Quest 04: Black Day

01.04.2021

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    ~ Prologo ~

    La nascita di una vita si celebra da tempi immemori, poco importa che essa sia umana, religiosa, o addirittura astratta. Quando qualcosa nasce porta curiosità e motivazione, ma soprattutto cambiamenti. La città di Besaid, unica nel suo genere e ormai in continua crescita ed espansione, ha un'esistenza propria che riesce a restare del tutto distante dal resto del mondo il quale, incastrato nel fuori, non arriva mai a penetrare quei confini invisibili che separano il banale dall'eccentrico, il convenzionale dal supremo, l'umano dal divino.
    Furono forse quelle di antichi Dei norreni, le mani che costruirono le prime case e spianarono le prime strade nella città, gli stessi antenati di coloro che, generazione dopo generazione, si ritrovano nel presente a festeggiare il momento in cui sono stati scelti per abitare Besaid e vivere, entro quei confini, l'esperienza più bizzarra e spirituale esistente al mondo. Ed è proprio la fondazione di Besaid che, ad ogni celebrazione anno dopo anno, è stata trasformata nell'evento più mondano dell’intera città: si tratta di più di ventiquattro ore di festeggiamenti e rievocazione di una tradizione antichissima attraverso sfilate di carri, travestimenti che richiamino l'atmosfera risalente al periodo dei guerrieri Vichinghi e, naturalmente, spettacoli di ogni genere accompagnati dalle melodie di alcuni cantastorie. Le strade prendono vita e il presente si mischia al passato, così come probabilmente anche al futuro, e in quel limbo di follia e storia, ogni cittadino prende parte a qualcosa di indescrivibilmente significativo.

    Le celebrazioni iniziano già il 31 Marzo in tarda serata, quando i primi carri si muovono dalla piccola radura di partenza situata nel Vennelyst Park della zona Ovest, per poi attraversare ogni parte della città addobbate a festa e tra le cui vie si riversano innumerevoli bancarelle non solo di cibo e bevande tipiche norvegesi e besaidiane, ma anche artigianato. È difatti durante la notte e poche ore prima dell’alba che la festa prende davvero vita: l’atmosfera si distacca quasi completamente dalla realtà attuale per dissolversi in quello che, ai sensi di ognuno, sembra diventare la sensazione più simile a quella che descriverebbe al meglio il semplicissimo e ordinario passaggio dal sonno alla veglia. È infatti ancora una sorta di mistero quello legato alla festa della fondazione, durante la quale non è raro che molti cittadini si lascino completamente andare per perdersi in un concetto che, seppur semplice, alla fine della celebrazione resta solo il ricordo di una sentita festa. Ed è difatti sulla spiaggia che ci si ritrova una volta seguiti i vari carri rappresentativi della città e della sua antichissima storia. Protetti ai lati dagli arbusti del bosco e dal nero ruvido delle alte rocce, è sulla riva del mare che inizia a brillare il sole appena sorto. L’alba sancisce l’inizio della fine, il ciclo di vita che giunge nuovamente al proprio punto di partenza, ed è così che le ultime ore della celebrazione si svolgono: scenari antichi, rievocazione di momenti che alcuni antenati potrebbero ricordare, racconti a voce alta di storie e leggende che a molti piace pensare siano ancora reali. E sulle note di voci e musica tradizionalmente nordica, la sabbia si lascia calpestare da piedi nudi e danzanti per ancora qualche momento, illusi che quell’attimo possa dilungarsi in eterno.

    Ed è alle 12.27 del 1 Aprile che qualcosa di altrettanto magico e ordinario si verifica: la luna, pallida e quasi invisibile nel cielo mattutino invaso dai raggi del sole, s’impone nel centro di tutto, nel centro forse del cosmo, oscurando la maggior parte di quella circonferenza e lasciando che la propria ombra si stenda sulle teste di ognuno, strisciando sotto i piedi e sui granelli della sabbia per mischiarsi ad essi.

    Sogno o veglia? Mitologia o realtà? Passato o futuro?
    Giorno o notte?

    Creature appaiono fra la folla, ma non tutti sembrano riuscire a vederle. Animali sacri, significati simbolici di una storia che riguarda non solo la città, ma anche chi la popola.

    ◊#1 LUPO: “Vedo il lupo accovacciato / davanti alla foce del fiume / fino a quando gli dèi non cadranno. / Fra poco anche tu sarai, / se non taci, / in catene, fabbro di mali!”
    La forza e la potenza del lupo si perdono nell’intreccio tra tempo e leggende, e l’eternità fa di questo animale un pilastro della mitologia norrena. Difatti, oltre a Freki “l’avido” e Geri “l’avaro”, i lupi che accompagnavano Odino per portargli notizie dalla Terra “Midgard”, è Fenrir a dominare l’immaginario popolare. Figlio di Loki, dio dell’inganno, l’enorme canide portatore di caos è temuto persino dagli dei, così tanto da essere intrappolato da una magica catena. La sua rabbia ribollisce sotto la superficie che tutti vedono, e nel momento in cui si gli anelli spezzeranno sarà Fenrir ad inghiottire il sole e la sua luce con esso, divorando qualsiasi ostacolo si parerà sul suo cammino, persino lo stesso re degli dei. Fenrir è una creature spinta al limite, tagliente, poderosa, libera. Nulla potrà fermarlo quando sarà riuscito ad evadere i limiti che lo costringono.

    ◊#2 CORVO: ”Hugin e Munin, / volano ogni giorno attorno al mondo; / Mi preoccupo per Hugin / e temo che non torni, / ma ancor più sto in pena per Munin.”
    Comunemente considerato il tramite tra il mondo dei vivi e quello dei morti, il corvo possiede significati ancor più antichi ed arcani che lo riportano alle figure di Huginn (il “pensiero”) e Muninn (la ”memoria” o la “mente”), la coppia di volatili cari ad Odino, re degli dei del pantheon norreno, incaricati di volare per tutta Midgard per portargli informazioni. Gli studiosi di queste due figure mistiche suggeriscono che la relazione tra Odino ed i corvi Huginn e Muninn rifletta il superamento della realtà tangibile, simile a quello che viene raggiunto nelle pratiche sciamaniche in cui il pensiero e la mente vengono plasmati in una dimensione ultraterrena. I due corvi rappresentano la saggezza e la simbiosi, il bilanciamento perfetto tra due elementi, l’unione di mondi considerati persino inconciliabili.


    ◊#3 DRAGO: “E viene di tenebra, / il drago che vola, / la serpe scintillante / da sotto Niðafiöll. / Porta tra le sue ali, / sulla pianura vola, / Níðhöggr, i morti. / Ora lei si inabissa.”
    Brutale, assopito e prezioso, il drago dal fiato caldo non è solo un mostro degno d’essere combattuto, ma anche un frammento di magia nella natura. Nella sua forma più maestosa produce paura, timore reverenziale e dominio sul resto delle creature, e nella mitologia norrena un drago in particolare è degno di nota: Nidhogg, il divoratore di cadaveri. Vive nell’aldilà, tra le radici dell’albero della vita Yggdrasil. Si nutre di morte, tuttavia è segno di rinascita. È infatti il drago Nidhogg a sorvolare il mondo dopo il Ragnarok, a segnare il nuovo inizio di un pianeta rinato dalle sue stesse ceneri. Infatti, questo drago è anche chiamato “la serpe lucente”. I riferimenti a questa creatura sono spesso oscuri, allusivi e molteplici, tant’è che spesso non si riesce a capire se essi si riferiscano sempre allo stesso animale o meno. Nidhogg è il drago più spaventoso ed il più valoroso, banchetta sulle ceneri della battaglia e poi solca i cieli dopo di essa, ne segna l’inizio, lo svolgimento e la fine.

    “Tu lo vedi? E se lo vedi, che forma ha?”

    #indicazioni:.
    -- Nel vostro primo post potete descrivere a grandi linee la vostra partecipazione alla festa, scegliendo se il PG ha seguito i festeggiamenti tutta la notte o se, semplicemente, ha deciso di godersi la celebrazione solo in piccola parte, giungendo quindi alla spiaggia prima o dopo l’alba. Avete libera scelta nel decidere con chi o come arrivarci (ad esempio, potete arrivare anche con altri partecipanti con cui il PG si è recato alla rievocazione oppure potete fare in modo che il PG sia stato su uno dei carri, tutto a vostra discrezione!)
    -- Come descritto nel masterpost, la spiaggia è animata, da un’estremo all’altro, da quella che è una più che veritiera rievocazione di un villaggio vichingo: ci sono case in legno; barche tipicamente costruite secondo la tradizione e su cui è anche possibile salire, attraccate alla riva; campi di battaglia all’interno del quale sarà possibile sfidarsi a duello usando non solo spade di legno, ma anche vere e proprie armature ridisegnate sull’idea di quelle antiche; diversi e numerosissimi musicisti o cantastorie pronti a deliziare i partecipanti con canti di tradizione norrena e storie leggendarie; cibo e bevande tipiche della zona;
    -- Inoltre, sempre tornando al masterpost, nel momento in cui si compie l'eclissi, i PG entreranno in uno stato alterato di coscienza, in cui aleggeranno in uno stato quasi onirico.
    -- Quando si verificherà l’eclissi tanto attesa, ognuno dei vostri PG vedrà UNA SOLA delle tre creature nominate sopra. La scelta della creatura spetta solo ed esclusivamente a voi! Vi chiediamo di scegliere tenendo considerazione del suo significato, così da abbinarlo al vostro PG. Quale dei tre animali lo rappresenta al meglio? Siate sinceri con voi e i vostri PG durante la scelta. (Se possibile, non comunicate a NESSUN altro Player in quest la vostra scelta prima di postare)
    -- Per il primo giro di risposte, avete la completa libertà di descrivere le reazioni dei vostri PG nel momento in cui si troveranno sulla spiaggia e, successivamente, dinanzi all’animale. Sulla spiaggia troverete naturalmente anche gli altri partecipanti, potrete vederli chiaramente e, se vi garba, interagire come lo desiderate.
    -- Se volete, per prendere attivamente parte alle celebrazioni, i PG hanno la possibilità di mascherarsi, indossando quindi costumi tipici che rappresentino la storia norvegese: guerrieri e guerriere, contadini e contadine, re e regine, quello che più vi garba!
    -- Vi invitiamo ad iscrivervi alla discussione per non perdere nessun post.
    -- Infine, vi ricordiamo che avete la possibilità di postare entro 3 giorni massimo, dopodiché salterete il turno.


    #recap azioni & info utili:
    • La festa inizia il 31 Marzo, in tarda serata, in una radura del Vennelyst Park (zona ovest);
    • I carri si spostano e attraversano tutta la città, passando quindi in piena notte anche per il centro (zona nord) e per la periferia (zona sud);
    • Poco prima dell'alba giungono sulla spiaggia (zona est), sul cui perimetro è stato letteralmente allestito un piccolo villaggio vichingo. (vedi sopra per più infos e clicca QUI per un po' di vibes norrene)
    • Alle 12.27 si verifica l'eclissi solare: l'atmosfera s'incupisce e l'intera zona si scurisce;
    • Da questo momento in poi, i PG avranno modo di vedere una sola delle tre creature;

    Turni: (ATTENZIONE: per necessità di gioco, è molto probabile che questi cambieranno radicalmente di volta in volta)
    1. Lys
    2. Eira
    3. Magdalena
    4. Max
    5. Astrid
    6. Leo
    7. Beat
    8. Riley
    9. Bellatrix
    10. Rei

    Qualsiasi dubbio o domanda riguardante la Quest potete porgerla in questo topic.
    I tre giorni del primo turno partono da domani, 02.04.2021 a mezzanotte.

    Edited by ‹Alucard† - 1/4/2021, 01:36
     
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    Nota: Essendo io la prima a postare mi sono divertita a descrivere il "prima" e quindi la festa in sé. Ho cercato di incastrare i collegamenti tra i pg di cui avevamo parlato e che avevamo accordato. Il post è molto lungo, vi chiedo di PERDONARMI (sparge uova Kinder), quindi potrebbe anche essermi sfuggita più di qualcosa di mano // aver imbrogliato forse plot e relazioni. Se qualcosa non è come avevamo detto o se, semplicemente, c'è qualcosa che riguarda la timeline o i vostri PG che volete io modifichi, contattatemi in pvt e ovviamente vedrò di salvare il salvabile. (?)
    Chiarito questo, chi ruola con me sa che mi perdo con le descrizioni delle sensazioni e delle emozioni, e mi dimentico quelle dei luoghi (bugia, le evito apposta come la peste perché le detesto), quindi sì: il post è lungo e parlo solo di sentimenti e pensieri, siete autorizzati a saltare qualsiasi parte vi annoi! *sparge altre uova kinder importate dall'Italia e lascia da parte due pistacchi per Nichi*
    Ve se ama, buona lettura e apriamo ufficialmente le danze!


    A piedi scalzi, Lys si muoveva fra quelle mura come se fossero una seconda casa. Camminava quasi saltellando, come se la gravità restasse ben ferma fuori dalla porta d’ingresso e, oltre quella, l’atmosfera all’interno si facesse più leggera, priva di una qualsiasi pressione esterna. Da quando Max si era trasferita in un posto tutto suo, Lys aveva ovviamente fatto in modo di non farle mai sentire la propria mancanza, neanche lì dentro. Sin da subito aveva avuto il desiderio di insediarsi dentro quella conchiglia di mondo fatta di pareti alte e bianche, grandi tappeti morbidissimi sotto la pianta dei piedi e collane di luci ovunque. Uno spazio come un altro per chiunque, eppure non per Max o Lys, che oltre ad essere sorelle legate dal sangue, sembravano essere un unico pezzo di cuore e mente.
    Avvolta nell’abito scuro scelto per la festa che l’avrebbe designata come la Dea della notte di nome Nótt, la nuca ben acconciata di Lys sbucò per prima oltre la porta della camera da letto di Max e, a passo svelto, avanzò poi con una boccetta di glitter incastrata fra le dita sottili, avvicinandosi alla sagoma della sorella mentre sollevava il braccio e iniziava a sventolare la mano per farle notare il tocco finale del trucco. «Sei pronta per la parte migliore?» annunciò, sorridendo divertita in direzione di Max e perfettamente consapevole che, fra tre, due, uno… ecco che la maggiore si tirava indietro per sfuggire via non solo allo sguardo furbastro della minore, ma anche alle sue mani, sempre più vicine al suo viso e pronte ad afferrarlo fra i palmi. «Dai, vieni qui, non ci metto niente e sembrerai uscita da qualche favola per bambini, di quelle fantasy in cui ci sono folletti e fatine!» provò a svendere l’idea dei glitter, Lys, ma niente sembrava funzionare.
    Quindici minuti dopo se ne stavano buttate per terra nel grande salone dal tetto spiovente, le mani a palmi aperte sul petto per via della respirazione e l’affanno generato non solo dall’inseguimento che aveva preso piede per tutta la casa, ma anche per via delle risate che, infine, le avevano colpite talmente forte da imporre loro di fermarsi e arrendersi. E fu con un ultimissimo scatto d’energia che Lys si lanciò, letteralmente su Max, finendole addosso e appesantendosi col proprio corpo sul suo, la tenne ben ferma sotto di sé mentre iniziava a spalmarle e impiastricciarle glitter su tutto il viso e un po’ fra i capelli. «Signori e Signore, la principessa Jasmine della Norvegia!» lo urlò, presa dall’euforia, prima di sollevarsi finalmente dal corpo della sorella e lasciarla quindi libera di risollevarsi. Allungò una mano verso di lei per aiutarla e, una volta in piedi l’una di fronte l’altra, le prese le guance fra le mani e l’avvicinò a sé per lasciarle un bacio sulla fronte. «Ti voglio bene anche se non ti vuoi far truccare mai da me.» sussurrò piano, quasi una confessione che nessun altro avrebbe dovuto udire, neanche quelle alte pareti accoglienti, perché a guardarlo, l’affetto, era facile ed era concesso a chiunque. Sentirlo trasformato in parole doveva restare invece un frammento di verità troppo intima ed importante, necessitava custodia e protezione, per Lys.
    Quando si allontanò da lei, lasciando andare via la presa sul suo viso, Lys sorrideva apertamente, genuinamente, come spesso accadeva con la sorella. Sebbene non lo dicesse mai apertamente, senza Max probabilmente Lys non sarebbe mai riuscita a riportare la testa oltre la superficie dell’acqua per tornare a respirare. Un’apnea durata più di un anno, che con l’aiuto di Max si era dileguata fino a sparire del tutto. D’altro canto, Lys sapeva perfettamente di non essere effettivamente tanto di supporto per la maggiore quanto invece lo era stata lei per la minore. Era a conoscenza del travagliato passato di Max, anche quello più recente. Sembrava quasi che i loro mondi si accordassero per farle andare pari passo, creando percorsi e destini simili che non avrebbero potuto modificare neanche a volerlo. Perché a lasciar fuori parti di sé stesse erano brave, ma in qualche modo non era mai nulla di definitivo o a lungo termine, e allora tornavano, Beat e Rem. Onde scostanti, mai regolari. La parte più rassicurante però si trovava sempre nel mezzo: chiunque andasse e venisse, Max e Lys restavano due costanti imprescindibili. Era per quel motivo che, quando Max le aveva riferito del ritorno improvviso e del tutto inaspettato di Rem, Lys non l’aveva poi presa tanto bene. Non aveva nulla contro Rem, non aveva mai nulla con nessuno in generale, ma non le piaceva l’influenza che l’uomo aveva avuto sulla sorella anni prima ed era certa del fatto che, ad averlo nelle sue vicinanze nuovamente, la vita di Max ne avrebbe subito ripetuti cambiamenti e sicuramente non in maniera positiva. Ma, dopotutto, non spettava a Lys prendere decisioni al riguardo, sebbene esprimere il proprio parere con la sorella era qualcosa che aveva sempre fatto e avrebbe continuato a fare, cercando di mostrare a lei prospettive che, altrimenti, dall’interno la stessa Max non avrebbe potuto cogliere. Consapevole del fatto che funzionassero quasi a specchio, le sorelle Love, Lys aveva omesso la questione Beat-Paul fino a quel giorno, consapevole che incontrandosi alla festa in città anche Max ne sarebbe ormai venuta a conoscenza.
    E dunque vestite, truccate, sbrilluccicose e soprattutto euforiche, Max e Lys lasciarono l’abitazione della maggiore per recarsi finalmente alla celebrazione.


    Nelle strade si era riversato un mare di gente, una folla spaiata ma caotica e pronta a far festa: quell’atmosfera sembrava quasi surreale, eppure Lys non potè impedire ad una sensazione di trasporto di travolgere anche lei. Trascinandosi dietro Max tenendosela per mano, erano avanzate in mezzo alla folla con fretta, il passo di Lys sempre più saltellante mentre, con lo sguardo perso a destra e sinistra, aveva cercato di cogliere ogni particolare della serata per farlo proprio e imprimerlo nella mente. Non era la prima volta che partecipavano alla celebrazione della fondazione, e ogni anno sembrava però come fosse la prima, un evento di quelli cui ognuno avrebbe dovuto partecipare almeno una volta nella vita.
    Quando il telefonò le vibrò nella tasca nascosta dei pantaloncini coperti dal tulle, lo tirò fuori quasi per inerzia e con distrazione lesse il nome di Beat sullo schermo, leggendo di sfuggita i messaggi e ritrovandosi ad increspare le sopracciglia per via della confusione non solo fuori dalla sua testa, ma anche dentro.

    "Sto arrivando." e ”Sono qui.”

