrei svelarti un segreto : l'amore - in tutte le sue forme - è una forza in grado di sopravvivere a qualsiasi cosa, anche alla morte. "
    Astrid cadde come erano caduti tutti loro, avvolta dalla musica e dal sangue ma senza far alcun rumore. Quando si avvicinò alla sua ultima persona, Beat aveva il cuore gonfio di malinconia e, insieme, di serenità. "Lo so che sei stanca ma manca poco: presto tutto questo finirà anche per te. " La tranquillizzo Beat facendosi vicino, una mano che provava a toccare la sua spalla passandoci attraverso. « Cosa succederà dopo? » "Questo, Bella, sarai solo tu a deciderlo." Pensò a quanto in comune avessero anche loro, chiedendosi come fosse potuto in vita sfuggirgli tutto quello. Si è sempre impegnati in qualcosa, sempre di corsa, sempre meno attenti. Sospirò.
    "No, non ero già più lì." Iniziò lui, lo sguardo malinconico che mai aveva mostrato sulla terra, quella vera, quando ancora aveva un corpo per respirare. "Ma non essere triste, sento la tua stretta ora e sento le vostre mani che trascinano il mio corpo. Grazie per l'umanità che hai mostrato nei miei confronti, non è scontata anzi, è la parte che conta di più: non lasciare che il mondo e le sue opinioni dettino legge su di te, quello che sei e chi decidi di amare." Fece una breve pausa proprio mentre nella periferia del suo campo visivo entrava un coltello affilatissimo. "Se potessi, rifarei tutto dall'inizio. Se potrai, fa' in modo che per te sia così. " Avrebbe voluto accompagnare con le mani ognuno di quei corpi per adagiarli dolcemente al suolo, avrebbe voluto restare ancora un po' ma, quando anche Bella lo lasciò, Beat capì di non aver più alcuna ragione di restare.
    E a ritroso si incamminò l'uomo, lontano dai corpi dei suoi amici e del suo amore più grande, via dal gazebo, attraverso il sentiero di fiori, tra falò e cadaveri fino ad arrivare sulla spiaggia dove guardò per terra: la sabbia era compatta e, di lui, nessuna traccia. Alzò allora la testa di capelli scompigliati verso il cielo, dove l'eclissi stava giungendo al termine proprio come il suo tempo in quel luogo. "Bist du bereit?" Sei pronto? Si voltò, Beat, ancora una volta solo per abitudine, avrebbe riconosciuto quella presenza un po' ovunque. " "Aspetta." Fece per cercare le sigarette, rendendosi conto di non poterlo più fare. Gli venne da ridere, un suono breve, un po' triste ma anche sereno a cui si unì l'eco dell'altro -forse solo nella sua testa. Certi vizi sono proprio duri a morire. " Prontissimo." Ripose allora con il tradizionale sorriso sbilenco mentre, gli occhi più sottili per il vizio di chiudersi leggermente ogni volta che apriva bocca, lanciava un ultimo sguardo indietro e poi a Jan, prima di avanzare fino a quando spalle, collo e testa non furono sommerse.
    Esaurite tutte le sue abitudine più belle, a quel punto di Beat non rimase più niente.


    Scusate è lungo e fa pietà e SOPRATUTTO vi prego perdonatemi se ho dimenticato qualcosa/qualcuno spero di no ora riprendo fiato ciao vivibi.


    Edited by Dead poets society - 18/6/2021, 23:27
     
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    ~ Epilogo ~

    Ora siete arrivati alla fine, al punto più profondo del buio, e la vostra morte l'ha reso tangibile, scavato nella pelle, proprio lì dove gli eventi della vita non si dimenticano. Avete attraversato quel limbo in ginocchio, cadendo in avanti senza mai fermarvi, proprio come il sangue caldo dalla vostra gola, e l'oscurità continuerà ad avvolgervi anche quando, deliberatamente, tornerete in vita. Non siete più lì dove avete iniziato a seguire i vostri animali guida, ma siete tutti insieme, sulla spiaggia, a sentire i piedi accarezzati dalla trasparente mano del mare. Le vostre gole hanno smesso di sanguinare, i vostri arti si muovono, la vostra mente - per quanto scossa - ha ripreso lucidità. Siete ritornati alla festa, e siete tutti insieme. Giacete sui ciottoli e la sabbia della riva, gli uni affianco alle altre, e le vostre consapevolezze, quelle maturate prima di morire, non si sono dissolte. Le porterete con voi, sulle spalle, per sempre. Un'ultima immagine vi farà capire di non dover lasciare andare ciò che è appena accaduto: i vostri animali guida sono ancora qui, vi fissano, vi osservano e non vi dimenticheranno. Nulla sarà come prima, e voi lo sentite ovunque - nel cuore, nello stomaco, nelle ossa ed in ogni cellula. Da oggi Besaid è morta, da oggi Besaid è rinata.
    Ora avete visto, ora tutti sapete: tutto ciò che è appena accaduto non è che lo specchio del passato, delle origini di Besaid e della vita che scorre dentro di lei, ciò che la rende unica e particolare. Secoli e secoli fa, la città è stata fondata con lo stesso rito di sangue che, molto tempo dopo, ha reciso le vostre vite. Le piaghe della violenza e della devastazione piombate sugli abitanti di villaggi allora troppo piccoli per chiamarsi una città li avevano uniti come stelle in una galassia, avvicinatesi nel dolore per porre fine a tutto con il favore degli dei. La preghiera intrisa di morte terminò con la creazione di Besaid, là dove il sangue aveva nutrito la terra per regalarle nuova vita, unitasi ad ogni scintillio di luce e frammento di DNA di ciascun Besaidiano e Besaidiana, figlio o figlia di quella storia, ora custode di poteri sovrannaturali e forze straordinarie. Voi siete quella storia, quell'eclissi, quel buio e quella luce ancora una volta insieme. Voi ora sapete quale germoglio ha fatto crescere gli alberi genealogici di ogni persona nella vostra cittadina, il rituale che in cambio di poderosi doni esige la perdita del passato di chi sceglie di abbandonare questa terra sacra, a suo modo sia benedetta che dannata. Besaid dovrà, con le vostre particolarità, essere per sempre protetta, ma anche nascosta.