    Aveva staccato tardi da lavoro non solo lei, quel pomeriggio, ma quasi mezza Besaid, dato che il giorno successivo praticamente nessuno avrebbe dovuto lavorare per via dei festeggiamenti. Ricordò della breve conversazione avuta al telefono con Paul, solo un’ora prima, in cui le comunicava che avrebbe fatto ritardo tornando da Oslo e che Beat le avrebbe dato uno strappo dalla redazione del giornale per portarla alla festa, dove si sarebbero poi incontrati tutti. Quando poi, alla fine, Lys era riuscita ad uscire un po’ prima e aveva chiamato Max preferendo così andare a prepararsi da lei per guadagnare del tempo, aveva scritto un messaggio a Paul riferendogli il cambio di programma, e solo in quel momento constatò che non aveva ricevuto una risposta dall'altro. E se intorno non ci fosse stata una festa a cui partecipare e che la rendeva più euforica del solito, Lys forse avrebbe anche potuto ragionarci su e pensare che, probabilmente, Paul quel messaggio non l'aveva neanche letto. Ma non era quello il caso, così quando aprì i messaggi di Beat per rispondergli, Lys si limitò a scrivergli uno striminzito e frettoloso "Ok!" di risposta, finendo con il riporre lo smartphone nella tasca. Il pensiero che Beat fosse lì da qualche parte la colpì effettivamente solo dopo come un pugno nello stomaco, sensazione che si sarebbe aggrappata a lei finché la sagoma di lui non si fosse proiettata proprio di fronte a lei. Ma non era ancora giunto il momento, così tornò a voltarsi verso Max per sorriderle di nuovo e ed essere completamente presente alla festa.
    Una volta fatto un primo giro, si ritrovarono ad incontrare Astrid per prima. Sebbene le tre fossero legate da anni di amicizia e initmità, nell’ultimo periodo quel rapporto sembrava essersi imprevedibilmente incrinato. A Lys non piaceva portare rancore, non era nelle sue corde, ma il fatto che la sua migliore amica fosse stata con il suo ex ragazzo era abbastanza difficile da digerire. Per quanto riguardava la situazione di Max, sotto un certo punto di vista, apprezzava il silenzio che Astrid aveva mantenuto con la sorella nel tenerle nascosta la presenza di Rem in città per tutto quel tempo, altrimenti quegli anni di tregua e pace che aveva visto addosso a Max avrebbero certamente avuto una forma e sapore ben diverso. Quindi se da un lato nella mente vedeva le mani di Beat addosso al corpo di Astrid, dall’altro vi era un sentimento di rispetto e gratitudine per il modo in cui aveva gestito la presunta fuga di Rem. Non perse quindi poi troppo tempo e si avvicinò anche all’amica per salutarla. Afferrò la mano di Astrid, che sembrava essere in compagnia di una donna che Lys mai aveva visto prima, e le sorrise gentilmente, pur restando in qualche modo quasi distante. Un tempo avrebbe certamente esitato ben poco prima di saltarle addosso e abbracciarla, ma i trascorsi erano ancora difficili da digerire e, sebbene non volesse tagliarla completamente fuori dalla propria vita, Lys necessitava ancora un po’ di tempo per perdonarla completamente. «Ciao, scema la salutò, sollevando piano la mano legata a quella di lei per fare una mini piroetta sotto l’arco formato dalle loro braccia unite. Quando si fermò di nuovo di fronte a lei, Lys la guardò sorridendo divertita. «Sono o non sono una perfetta Dea della notte?» domandò ad Astrid, aspettandosi ovviamente che lei annuisse e confermasse la tesi di Lys. Lasciò quindi andare la sua mano, separandosi da lei un po’ malincuore, a tratti furiosa con sé stessa per il modo in cui si erano allontanate ma consapevole del fatto che avesse ancora bisogno di un po’ di quella distanza prima di tornarle vicina. «Scappo, ci becchiamo dopo.» si congedò quindi, trascinata via dalla folla e forse anche e soprattutto da Max.
    E quindi via ad altri giri, altri saluti, altri boccali di Idromele. Fu quando incrociarono Bellatrix che si fermarono di nuovo: Lys non vedeva la bionda da una vita, ormai, eppure le tempistiche sembravano non avere poi molta importanza in una serata come quella. Ci si abbracciava, ci si scatenava al ritmo di musiche antiche millenni, si festeggiava un’esistenza che superava i limiti del tempo, avendo quasi l’impressione di vivere più vite. Le venne quindi piuttosto naturale abbracciarla, quasi a voler riavvicinare a sé il be ricordo che di lei aveva conservato. Certo, il periodo che le aveva viste più che conoscenti si era sovrapposto a quello buio vissuto da Lys, che nonostante i nuvoloni grigi sopra e dentro la testa, mai si era distaccata troppo da Astrid e, di conseguenza, aveva voluto accogliere anche la sua ragazza d’allora, Bella, facendo di lei una parte costante anche nella propria vita, almeno finché quella loro relazione non era giunta al termine e, quasi inevitabilmente, le loro strade erano tornate a separarsi e a farle perdere di vista. «ComestaiBella?titrovobenissimo-parlò a raffica-Vieni con noi? Ci vogliamo infilare su qualche carro!» le propose voltandosi a guardare anche Max e cercando sul viso della sorella lo stesso entusiasmo e approvazione, la voce ancora totalmente euforica all’idea di continuare a vivere la totale esperienza di quella notte che, ovviamente, per Lys si sarebbe dilungata fino al giorno dopo, convinta di poter affrontare le ore di veglia più a lungo di quanto forse sarebbe stato salutare. Al diavolo, aveva pensato: il giorno successivo non avrebbe di certo lavorato e, anche se le ci sarebbero voluti tre giorni per riprendersi dalla sbronza che -lo sapeva perfettamente- non avrebbe potuto evitare, ne sarebbe valsa la pena. Aveva inoltre già avvertito Lars prima di congedarsi da lui, solo poche ore prima. “Avrò i postumi per tre o quattro giorni, PERDONAMI.” Si trascinarono quindi Bellatrix appresso e, assieme a lei, decisero di andare alla ricerca di uno dei carri sul quale si trovavano alcuni amici comuni. perché tanto a Besaid si conoscono tutti e tutti vanno a letto con tutti quindi che sarà mai un carro con tutti i PG della quest sopra? PFFF okey fine della parte disajoo
    Non seppe effettivamente quanto tempo trascorsero avanzando fra la folla in festa, non guardò neanche più lo schermo del telefono, lasciandosi completamente andare alla sensazione di appartenenza a quel luogo che sembrò avvolgerla. Non si allontanò quasi mai da Max, restandole di fianco anche quando - con lo sguardo vivo e acceso che si trascinava sulle figure che aveva intorno illuminate da luci calde e traballanti delle fiaccole accese - Lys posò le iridi chiarissime su un paio di spalle larghe e nude, la schiena attraversata da tatuaggi che ben conosceva affiancati a disegni che, anche da lontano, avrebbe potuto riconoscere fossero fatti a mano. Quando quel corpo si mosse compiendo un piccolo passo nella direzione di Lys, voltandosi frontalmente ed uscendo finalmente allo scoperto oltre la barriera di persone che lo separano da lei, le iridi chiarissime di Lys ora illuminate dalle luci calde si aggrapparono a quel viso i cui lineamenti avrebbe potuto riconoscere anche alla cieca, ferme, si allacciarono a quelle di Beat. Furono quegli occhi a catturare tutta la sua più completa attenzione nel momento in cui incrociarono i suoi, e per un istante il tempo sembrò rallentare per dare loro l’occasione di sostare in un territorio neutro e pacifico prima di tornare ad attaccarsi. Fu istintivo e repentino, il sorriso che si generò sulle labbra schiuse di Lys non appena fu in grado di vedere Beat in mezzo alla folla. Sollevò il mento nella sua direzione e, quando tornò effettivamente alla realtà, sospirò voltando di fretta il viso in direzione di Max mentre le afferrava il braccio per attirare l’attenzione della sorella su di sé. «Giuro che prima o poi ti spiego.» sussurrò all’orecchio della maggiore senza aggiungere altro, liberandole il braccio dalla presa delle dita. Si scostò brevemente, avanzando in mezzo ai corpi per scomparire fra di essi e allontanandosi così dall’altro, quasi a vagare nella direzione opposta per farsi inseguire: chiaro era che, più si allontanavano, più era inevitabile gravitarsi intorno in una rotazione circolare che, come una spirale, portava i due pianeti ad unirsi nel mezzo. Si fermò davanti ad un chiosco sotto la cui luce fioca vide gli intarsi del proprio abito illuminarsi di riflesso mentre ordinava due porzioni di Lefse*. Quando tornò a voltarsi e ad avanzare nella direzione di Beat, lui l’aveva già trovata. «Dove cazzo eri? Ti cercavo.» ad inaugurare la serata, ovviamente, quei due ci mettevano sempre poco. E se il sorriso di prima si era generato sulle labbra di Lys per via di un’incontenibile voglia di andargli incontro e allacciarle le proprie mani attorno alle sue spalle, quello che venne fuori sulle labbra in quel momento fu la reazione divertita al solito battibeccare che sembrava essere diventato ormai una routine per entrambi. «Dove avrei dovuto essere, scusa?» rispose lei di rimando scrollando le spalle. Sollevò un braccio e gli porse una delle due porzioni di cibo, lasciandogli la frittella fra le mani e, senza neanche fermarsi a discutere o chiarire la situazione, tornò a muoversi in direzione del punto in cui aveva lasciato Max, voltandosi a guardare Beat per incitarlo a seguirla. «Dov’eri tu gli domandò quindi, con la bocca mezza piena dopo aver tirato via un morso al pancake salato. Solo quando vide Riley avvicinarsi a lui, senza aver notato lei, Lys finalmente frenò la marcia e si piantò all’improvviso, le sopracciglia increspate e le labbra schiuse in un attimo di confusione Error 404: page not found «Riley?!» la chiamò, scoppiando a ridere per la coincidenza (?) «Beat?» chiese, tornando poi a posare lo sguardo sull’altro. Ma decise di sorvolare la questione, decisamente troppo su di giri per chiedere, comprendere, cercare risposte in quel momento. Non si perse in commenti o supposizioni, non era il suo modo di fare, ma si concesse silenziosamente il beneficio innocentissimo del dubbio che tenne per sé, qualunque forma o idea questo avesse nella sua mente. Solo di una cosa sembrava esser certa: afferrando la mano di Riley per tirarla a sé, Lys se la trascinò di fianco, lasciando quindi Beat alle spalle e tornando poi verso Max che, finalmente, sembrava aver trovato il carro che stavano cercando: una nave vichinga con le ruote e un Thor di cartapesta dalle dimensioni gigantesche che sovrastava il tutto. Scosse subito il capo nella sua direzione quando notò che la sorella aveva riconosciuto la figura di Beat dietro di lei, accompagnato ora da Riley, che si affrettò a presentare a Max spiegandole che lavoravano insieme alla redazione del giornale. Non ci misero quindi troppo a salire e, una volta su, il party continuò per ore. Le immagini di ciò che accadde durante la notte rimasero impresse dietro le sue iridi blu come foto dai contorni opacizzati, mal definiti. Lo stesso furono i movimenti del suo corpo che, in uno stato di eccitazione ed euforia incontrollabile, sfuggiva via al controllo della mente razionale, la parte di Lys che fu inevitabile scacciare via per far spazio all’emotività e la comunicazione tattile che, molto più istintiva di quella gestita dalla mente una volta sobria e ora non più, guidava Lys in luoghi, conversazioni, braccia e sorrisi che, forse, alla luce del sole avrebbe considerato solo dopo averci pensato con estrema attenzione. Ma, in un contesto movimentato e pieno come quello, il pensiero di Lys -come forse accadeva anche per la maggior parte della gente che aveva preso parte alle celebrazioni- veniva decisamente indebolito e messo da parte. Affabile, estroversa, leggera, Lys tirava fuori la parte più sincera di sé con chiunque le si metteva davanti.

    Era sembrato anche solo un sogno il momento in cui, forse solo credendo di essere al buio e lontano da sguardi estranei, le mani di Beat si erano allacciate alla sua vita, ne aveva avvertito i polpastrelli caldi sul tessuto del vestito, quasi ne avessero bruciato la stoffa proprio lì dove lui li aveva premuti. Quanto erano stati così vicini? Non avrebbe saputo dirlo, ne ricordava però la sensazione: la stessa che, dalle mani di Lys premute su quelle di Beat per tenerselo stretto contro, si era disseminata su tutta la pelle e fino alla radice dei capelli tenuti legati in due grandi trecce sulla nuca, infilandosi con prepotenza oltre l’ossatura e i muscoli per raggiungere i polmoni e tramutarsi in respiro, ossigeno che fuoriusciva dalle labbra di Lys come vapore dolce, lo stesso che un paio di mesi prima aveva disegnato delle stelle su di un cielo intrappolato in una stanza dalle pareti spoglie, ai suoi occhi fatte di arbusti in costante movimento. Il vestito stretto attorno al busto di Lys e poi largo all’altezza della vita, dove lungo le gambe scendeva in maniera fluida e aperta e ne scopriva le ginocchia, sembrava scioglierlesi addosso e creare una notte danzante fatta di stelle che, forse per via dell’euforia e dell’idromele, sembravano illuminare ora anche Beat, che come la luna si lasciava guardare solo a tratti. Un sorriso divertito fu generato da quel pensiero fugace che portò Lys a sentirsi per davvero un po’ creatrice di quell’universo che solo lei vedeva e di cui loro due avevano sempre fatto parte. E a guardare il viso di Beat lateralmente, accostato al suo in una vicinanza troppo pericolosa per via della nuca di lei posata contro la spalla nuda del ragazzo, Lys aveva continuato a sorridergli dolcemente. Ma che la notte fosse miele non era una regola precisa, allora Lys di quella dolcezza tornava spesso a liberarsene, sottraendosi di nuovo a lui e alle sue mani per spostare la propria attenzione altrove, ballare, bere, sparire. Ma fuggire ad un contatto, su quel carro o durante una delle brevi pause trascorse di sotto, sembrava troppo difficile e, come previsto, Beat e Lys tornavano ad inciampare l’uno nell’altra anche solo per sfiorarsi: un tocco leggero che dava scosse e vita. E parte di quel tocco venne richiesto anche dalle labbra stesse, che a scontrarsi ci misero ben poco. Come facevano, Beat e Lys, a starsi lontani quando c’era da mettere via la razionalità per dar spazio ai sentimenti? Sembravano vivere due vite distinte e separate: quella in cui dicevano d’odiarsi e di volersi lontani, e quella in cui era evidente e cristallino come l’acqua che, al contrario, si amassero tremendamente anche dopo anni di distacco, anche dopo la morte stessa. Perché, pur allontanandosi, trovavano sempre il modo di tornare; perché, pur sapendo che il cuore di Beat non avrebbe dovuto battere affatto, continuava a tenerlo in vita assieme a lei; sapersi così vicini e non provare a toccarsi di più sembrava quasi la fine del mondo, c’era ben poco da fare.

    Quando era poi giunta l’alba, Lys si era lasciata il carro alle spalle per affondare i piedi nella sabbia ruvida e sottile della spiaggia. Il viso ancora cosparso di trucco e brillantini illuminato da flebili raggi del sole. Quello che durante la notte era avvenuto sembrò quasi il ricordo di un sogno e, con il corpo mosso da un’inspiegabile e nuova energia, si era sentita pronta a spingersi oltre, ancora; a danzare ancora; Fu una delle esperienze più strane mai provate, qualcosa che non dovrebbe essere così com’è, perché dopo una notte di festa non vi sarebbe ancora fame di musica e movimento, ma di pace. E forse di quello si trattava: un mix di sensazioni che, miscelandosi sotto la cute, avevano portato Lys a non fermarsi. Oppure, più semplicemente, il fatto che l’atmosfera di festa l’avesse inglobata e fatta sua aveva reso tutto più astratto, così come il numero di bicchieri di Idromele e altro che aveva bevuto o ingerito.
    Sulla spiaggia restarono ancora finché il sole non fu ormai alto nel cielo: si guardò intorno riconoscendo i volti di chi conosceva, delineando i contorni delle figure che voleva memorizzare nella mente quando, nonostante lei lo avesse dimenticato, qualcosa attirò la sua attenzione e non solo: i nasi all’insù, i palmi delle mani aperti all’altezza della fronte per proteggere gli sguardi curiosi da raggi diretti del sole di mezzogiorno, tutti sembravano concentrarsi sul cielo. Avanzò sulla sabbia, Lys, fermandosi poi in riva al mare e lasciando che i piedi venissero bagnati dalle onde così come la punta degli strascichi di stoffa che l’accompagnavano. Fu la superficie dell’acqua che guardò lei per prima, senza sollevare il capo al cielo, alla ricerca di quell’anello mistico creato dalla natura stessa per loro. Ondulata e in movimento con la corrente del mare, quell’eclissi solare sembrava volerle mangiare i piedi. Quando sollevò lo sguardo, finalmente, oltre alla sfera scurissima dai contorni lucenti e infuocati, Lys vide un drago innalzarsi dall’acqua e spaccare letteralmente in due quello sfondo che si era presentato a lei relativamente sereno fino a quel momento. Spalancò gli occhi, eppure non avvertì alcun timore. Una sensazione di sorpresa mista ad appartenenza sprofondò dentro di lei, spingendola quasi inconsciamente a sollevare il braccio e accostare le dita della mano aperta alla figura di quella creatura apparsa di fronte a lei. Ne riconobbe la forma e, come a ripescarlo dalla memoria di vecchi ricordi, anche l’eco di un vecchio racconto udito chissà dove. ”Si nutre di morte, tuttavia è segno di rinascita.”

    «Si nutre di morte, tuttavia è segno di rinascita.»

    *Pancakes di patate tipici dello street food norvegese
     
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    Se solitamente Eira si mostrava scostante o quantomeno non particolarmente attratta dalle manifestazioni di tipo sociale della città, nel caso della festa del Giorno Nero si comportava in maniera totalmente opposta: adorava avvertire quella sensazione elettrica che pareva pulsare viva sotto ai suoi piedi ed oltre i suoi occhi nel panorama di Besaid, incastonata tra monti e mare. La riportava a radici arcane e antiche che a volte sentiva ma non poteva toccare con mano; dunque correva, nei suoi pensieri e nelle sue emozioni, finchè non si aggrappava ad esse, e molte volte lo faceva con dei rituali propiziatori immersi nel fumo della salvia e nel luccichio dei cristalli, altre visitando la rievocazione storica che serpeggiava tra le strade di Besaid, lenta e inesorabile e che richiamava gli spettri di un passato ormai inafferrabili. I suoi papà, mai davvero attratti dal caos rinnovatore che quelle ore di oscurità totale portavano con sè, decidevano sempre di restare a casa e non partecipare alla festa. Così, dopo un paio di squilli in più al cellulare e con la sicurezza di avere Hakon vicino, Eira si incamminò con suo fratello verso il cuore di Besaid, in cui le celebrazioni impazzavano in tutta la loro gloria. Torce, forme arcaiche e suoni colpivano il cuore di Eira tanto profondamente quanto il suo battito, regolare e potente proprio come quelle melodie nascoste nel suo sangue ed in quello delle sue ave, delle donne che prima di lei avevano vissuto in quella terra di cui si commemorava la creazione ormai perduta nel mito. Naturalmente lei non voleva essere da meno; i capelli erano raccolti in due chignon, arricchiti nelle ciocche corvine da piccole extension cremisi incastonate in quella cornice scura, dello stesso colore delle labbra, rosse come il sangue anch'esse ed accessorie al look scuro che aveva scelto per la serata, ovviamente protetto dal freddo notturno da un lungo e largo cardigan in lana pronto ad abbracciare la figura della ragazza in una calda stretta. Sul viso, le grezze strisce di colori di guerra vichinghi tracciavano delle linee lungo tutta la pelle diafana di Eira, completando il trucco e restituendogli i lineamenti più leggendari a cui la giovane desiderava ritornare. Vieni Hakon, magari riusciamo a beccare gli ultimi carri! L'entusiasmo che ben poche persone erano riuscite a leggere in molti anni di conoscenza sul volto di Eira era ormai esploso in mille scintille, guizzi di vita ed impazienza che ne rivelavano anche la giovane età e la frenesia forse generalmente legata al Giorno Nero.
    Così, trascinando suo fratello con sè, Eira corse e corse, affondando le scarpe nel terreno fino ad arrivare ai pressi della spiaggia, dove la coda del corteo si esauriva sfociando in un flusso continuo nei festeggiamenti. Vide gli dei troneggiare tra le fiamme delle fiaccole e le guerriere incitare i loro fratelli in combattimenti fasulli ma vibranti, ed avvertì il richiamo dei tamburi a cornice, delle lire, delle bukkehorn e dei lur animare ogni gesto dei figuranti intenti ad imitare rituali antichi di sciamani e stregoni. Le voci divertite e concitate degli avventori non facevano che aumentare quel fermento, annidandosi tra le arnie delle bancarelle e delle casette in legno che ospitavano buon cibo e bevande, ed Eira ne era talmente estasiata da dimenticarsi persino della tenue raccomandazione del fratello: Non ti allontanare troppo, ho visto degli amici, ci ritroviamo qui tra poco okay? Si avviò quindi nel ventre della spiaggia, e lasciando che la guidasse lo scricchiolio dei piccoli sassi sulla riva sotto le scarpe, proseguì verso la piccola folla accumulatasi attorno ad una donna che rievocava le prodezze di una seidh-kona, letteralmente una "donna magica" o sacerdotessa che attraverso il canto e la danza intonava un galdr (incantesimo) misterioso e oscuro, volto ad assicurare la buona riuscita di una battaglia. Rapita completamente da quelle movenze e da quella cantilena mistica e traboccante d'energia Eira si fermò lì, osservando le lingue di luce arancione lambire l'abito multicolore della donna. Le sue iridi si riempirono d'amore e gratitudine senza nemmeno che potesse accorgersene, poichè le sembrò come se quelle primordiali parole stessero incoraggiando lei stessa a proseguire nelle lotte della sua vita, una dopo l'altra. Quella era la Besaid che avvertiva nelle membra, la stessa che anche se non l'aveva fatta nascere l'aveva accolta e cresciuta, e la stessa a cui Eira sarebbe stata per sempre legata con radici solide, fertili e profonde. Quando il canto terminò, lei fu la prima ad avvicinarsi alla donna, ringraziandola con un cenno del capo. Grazie, è stato bellissimo. Si complimentò lei sinceramente, ricevendo in risposta un caldo sorriso. Grazie a te uccellino, sai la mia famiglia è nota da generazioni per aver avuto molte seidh-kona tra noi! Aspetta, posso fare una cosa per te.. di buon augurio per la festa. Un paio di occhi grandi e curiosi si soffermarono sulla figura della signora, che chinatasi per immergere il pollice in una ciotolina piena di pigmento nero diluito si accertò di ricevere il consenso di Eira prima di tracciare un segno tra le sue clavicole, un ampio Ægishjálmur (Elmo del terrore), emblema di protezione e difesa contro il male. La seidh-kona tracciò il simbolo lentamente, con cura e precisione, e solo alla fine il battito del cuore di Eira sembrò smettere di scalciare selvaggiamente per l'emozione. Per proteggerti, uccellino. Goditi la festa e divertiti. Quel nuovo simbolo sarebbe stato il fulcro dell'entusiasmo di Eira per tutta la durata della festa, ora che si sentiva parte di essa anche attraverso quell'incontro tanto interessante. La ringrazio di cuore, buona festa a lei. Mormorò felice, ricoprendo una delle mani della donna con una delle proprie, fredde, in un tenero tocco prima di lanciarle uno sguardo riconoscente e proseguire nell'esplorazione della festa.
    Qualche snack più tardi, Eira si rese conto di aver notato una figura a lei nota, a cui per istinto si avvicinò. Magdalena? Tentò, attirando così l'attenzione dell'altra poco lontano, baciata dal vento marino. Mi fa piacere vederti qui, ti diverti? Domandò ora più tranquilla Eira, sperando di non infastidire la sua interlocutrice più del dovuto. Le tornò alla mente il loro precedente e bizzarro incontro al Bifröst, e da allora Eira sperava davvero che Magdalena stesse vivendo con relativa serenità le manifestazioni del suo potere per il quale si era sentita legittimamente molto scossa all'inizio. La scoperta di una particolarità si rivelava spesso come una seconda nascita: ne raccoglieva lo shock, l'eccitazione, la novità, il ripudio, lo sbocciare di un nuovo sè. Infondo, era proprio questo che donava Besaid, nuove opportunità di essere se stessi, di affrontarsi, di viversi e di esistere. Nessun altro luogo al mondo avrebbe mai donato tale impagabile occasione. Se è la prima volta che sei qui, ti consiglio di andare a vedere la rievocazione storica, è davvero stupenda. Suggerì infine la giovane, offrendo uno dei suoi rari e pacifici sorrisi all'altra prima di congedarsi da lei. Non voglio trattenerti dalla tua serata però, quindi per ora proseguo, tanto sicuramente ci vediamo in giro più tardi, ciao Magdalena! Un leggero cenno con la mano, ed Eira si concesse di girovagare ancora un po' in solitudine tra i tanti corpi le cui sagome si stagliavano nell'oscurità della sera come immagini leggendarie affiorate nuovamente dalle acque del tempo, e proprio vicino ad esse Eira arrivò, salendo su una delle barche dalle forme tradizionali ormeggiate sulla riva marina e giungendo sino alla fine del ponte per osservare il mare nero scintillare per gli ultimi momenti prima di venire inghiottito dal buio totale. «Sono su una delle barche.» Fu l'unico messaggio che Eira si affrettò a digitare a suo fratello, prima di riporre il cellulare in tasca ed inspirare a pieni polmoni l'aria di mare. Stava cominciando. L'eclissi era finalmente arrivata. La brillantezza nelle iridi di Eira sparì quasi del tutto, ora che gradualmente la luce stava abbandonando il cielo ed il cerchio perfetto che lo irradiava veniva occupato del tutto da quello che, sovrapponendosi ad esso, lo avrebbe nascosto del tutto. Solo per un istante, Eira si ritrovò a distogliere lo sguardo dall'alto, voltandosi istintivamente verso la riva per cogliere l'ombra di qualcuno che nonostante non fosse evidentemente suo fratello le parve altrettanto familiare: portava i capelli a caschetto, le sue membra femminee sembravano sottili eppure imperiose. Eira ne rimase per qualche istante affascinata prima di seguire gli ultimi momenti dell'eclisse compiersi proprio davanti ai suoi occhi.
    In quell'istante fu come sognare: tutto il mondo divenne ovattato eppure non meno bello, pieno dell'energia di millenni, carico di significati occulti e persi nella storia. Eira si sentì semplicemente parte di essa, una runa unica nel suo genere e per questo illeggibile agli occhi altrui. Nel mezzo del tamburellare inquieto ed impaziente del cuore nella cassa toracica, l'apparente vuoto nero sotto al ventre della barca illuminato da null'altro se non dalle torce cullava Eira e la rassicurava come fosse un portale per il paradiso in Terra. Lo fissò a lungo, e poi, compiuto un passo indietro, la ragazza si aggrappò al bordo ligneo della nave, sopraffatta, mentre una soffice risata ricolma di gioia si librava fuori dalle sue labbra. Proprio allora le parve di osservare delle ombre attorno a lei, che per quanto oscure, non la spaventavano. Ruotavano attorno a lei veloci, la circondavano come a dedicarle un'accorata danza in un battito d'ali di farfalla. Sei tu. No, nessuna farfalla iniziò a muovere le sue ali; si trattava di un animale più grande che arrivò per Eira sin sottopelle, fluttuando nelle sue braccia e nel suo costato in più piccole forme scure, tracce ombrose e vivide. Volavano proprio sulla sua pelle, effimere tanto quanto visibili sotto la luce focosa della torcia. Come in un incantesimo, le forme nere nell'epidermide di Eira sparirono, si dissolsero sino a ricomporsi nel nero più scuro in lucenti piume sulla sua spalla sinistra - un occhio nerissimo e lucente che si specchiava in quello di Eira. Non ne aveva paura, non avrebbe mai potuto. Il peso degli artigli nella lana la stabilizzava, le regalava equilibrio e le permetteva di udire i canti lontani dei Norreni e delle Norrene che l'avevano preceduta. Il pensiero. La memoria e la mente. Sono i messaggeri di Odino, la chiave per l'aldilà, il ponte tra mondi e forze differenti, la metafora della vita stessa. Eira poteva avvertirne l'aura regale vicino alla pelle, e con l'intento di avvicinarsi ulteriormente sollevò una mano, sfiorando con delicatezza le piume iridescenti di cui ora intravedeva direttamente solo il contorno, nell'ombra proiettata sul ponte della nave in contrasto rispetto alla luce fioca che la circondava. Non appena il corvo gracchiò brevemente in un suono asciutto e nitido, Eira prese un ampio respiro. Era pronta a passare dall'altra parte.
     
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    Quando, vari giorni prima, Magdalena aveva scoperto che cosa veniva organizzato ogni anno nel paese, si era ripromessa di non dargli peso e di non celebrare la festa che sembrava essere una sorta di rievocazione della nascita di Besaid. Per quanto chiusa in casa e per via del lavoro e per via di quanto aveva recentemente scoperto in quella fredda e piovosa giornata di Gennaio, non aveva però potuto fare a meno di sentire come l'intero paese fosse elettrizzato, fosse deciso a rendere la celebrazione spettacolare. Tutti, dal commesso del supermercato fino alla pubblica amministrazione, sembravano entusiastici. Dai cartelloni affissi con il programma, alle decorazioni che venivano sistemate ad ogni casa, ad ogni finestra, su ogni lampione, al passaparola di dove si sarebbero trovati i gruppetti, chi sarebbe andato su che carro.
    Si fece trascinare, in qualche modo. Certo aveva del lavoro da sbrigare, le solite consegne urgenti che ovviamente capitavano a cavallo delle feste, ma quel pomeriggio del 31 Marzo anche lei si era sentita piacevolmente in dovere di partecipare ai festeggiamenti e si era preparata. Aveva vaghi ricordi delle feste di quando era piccola, o adolescente. Non vi erano occasioni così particolari e sicuramente il clima mentale, oltre alla cultura retrograda dei suoi parenti, non le avevano dato occasione di avere quella che si sarebbe potuta definire una adolescenza tipica. Ora era troppo matura, non troppo vecchia, quello mai, per lasciarsi andare come poteva fare una ragazzina o anche una giovane donna, ma aveva comunque intenzione id godersi la serata.
    Un piccolo tarlo dentro di lei le diceva di evitare, che era pericoloso, che nei festeggiamenti poteva succedere qualcosa che avrebbe messo sotto gli occhi di tutti la sua stranezza, che sarebbe stata meglio a casa, a guardarsi un film su qualche piattaforma streaming e a godersi un tè caldo. Era preoccupata? Sicuramente. Non conosceva il suo... potere e non sapeva come controllarlo. Se fosse successo là, in mezzo alla gente e non nel piccolo negozietto, cosa sarebbe potuto accadere? Avrebbero gridato come ala vista di un mostro? Avrebbero creduto che facesse parte di qualche spettacolo?
    sospirò mentre guardava fuori dalla finestra, la festa già cominciata, considerando i suoni e le luci tutto attorno. Voleva essere partecipe dei festeggiamenti, ma allo stesso tempo, sfortunatamente, si sentiva un po' un pesce fuor d'acqua. Era straniera, non solo di nome, ma di fatto. Era una sorta di estraneo che si stava per intrufolare in una festa che legava la comunità, legava gli abitanti di quel paese.
    "Io sono solo qui di passaggio, o sono una della comunità?" si chiese, borbottando, tra le mani una tazza di Oolong.
    Poco lontano uno dei carri pigramente si mosse lungo la strada, una sorta di essere mitologico, un mostro alle sembianze tanto grottesche quanto affascinanti. Le persone attorno e sopra che festeggiavano, le grida e le risate che si mischiavano in una cacofonia simile a quella che si immaginava ci fosse stata ai lupercale o ai banchetti in onore di Dioniso. Le luci del carro, unite a quelle delle strade e ai flash dei cellulari la lasciarono immobile qualche secondo, persa in una sorta di tranche in cui quello che vedeva si mischiò con la fantasia, dandole per un istante l'impressione che tutto fosse vivo, che il carro stesso fosse davvero un essere fantastico, preda e carnefice allo stesso tempo dello stuolo di persone che lo circondavano, guerrieri di un tempo lontano tornati solo per una notte a fare ciò che erano soliti fare nel passato. Scosse il capo e bevve un sorso dell'aromatico tè. Si era decisa.
    Dopo una veloce doccia, cercò qualcosa nel suo armadio che potesse andare bene per l'occasione. La serata era calda, stranamente calda per il clima della zona, e questo la spinse a decidersi per un abito leggero, scuro come sembrava essere la preferenza di molte che aveva visto in strada. Con un po' di pazienza si acconciò i capelli così da ricreare quanto possibile un pipe braid, si trucco leggera e si infilò scarpe eleganti, anche se non dal tacco esagerato. Pensò per un attimo se avesse avuto bisogno della mantella nera, se fosse calato il freddo, ma decise che non ne avrebbe avuto bisogno.
    Scese in strada e iniziò a farsi trasportare dalla gente. Non aveva alcuna idea di dove stesse andando, non conosceva ancora così a fondo la città da potersi orientare nella confusione. Controllò varie volte la presenza del suo cellulare, ben carico. Non voleva ripetere nuovamente la leggerezza di rimanere senza un mezzo e di comunicazione e di orientamento. Si soffermò ad alcune bancarelle, notando come accanto a delle grezze riproduzioni dozzinali di simboli celtici e pseudo-vichinghi, ci fosse anche della bigiotteria estremamente interessante e dai prezzi molto competitivi. Fu attratta da due orecchini sferici, in agata blu, semplici ma a loro modo molto particolari, e chiese di provarli. Il commerciante le fece i complimenti per l'abito e la lingua, forse per gentilezza, forse per invogliarla a comprarli. Quello che fosse il vero motivo, si sentì lusingata e li acquistò, sostituendoli a quelli che aveva scelto prima di uscire.
    Attorno a lei, ovunque andasse, c'erano risate, canti più o meno comprensibili, uomini donne e bambini che si susseguivano senza soluzione di continuità esattamente come fossero un enorme unico essere vivente, un meraviglioso, cacofonico essere fantastico che quella notte si dipanava nelle strade di Besaid, trasformandole, donando loro nuova vita, donando loro una carica di energia che non aveva mai visto prima di allora. Una cittadina tranquilla, quasi sottotono per lei in alcuni momenti, era in quel preciso istante il centro di una enorme euforia che la contagiò e che la fece semplicemente vivere. Sperimentò dei cibi locali di cui non ricordò esattamente il nome, ma che trovò gradevoli e a volte sorprendenti nella loro commistione di sapori. Nonostante l'ampia scelta di bevande a declinazione alcolica, evitò queste ultime, trovando invece molto freschi e dissetanti dei centrifugati che un locale, aperto di notte, proponeva ai suoi clienti. Indecisa, vide che i più gettonati erano quelli, chiamati pittorescamente, Sort Kråke, Rød Ulv e Hvit Drage. Scelse uno di quelli, trovandolo sorprendente.
    Fu così che, un passo dopo l'altro, mossa dalla folla, parte della stessa, Magdalena arrivò alla spiaggia, dove il corteo sembrava allo stesso tempo spegnersi, allargandosi nella ricostruzione del villaggio vichingo, e aumentare di dimensioni e allegria, complici le migliaia di persone già presenti e tutte le attrazioni che animavano quella notte. Si tolse le scarpe, rimanendo scalza sulla sabbia, tiepida e umida. I piedi solleticavano piacevolmente, mentre si muoveva verso il villaggio, incuriosita dalla bravura nella ricostruzione, che lasciava comunque spazio al folclore e alla fantasia, alimentata negli ultimi anni da serie incentrate sul fantasy e che avevano attinto a piene mani dalla mitologia norrenica. Si fermò ad osservare i finti combattimenti in costume, si lasciò trasportare dalle danze rituali che venivano di volta in volta proposte sia da singole danzatrici, che da gruppi, ricordandole un po' il folklore inglese dei maypole. Stanca della festosa calca, si mosse poi in una zona più tranquilla, dove il caso la fece incontrare con l'unica altra persona che davvero poteva dire di aver conosciuto a Besaid.
    "Eira?" le sorrise la donna dopo che la ragazza la chiamò, anche lei stupita di trovarsi nello stesso posto nonostante la confusione. "E' un piacere vederti, e sei... Beh, sei decisamente vichinga nell'aspetto." le disse gentile indicando per un istante le pitture da guerra che ornavano il suo volto. "Sì mi sto divertendo, devo ammetterlo. E' la prima volte per me e anche se indecisa, alla fine ho ceduto all'euforia della serata e dei tuoi... dei nostri concittadini." le rispose continuando a camminare tranquilla, accanto alla ragazza. "Ci sono stata, ho deciso di prendermi qualche minuto di tranquillità prima di ributtarmi nella mischia dei festeggiamenti. Chissà, magari sperimenterò non solo come spettatrice il combattimento, sembra divertente."
    Si scambiarono ancora alcune parole, poi si accomiatarono. "Tranquilla, sai dove trovarmi, e io so dove trovare te." le disse, facendo un chiaro riferimento alla fumetteria, e vedendola scomparire nella folla.
    La donna trovò un angolino tranquillo, alcune rocce basse e comode vicino alla riva. Lasciò che i piedi venissero solleticati dalla risacca. Era giorno ormai, ma sapeva che da lì a poco sarebbe avvenuto ciò per cui, ma non solo, tutti erano lì. L'eclissi. vide la pallida luna muoversi decisa contro il sole. Le vennero in mente ancora leggende e tradizioni studiate relative alla danza tra il sole e la luna, oltre alla canzone "The storm" dei Blackmore's Night.
    fu nel preciso momento in cui la luna coprì il sole che tutto per lei divenne buio, tutto sembrò confondersi tra passato e presente, tra mitologia e realtà, mentre vichinghi solcavano fieri sulle loro Drakkar il mare davanti a lei intonando canti sanguinosi e tristi sul non tornare mai più a casa dopo la battaglia, pregando gli dei per una morte valorosa. Vide qualcosa nel celo, un guizzo lucente, ali membranose e respiro di tuono.
    "Welcome to the dragon's lair" sorrise.
     
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    Sakura Blossom

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    Madeleine "Max" Lilian Love

    Lo specchio accanto al letto pareva galleggiare sorretto da decine di lucciole, Max ci si specchiava osservando i pantaloni che aveva scelto per l’occasione, comodi e pratici con quelle tasche senza fondo per evitare di portarsi dietro la borsa. Iniziò ad aprire il tubetto di mascara che stringeva tra le mani, ma i suoi movimenti rimasero sospesi a metà mentre la superficie riflettente davanti a lei si animava come un televisore che dava programmi sul suo passato. La sua mente aveva iniziato un percorso a ritroso, vedeva Rem nel salotto al piano di sotto, sentiva distintamente la sua voce chiamarla per cognome. Quel maledetto cognome che la perseguitava dalla nascita, Love, come se fosse destinata ad amare ed essere amata profondamente ancor prima di fare il suo primo respiro. Niente di lontano dalla realtà, Max era una dai sentimenti prepotenti, tutto o niente. Inspirò profondamente mentre i suoi occhi continuavano a fissare Rem dentro il corridoio dei suoi ricordi, il sopracciglio sporco di sangue e la pelle usurata di un sopravvissuto. Ritrovarsi con lui faccia a faccia dopo cinque anni le aveva frantumato il cuore, una mano di pietra chiusa a pugno le aveva colpito l’anima ripetutamente, lasciandole dei lividi che ancora oggi riusciva a vedere se si guardava allo specchio.
    Un altro ricordo andò ad allacciarsi al precedente, sfumandolo come farebbe un dj con due canzoni, un perfetto fade out di immagini. Stavolta c’era Lys, ne sentiva le braccia strette attorno al proprio collo e il corpo esile adagiato sulla sua schiena. Il sole le scaldava il viso con una carezza leggera, mentre l’odore dei fiori nel cortile del istituto era troppo intenso per i suoi gusti, troppa dolcezza per un posto come quello. Era andata a prendere sua sorella per riportarla a casa dopo troppo tempo per il suo cuore, i suoi occhi spaventati dal mondo erano stati un colpo che non era riuscita a incassare. Aveva deglutito saliva e dolore prima di dire che le avrebbe prestato le sue gambe per tornare a vivere.
    E poi un altro ricordo aveva iniziato a prendere forma, ma il rumore dei passi di Lys la risvegliò, facendo da sottofondo al suo maldestro tentativo di mettere un po’ di mascara su quelle ciglia già parecchio folte. Un sorriso storto inclinò l’orizzonte delle sue labbra quando sentì quel continuo zampettare interrompersi nelle sue vicinanze. Distolse lo sguardo dallo specchio circondato di lucine che le facevano sembrare gli occhi accesi con delle lampadine al neon, ancor prima che le parole di sua sorella le giungessero alle orecchie aveva intravisto tra le sue dita un piccolo contenitore che lei stessa definiva anti – Max. Ebbe la conferma che si trattava di ciò che temeva quando la definì ”la parte migliore.” Si voltò verso di lei con l’istinto di sopravvivenza sovraeccitato, le mani di Lys si stavano facendo troppo vicine, piene di quei brillantini che promettevano favole a cui Max non credeva più da tanto tempo. ”Io al massimo posso fare il nano di montagna!” avvicinò i lunghi capelli ricci sotto al mento, giusto il tempo di un’imitazione veloce, poi si diede alla fuga catapultandosi giù per le scale che portavano al piano inferiore.
    Era maledettamente brava Lys a tallonarla, conosceva sin troppo bene l’ambiente e la sua padrona, scontata nello scegliere sempre gli stessi rifugi visto che la casa non era poi così grande. Si lasciò cadere a terra accanto a sua sorella solo quando si arrese, o almeno così credeva. Il fiato corto e le gambe doloranti non bastavano a contenere l’entusiasmo di Lys che la placcò come un giocatore di rugby, Max non oppose resistenza e si lasciò riempire il volto e i capelli di polvere di fata. Jasmine non era particolarmente felice di brillare come un addobbo natalizio fuori stagione, nonostante ciò il suo broncio si sciolse in una risata fragorosa. ”Sei più felice ora?” chiese lasciandosi aiutare a rialzarsi. ”Ti voglio bene anche io, con o senza trucco.” accolse con un sorriso il bacio di sua sorella, prendendola un po’ in giro per quella polvere di fata che spargeva in giro. Non erano solo brillantini, era allegria volatile quella con cui le aveva cosparso la pelle. Si sentì un po’ sciocca a rimanere zitta in piedi anche quando Lys le lasciò andare il viso, non era mai stata una da grandi discorsi, si faceva capire con quel suo linguaggio del corpo sin troppo eloquente. Riempì di nuovo il vuoto tra di loro passandole un braccio attorno al collo, bloccandola come in una presa da wrestling, per poi passarle il pugno chiuso tra i capelli con delicatezza. Sapeva che se le avesse rovinato l’acconciatura avrebbe passato un brutto quarto d’ora, ”brilli come una medusa di notte, suona quasi romantico, vero?” una risata roca lasciò le sue labbra già arricciate in un sorriso naturale. ”Questo vestito non è un po’ troppo sexy? Il fratello maggiore che è in me storce il naso, sappilo.” lasciò andare la presa su Lys per mettersi le mani sui fianchi con un broncio appena accennato, osservando quelle gambe esili sin troppo scoperte. ”Terrò d’occhio tutti gli uomini che ti si avvicinano troppo, mhmh…” cercò di fare un grugnito minaccioso che risultò poco credibile, non era in grado di tirare fuori il suo lato più duro quando si trattava di Lys. Max era sempre stata impenetrabile come una montagna, ma in presenza di sua sorella persino la roccia della sua corazza si scioglieva per farle spazio.
    ”Andiamo?”