    La nascita di una vita si celebra da tempi immemori, poco importa che essa sia umana, religiosa, o addirittura astratta. Quando qualcosa nasce porta curiosità e motivazione, ma soprattutto cambiamenti. La città di Besaid, unica nel suo genere e ormai in continua crescita ed espansione, ha un'esistenza propria che riesce a restare del tutto distante dal resto del mondo il quale, incastrato nel fuori, non arriva mai a penetrare quei confini invisibili che separano il banale dall'eccentrico, il convenzionale dal supremo, l'umano dal divino.

    “Tu ti vedi? E se ti vedi, che forma hai?”

    Una semplice felpa grigia, il cappuccio alzato a coprire la testa ed il volto. Il suo incedere è lento, sicuro. Del resto, tutto è andato come da programma. Ci è riuscito, ha avuto successo, la malattia che lo deturpa dall'interno è riuscita ad estendersi, propagarsi sino ad infettare tutto ciò che lo circonda. Ha fatto capitolare l'intera Besaid ai suoi piedi, dal più fragile bambino al più scaltro e forte criminale e si fa largo tra i corpi esanimi, calpesta la sabbia come fossero le ceneri di coloro che ormai senza vita si è lasciato indietro. Non c'è più nessuno in grado di fermarlo, di contenerlo o eguagliarlo. Sono delle semplici sneakers a percorrere il sentiero mortale tracciato sulla spiaggia, eppure lui si sente un re nelle sue vesti più solenni, ora che la città è finalmente sua. Arrivato alla pedana supera le spoglie di tutti coloro che ormai non possono più riposare in pace e si siede, trionfante, sul suo trono di cadaveri.

    Lui è arrivato, lui sta arrivando.



    #indicazioni:.
    -- Quest'ultimo post è facoltativo.
    -- La spiaggia è ancora animata dalla festa, proprio così com'era prima della vostra morte, anche se notate che gli avventori sono diminuiti: la celebrazione sta per volgere al termine.
    -- Come descritto nel masterpost, vedrete i vostri animali guida un'ultima volta. Si tratta di un arrivederci, non di un addio.
    -- Avete la completa libertà di descrivere le reazioni dei vostri PG nel momento in cui ritorneranno in vita sulla spiaggia. Lì troverete anche gli altri partecipanti e potrete interagire con loro.
    -- Il segno del taglio sulla gola non è più visibile, tuttavia siete sporchi di sangue sui vestiti.
    -- L'ultima scena descritta è una visione che tutti voi, anche Eira e Beat, avete.
    -- Infine, vi ricordiamo che avete la possibilità di postare entro 30 giorni massimo, dopodiché la quest verrà chiusa.

    #conseguenze psico-fisiche (!!! da leggere con particolare attenzione):
    -- Siete libere e libero di scegliere le reazioni che più si addicono ai vostri pg, cercando di commisurarle alla portata degli eventi appena accaduti e delle visioni ricevute.
    -- Avete capito che è stato il rituale a creare Besaid così com'è, dando ai cittadini le loro caratteristiche particolarità e non avete dimenticato le consapevolezze che avete maturato nello scorso turno. Sono solo vostre e potete decidere voi se divulgarle ancora o non pensarci mai più.
    -- Non avete incontrato la morte per sempre: tutti tranne Beat ed Eira si risveglieranno nel pieno delle loro funzioni vitali sulla spiaggia.
    -- C'è un problema però: tutti tranne Beat ed Eira subiranno delle alterazioni alla loro particolarità per tre mesi. Si tratta di glitch, momenti casuali in cui per un lasso di tempo limitato (a voi la scelta, da pochi minuti a non più di un giorno intero) il vostro potere si manifesterà senza malus. È qualcosa di nuovo, disorientante, e per alcuni potenzialmente pericoloso. Potete senza alcun problema parlare di tale evenienza on game in role successive.