    La mano di Lys la guidava in mezzo alla folla, la sua euforia era contagiosa, si trasmetteva da pelle a pelle come una scossa sottocutanea. Non era solo lei a trasmetterle quella sensazione, era l’intera città a vibrare di emozioni positive, scorgeva sorrisi, canti e balli ovunque si voltasse. A pochi passi da loro un gruppo di ragazzi vestiti da vichinghi sbattevano i calici colmi di birra facendola debordare, dopo un lungo sorso che si riversò sulle loro barbe finte intonarono una canzone tradizionale. La gente attorno a loro iniziò a danzare, sciamani, guerrieri e principesse si muovevano a ritmo senza distinzione di classe sociale o di età. La storia si riversava tra le strade senza pregiudizi, senza gerarchia, solo la fratellanza e l’allegria a unire gli abitanti di quella bizzarra cittadina. Max sorrise sorpassando la comitiva, mano a mano che si avvicinavano al centro i suoi occhi si riempivano di luci, di pellicce e caschi con corna di ogni dimensione. Si soffermò a guardare una bancarella di calici mentre sua sorella armeggiava col telefono, decise di comprare un enorme corno di plastica che avrebbe portato a tracolla come se fosse un arco, l’alcool era un imperativo per quella serata.
    Ebbe la conferma di aver fatto bene a comprare quel bicchiere di dimensioni epocali quando incontrarono Astrid sul loro cammino. Gli occhi di Max si accesero d’ira repressa, non disse una sola parola in sua presenza, si limitò a farle un cenno con la mano per educazione. Quella che un tempo chiamava amica le aveva tenuto nascosto un segreto troppo grande, troppo importante per tentennare di fronte al richiamo del perdono. Per cinque anni aveva aiutato Rem a nascondersi da tutti e soprattutto da lei. Non si meritava il suo affetto e la sua comprensione, sapeva cosa provava per quello stronzo del suo fratellastro, sapeva cosa erano da tempo immemore. Nonostante ciò si era fatta complice di Rem, rendendosi amica del Destino avverso che perseguitava quell’amore che le sfibrava il cuore da sempre. Lasciò che le due ragazze scambiassero qualche parola, ma più sentiva la voce di Astrid più i suoi pugni si serravano a lasciare il segno delle unghie sui palmi. Afferrò il braccio di sua sorella e la trascinò via in mezzo alla folla, non sopportava i battiti accelerati che risuonavano nel suo petto come un canto di guerra.
    Nel mezzo di una miriade di visi sconosciuti incontrarono dei lineamenti familiari che si tradussero nel nome di Bella. Salutò la donna, ridacchiando per l’esuberanza di sua sorella nel convincerla a seguirle in quella serata goliardica. Max non poteva fare a meno di ondeggiare il corpo al ritmo di quelle musiche ancestrali e a tratti oniriche che avvolgevano la notte, echi di un passato che vibrava ancora nel presente. Mandò giù un lungo sorso di birra dal calice a corno che portava in spalla come un vero vichingo, tra qualche sorso era certa che avrebbe fatto difficoltà a rimette a posto il calice, ma per adesso si godeva la sua sorgente personale. Offrì un po’ del suo nettare a Bella e a Lys, anche se una minuscola parte di se’ pretendeva di rimanere sufficientemente sobria per tenere d’occhio chi si accostava troppo a sua sorella. ”Bella, non ci vediamo da così tanto tempo, come stai?” fece una breve pausa come se fosse stata in apnea. ”Sapevi già che lei è qui stasera?” ci andò cauta nell’aggiungere l’ultima parte, chissà se quella tonalità appena più delicata aveva raggiunto le orecchie della ragazza a dovere, con tutto quel frastuono era difficile sentire persino coloro che ti stavano accanto. Mentre la ragazza le rispondeva non si fermarono nemmeno per un minuto, proseguirono a passeggiare per la città seguendo il flusso dell’orchestra che preannunciava la sfilata dei carri. Uomini e donne in abiti tradizionali suonavano corni e strumenti che Max aveva visto solo nei film, per un istante si lasciò distrarre prima di riportare la sua attenzione su Bella e Lys.
    ”Giuro che prima o poi ti spiego.” si voltò a guardare Lys che si allontanava tra la folla per raggiungere un ragazzo che aveva già visto un’altra volta, non le piaceva che fosse lì. Ricordava i suoi lineamenti serrati dal dolore quando si erano incontrati diverso tempo fa, Max gli aveva detto di stare lontano da sua sorella per evitarle inutili sofferenze. Ancora vedeva il fumo della sua sigaretta e la luce del lampione rotto di quella sera di tanti anni fa, lei e Beat seduti su una panchina arrugginita a parlare di Lys. Sapeva che non avrebbe dovuto intromettersi nel corso del destino di sua sorella, ma vederla barcollare con passi malfermi nel caos della vita, aveva fatto scattare qualcosa in Max. Non avrebbe permesso a nessuno di far crollare ancora sua sorella, specialmente quel ragazzino che ancora non le sembrava pronto ad affrontare i demoni interiori di Lys. Troppo acerbo per farsi carico di qualcun altro al proprio fianco, ne aveva osservato a lungo i tratti ripuliti quella sera, le era sembrato un ragazzino. Aveva le mani di chi ancora doveva toccare il fondo nella vita, poggiare i palmi a terra nel buio del proprio pozzo interiore lascia tracce visibili, mentre lui le sembrava così pulito. Non lo reputava in grado di starle vicino, neanche lei era certa di esserne all’altezza, ma era sicura che si sarebbe fatta amputare l’anima per restituire un po’ di serenità a Lys… e lui? Lui cosa era disposto a fare per sua sorella?
    Se non avesse avuto Bella al suo fianco probabilmente i suoi occhi sarebbero stati degli infallibili segugi, avrebbero seguito i movimenti di quei due nel minimo dettaglio. Tornò coi piedi a terra e propose alla ragazza di avvicinarsi a vedere i carri, era un must della serata trovare quello giusto su cui scattare polaroid di vita. ”Che ne pensi di quello?” con l’indice puntato indicò un’immensa nave vichinga con un Thor di cartapesta a troneggiare la cima. Dalla sua posizione coi piedi saldi sull’asfalto quel carro le sembrava immenso, le piacevano le onde del mare che erano state riprodotte in rilievo e i dettagli su quel vascello gigante. La cosa che l’affascinava di più era la testa di drago che si trovava sulla prua dell’imbarcazione. Era stata ricreata in legno con la bocca spalancata e i denti aguzzi in bella mostra, pronta a mordere qualunque nemico osasse avvicinarsi. ”Saliamo?” non appena lo disse, si materializzarono Lys, Beat e una ragazza che solo in seguito scoprì chiamarsi Riley. Lo sguardo di Max si soffermò in quello di Beat, solo un monito campeggiava nelle sue iridi: ’trattala bene.’

    La notte parve volare, nemmeno si accorse quando l’imbrunire si trasformò nell’albeggiare. Tra alcool, amici, balli e canti il mondo si era trasformato in una festa a cielo aperto, aveva fatto conoscenza con chiunque, forse aveva anche baciato uno sconosciuto o due, non ne era certa. Tutto il gruppo era in spiaggia, Max andò a raggomitolarsi accanto a Riley quando si rese conto che camminare le sembrava l’impresa più difficile di tutte. Il tempo scorreva senza senso, forse anche all’indietro. Si alzò dopo quelle che potevano essere ore o minuti, sufficienti per riempirle i pantaloni di sabbia e per lasciare l’impronta del glitter che le aveva messo Lys sui vestiti di Riley.
    Max raggiunse la riva a piedi scalzi, aveva perso le scarpe durante la serata, le aveva lanciate dal carro dopo aver bevuto l’ennesimo calice di birra. Peccato, erano i suoi sandali preferiti, ma ormai chissà quali mani li avevano raccolti e quali piedi avrebbero avuto la fortuna di indossarli l’indomani. Respirò a pieni polmoni l’aria carica di salsedine, andò a prendere il telefono dalla tasca per capire che ore fossero, se avesse compreso anche chi fosse e cosa ci faceva lì sarebbe stato un gran passo in avanti. Era mezzogiorno inoltrato, eppure a lei sembrava solo l’alba. Sbadigliò sollevando le braccia verso il cielo, solo in quel momento si rese conto che stava avendo inizio l’eclissi. Voleva chiamare sua sorella, Bella e tutti gli altri, ma qualcosa la inchiodò lì. Inclinò il capo da un lato osservando qualcosa muoversi nel cielo, le parve di vedere una stella cadente che dall’eclissi si distaccò andandole incontro. Si faceva sempre più vicina e a una velocità impressionante, il suo istinto gridava di scansarsi, ma il suo corpo era fermo coi piedi affossati nella sabbia. Riuscì solo a chiudersi a riccio con le braccia prima di vedere la figura di un lupo dal pelo scintillante davanti a lei. Non era una cometa, era un… cos’era esattamente? Era bellissimo l’animale, la fissava con quello sguardo selvaggio che pareva non avere confini, un orizzonte infinito sui toni del ghiaccio. Max allungò la mano e d’improvviso il lupo cambiò colore, il suo manto d’argento divenne nero come la notte più scura. ’Rem.’ un sussurro lucido nella sua testa che si perse tra altri successivi senza senso. Non capiva, non riusciva a distinguere le parole nella sua mente, sembrava una cantilena lontana. Poi d’un tratto quel groviglio divenne un mormorio comprensibile.
    Incatenato alla luna, ulula selvaggiamente, ma quando sarà libero nulla potrà fermarlo.

    Edited by Aruna Divya - 10/4/2021, 20:24
     
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    Un respiro profondo, un ultimo sguardo allo specchio e via, era pronta. La sua figura era minuta ma allo stesso tempo slanciata, merito della vita alta dei pantaloni che aveva scelto di indossare, abbinandoli ad una bralette dello stesso colore e ad una camicia corta che, con ogni probabilità, avrebbe tolto l'indomani mattina, arrotolandosela attorno ai fianchi oppure rintanandola all'interno della piccola borsetta che aveva intenzione di portare con sé: di solito, cercava di evitarle, le piaceva poter stare comoda, senza quell'inutile oggetto, soprattutto quando si trattava di minuscole pochette o tracolle, ma sapeva che quella sera avrebbe bevuto e per questo sarebbe stato meglio mettere il cellulare ed i documenti in un posto sicuro. Per una ragione analoga, aveva scelto di indossare delle scarpe da ginnastica, delle semplice scarpe di tela bianche: era prevista una serata in spiaggia, per quel che ricordava, e di certo starci con dei tacchi vertiginosi non sarebbe stato propriamente l'ideale.
    "Io sono quasi pronta. Ci vediamo direttamente lì?" Inviato. Aveva chiesto a Rei di accompagnarla a quella festa per due ragioni: la prima, piuttosto banale ma non meno sincera, era che desiderava conoscerla meglio. Non erano mai andata oltre la mera chiacchiera a lavoro, durante le pause o i momenti morti che - stranamente - persino all'Istituto erano presenti. L'aura che quella donna emanava era per lei un vero mistero: non era riuscita ad inquadrarla del tutto, la osservava, cercava di farlo, quasi psicanalizzandola - come alle volte i suoi amici l'accusavano di fare - ma non c'era nulla che la convinceva davvero delle sue ipotesi. «Ti va di venire con me alla festa?» le aveva chiesto d'un tratto, mentre girava con attenzione il caffè all'interno della tazzina in carta, preso in uno degli innumerevoli distributori sparsi all'interno dell'istituto. Era stato facile convincerla, era stata semplicemente sincera, facendole presente che, in tutti quegli anni, non avevano mai passato una serata insieme che non fosse per lavoro: voleva conoscerla, magari diventarle amica. Alcune persone pensavano di Astrid che si trattasse di una mera facciata, che fingesse di essere così buona e ben disposta verso il prossimo, ma in realtà era semplicemente la sua natura: per quanto selettiva nelle sue amicizie, desiderava dare a chiunque la possibilità di esserle amico, di entrare nella sua vita e, alle volte, persino di ferirla. E' così che arriviamo al punto due, la seconda ragione per cui aveva desiderato compagnia a quella festa: Bella. Era stato proprio con la sua ex che aveva passato la serata del Giorno Nero, l'ultima prima che si lasciassero: ricordava quel giorno con gioia e, allo stesso tempo, sentiva istintivamente gli occhi bagnarsi di una commozione per ciò che era stato e non poteva più tornare. Astrid non aveva mai superato quella rottura, non del tutto: era stata improvvisa, persino immotivata ai suoi occhi. L'aveva vista allontanarsi da lei sempre di più fino a quando, d'un tratto, il filo che le legava si era rotto. Tra tutte le sue relazioni, con uomini o con donne, Bella era stata di sicuro la più importante, nonché quella che le aveva arrecato più sofferenza. C'era voluto tempo, fazzoletti e decisamente tanti "patpat" sulla testa di Astrid da parte di chi la amava per potersi rialzare ma alla fine ce l'aveva fatta, si era ricomposta, i pezzi erano tornati al proprio posto. Per questo motivo, voleva finalmente provare ad esorcizzare quell'ultimo ricordo che la legava a lei: Crearsi nuovi ricordi è la tecnica migliore. si era detta poco prima di alzare lo sguardo verso Rei ed invitarla. Aveva unito l'utile al dilettevole. Terzo, ma non meno importante, probabilmente lì ci sarebbe stata anche Lys e con lei Max o forse Beat. Che vita incasinata. Quello che era successo fra loro rischiava di distruggere la poca sanità mentale che le era rimasta: si sentiva da schifo nel ripensare a quello che aveva fatto alla sua migliore amica, a come avesse seguito semplicemente l'istinto, senza congiungere quei due neuroni che le rimanevano per capire che quel tizio con l'accento tedesco fosse proprio quel tizio di cui Lys era innamorata da una vita intera. C'era andata a letto senza pensare troppo, aiutata anche dalle sostanze che aveva assunto quella sera: era una giustificazione? No, lo sapeva, ed era questo che più la logorava. Aveva ferito colei che mai l'aveva lasciata sola, persino nei momenti più brutti della sua vita, il suo faro di speranza. Lys era luce per Astrid, illuminava tutto quello che le stava intorno con un solo sorriso: alle volte, le era persino capitato di invidiarla. Come faceva ad essere così? Ma non si trattava di invidia malsana, forse era più stima. Ne sentiva la mancanza e, quel che era peggio, era che non poteva davvero farci niente. Aveva bisogno di tempo, sperava non di un tempo infinito: l'avrebbe perdonata? Preferiva non rispondere a quel quesito, sapendo che la più probabile delle risposte sarebbe stata negativa.

    «Sono qui!» trillò la sua voce, mentre una mano si alzava e cominciava a muoversi per farsi notare dalla collega, accompagnata dalla treccia che ondeggiava a ritmo dei suoi movimenti: «Volevo darmi a qualche acconciatura particolare, ho visto delle ragazze con i capelli intrecciati davvero bene... Ma non ne sono capace, quindi ci si accontenta di questa.» Sorrise con aria un po' colpevole, come se in fondo le andasse bene così: non si definiva vanitosa ma le piaceva, alle volte, esser curata e fine. Quel giorno però l'ansia che qualcosa potesse andare storto era stata così tanta che, alla fine, aveva pensato più a calmarsi che a cosa avrebbe dovuto indossare e come avrebbe dovuto truccarsi o agghindarsi, dimenticando persino la regola principale di quella serata: bisognava travestirsi, o almeno provarci.
    «Vogliamo andare?» fece, offrendo il braccio destro a Rei: «Sarò il tuo cavaliere in questa magnifica serata, finché sarò sobria almeno.» E considerata la musica e le bancarelle che si dipanavano a perdita d'occhio forse quella condizione non sarebbe durata poi molto. Era una perfetta rievocazione di un mondo che nessuno di loro aveva mai vissuto da vicino ma che, fra quelle vie e strade, sembrava più vivido che mai. «Ci sei mai venuta?» chiese, voltandosi verso la donna. «Io manco da diversi anni perché---» «Ciao, scema.» Beh, Lys non era il motivo principale ma era sicuramente una delle ragioni per cui Astrid aveva desiderato compagnia: «Ehi.» le aveva detto, con un sorriso, un po' forzato, non perché non avesse voglia di vederla quanto perché... Insomma, non era poi tanto facile da digerire quello che era successo e lo si leggeva in faccia ad entrambe. «Sei assolutamente perfetta.» Una bellissima dea della notte, tutta piena di brillantini e lustrini: «Forse un po' troppi glitter per i miei gusti.» le recriminò, provando un po' a scherzare, anche se alla fine la distanza che c'era fra loro pareva quasi palpabile. Alzò una mano per salutare anche sua sorella che, come poi si aspettava, la guardò con uno sguardo che, se non avesse imparato a conoscere, avrebbe potuto ucciderla sul colpo. Provò ad aprir bocca per presentare loro Rei ma l'idea morì sul nascere: erano già sparite. «A dopo...» mormorò, alla folla più che a loro che, ormai, non potevano più sentirla. Che anche Max ce l'avesse con lei era abbastanza ovvio visto quanto aveva fatto sia a Lys che a lei stessa: aveva nascosto, e questa volta di proposito, alla maggiore delle sorelle Love la presenza di Rem, suo fratello, che era vivo e vegeto all'interno della comunità. I sentimenti che percorrevano la ragazza in merito a quella decisione però erano molto diversi: in quel momento, Rem non aveva bisogno di altri pensieri, di altro caos. Nonostante non scorresse buon sangue, Astrid continuava ad essere affezionata alla quella ragazza, l'ammirava, apprezzava il suo modo di fare - quando non iniziava ad usarlo per una guerra fredda contro di lei - e trovava fosse qualcuno da imitare: allo stesso tempo, però, era ben conscia dell'effetto che faceva a suo fratello. Per lei non era forse uguale? Erano dinamite, l'uno per l'altra, e se c'era qualcuno a cui pensare, soprattutto in quel momento, allora per Astrid era proprio Rem: avrebbe scelto sempre lui, a prescindere dal costo, soprattutto quando aveva bisogno di lei, come quand'erano bambini. «Ho bisogno di un enorme boccale come quello di Max, la sorella della mia migliore amica che mi ha appena trafitto con lo sguardo.» disse a Rei, trascinandola verso una delle tante bancherelle con l'intenzione di prendere da bere per tutte e due. Attorno a loro si affannavano sciami di persone che ballavano, cantavano, inneggiavano ad una tradizione che scorreva dentro le vene di ognuno di loro: innumerevoli carri sfilavano, accompagnando tutti in una vera e propria rievocazione di un passato comune. «Skål!» le disse, battendo il boccale contro quello dell'altra, con un sonoro rumore di legno ad accompagnarla prima che buttasse giù almeno metà di quel liquido ambrato. Meglio. si disse, cercando un po' di illudersi che davvero un sorso di birra potesse farla tranquillizzare: alla fine, fu più l'espressione di Rei stessa a darle tranquillità. «Non hai idea di quanto sia contenta di averti invitata.» aggiunse infatti, in un atto di profonda sincerità, com'era abituata a fare sempre. Non le diede spiegazioni sul perché, non le disse davvero nulla su cosa le stesse balenando per la testa e su quanto in quel periodo la sua vita fosse incasinata: diede inconsciamente per scontato che fosse abbastanza acuta da cogliere nella sua espressione e da quel brevissimo dialogo di poco prima che no, forse non era tutto okay come voleva far credere. Troppo persa nei suoi pensieri non si rese nemmeno conto che alle sue spalle, in fila per prendere da bere, vi era un ragazzo dai capelli biondi e l'aria un po' arrabbiata: che gli era capitato? Astrid, tra l'altro, non si era nemmeno accorta che, voltandosi verso la musica che si stava avvicinando sempre di più, gli aveva versato quei tre centimetri di birra che le rimanevano da bere sui pantaloni. «Ah, cazzo. Scusa, io davvero non volevo.» Però era successo e quindi niente, ormai era davvero inutile piangere sulla birra versata. «Te ne posso offrire una? Cioè, ipotizzo dovessi prendere da bere prima di 'sto casino. Se vuoi domani te li porto a lavare, spero non costassero troppo.» Nonostante non conoscesse quel tipo sentiva una certa familiarità nei suoi confronti, come se l'avesse già visto e se ne stesse dimenticando: si fermò a fissarlo per un attimo, immobile sul posto, fino a quando non sgranò appena gli occhi per l'illuminazione. «Il tipo dell'Egon! Le...Leandro... No, Leonardo... Leo, sì, Leo!» Era una fortuna che fosse una brava osservatrice, almeno sarebbe riuscita davvero a ripagarlo del disastro. Ordinò, come promesso, altre due birre: una per sé - che iniziava ad avere davvero bisogno di bere, nella speranza che la sua vescica potesse reggere tutta quell'ingestione di liquidi - e una per Leo. «Ti prometto che ti ripago. Giuro. Scusami eh.» disse, porgendogliela, prima di allontanarsi da lì e perdersi all'interno della serata. «Che disagio...» borbottò, stringendosi lievemente al braccio di Rei che, poveraccia, era finita con l'osservare quella scena imbarazzante. «So essere anche una persona normale, sono solo un po' su di giri.» Non poteva nemmeno dar la colpa all'alcol, era tutto naturale, almeno fino a quel momento: a poco a poco per fortuna sarebbe arrivato anche il turno del luppolo, fra una danza, una chiacchiera e l'altra. C'erano davvero tante persone quella sera a Besaid.

    La notte passò senza che nemmeno se ne accorgessero: fu tutto così rapido, veloce, da non sentire nemmeno il sonno che normalmente si sarebbe fatto largo in chiunque rimanesse sveglio tutte quelle ore dopo una lunga giornata di lavoro. Sembravano intrappolati in un sogno, come se stessero davvero dormendo, all'interno di quella spiaggia che ormai era diventata il nuovo scenario del loro destino. «Aaaaah che bello.» fece, girando su se stessa e faticando a non cadere in terra. Attorno a lei, visibile solo alla sua compagna d'avventure, c'era un piccolo coniglietto bianco che saltellava felice: era il suo potere, la sua particolarità che di tanto in tanto faceva la propria comparsata. Era felice, per qualche ragione, e non riusciva proprio a trattenersi.
    Sulle spalle aveva una pelliccia - di chi era? - e il volto era ornato da decorazioni vichinghe che le illuminavano gli occhi chiari. Non ricordava chi gliele avesse fatte, aveva semplicemente chiuso gli occhi e si era fatta trascinare da quelli di qualcuno che sembrava più convinto di lei su quale fosse la cosa giusta: le avevano detto che non era abbastanza norrena, che urgeva una trasformazione, ed era arrivata, rapida, indolore. Si vedeva anche piuttosto figa, all'interno della fotocamera interna del cellulare con cui aveva scattato una foto, tirando a sé Rei col braccio libero. «Ho un po' fame però. Secondo te c'è ancora qualche bancarella per la colazione?» O per il pranzo? «Che ore sono?» domandò, senza rendersi conto di quanto tempo fosse passato.
    La gente si accalcava qua e là, fra le imbarcazioni, il villaggio, persino sulla spiaggia sembravano esserci più persone di quanto ne potesse ospitare: Besaid era sempre stata così densamente popolata? In mezzo a quei volti, più vicino di quanto avesse desiderato, ne colse uno decorato da una chioma bionda e delicata, i cui occhi chiari la colpirono come lance acuminate, facendo sparire anche il coniglietto che aveva generato in una nuvola di fumo. Che Bella fosse lì Astrid non lo sapeva e, forse, se l'avesse saputo, sarebbe rimasta a casa. Sentì il cuore farsi d'improvviso pesante, come se il tempo si fermasse assieme al suo battito: se ne stava con Max, chiacchierava con lei, non sapeva cosa si stessero dicendo ma era lì, là dove fino a poco prima del casino fatto c'era tutto il suo mondo. Strinse d'istinto la mano destra in un pugno, rischiando di rompere il cellulare che con tanta fatica aveva cercato di preservare durante tutta la sera. Era rabbia, imbarazzo, paura? Non sapeva definire cosa stesse sentendo in quel momento. Forse persino gelosia. Perché era lì? Perché aveva dovuto incontrarla proprio lì, quella sera? Perché non incontrare qualcun'altro, qualcuno come Maggie ad esempio? Da quando l'aveva incontrata aveva iniziato a sentirsi diversa, più leggera. In comune con Bella probabilmente aveva la forza d'animo, la volontà, la professionalità, ma a livello caratteriale non potevano esser più diverse. Se Bella aveva deciso di scappare dai suoi sentimenti, Maggie aveva invece deciso di accogliere quello che agli occhi di tutti sarebbe stato solo un problema, anzi, una tragedia: Lilian le aveva sconvolto la vita ma, a guardarla, sembrava la donna più felice del mondo. Era questo ciò che si doveva provare quando si amava, non la voglia di andarsene, non desiderare di fuggire! Per Astrid era scontato, persino ovvio, e non riusciva a capacitarsi di come per altri le cose potessero essere completamente diverse. Perché poi si era messa a pensare a Maggie in quel momento? Con quei pensieri ad oberarle la testa di preoccupazioni, quasi non s'accorse dell'eclissi: stava per albeggiare - o l'aveva già fatto? - ma tutto d'improvviso si era fatto buio, scuro come se fosse mezzanotte inoltrata. Il suo sguardo si spostò dalla ex al cielo, fissandolo come fosse il più bello degli spettacoli: lo era, davvero, tanto da farle dimenticare che non era poi molto salutare osservare direttamente il sole. Sbatté appena le palpebre, mentre gli occhi si umettarono lievemente per il fascio di luce che per un momento li aveva colpiti, prima di sparire. Quando li riaprì, dinanzi a lei, apparve un corvo: proveniva dal mare, forse da una delle imbarcazioni, e si avvicinava a lei con gli occhi neri fissi nei suoi. Gli uccelli le avevano sempre fatto paura, per qualche motivo li guardava con una sorta di timore: probabilmente Hitchcock aveva mietuto troppe vittime col suo film, Astrid compresa. Sorprendentemente però, in quel momento non sentì paura, si sentì leggera, come se potesse librarsi insieme a quella creatura, lucida, nonostante tutto. Sollevò una braccio nella sua direzione, allungando le dita come per toccarlo: un gruppo di cantori aveva raccontato la storia di quell'animale durante il corso della serata. Hugin e Munin erano i messaggeri di Odino, coloro che gli raccontavano ogni cosa fosse possibile osservare dall'alto, sussurrandogliela delicatamente all'orecchio: erano il pensiero e la memoria, la perfetta simbiosi fra due mondi che nulla avevano a che vedere gli uni con gli altri, un dono di Hel ad Odino, la rappresentazione dell'equilibrio che Astrid, per tutta la vita, aveva disperatamente cercato.

    Edited by Nana . - 12/4/2021, 11:11
     
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    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: [uerra o eventi/momenti storici drammatici e traumatici (Seconda guerra mondiale. I temi non vengono trattati nello specifico, ma in base al suo background, il pg ragiona e si comporta come un reduce di tali eventi. La player si dissocia da qualsiasi esaltazione di ideologie obsolete o disturbanti).].
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.
    Le azioni descritte non sono ad ogni modo condonate e sono diretta responsabilità creativa di chi ha realizzato tali contenuti.


    Besaid, aprile 1944


    Gli aerei alleati che sorvolavano la baia rompevano quel brusio continuo. Il mondo era in guerra. Ogni giorno uomini cadevano sul suolo patrio, precipitavano dal cielo, affondavano in mare. Eppure in quella cittadina il tempo sembrava scorrere in modo diverso. La Seconda Guerra Mondiale sembrava essere qualcosa di relegabile al di fuori, qualcosa di lontano. Soldati tedeschi marciavano per le strade, gli aerei squarciavano il cielo, ogni giorno la radio forniva elenchi senza fine di vittime, eppure i cittadini di Besaid non rinunciavano al loro sprazzo di normalità, o meglio, di anormalità. A bordo di carri più poveri del solito, con costumi rimediati alla bell’e meglio, le persone sfilavano per le vie, accompagnate da musiche antiche e bambini festanti. Si chiedeva cosa avessero da festeggiare, Leo, che in quel posto rappresentava l’occupante oppressore. Dicevano che i Besaidiani rappresentassero le loro origini in quel modo, che quello fosse un giorno folle in cui quegli strani poteri impazzivano e si amplificavano. Tra i suoi, molti uomini pensavano semplicemente che quelle persone celebrassero la vita, che si perpetuava anche quell’anno, mentre il resto del mondo si avviava alla distruzione. Uno spiraglio di umanità, tra ciò che era disumano.

    Besaid, aprile 2021, mezzogiorno


    ”LeeeeeooOOOOooOOO! Dove sei?? Non ti perdere tra la folla che poi mi tocca chiamare la polizia. Devo comprarti uno di quei braccialetti da spiaggia che suona se ti allontani troppo. MI RACCOMANDO SE TI PERDI PREMI IL SALVAVITA BEGHELLI.”
    Hobi continuava a urlare tra la folla, mentre il tedesco, con estrema nonchalance tentava di defilarsi fingendo di averlo perso di vista. Ma era mai possibile che lui, alla sua veneranda età(?), doveva farsi badare da un ragazzino? Che poi…ma che diavolo era sto salvavita? Esisteva un dispositivo che salvava la vita alla gente? Ah, gli agi dei tempi moderni. Il coreano si era vestito come una specie di sciamano, solo Dio sapeva cosa diamine volesse rappresentare. Probabilmente voleva solo farsi notare dai suoi amichetti di instagram a cui aveva dato appuntamento nelle storie. O almeno, così lo aveva sentito dire. Il fatto che lui si fermasse ogni due metri a parlare con qualcuno rendeva più semplice il suo piano. Non dovette nemmeno sforzarsi di camminare in avanti. Qualche passo e l’aveva già perso.
    ”Oh, santa pace.”
    Aveva sospirato, guardandosi intorno. Stentava a credere che tutta quella gente potesse vivere in quella cittadina. La verità era che semplicemente non aveva mai preso parte ad eventi del genere. Non in quel secolo almeno. Non gli dispiaceva, in realtà, vedere tanta vita in quel posto che aveva visto tanta morte. Nessuno lì serbava la memoria di coloro che erano caduti da nemici, se non qualche anziano che non ne serbava un buon ricordo, e che augurava loro di bruciare tra le fiamme dell’inferno. Con le mani nelle tasche dei jeans aveva attraversato le vie che per tutta la notte non avevano mai dormito. Quella festa era iniziata la sera prima, ed ancora stentava ad avviarsi alla conclusione. Era assurdo come qualcuno raccomandasse di non uscire in quel giorno in cui le particolarità impazzivano, e come invece tutti contravvenissero a quella cautela tutti negazionisti a Besaid. Non cielo dikono ke ci sta il kastello!
    Una palpata d’avambraccio accompagnata da un leggero ansimare lo fece sussultare: aveva seminato Hobi e si era trovato Clelio accollato. Di pane in frasca. Il buon padrone dell’Egon sembrava un po’ affannato. Poverino, alla sua età aveva quasi fatto chiusura la sera prima – appisolandosi di tanto in tanto alla cassa- ed ora era di nuovo attivo. Non si riguardava proprio, quell’ometto!
    ”Clelione! Tutto ok?” Aveva chiesto cortesemente, com’era buona educazione. L’uomo sbuffò, ancora attaccato al suo braccio, mentre praticamente lo trascinava.
    ”La figa, figliolo, la figa mi ammazza”. Leo lo guardò stranito, trattenendosi dal chiedere “ma quale figa?”. Domanda che comunque la sua espressione tradì. ”Le pollastre, mi assalgono come se fossi una pannocchia matura. Non c’ho più l’età per soddisfarle tutte regazzì, mi serve una badante e una guardia del corpo. Che Clelio fosse uno conosciuto nella cittadina era indubbio, ma il fatto che fosse così celebre lo rendeva alquanto perplesso. Sicuramente stava ingrossando la cosa, come sempre. ”Potresti mascherarti. Nessuno ti riconoscerebbe. Come uno di quei bellocci col mantello che piacciono tanto a Hobi! Capitain Norvegia. Anzi no, troppo americano. Fottuti americani! Kapitän Klelio!” Esibì il suo marcato accento tedesco, trascinando il vecchio verso una profumeria in cui truccavano i bambini da vichinghi, e in cui in men che non si dica tinsero la faccia di Clelio di bianco e nero. Adesso sì che faceva pena davvero. Rise, l’ex ufficiale, mentre abbandonava il vecchietto alle cure di una truccatrice le cui forme prosperose avevano decisamente attirato la sua attenzione. Potenziale badante? Povera donna. Era passato intorno al campo di combattimento, e si era soffermato un momento ad osservare i goffi partecipanti a quella tenzone, prima di andare a mettersi in fila per una birra. La seconda della giornata.

    La sera prima:


    ”Scheisse!” Imprecò, quando qualcuno lo urtò, per poi rovesciargli della birra addosso. Non voleva riferirsi così a una signora non mi ammazzare Chià però gli era scappato. Lei nel frattempo aveva iniziato a parlare a macchinetta. Guardò lei, poi i suoi jeans. Insomma, era solo birra, mica pallottole! Per quelle forse si sarebbe incazzato. ”Ehm. No, non fa niente.” Cercò di fermarla. Non aveva bisogno di una lavanderia: Kat aveva quella lavatrice super silenziosa che aveva preso apposta per non spaventarlo, che lavava. ”Tranquilla, davvero. Ce l’ho una lavastoviglie.” No aspetta, quella era quella con cui lavavano i bicchieri all’Egon. ”Lavatrice. Quella con l’oblò come i rottomarini a manovella sottomarini. Hai capito, no?” Povera anima ingenua. Lì l’unico a non capire certe cose era lui. Lei, dal canto suo, conosceva persino il suo nome. Non riuscì comunque a dissuaderla dall’offrirgli una birra, che alla fine si trovò ad accettare brindando alla sua. ”Beh, allora grazie. Come si dice qui? Skal!” Aveva risposto, mentre lei continuava ad andare a tremila. Ehi, non mi hai detto come tu chiami!” Aveva chiesto, troppo tardi. sks ma te hai detto ke era la sera prima io nn ho kapito

    Ora


    Birra a mezzogiorno, ci stava. Il suo sguardo aveva vagato sulle persone, mentre pian piano le loro voci divenivano impercepibili. Sentiva quell’energia scorrere nelle sue vene, quella che accompagnava gli strani eventi. Stavolta però nessuna strana emozione era intervenuta ad attivare la sua particolarità. Dal nulla, la sua abilità di negazione aveva fatto sparire il suono nell’ambiente intorno a lui. E poi iniziò a sparire anche la luce, stavolta per un motivo diverso. Alzò le iridi chiare al cielo, nel momento in cui la luna iniziò ad oscurare il sole. I suoni tornarono. Voci concitate, alcune spaventate da qualcosa. Le particolarità, dicevano.
    C’era troppo silenzio.

    C’era solo polvere e macerie, sotto ai piedi dei soldati che stanchi continuavano a marciare imbracciando il loro mitra. Tutto sembrava avere un solo colore: grigio. Persino il cielo, il cui reale colore era offuscato dal fumo che rendeva tutto più tetro. La sete di vittoria non risparmiava bellezza alcuna. Era un continuo risiko col destino, un continuo marciare e conquistare. L’odore che si sentiva era quello di fuliggine, irrespirabile. Sembrava un posto inadatto all’umanità, quel mondo in cui gli uomini cercavano di sovrastare i loro simili, perché esistevano solo inferiori e superiori, coloro che meritavano di vivere governati dai migliori e coloro che dovevano soccombere. Marciava, il soldato senza più anima, mentre tra le macerie non si muoveva altro che una figura esile, dal pelo ispido e marroncino. Un lupo, tanto stordito dalle bombe da essersi ritrovato a girare per il paese devastato, alla ricerca di cibo, o di punti di riferimento. Sembrò fissarlo, per un attimo, coi suoi occhi famelici. Fissava tutti loro, lupi per gli altri uomini.

    Per un momento gli parve di rivederlo. Lo stesso lupo, identico, non più tra macerie ma tra le gambe di una folla in festa. Restò con la bocca semi-aperta, il soldato in preda ad uno dei suoi deja vù. E mentre ancora si portava dietro il silenzio, Leo decise di seguirlo. Era istinto, il suo, lo stesso che aveva tradito quell’animale confuso una volta, trascinandolo tra gli uomini.

    Mio caro Ernst, vorrei tu potessi vedere come nulla sia cambiato qui. La gente è folle, come sempre, come quelli del terzo battaglione con cui abbiamo giocato a biliardo quella sera. Ma non folle come lo eravamo noi, come l’uomo che veneravamo come un dio. Lo hanno visto morire, lui, esattamente come io ho visto morire l’altro Dio. In un rifugio, uno, sul filo spinato l’altro. La gente è folle, continua a credere in strani dei. Vorrei solo avvertirli di quanto gli dei siano pericolosi, di quanto sbagliato sia crederci. Eppure vorrei tu potessi vederli oggi, a danzare tra gli uomini.
     
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    Nota: Scusate se il post è davvero troppo lungo, la sintesi non era la mia dote nemmeno a scuola e infatti prendevo 3 nei riassunti. Saltate pure delle parti se vi annoiano, no problem, e non odiatemi plz ç.ç Comunque, chiedo perdono se ho dimenticato qualche interazione o/se ho mosso leggermente qualche pg (penso di aver concordato la cosa con le player citando i pezzi scritti da loro per i loro pg e/o azioni che avrebbero compiuto ma, in caso PERDONO, per qualsiasi cosa che non va contattatemi senza problemi che cambio.) Dunque, per le rune ho cercato di seguire le fonti trovate online ma a una certa mi si incrociavano gli occhi quindi ho inventato un po' :uhuh: E l'eclissi Beat se l'è vista proprio con gli occhi da drokato scusatelo, la descrizione non è molto veritiera.