    Per Beat ed Eira:
    -- Al contrario degli altri, voi due non vi risveglierete. Per via delle azioni compiute nel vostro secondo turno, non solo manterrete i segni del vostro suicidio visibli sul corpo (segni della corda per Eira, cicatrice per lo sparo per Beat) ma cadrete in uno stato di coma per tre mesi.
    -- Voi, invece, avete maturato una consapevolezza complessiva di tutto ciò che i vostri compagni e compagne sanno in maniera frammentata.
    -- Potete descrivere liberamente ciò che provate e vedete nel coma, tuttavia si tratta solo di visioni ed immagini relative a ciò che avete vissuto in spiaggia.
    -- Potrete essere risvegliati solo attraverso l'uso di una particolarità di qualcuno che ha il potere di entrare nella mente o nei sogni. Se vorrete concordare una role per il risveglio potete parlarne anche con lo staff e vi aiuteremo ad organizzarla!

    #recap azioni & info utili (!!! da leggere con particolare attenzione):
    -- Avete la visione che rappresenta un uomo solitario con il volto nascosto che sembra aver causato l'apocalisse nella città.
    -- Vi risvegliate tutti insieme sulla spiaggia.
    -- Guardate il vostro animale guida per l'ultima volta, prima che sparisca.
    -- Siete consapevoli che qualcosa sta cambiando in voi, specialmente nei riguardi della vostra particolarità. Potrete anche, volendo, iniziare ad avvertire i cambiamenti psico-fisici elencati sopra.
    -- Consapevolezze:
    Sappiamo che non tutte le consapevolezze ricevute per MP da voi sono state comunicate in un dialogo, tuttavia conviene raggrupparle, per darvi un'idea della situazione generale:
    • Eira: tu sai tutto, ma quando ti sveglierai potresti essere inizialmente confusa.
    • Lys: tutto ciò che avete vissuto è reale. Non si è trattato di un'illusione. Siete morti, ed ora tornati alla vita.
    • Riley: Gli eventi che sono accaduti succedono ogni anno, ma sempre in modo ed intensità diverse. L'eclissi è una costante di questa terra, e ciclicamente si presenta come punto di svolta per la città.
    • Max: È stato messo in atto un rituale: il rito della nascita, che richiede dei sacrifici compiuti nuovamente per fare in modo che la storia torni a compiersi.
    • Astrid: Ciò che avete visto si compirà nel futuro.
    • Magdalena: Sono 365 i giorni che potrebbero ancora restarvi da vivere prima che la storia si compia ancora.
    • Bellatrix: I cadaveri che avete visto sono stati privati della loro particolarità.
    • Rei: Si tratta dell'operato di una sola persona malvagia che nessuno ha potuto fermare.
    • Leo: Si tratta della brama di potere. È questa la causa scatenante della rovina.
    • Beat: tu sai tutto, quando ti sveglierai potresti essere però inizialmente confuso.
    A meno che non siano state esplicitamente pronunciate, voi non sapete di queste consapevolezze, poichè appartengono solo e soltanto al pg che le ha ricevute e che poi se ha voluto, nel turno precedente le ha divulgate.
    -- Se desiderate fare delle role in cui le vostre condizioni psico-fisiche non sono quelle legate alla quest (mancato controllo occasionale della particolarità/coma), potrete certamente farle, niente paura! Dovrete però specificare magari nel sottotitolo o all'inizio della role, che si è verificata prima o dopo gli eventi della quest.
    -- Restate all'erta, tante cose stanno per succedere: per aiutarvi a farvi un’idea su cosa accade subito dopo il ritorno sulla spiaggia, sappiate che il Governo indagherà sull'accaduto. Non appena verranno rinvenuti i corpi di Eira e Beat in stato comatoso e verranno quindi soccorsi e trasportati in ospedale, alcuni agenti del governo interrogheranno ognuno dei presenti alla ricerca di indizi e tasselli del puzzle che potrebbero aiutarli a comprendere cosa sia accaduto (potete giocarvelo come role ongame o citarlo solamente nelle prossime role, se avete bisogno di aiuto o chiarimenti, potete chiedere allo staff!).

    Turni: questo turno è opzionale e non ha turni prestabiliti. L'importante è postare entro i 30 giorni prima della chiusura della role.
    Qualsiasi dubbio o domanda riguardante la Quest potete porgerla in questo topic.
    Il turno opzionale parte da domani, 25.06.2021.

    Edited by ‹Alucard† - 25/6/2021, 10:41
     
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33 replies since 31/3/2021, 23:37   1889 views
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