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    Era dolce la punta del pennello che gli stava tingendo la pelle d'henné, una riga nera proprio lungo l'osso dell'indice completava un codice scritto sulle dita, una specie di freccia a simboleggiare il guerriero che, con tutte le altre, nocca dopo nocca dava vita a un messaggio propiziatorio. Non ne sapeva molto di mitologia norrena, Beat, ma le forme geometriche esercitavano da sempre un certo fascino su di lui, che infatti aveva volute riprodotte sul corpo come una mappa di quello da cui, in attimi cardine della sua vita, occhi e mente erano stati inconcepibilmente afferrati quando forse l'evento principale era troppo da sopportare e c'era stato invece bisogno che il cervello si aggrappasse ai dettagli per non impazzire, come le forme romboidi create dalla luce caduta nei vuoti del davanzale della casa berlinese, una ringhiera di nero e pelle che ora indossava sul braccio.
    Non ne sapeva molto, ma gli piaceva il modo in cui le linee di quell'alfabeto runico detto fuþark si piegavano come fossero parti di lui, a ridosso delle proprie ossa. Sulla mano destra c'era Tyr (ᛏ), guerriero sul pollice; poi uruz (ᚢ), potere; man (ᛖ), uomo; ear (ᛟ), terra; frændi (ᚾ), legami, amici, famiglia. Sulla sinistra, sulla mano del cuore, invece si iniziava con ulfsvard (ᛚ), il lupo e poi sowulo (ᛋ), il sole; máni (☽) luna; ævi (ᛉ) vita e dauði (ᛦ), morte. Se non stai fermo ti decapito. Non sapeva molto, ma la proprietaria di quella voce - un sibilo che gli strappò un mezzo sorriso - il solito, ecco, quella ragazza minuta col piercing al naso e la testa dura gli piaceva ancora di più delle morbide rune che da un'ora e mezza gli stava dipingendo addosso; lei, sua sorella, Mia, era una delle persone che preferiva al mondo e proprio per via di quella scorza di pietra sotto la quale nascondeva una morbidezza senza pari, bastava solamente spostarle la frangetta protettiva e, poi, guardarle dentro. Entschuldigung. Scusa, detto così poi, più il sorriso da stregatto uguale: "non riuscirò a stare fermo e dovrai macchiarti di fratricidio." C'era infatti sempre qualcosa di lui che si muoveva, una parte qualsiasi del suo corpo che seguiva un ritmo udibile soltanto da lui. Potevano essere il collo, il piede e le dita, come poteva invece trattarsi di sopracciglia, mento e gomito. In quel caso, a muoversi era semplicemente il ginocchio della gamba opposta, quella lontana dalla parte che Mia stava tatuando ma che, evidentemente, veniva comunque raggiunta dal su e giù di quell'articolazione agitata da un ritmo contagioso che dava la sensazione che Beat ballasse anche da fermo. Sei impossibile Beat ma ho fatto, guarda se ti piace e pure se non ti piace te lo tieni e ciao. Con le mani sui braccioli della poltrona, Beat si diede la spinta per tirarsi su come se alzarsi fosse troppo normale e volesse invece essere una molla, pure un po' impazzita. Forse aveva già iniziato a festeggiare, bere prima di uscire per andare a bere era uno dei suoi motti preferiti, al quale spesso e volentieri cambiava il verbo che diventava drogarsi, o anche tutti e due, licenza poetica a sua discrezione. Attraversò lo studio di Mia perpendicolarmente, tagliando con i passi la stanza a metà per piazzarsi di fronte allo specchio alto e stretto che gli restituì una visione che gli sembrò uscita da un documentario storico, uno di quelli fatti bene. In alto, la parte sinistra del torso era segnata da tatuaggi intricati che stiracchiavano gli artigli di inchiostro sulla spalla e poi giù, lungo tutto il braccio; poi, a parte le mani, sotto la rasatura di un lato della testa svettava una sequenza di rune attorcigliate a linee sottili di cui Beat non sapeva il significato, se ce n'era uno, ma che trovava bellissime. Neanche la faccia Mia aveva trascurato, dove contro il nero del trucco un paio di occhi di un azzurro intensissimo ricambiavano il suo sguardo, così elettrici da sembrare due lampadine sul punto di esplodere. Sei fantastica, mitica, ti voglio bene mwah! Intanto Mia gli si era messa alle spalle, un ottimo bersaglio per uno abituato a toccare la gente ogni tre per due e una pessima decisione per una come Mia, a cui invece dava fastidio pure che le si respirasse troppo vicino alla faccia. E infatti si era girato e l'aveva abbracciata, piegando un po' schiena e ginocchia e suggellando il suo affetto per lei con quel mwah sonorosissimo, un bacio sulla guancia spinto proprio al suo limite con la punta della lingua che per un secondo sfiorava la pelle, il gesto di uno strafatto fatto proprio per strafare.
    Mia gli mollò un forte pugno sulla spalla allontanandolo con una spinta e, prima che potesse colpirlo di nuovo, Beat sgusciò di lato afferrando al volo la felpa buttata sul lettino per mettersi poi a camminare verso la porta, sì, ma all'indietro, mentre il braccio sinistro cercava il passaggio della manica, un'impresa che nel suo stato sembrava impossibile. Però riuscì a evitare per miracolo un pacchetto di fazzoletti tempo lanciati contro di lui. (tra l'altro marca della tedeschiaaa). Quando si dice culo. Grumpy, sicura che non vuoi venire? Mangiamo, beviamo, balliamo: ci divertiamo, lo sai. Il secondo missile cartaceo lo centrò in piena fronte però, proprio mentre spingeva con il sedere la porta dello studio, la felpa ancora penzoloni da un braccio. Lavoreremo sulle tue social skills, promesso, ma non oggi, domani. Oggi c'è la festa più lunga dell'anno che mi aspetta. Lo disse come se Mia potesse in qualche modo non saperlo, come se non avesse passato le ultime due ore a trasformarlo in un perfetto vichingo; quelle parole rotolarono in sovreccitazione, agitate, poco prima che colui che le aveva pronunciate sparisse nel varco aperto e nella notte che, nerissima, stava già calando tentacoli di velluto sui tetti della città.

    Non farmi questo Paul, non oggi. Ti prego. Con una mano sul volante e gli occhi fissi sbarrati increduli sulla strada, Beat stava già sudando. Le dita della mano opposta si stringevano alla sigaretta quasi fosse lei a sorreggere lui e non viceversa, mentre la cenere ruzzolava fuori dal finestrino, sull'asfalto, e le macchine dietro la sua la disintegravano proprio come il suo migliore amico stava sgretolando i suoi programmi: dolorosamente e senza misericordia. Sono io che prego te, Beat, fammi questo favore! Passala a prendere e basta, quanto può essere difficile? Col telefono incastrato malamente tra spalla e guancia, l'uomo ancorò la sigaretta fra le labbra piene cercando poi di abbassare la zip della felpa che gli si stava appiccicando al corpo, oltre le leggere fibbie di finta pelle che adornavano il busto a mo' di outfit da guerriero. La posizione era quel che era, scomodissima, e la striscia di metallo difettava da circa un anno senza che Beat avesse mai avuto testa di cambiarla o, perché no, magari di comprarsi una felpa nuova, fatto sta che, per riuscire nell'impresa, staccò anche l'altra mano dal volante e così per qualche attimo la macchina andò senza che nessuno la guidasse. (finché la barca va...) È una deviazione per me. Borbottò piano a denti stretti, il viso imbronciato in una smorfia di tutto: fastidio per Paul e quello che chiedeva, frustrazione per la zip che non voleva scendere, dolore per la cenere che aveva preso a cadergli sui pantaloni. Non ti chiedo mai niente. La maledetta zip finalmente si abbassò, generando un verso di vittoria da parte di Beat che, sudato, poteva respirare un po' meglio, e una suonata spacca timpani di clacson da una o due macchine dietro di lui alle quali aveva mezzo invaso la corsia. WEEEI RELAX Cosa? Sono calmo. Ja lo so, non tu. Ma stai guidando mentre parli al telefono? Nein. Beat fermat-- Gut, Paul. Okay. La vai a prendere? Inversione a U, curva a gomito, clacson impazziti ma morte scampata. Per ora. Ja mann, vado a prendere la tua cazzo di ragazza.

    Il resto del tragitto passò tutto allo stesso modo e al suono della stessa solfa, un tripudio di insulti e imprecazioni borbottate nella sua lingua madre mentre una musica cazzuta scassava la radio a metà, perché come si suona incazzati in tedesco non si suona in nessun'altra lingua del mondo. Fu qualcosa che faceva più o meno così: scheisse, ich hasse das, mann. Ne Sklave bin ich, was sonst? Die Prinzessin kann nicht mal laufen, oder was? Die arme schlampe wird sonst müde und das darf absolut nicht passieren. Natürlich muss Beat den scheiss machen. Verfickte scheisse. Nah los, komm du Opa! wollen wir hier bis morgen früh bleiben und uns in den Augen schauen, oder was?! verdammt. ( cazzo, che odio. Sono un schiavo, che altro se no? La principessa non può camminare o che? Altrimenti la povera stronza si stanca e non sia mai che accade. E ovviamente deve essere beat a fare sta merda. Vaffanculo. VECCHIO MUOVITI DAI! VOGLIAMO RESTARE QUA A GUARDARCI NEGLI OCCHI FINO A DOMANI O CHE? cazzo. - grazie ella tvb)
    Sfogarsi gli fece bene, e anche se nel parcheggiare di fronte alla sede del giornale sembrava comunque un pazzo mezzo nudo, se non altro aveva tirato fuori il peggio di sé, ora rimaneva un po' di fastidio e poco più. Forse fu il modo che ebbe di aprire la porta, un po' irruente, o forse il fatto che fosse ormai notte e avesse la felpa sbottonata, l'abbigliamento sottostante da fiera del fumetto, il corpo pieno di tatuaggi e la faccia dipinta di nero, fatto sta che venne repentinamente attaccato da piccoli oggetti che, mirati ai punti giusti, facevano anche male. Si piegò in avanti cercando di schermarsi la faccia e la zona del cavallo dei pantaloni, difficile proteggere entrambe vista la distanza fra loro, e si affrettò a lanciare uno sguardo all'assalitrice che, per com'era stato accolto, non aveva neanche fatto in tempo a identificare prima. EEEHI ich bin’s, Beat! Ti ricordi? Sono io, Beat! Ti ricordi? Aveva alzato le mani all'altezza delle spalle, i palmi aperti rivolti verso la ragazza per farle capire che non era un malintenzionato. Un po' fuori di testa si, ma pressoché innocuo. Si erano conosciuti una volta di sfuggita, ciao sono beat piacere Riley e via, giusto il tempo di due parole prima di separarsi. Chissà cosa le aveva detto di lui Lys. Era un'altra persona che lo odiava? Mi hai lanciato delle gomme da cancellare? Inarcò le sopracciglia mentre, chinandosi, tornava su stringendo fra pollice e indice il materiale di cancelleria. Allora fece un sorriso a metà. Riley, giusto? Sei forte. Lanciò la gomma dietro di sé. Dov'è Lys? Quello che seguì lo vide sul punto di ricominciare con la litania delle imprecazioni in tedesco ma, ringraziando il cielo, la musica e il vociare da fuori attirarono la sua attenzione contribuendo, se non a dimenticare il fastidio, a rianimare almeno il suo spirito. Girò le spalle a Riley per affacciare testa e busto fuori dalla porta, e la vista lo colse con il fiato bloccato a metà, tra polmoni e gola. Una folla di gente avanzava lungo la strada perdendosi ovunque, sopra, intorno e davanti a dei grandi carri. Le persone erano talmente tante da ricoprire qualsiasi cosa Beat riuscisse a scorgere, sembravano formare il manto di una mare brulicante. Devo trovarla, l'ho promesso al suo tipo, però nel frattempo possiamo unirci ai carri. Tanto, se è rimasta quella di un tempo, mi gioco gli amici che Lys è già da qualche parte a ballare. Hai finito di lavorare tu? Vieni con me? Le chiese mentre, i carri ormai davanti la redazione, il suo corpo già iniziava a reagire alla musica norrena fremendo come sotto solletico. Quando disse sì, la prese per mano e corsero insieme verso uno dei carri, la felpa di Beat che veniva lasciata indietro mentre lui si spogliava per restare in pantaloni al polpaccio e stringhe di pelle a croce sul petto. Salirono al volo su uno dei carri in lento movimento, su cui Beat riuscì ad accantonare i pensieri per iniziare finalmente la serata che tanto aspettava.

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    Non avrebbe saputo dire quanto tempo lui e Riley passarono su quel carro o quanto ballarono, né tantomeno quanti shots ingerirono insieme. Beat toccava persone sconosciute rubando una miriade di sensazioni diverse fra loro ma quasi tutte pregne di euforia, che rimaneva attaccata ai polpastrelli fino ad insinuarsi lentamente sotto pelle e, goccia dopo goccia, gli dava forza come un'alimentazione per via endovenosa.
    Era ancora su un carro quando la vide lì in basso, per strada, vicinissima e come al solito mai abbastanza da far smettere al suo corpo di voler accorciare le distanze, da fargli dire ok, va bene così . Ci si sarebbe aspettati che in mezzo alla fiumana di persone Lys si perdesse, che i suoi contorti si confondessero con quelli degli altri e che Beat non riuscisse più a vederla. Sarebbe stato normale, giusto così, ma la sua immagine gli rimase invece appesa dentro, un chiodo fisso sottosopra nella retina, con quel curioso modo che aveva di sembrare l'unica persona evanescente in mezzo a una dozzina di solidi che Beat avrebbe potuto toccare e prendere al contrario di Lys, che forse per via del loro passato e presente Beat sentiva di non riuscire mai davvero ad acchiappare, o forse il suo tasso alcolemico aveva già superato la famosa linea al di là della quale tutto è alterato e i riflessi rallentati. Comunque, a chi interessano le motivazioni? Quello che contava era che la cosa lo faceva impazzire. L'ho trovata. Una constatazione che pensò di dire abbastanza forte da farsi sentire da Riley, dodici caratteri sganciati all'improvviso senza preoccuparsi di inserire un soggetto che mai nella vita Beat aveva avuto bisogno di introdurre. Nel voltarsi, Lys l'avrebbe trovato immobile, l'unico tassello che rompeva la catena fluida che li circondava e, mentre aspettava un gesto qualsiasi di lei che lo sbloccasse, con gli occhi Beat le avrebbe detto le più grandi incoerenze di cui era capace. Non ti sopporto, vaffanculo, sei bellissima, balliamo? Quando sorrise, lui avvertì uno spostamento interno che lo disincastrò, come se le cellule i muscoli e le ossa avessero subito una piccola scossa, di quelle talmente accennate che le persone continuano a fare quel che stavano facendo prima, continuano a dormire e nemmeno i piatti oscillano nelle teche. Beat finalmente si mosse nella sua direzione, lasciando il carro e Riley dietro di lui senza aggiungere una parola, mentre con un salto raggiungeva il livello asfaltato proprio mentre Lys riprendeva a camminare e a tramutarsi in aria tra i solidi che la circondavano, una piccola corrente di vento con spalle strette, trecce e vestito vedo-non-vedo che dava briglia sciolta all'immaginazione. Mentre la inseguiva, Beat pensava di non vedere l'ora di farsi avvolgere da quella brezza; pensava che forse, una volta che quelle braccia gli avessero stretto le spalle, sarebbe riuscito a trattenerle senza doverle più cedere. Pensava a quello e, quando finalmente la raggiunse davanti a un chiosco, l'unica cosa che fece fu invece attaccare. Un classico, no? Dove cazzo eri? Ti cercavo. «Dove avrei dovuto essere, scusa?» Era sempre stato come se non riuscisse a controllare la voce, come se ne avesse in eccesso. Aprì la mano giusto in tempo per acchiappare la frittella che Lys, superandolo, quasi gli lanciò. In quel momento lo stomaco di Beat emise un brontolio prepotente, che lui ignorò perché ancora deciso a non voler abbandonare le armi e a continuare a lottare. Alla redazione. Dove il tuo ragazzo mi ha chiesto di andarti a prendere per scarrozzarti in giro come un tassista. Te lo ricordi Paul? Proruppe come una pentola di fagioli Beat, che in quelle vesti in realtà raramente si era trovato. Di solito preferiva essere quello che se ne fregava dei problemi e pensava solo a sballarsi, ma la battaglia fra loro aveva un sapore antico e bisognava combatterla fino in fondo. O almeno fare finta. «Dov’eri tu?» Spalancò le braccia, voltandosi per seguirla ma solo con lo sguardo, il pancake salato che per poco non scivolava via dal fazzoletto e cadeva per terra ai suoi piedi. Qui. Lì. Non li leggi i messaggi? La situazione cominciava a farsi di nuovo confusa nella sua testa, mentre con la mano libera si indicava prima i piedi e poi un punto lontano accendo a , dov'era prima, dovunque fosse la redazione. Ci aveva infatti messo poco a perdere la cognizione del tempo e dello spazio, mangiati entrambi dalla magia di quella notte speciale, e in quel momento si rese conto di non riuscire a riconoscere il posto in cui si trovavano. Fece spallucce scuotendo la testa, proprio mentre la collega di Lys lo raggiungeva. Le fece un cenno di saluto con il capo godendosi poi la scenetta di gelosia che imbastì Lys, velata per chiunque altro ma non per lui. Lys? Completare il giro di presentazioni gli sembrava solo il minimo, prenderla in giro ancora di più. Gut, ci siamo tutti. Ora torniamo a ballare? scherzò ma sbrigativo, alzando le spalle mentre un sorriso accentuava la curva delle labbra. Beat osservò le schiene delle ragazze avviarsi senza di lui che e, rimasto indietro come un salame con quella frittella in mano, si ritrovò per un secondo interdetto. Quella sensazione passò però in fretta e, scrollando testa e collo come a dire "chi se ne frega", addentò due volte lo snack dicendo danke al nulla, mentre seguiva lentamente la scia dei loro passi. Quando le raggiunse si stava passando il dorso del polso sulla labbra, il Lefse già finito, e intercettò lo sguardo di Max che sembrava volerlo fulminare sul posto. Meno male che non aveva i poteri cosmici di Thor, quello si che sarebbe stato un problema. Hallo Max, anche a me fa piacere rivederti. Da lì in poi, il mondo di Beat divenne leggerissimo; forse, dopotutto, riuscì a catturare la brezza inafferrabile che era Lys, anche fosse solo per una manciata d'ore.

    Nella stessa sostanza dei sogni (o del coma etilico) parve a Beat di essersi immerso tanto che, ritrovandosi a un tratto Lys fra le mani, non si preoccupò di sapere come ci fosse finito il tessuto del suo vestito fra le sue dita e nemmeno di guardarsi intorno, il ricordo di Riley e Paul ormai chissà dove, etichettato come poco importante. Tutto quello che si alternava fra loro erano i diversi carri su cui decidersi di spostarsi, Max, Bella, Riley e tutti gli altri un piccolo contorno di pelle e parole a stento udibili; il resto comprendeva quasi sempre solo loro, in mezzo a delle pause piene di cose che non ricordava, come se non le stesse vivendo in prima persona ma fosse qualcun altro a muoverlo, fino a quando non rincontrava Lys e vedeva la sua risata sbriciolarsi in migliaia di frammenti di fronte a lui che si sparpagliarono qua e là per poi ricomporsi, un loop infinito che non si stancava mai di guardare. Avrebbe voluto stringere i pezzi di quel sorriso per tenerli in tasca, da tirare fuori nei momenti tristi. Provò anche a farlo, Beat, mentre ballavano vicinissimi aveva sollevato la mano poggiando indice e medio sulla bocca di Lys nel tentativo di acciuffare quella strana visione. Che fai? La voce era aperta, piena, era uno spazio tanto smisurato da poterci caracollare dentro. Ti trattengo. Aveva risposto lui con le dita che, come una promessa, tornavano a stringere il tessuto del suo vestito in basso, poco sopra i fianchi, mentre Lys lo guardava con una tenerezza che faceva tremare un po' le mani. A un tratto ricordò che avevano sollevato entrambi le braccia, quei palmi poggiati gli uni contro gli altri erano molto di più di una manciata di ossa e tendini che si toccavano, con la spirale dei loro polpastrelli in controluce come un presagio, cattivo o buono non aveva importanza, lì, tra la gente a ventaglio e la musica norrena. In quel momento, anche le loro labbra si erano unite, troppo era passato da quando erano stati così vicini e sereni nello stesso tempo. Erano circondati dagli altri eppure estranei a chiunque come fossero soli in mezzo al nulla, in diritto di dirsi qualunque cosa, di accostarsi come volevano fregandosene di quello che erano stati e quello che erano ora, delle liti, dei risentimenti che quotidianamente si rinfacciavano nei silenzi in cui si ostruivano. Qualcuno forse avrebbe dovuto dire a Beat che era raro ma possibile, che poteva perdonare qualcuno che lo aveva ferito, e che farlo scioglieva una specie di nodo: liberava.
    Mancava poco all'alba, quando i lampioni erano ancora accesi nel cielo un po' più chiaro e distorcevano la luce fino a renderla arancione, Beat allora lasciò la presa sulla mano di Lys che, con le sopracciglia corrugare, le labbra sporgenti e il suo naso di profilo formava un angolo perfetto.
    Si perse allora nelle ombre che, come membrane tirate via, si sollevavano dall’asfalto.

    Quelle ore passarono tra perdita di ogni cognizione e brevissimi frammenti di lucidità, e proprio durante uno di questi ultimi Beat si ritrovò a pochi metri da Astrid, che non aveva più visto da quell'ultima volta, quando erano andati a letto insieme. Oggi come allora, forse Beat non l'avrebbe riconosciuta né tantomeno collegata a Lys attraverso quelle sotto trame di amicizia a cui non riusciva proprio a stare dietro, ma in quel momento l'estro creativo dell'alcool proruppe in una scintilla che gli illuminò l'intelletto atrofizzato e in apnea, permettendo a Beat di riconoscerla. ASTRRRIIIDDD! Urlò come un vichingo in guerra, avvicinandosi a lei già pronto per abbracciarla se non fosse che, nel vederlo, lei si mise letteralmente a dare di matto. OHHH BEAT, QUEL BEAT! disse indicandolo. Lo sai, dopo di te ho deciso di abbandonare completamente il cazzo. Create solo problemi, soooolo problemi! Fece una specie di sbuffo, girandosi verso qualcuno dietro di lei. Ma perché la gente è etero? Ma com'è possibile? poi, di nuovo, a Beat. Forse ti odio. Un po', un pochino soltanto, giuro. Però solo perché Lys odia me e un po' ha ragione. (cit. Chia. Grazie per la perla, tvb) Lui, rimasto impalato con le braccia ancora aperte per una stretta, abbassò prima gli angoli della bocca verso il basso come se fosse ferito, poi però tornò a sorridere. Felice di essere stato di aiuto. Disse solamente riferendosi a quella che Astrid aveva intenso come un'offesa e che lui, invece, vedeva come un complimento. Era solo che contento che Astrid fosse serena, ora, più in simbiosi e onesta con se stessa. La lasciò allora indietro, troppo su di giri per badare a certi (gli ennesimi) rancori, ritrovandosi al centro di una ricostruzione davvero realistica di un campo di battaglia. Si fece dare una un'ascia di legno che a lui pareva vera, e quasi subito un tizio con una casacca di pelle d'animale gli andò incontro ringhiando. Beat sorrise e, fra i denti, sussurrò. Ich bin Beat. un mantra di forza come a dire, lo sai chi sono? Ich bin Beat. ripetè, rispondendosi questa volta più forte, mentre il tizio lo caricava a testa bassa e sferrava i primi colpi. Woo un urlo euforico uscì dalle labbra mentre un Beat esagitato saltellava in tondo dopo aver scampato l'attacco, più preoccupato di esultare che di attaccare per davvero, fortuna che non ricapitò più. Un dolore momentaneo ma prepotente gli punse infatti il polpaccio, mettendo in moto nel suo corpo una reazione inaspettata, strana e velocissima. Tra i boooo della folla Beat si allontanò, l'arma abbandonata nella piccola arena mentre le scarpe affondavano nella sabbia e lui, in una zona più libera, piegato con le mani sulle ginocchia rimetteva frittella, idromele e succhi gastrici proprio mentre il sole stava per sorgere.

    Stessa spiaggia, stesso mare, ennesimo frammento di lucidità perso in una notte fatta di mani e sorrisi, Beat si ritrovava sul tetto di una delle tante case in legno erette proprio e solo per quella notte, non ricordando come ci fosse arrivato. Ci pensò per qualche secondo, rapito però presto dalle luci di fiaccole e fuocherelli che punteggiavano terra e mare pure di giorno, a galleggio su alcune barche vichinghe. E di nuovo quella visione lo colpì insieme all'aria che, entrando nei polmoni, sembrava densa di significati esoterici impossibili da spiegare a parole. Quel giorno, per il vento, la sabbia entrava in bocca e Beat la sentiva scricchiolare sotto denti e suole e, quando l'eclissi accadde, Beat credeva di essere pronto ma non fu esattamente così. Un po' come capitava con Lys, pensava di sapere cosa aspettarsi e invece non ne aveva proprio idea, Beat, che quando l'eclissi ebbe inizio non alzò gli occhi verso il cielo ma li tenne invece verso il basso, dove una striscia era apparsa avanzando seguendo la luna e dividendo la spiaggia a metà, ombra che insegue la luce e riesce poi ad acchiapparla. Non come Beat e Lys, che giravano in un cerchio gravitazionale mai abbastanza vicini o sempre troppo lontani, senza riuscire a sfuggire. AI suo sguardo sfasato, quella linea era talmente netta da far pensare che qualcuno stesse muovendo lentamente un righello sul paesaggio, e quello che rimaneva indietro entrava nel buio. Fu in quella parte rimasta ancora per poco notturna della spiaggia che Beat vide una figura all'inizio irriconoscibile, sembrava avanzare seguendo l'andamento della striscia che l'eclissi tracciava, le zampe mai al di là della linea, nella luce. Invece che essere spaventato, Beat si sentì attratto da quell'essere muto che sembrava però confessargli una verità importante, una di quelle per cui scaleresti una montagna pur di sapere. E allora il ragazzo scese dal tetto con sorprendente agilità per uno che non aveva smesso un attimo di bere, piedi e mani che trovavano appiglio da soli, abituati com'erano a intere giornate passate a saltare da un palazzo all'altro della città. Rotolò di lato sulla schiena, aggrappandosi all'ultimo minuto con le dita al bordo del tetto e, penzoli per alcuni secondi, si lasciò poi cadere per atterrare con le nike nella sabbia. Si voltò calpestando i granelli ancora illuminati dal sole, un semplice uomo che va incontro alla sua controparte, la creatura della notte. Più avanzava, più gli occhi e la coscienza alterata di Beat distinguevano i contorni di ciò che lo stava chiamando con un ringhio calmante: un lupo grande, enorme, che sembrò produrre un verso rabbioso prima di immobilizzarsi, cosa che fece anche Beat. L'uno nel buio, l'altro nella luce, i due si fronteggiarono per qualche secondo, e solo allora Beat capì che era stata una spessa catena al suo collo a bloccare l'animale dall'avanzata dell'eclissi. Was? Cosa? Chiese Beat, credendo di aver sentito una voce che però stava solo nel vento o nella sua testa, mentre compiva il passo decisivo in avanti, entrando nell'ombra che, dopo di lui, impiegò pochissimo a sequestrare al mezzogiorno la sua luce.
    Fino a quando gli dèi non cadranno. / Fra poco anche tu sarai, / se non taci, / in catene, fabbro di mali!”


    Edited by Dead poets society - 17/4/2021, 15:26
     
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    Riley Møller
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    Due mesi prima non avrebbe mai pensato di trovarsi così tanto a suo agio in quell’ufficio. Dopo aver temuto di essere cacciata via per incompetenza, dopo essersi ambientata al suo meglio, per Riley il Besaid Daily News era ormai divenuto la sua seconda casa, principalmente perché trascorreva gran parte delle sue giornate lì, tra scrivere, cercare notizie e prendere rimproveri da Lars che, a dir la verità, in quelle ultime settimane erano diminuiti. Il buon umore del suo caporedattore era diventato oggetto di un concilio ristretto, più o meno giornaliero, in cui le protagoniste erano lei e le sue colleghe Cat, Sam e Lys. Era diventata quasi una questione di stato che, tuttavia, passava in secondo posto quando c’era un bel da fare con le notizie da scrivere. Il mistero di Lars particolarmente di buon umore era ancora aperto ma, nel frattempo, Riley lavorava sodo, soprattutto per stare al passo con l’ambiente politico di Besaid di cui aveva appena iniziato a conoscere i nomi e le dinamiche. Occuparsi di politica non era facile, bisognava sapere la storia dei politici oltre alle innumerevoli volte in cui sono stati indagati perché si, la maggior parte delle volte i politici vengono indagati, che siano essi colpevoli o innocenti, è il risvolto negativo del ricoprire un ruolo in società tanto importante. Aveva, appunto, appena terminato i “compiti a casa” che le erano stati assegnati da Lars: il caporedattore era stato così gentile da fornirle alcune schede sui politici di spicco di Besaid, in modo tale che lei potesse ”non impararli a memoria, ma quasi” per parafrasare le parole del caro Berg. La testa di Riley ormai scoppiava, a furia di rileggere la scheda del sindaco e di tutte le sue braccia destre e sinistre, tanto che ormai aveva deciso: per quella sera poteva interrompere il suo studiare che l’aveva riportata indietro a quando preparava i suoi esami per l’università di Città del Capo, studiando sino a notte fonda. Si alzò dalla sua postazione e si stiracchiò la schiena allungando le braccia verso l’alto. Poteva sentire da fuori un vociare che sapeva di festa. La tanto chiacchierata eclissi totale era giunta e Besaid fino a quel giorno era stata in fermento per i preparativi. Riley, ormai, sapeva di essere nata lì, in quella cittadina in cui pensava di non avere mai messo piede fino a due mesi fa, ma i ricordi -sfusi, frammentati e disordinati in realtà- le dicevano il contrario. Non aveva avuto modo di parlarne ancora con nessuno, né con Fae e né con nessun altro. Voleva qualcuno che le dicesse che non era pazza e che quei ricordi erano il lascito di esperienze vissute veramente da lei, che fino ad allora era sicura di essere nata a Città del Capo e di non avere alcun ricordo della sua infanzia. Seppur non fosse nulla di brutto, dopotutto aveva scoperto qualcosa in più sulla sua vita, rimaneva il fatto che tanti ricordi tutti insieme l’avevano presa alla sprovvista e avevano fatto nascere nella sua testa più domande di quanto già non ne avesse, tipo cosa facciamo sulla Terra? Qual è lo scopo degli esseri umani? E perché Bono Vox ha continuamente fame? Tutti quesiti leciti a cui stava pensando anche in quel momento, mentre chiudeva il pc e si preparava per andare a questa festa di cui tutti parlavano ma di cui Riley non aveva nemmeno un ricordo. Non sapeva come si svolgesse ma la cosa non la scoraggiava, dal momento che era pronta a seguire tutta quella folla di gente diretta verso la spiaggia. In effetti non si era avvicinata al mare da quando era giunta nella cittadina e un po' le mancava quell’odore di salsedine che aveva spesso sentito in Africa, tra le spiagge circondate dalla sabbia rossa, bruciata dal troppo sole. Non era di certo vestita in maniera adatta per quel genere di festa, ma non aveva né il tempo e né la voglia di passare dall’Aamot Lodge per cambiarsi, dopotutto dubitava che nella confusione qualcuno si sarebbe messo ad osservare il suo abbigliamento. Stava per chiudere le luci e andare via, quando qualcuno fece irruzione nella redazione -o almeno a lei sembrò così-. Quel volto dipinto di nero fu la cosa che la spaventò di più e che la fece reagire iniziando a lanciargli contro la prima cosa che gli capitò sotto mano -gomme per cancellare- convinta che fosse qualcuno che stava approfittando della confusione fuori per entrare al Daily e rubare…cosa si può rubare in un giornale? Insomma, qualsiasi cosa si potesse rubare. «Beat! Certo che mi ricordo, ma quando ti ho incontrato avevi tutti i vestiti addosso.» Si lascia andare ad una grande risata quando nello sconosciuto riconosce Beat, l’amico di Lys, quello che una volta le è stato presentato dalla sua collega. Non che abbiano fatto una grande chiacchierata, giusto due paroline di rito, ma Riley lo ricordava bene, non tanto per la fisionomia quanto per il fatto che fosse un nome ricorrente sulla bocca di Lys, quando si ritrovavano a parlare tra loro. Mi hai lanciato delle gomme da cancellare? E solo in quel momento Riley si rese conto quanto fosse stata assurda la sua reazione. Gomme lanciate come proiettili letali che, naturalmente, non avrebbero fatto male a nessuno, meglio così. Si sarebbe sentita in colpa se avesse fatto male ad un amico di Lys e ad un potenziale suo amico. «Mi dispiace, ti ho fatto male? Diamine, mi hai spaventata a morte!» Una volta appurato che Beat fosse tutto intero e che fosse anche simpatico perché l’aveva definita “forte” -questo ragazzo capisce tutto subito, ma che bravo-, le spiegò che era lì per Lys. «E’ già andata alla festa, mi ha detto che ci saremmo viste lì.» Una spiegazione ermetica, strano per Riley che è logorroica, ma in qualche modo ha percepito il moto di fastidio del ragazzo per non aver trovato lì Lys. Non essendo impicciona, ma ripromettendosi di parlare con la diretta interessata anche solo per dirle che aveva lanciato una raffica di gomme al suo amico, non badò più a ciò che riguardava la redazione e seguì Beat nella mischia, tra persone vestite in maniera strana, invidiandole perché già erano abbastanza ubriaco dall’essere allegre senza alcun motivo apparente. «Ecco, voglio diventare esattamente come quella ragazza lì.» Indicò col suo indice sfacciato una ragazza che passò accanto a loro, intenta a cantare a squarciagola una melodia tutta sua, felice e spensierata.

    Take your time, hurry up
    Choice is yours, don't be late
    Take a rest as a friend
    As an old memoria
    Memoria, memoria


    E di sicuro Riley aveva bevuto tanto, tanto da aver iniziato a cantare e ballare su quel carro in cui era stata trascinata da Beat. In mano aveva l’ennesima bottiglia di birra, in testa aveva solo tanta leggerezza e voglia di divertirsi. Non sapeva da quanto tempo non si divertiva in quella maniera, ma la verità era che in quel momento non era in grado di sapere un bel niente. Beat si era rivelato un ottimo compagno per fare bisboccia e non se lo sarebbe mai immaginato. In effetti il ragazzo era un enorme fuori programma per Riley. Aveva pensato di trascorrere l’intera festa da sola, dal momento che non conosceva molta gente lì, ma aveva anche pensato di portarsi dietro la sua macchina fotografica per immortalare ogni momento dell’evento. E adesso chi se la ricordava più la macchina fotografica, persa in qualche angolino del suo zainetto. Complici fiumi di alcool che stava bevendo e tutti quei costumi e carri che sembravano averla catapultata in un’altra epoca, Riley si sentiva quasi in un altro pianeta, come se il suo corpo fosse distaccato nella realtà e si trovasse in un’altra dimensione. Descritto così sembra quasi lo spin-off di Doctor Who, ma è semplicemente il modo in cui si sentiva tanto da non rendersi nemmeno conto che Beat non era più accanto a lei e che la sua giacca era andata perduta chissà dove. Si guardò intorno, ma dovette prolungare il suo sguardo ai piedi del carro per individuare il suo nuovo amico con cui aveva socializzato tirandogli gomme in faccia e Lys, la sua collega, la ragazza che Beat stava cercando più o meno disperatamente da quando era arrivato in redazione. Li raggiunse, facendosi strada tra la calca di persone: «Ciao Lys! Lui ti stava cercando tanto tanto.» Indicò Beat e fece un grande sorriso alla sua collega, con quella voce che sapeva di troppi shots, Riley nemmeno fece attenzione alle dinamiche tra i due e al fatto che, magari, lei poteva anche farsi gli affari suoi senza per forza raggiungerli. Ma non ci stava capendo un bel niente, quindi si lasciò trascinare da Lys verso il secondo carro della serata, saturo di persone come loro, che ballavano sotto la luce della luna. Le vennero presentate un paio di persone, comunque troppe per poterle ricordare bene nello stato in cui era. L’unica che Riley riesce a riconoscere immediatamente, anche in quello stato, è Bellatrix, la donna del momento, o almeno così l’aveva definita la giornalista in un articolo che aveva scritto su di lei. «Io e te dovremo parlare, prima o poi!» Si rivolse alla bionda in maniera allegra ma poco professionale, anche perché quello non era nè il luogo e nè il momento per chiedere un’intervista quindi, per riparare alla figuraccia che aveva appena fatto, strizzò l’occhio in maniera amichevole alla donna. Sentì di non aver migliorato la situazione, ma ormai la festa era nel vivo e questa volta aveva ricominciato a ballare non avendo più al suo fianco Beat ma Max che all’inizio Riley aveva pensato fosse una ragazza che preferiva stare sulle sue, ma era evidente che in quello stato non capiva un cazzo, e infatti nelle ore seguenti si ritrovò a bere e ballare con Max. Abbracciò la sconosciuta che ormai tanto sconosciuta non era, dal momento che si comportava con lei come se fosse un’amica di vecchia data. Tra glitter esagerati e birre varie le due si scambiarono anche un bacio a stampo, dopo il quale si misero a ridere fino a quasi sentire il respiro mancare nei polmoni. Riley si stava divertendo sul serio, finalmente, e stava bene.

    Erano trascorse ore, ore ed ore, dall’ultimo momento in cui Riley aveva avuto la piena coscienza di sé e di ciò che le stava accadendo intorno. Prima di distendersi sulla sabbia, esausta e rimbambita dal divertimento estremo della notte appena trascorsa, si era sforzata di dare un’occhiata alla spiaggia, al modo in cui era stata adibita prendendo le sembianze di un villaggio d’altri tempi, ma inutile dire che non era abbastanza lucida per imprimere tutti quei dettagli nella sua testa. Il momento esatto in cui si buttò a peso morto sulla sabbia non lo sa, sa però il momento in cui riaprì gli occhi, con quella stessa sabbia tra i capelli, Max raggomitolata al suo fianco, e il suo vestito fuori luogo stranamente sbrilluccicante dopo tutti quei glitter che la sua nuova amica le aveva involontariamente spalmato addosso. Beh, adesso almeno quel vestito era più consono per la festa, anche se ormai non serviva più a niente. La baldoria era finita ed era giunto il momento di osservare il vero motivo per cui si stava festeggiando. I raggi del sole che pochi secondi prima l’avevano svegliata, ora erano nuovamente oscurati da quell’eclissi totale di cui si era parlato. Riley non riusciva a togliere lo sguardo da quel sole ormai divenuto nero e, a piedi nudi, si alzò per raggiungere la riva, lasciando che l’acqua salata le bagnasse l’orlo del vestito. La cosa non la preoccupava, non quando ad attirare la sua attenzione c’era bel altro. All’inizio sembravano due piccole ali che si agitavano per uscire dalla tenebra dell’eclissi, poi man mano che si avvicinavano a lei, la figura a cui appartenevano divenne sempre più nitida. Stupita, ma non spaventata, le iridi di Riley riconobbero quello che era un corvo, dalle piume color dell’ebano, lucenti nonostante non avessero modo di riflettere alcuna luce. Il pensiero le riportò alla mente vecchi ricordi, con sua madre che narrava ad una piccola bambina di quella leggenda, quella dei messaggeri di Odino che le piaceva tanto. Hugin e Munin, il pensiero e la memoria. Allungò una mano verso l’animale, nell’intento di accarezzarlo, quasi come se avendo un contatto con lui potesse recuperare la sua memoria tutta in una volta.
     
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    Nota: Io vi copio e faccio una nota necessaria - un grazie allo special guest più special della serata Egon di Cla behati. che me lo ha gentilmente prestato a mio Bella particolare uso. Spero di aver dato giusto spazio e peso a tutte le relazioni e i giri che mi avete lanciato, adoro questo guazzabuglio che abbiamo creato. Tanti bacini a voi. :luv:


    Bellatrix Josephine Doyle | '88 | Politician | sheet
    Aveva abbandonato l'abito nero scelto precedentemente per la festa, per scegliere una versione completamente differente. L'abito invece ripreso in considerazione era una veste a spalline sottili dalla trama fiorata, lungo fino ai piedi in uno strascico che avrebbe accompagnato il suo passo lungo le strade di Besaid fino a farla arrivare sulla spiaggia - dove avrebbe necessariamente scalzato le sue scarpe e lasciate al suo accompagnatore per la serata perché le portasse nell'auto che li avrebbe portati alla festa cittadina. Non si stava recando sola, non nel senso esatto del termine. Partecipava assieme al suo migliore difensore - quello che lei chiamava affettuosamente 'il suo fedele scudiero' da quando era stato assegnato a lei, e che lei oramai considerava a tutti gli effetti la sua spalla. Egon sarebbe arrivato a prenderla di lì a una manciata di minuti dopo. Non ci sarebbero stati sua sorella e suo fratello a calzare le strade di Besaid con lei ai suoi lati: avevano pensato tutti e tre come in un momento così importante del clima politico e una giornata così importante per la loro stravagante città sarebbe stato meglio adottare un profilo basso - nel senso eccezionale del basso che Bellatrix poteva comunque ideare e pensare oltre che associare alla sua persona e alla sua entrata in scena per quella serata. Entrambi, per motivi diversi, non sentivano il bisogno di stare sotto ai riflettori o nelle strade affollate, persi tra la confusione e il mare di anime ad una festa di quelle proporzioni. Anche la sua Nora non sentiva il bisogno di partecipare ad incontri di quel genere con il clima della festa e dell'anniversario della fondazione della loro cittadina. Si erano ripromesse di incontrarsi se Bella avesse fatto troppo tardi il giorno dopo per raccontarle tutto quello che era successo e le persone incontrate alla festa, o se Bella fosse rincasata prima dell'alba anche di passare da lei per la notte. Sicuramente la sua amica sarebbe stata sveglia e avrebbe rischiato di far meno danno a rientrare da lei, piuttosto che in casa dai suoi fratelli, almeno uno dei due sarebbe stato assopito ed incosciente - poteva tirare ad indovinare chi dei due potesse sembrare più incosciente nel sonno e soffocò una risata tra sé e sé mentre si guardava allo specchio. Finì di acconciare i capelli per la serata in una coda bassa e qualche ciuffo lasciato apposta scomposto in modo che spuntasse furtivo fuori dall'elastico morbido che li racchiudeva. Corse alla porta quando sentì suonare il citofono dell'abitazione Doyle, a piedi scalzi sul pavimento in laminato chiaro, mortificandosi un pò per la sensazione di freddo che provava al contatto con esso, ma non aveva intenzione di indossare le scarpe alte prima di essere uscita da casa. Aprì il cancello del cortile esterno per poi aspettare appoggiata sulla porta il secondo campanello che annunciava l'arrivo di Egon di fronte la sua abitazione, e spalancò la porta dell'uscio di casa trovandosi di fronte un inebetito - di fronte a Bellatrix svestita - altissimo Egon vestito di nero dalla testa ai piedi in perfetto stile bodyguard. « Accidenti, meno male che ho scansato il nero. » Mormorò Bellatrix, ovviamente allusiva e ironica - anche perché sapevano entrambi che Egon si sarebbe vestito di tutto punto in nero per passare inosservato nella folla - facendolo accomodare e richiudendo la porta dietro di lui. Allargò le mani in gesto trionfale, si voltò per fargli osservare abito trasparente ricoperto dai decori floreali e strascico ai piedi. « Ho pensato di distinguermi un pò. »
    « Uhm. » Rispose Egon.
    « Non ti piace? Troppo scoperto? » Mormorò, tirando con le mani il vestito sui fianchi in modo da far vedere lui se si potessero intravedere cose che non si dovevano vedere - prima che Egon piazzasse le mani sulle sue spalle per fermare gesti inequivocabili.
    « No stai bene. Non si vede nulla » Sussurrò, serissimo in volto.
    « Ok. Ma bene bene o bene benissimo? Possiamo riprovare con il nero, anche se mi hanno consigliato di trovare qualcosa che possa spiccare e sembrare delicato ma non troppo per farmi ricordare nelle menti degli elettori senza sembrare esuberante ma.. » Cominciò a spiegare lei, un fiume di parole in piena mentre cominciava a spostare le spalline lungo le braccia per cambiarsi e ripiegare sull'altro abito nero che aveva immaginato per la serata. Oramai si fidava ciecamente del giudizio di Egon, tanto da rischiare di essere meno approcciabile per gli elettori o per il giudizio della sala stampa dell'amministrazione.
    « No, sei perfetta così. » Incalzò lui, fermandola stavolta prendendole entrambe le mani - lei non se ne accorse ma la stava supplicando di evitare di mostrare altri pezzettini di sé in maniera generosa e cercare di ricomporsi per una difficile serata a cui doveva cercare di resistere impassibile di fronte alla massa.
    Appurato il fatto che il vestito andasse bene gli fece strada fino alla sua camera - il che la faceva molto ridere perché nella sua camera non entrava nessuno da una vita: a nessun uomo era concesso di valicare il corridoio, e nella sua camera ci erano entrati solo una donna e un uomo in particolare e probabilmente solo perché erano amici del resto dei Doyle. Non era sembrato mai di troppo ospitare le sue due relazioni storiche in quella casa. Un pensiero curioso le attraversò la mente, rendendosi conto di aver avuto storie importanti solo con persone che erano conosciute e fidate tra le relazioni di famiglia. Forse era per quel motivo che non si fidava dei rapporti passeggeri perché entrassero in casa, perché non riguardavano i rapporti con i suoi fratelli? O forse le altre relazioni erano colate a picco per via del rapporto con i suoi fratelli? Ok, stava pensando cose troppo impegnative per la serata che avevano di fronte, Bella scacciò via con la mano i pensieri superflui - il tutto sempre sotto l'occhio vigile di Egon che guardava la ragazza di sottecchi perso in una considerazione che Bella non osò chiedergli. Un pò poteva avere l'aria della matta quando faceva cadere la maschera di perfezione di fronte agli occhi degli altri e si rivelava anche lei una comune mortale, ma con i pochi eletti di cui si fidava poteva rischiare di lasciare perdere qualsiasi convenzione.
    « Ripassiamo il piano. » Mormorò lui, abbozzando un sorriso gentile. E allora cominciarono a ripetere seri la strada che avrebbero percorso, le cose che avrebbero fatto, i vicoli dove sarebbe stato più sicuro mettere piede e scegliere di cominciare e proseguire il cammino sulla parte della città che era dichiaratamente più incline al suo partito - di modo da evitare scontri in alcuni quartieri dove sarebbe stato meno probabile un approccio positivo, qualsiasi abito avesse scelto di indossare, le ideologie politiche non si sarebbero mai sposate bene a forza di sceneggiate.


    Le strade si erano riempite dei cittadini in festa. Tutti i lavori erano sospesi, tutti gli abitanti si erano riversati per le vie, adulti e bambini. Bellatrix era nell'auto al sedile anteriore accanto al posto di guida, con Egon rassegnato al fatto che non era possibile pensare all'incolumità della sua compagna confinandola al sedile posteriore. Sarebbero comunque scesi dall'auto in un viale secondario, lei doveva sembrare arrivata tra la folla come tutti gli altri, senza far immaginare ci fossero percorsi studiati che andavano al di là di quello che dovevano rendere conto lei e i suoi colleghi come politici e personalità di pubblico impiego e rilevanza. Bella cominciò ad indicare ad Egon tutte le figure che vedeva lungo la via, e nonostante fossero entrambi poco consci e avvezzi alla mitologia norrena cominciarono a fare a gara per identificare lungo il percorso le poche divinità di cui riuscivano a ricordare i nomi, assieme alle figure di vichinghi famosi nella storia di cui potevano sapere identità pur non sapendo nulla nello specifico. « In realtà potrei essere un pò norvegese anche io. » confidò Bellatrix ad Egon, spiegandogli meglio i legami e le radici del suo cognome. Almeno questo era quello che si pensava, si credeva, e per vie traverse anche la sua famiglia aveva tramandato, il suo ceppo poteva avere davvero legami con i cognomi scandinavi e discendere dai vichinghi arrivati tempo addietro a colonizzare Gran Bretagna e Irlanda. Però nella sua patria avevano altre abitudini, e di certo non festeggiavano come a Besaid la venuta delle divinità che avevano popolato e creato la loro terra, meno che meno i vichinghi. Le ballate narravano sempre di amori non corrisposti, e di gente andata e partita per l'America per cercare lavoro e fortuna, e mai tornata all'isola. Il folklore irlandese traeva tutta la sua magia dai racconti celtici e della credenza nel piccolo popolo. La magia era presente e pervadeva la Terra, con la T maiuscola, perché era da essa che ne traeva forza: a Besaid si celebrava l'origine e l'inizio del tutto a partire dal cosmo e da qualcosa che trascendeva anche oltre l'amore per gli astri della famiglia Doyle. Bellatrix si chiese come sarebbe stata diversa quella dalle altre notti delle undici precedenti del solito 31 Marzo che aveva trascorso a Besaid. Era una notte che l'aveva vista sempre in quella città trascorrere il giorno di festa con una persona diversa, o quasi, dai suoi fratelli, ai suoi amici, alle relazioni durate qualche anno, e quell'anno non faceva eccezione. Si girò a guardare Egon quando erano pronti per scendere assieme lungo la strada, lui la precedette aprendole la portiera dalla sua parte e aspettando che saltasse giù dal SUV dai vetri oscurati, e lei sistemò meglio il suo microfono all'orecchio e quello del suo compagno, nel caso in cui avessero avuto bisogno di comunicare lontani da occhi indiscreti. Ma non sarebbe successo nulla di diverso dalle altre volte, Bellatrix ne era sicura e si rassicurò consolandosi al fatto che sarebbe stata una notte come tutte le altre. Tirò con sé la coda del suo vestito e cominciarono ad incamminarsi seguendo il corteo con i carri raffiguranti una nave e uno stuolo di vichinghi al seguito, un gruppo di bambini felici vestiti come le tre fiere del Draumkvedet di cui in coro avevano cominciato ad intonare le parole della ballata - e loro che non sapevano nulla di quelle ballate complicate si lasciarono trasportare nell'atmosfera del dì di festa carpendo ad ogni svolta qualcosa di meritevole di attenzione, lasciandosi cullare dalle parole cupi e pregne di un significato che nulla aveva a che fare con la quotidianità dei loro giorni e del loro tempo.


    Poiché la luna splende,
    e le strade si stendono ampie.

    Il serpente mordeva, il cane azzannava,
    e il toro stava in mezzo alla strada:
    tre sono gli esseri sul ponte Gjallar,
    e sono tutti arrabbiati e furiosi.



    La luna cominciò a fare capolino nel cielo con una curvatura ed esposizione particolare, insolita e minacciosa. Bellatrix rabbrividì prima di tirare con sé Egon strattonandolo per il braccio ed appoggiandosi a lui lungo la sfilata tra i carri della zona ovest, dove era a tutti gli effetti cominciata la prima parte della parata. Li superarono ragazzi con maschere di legno intagliate e costumi appariscenti fatti di mantelli e pellicce che non sapeva quanto avessero di vero o di finto, e lei si rese anche conto che il freddo non derivava solo dall'atmosfera pallida e soffusa che creava la notte alla luce del profilo lunare - era a tutti gli effetti svestita e necessitava di scaldarsi.
    Non era mai stata una persona superstiziosa, e non pensava troppo sul serio a quello che sentiva relativo e a ciò che riguardava le leggende popolari. Però era anche vero che i cori intonati dei canti delle regioni norvegesi attigue a quella avevano tutti a che fare con apocalissi e risvegli nell'aldilà. Avevano bisogno di smorzare un pò la tensione, e di certo una birra era l'unica cosa che poteva far bene ad Egon in un momento in cui era così sull'attenti come nel compito che gli era stato affidato. Bella sbuffò sonoramente, stavolta guardando lei di sottecchi lui - pancia in dentro petto in fuori senza respirare uomo tutto d'un pezzo, si guardava attorno come se il pericolo fosse dietro l'angolo. « Musone, offro io. Lo so che non ci volevi venire qui. Ti è capitata una figura molto sociale e socievole. » Mormorò con il suo miglior sorriso sghembo in volto. Ci volle un pò di tempo perché Egon acconsentisse a far crollare parte delle sue difese ed acconsentire a bere con lei - anche se era in servizio - e soprattutto perché Bella non sapeva nulla dei suoi problemi con l'alcool. Però Bella accetto di variare e mischiare l'idromele al resto della birra e il suo tasso alcolico crebbe solo un tantino in più del previsto - Egon si ritrovò a tirarle via da bravo scudiero tutto quello che potesse essere troppo alcolico e che Bella potesse rimpiangere dopo - e allora continuò ad accompagnarla più avanti, lei quel tanto più leggera da aver dimenticato qualsiasi remora troppo forte ed esigente sul suo comportamento e qualsiasi preoccupazione sul guardare la luna. Avanzarono più veloci lungo le strade con Bella che si fermava a salutare e chiacchierare con tutte le persone che la riconoscevano, e tutti i suoi conoscenti.
    Fu così che cominciò la vera parte della serata che l'avrebbe portata a vivere la notte insolita che non aveva ancora immaginato. Il pericolo era davvero dietro l'angolo, almeno per Egon, per lei chissà. Un vero e proprio viaggio all'indietro tra i suoi ricordi - doveva essere l'anno sbagliato o l'atmosfera particolare della serata si ritrovò a pensare Bellatrix solo una decina di minuti dopo.
    Riconobbe subito il timbro della voce di Lys, prima ancora di vedere la sua figura in lontananza. Si lasciò trasportare in un abbraccio accorato, sfiorando la nuca e il viso delicato della ragazza a sé, un pò come una mamma chioccia che constatava il tempo che passava e il viso della ragazza che si stava facendo più grande, più donna, e sempre meno bambina. Salutò anche Max accanto a lei, sua sorella, scorgendo i lineamenti della donna che aveva la sua stessa età ed immaginando che anche lei stesse pensando che sì, erano cresciute. Erano due volti del suo passato, nel suo presente non aveva più incontrato loro neanche per caso, ed era passato un pò di tempo dall'ultima volta che le aveva viste.
    Cominciò a guardarsi intorno, una strana sensazione di nodo allo stomaco cominciò a farla preoccupare del fatto che avrebbe potuto vedere un'altra figura attorno a loro che non sapeva come avrebbe dovuto approcciare. Con quali occhi avrebbe potuto salutarla, e che formula avrebbe potuto usare per spingersi a rimanere impassibile di fronte ad Astrid? Ma Astrid non era con loro quando le aveva incontrate. Cominciarono a parlare di salire sui carri, e lei in quel momento era meno vigile per pensare a cosa fosse meglio fare, e sentiva una irresistibile voglia di divertirsi, come faceva sempre quando era se stessa e si liberava dalle costrizioni. Si ritrovò a tentare di far salire Egon con loro prima di essere tirata di peso da Lys e Max sopra al carro vichingo. E l'atmosfera cambiò ancora, si ritrovarono tutti assorti e all'interno di quel cerchio fatto di corpi e figure che si allontanavano ed avvicinavano, ballavano su musiche che non conosceva e si guardavano attorno in un gioco di luci e ombre creato dalle fiaccole che illuminavano la strada attorno a loro in perfetto stile di un tempo che non li apparteneva. Le parole che le rivolse Max la fecero tornare al pensiero per Astrid e lei confermò il fatto che era lì presente tra loro. Forse l'aveva indicata ma lei non l'aveva vista. Un tempo, quando erano inseparabili, Bella diceva sempre ad Astrid che dovunque fosse l'avrebbe trovata, l'avrebbe saputa riconoscere tra mille, lei che tra mille volti doveva far sentire tutti speciali ma trovava speciale una sola persona, e quella era lei. Ma erano passati così tanti anni, e aveva spezzato anche un altro cuore dopo, oltre che il suo, un'altra volta. Forse era vero che non era brava ad avere un suo punto di riferimento e ad essere custode di esso, voler tutto o voler niente, l'equilibrio non era fatto per Bellatrix. « Sto bene, Max. Grazie. Tu cosa mi racconti, cosa fai di questi tempi? » Fece una pausa, rispondendo a Max ed interessandosi completamente alla donna. Poi pensò alla sua risposta e completò il pensiero che voleva porgerle. « No, non lo sapevo, ma avevo immaginato sarebbe stata qui. Non ce ne siamo persa una di festa, soprattutto allora. » E rise stavolta, pensando a quando erano più giovani e pensavano di avere tutta l'energia del mondo, e Bellatrix aveva una figura ancora da plasmare su se stessa, tale da poter permettersi di fare più stupidaggini in giro. Si appoggiò alla spalla di Max, alta quanto lei, riafferrando con il contatto del suo corpo la sensazione di ricordi che aveva lasciato dietro di sé. Astrid che la cercava tra la folla, Astrid che le portava la birra, Astrid che la abbracciava e finivano impiastricciate di birra entrambe. La mia maldestra preferita. Si riscosse da un ricordo lontano, continuando a rispondere a Max. « In realtà sono qui con una persona, te lo presento... » Ma si voltò e si riguardò intorno, rendendosi conto allora di aver perso Egon per strada. Lanciò una imprecazione che per fortuna poteva essere in grado di sentire a malapena solo Max prima di provare a contattarlo al microfono e sentire un ronzio distorto - troppa gente intorno a loro, non c'era alcun segnale utile per poterlo contattare - ma quindi a cosa servivano i microfoni se non ad un esigenza simile? Scesero insieme guardandosi attorno, e cercando attorno lei Egon e Max il resto della combriccola, perché non aveva mai perso di vista Lys ma erano comunque state trascinate indietro. Si fecero strada più avanti tra la gente che danzava e sfilava sui carri, e per un pò rimettere i piedi per terra ricordò a Bella di cosa stesse facendo prima di farla ritornare al pensiero di lasciarsi trasportare oltre che da ricordi assopiti anche dalle persone che la circondavano. Perché non frequentava più quel gruppo di amici? D'altronde lei non aveva certo evitato nessuno, a parte Astrid, e nessuno ce l'aveva mai con Bellatrix, adorata e benvoluta da tutti. C'era qualcosa in quella constatazione che la fece sudar freddo, e si sentì lontana da tutti loro, anche se li aveva a pochi palmi di mano, ed era appiattita a loro in un miscuglio di carne e voci che non faceva più vedere i loro contorni ma li sentiva, ed erano proprio lì con lei. Raggiunsero gli altri, e si riavvicinarono a Lys dopo che Max ebbe indicato un altro carro dove salire - chiedendo a loro di seguirla. Fu così che si unirono anche a Beat - un altro volto giovane che ricordava tramite Astrid per la sua storia con Lys - e Riley - che lei non conosceva ancora, ma si presentò subito dopo. « Sempre a disposizione. » Sussurrò Bellatrix alla ragazza, senza riconoscerla come figura da giornalista - ma poi il giorno dopo o quello successivo avrebbe maledetto mentalmente e forse efficacemente Lars Berg che l'avrebbe incastrata in un'intervista al giornale del tutto inaspettata, e Riley sarebbe stata proprio l'artefice inconsapevole del racconto - ma quella sarebbe stata un'altra storia per i posteri. Si sentì di troppo su quel carro, rendendosi conto di aver guardato a distanza Lys con Beat e di sapere di essersi persa parte di quella storia - impossibile recuperare frammenti di ricordi che non erano suoi - e poi rimase abbagliata dalla naturalezza di Riley e Max nel ballare e divertirsi in quella serata fuori dagli schemi.
    « Bella, mi senti? » Il microfono le rilanciò la voce di Egon e lei ricominciò a guardarsi intorno, interrompendo l'incantesimo che era stato lanciato da quando era salita sul carro. Doveva decisamente recuperare Egon - oltre che la sua compostezza. « Incontriamoci sulla spiaggia. »


    Si ritrovò a sfilare anche lei leggermente in anticipo su alcuni carri prima di arrivare alla spiaggia. Scalzò le scarpe e le prese tra le mani permettendosi di camminare con i piedi a contatto con il suolo sentendo la sensazione del pietrisco fine tra le dita. Il freddo tornò a pungerla leggermente tra le spalle, la sensazione dell'alcool le pervadeva il corpo e la mente in un leggero stato di sonnolenza diffusa ma non era riuscito a vincere del tutto nello scaldarla completamente. « Sono qui. » Si ritrovò a sussurrare al microfono, prima che Egon si palesasse di fronte a lei e stavolta sbuffasse lui sonoramente. « Miss Doyle, sei la protetta peggiore che mi potesse capitare. » « Lo so. » Sussurrò lei ridendo e lasciandosi abbracciare da Egon mentre la copriva con un cardigan che aveva portato con sé tutto il tempo. Si sciolse i capelli districando i nodi che aveva accumulato nella chioma con le mani, liberandoli dall'elastico.
    Però, era bello lasciarsi coccolare un pò da qualcuno e farsi proteggere come stava facendo Egon con lei. Le era quasi mancato, dopo le relazioni effimere ed inconsistenti che aveva avuto dopo James, farsi circondare in un abbraccio. Bella non pensava mai queste cose, non aveva tempo di perdersi in sentimentalismi quando aveva finalmente cominciato ad arrivare in primo piano sulla scena politica - non si diventa mica ministri perdendosi in azioni inconcludenti. Si voltò a guardare Egon al suo fianco, e stava per dirgli qualcosa, prima di osservare alle sue spalle due figure di due donne e mettere a fuoco la figura della sua amata Astrid. Era sempre stata lei quella che diceva lo so, tra le due, quando qualcuno le faceva notare qualcosa che aveva fatto e aveva sbagliato a fare, e lei aveva assorbito proprio quella sua qualità e parte della sua bellissima umiltà senza volerlo. Bellatrix non era più umile da almeno un decennio. Lei era forte e non accumulava stress, lo scaricava in giro man mano che toccava riconoscimenti ed ambizioni che racimolava lungo il percorso che andava seminando. Astrid era stata la parte di lei che l'aveva resa migliore, ma che non poteva portare con sé. Era proprio difficile ripetere quella bugia a se stessa, giorno dopo giorno, non era forse vero? Astrid non la vide. Forse l'aveva vista prima, in compagnia del resto del gruppo? E se l'aveva guardata come era sembrata ai suoi occhi? Avrebbe voluto tanto pensare di poter esercitare ancora un'influenza su di lei, ma non si sentivano da anni e per quello che sapeva lei poteva anche essere andata avanti con la sua strada, con le sue relazioni. Bella invece era andata un passo avanti e due indietro, almeno nella sua vita sentimentale. Si chiese con il senso di fastidio che tornava alla bocca dello stomaco che cosa fosse successo in quel tempo trascorso, e almeno chi fosse quella persona che si accostava a lei e la faceva ridere. Aveva perso il tempo. Ecco cosa pensò. Si era persa qualcosa che non sarebbe tornato, perché si sentiva legata e attanagliata da qualcosa da cui non poteva sfuggire. Fermò Egon nel suo avanzare, e si sedette sulla sabbia, lasciando le scarpe accanto a sé ed aspettando che Egon si sedesse accanto a lei. Ricominciò a guardarsi attorno, la luce dell'alba era ancora lontana ma la mezzanotte era passata. I carri stavano avanzando la sfilata lungo la spiaggia fermandosi a riva, e i passi degli abitanti lungo l'acqua bassa la fecero da padrone tra i suoni per un pò. Tutti gli abitanti erano infine giunti a completamento della sfilata sulla spiaggia - e Besaid le sembrò incredibilmente più piccola di quanto avesse pensato.
    Voleva fermarsi a guardare Astrid da lontano per un pò, sentendo improvvisamente voglia di tornare ad abbracciarla come avevano fatto tanto tempo prima in quelle notti simbolo per la sua città di adozione. La osservò chiedendosi cosa pensasse a quel punto di lei, prima di guardare come tutti con gli occhi puntati al cielo l'eclissi che cominciava ad oscurare la spiaggia e i cittadini, tutte le cose conosciute e visibili attorno a lei. Non vide nulla per un pò, e cercò istintivamente con la mano di toccare il braccio di Egon, che doveva essere accanto a lei da qualche parte, ma in realtà, o nel sogno, non c'era più.
    Fece fatica a guardarsi intorno. Le figure che la circondavano sembravano confuse ed irreali, e si chiese se avesse bevuto poi così tanto o si stesse sbagliando, prima di mettere a fuoco la figura gigantesca di un lupo accanto a lei. Un grande lupo dal pelo scuro ed ispido ed uno sguardo lucido incredibilmente più acuto di quello di un animale qualsiasi, come se potesse capirla e ferirla leggendole dentro. Il sentimento di terrore che la invase sparì improvviso così come l'aveva assalita nell'osservare la fiera in catene. E sapeva che non era più lucida nel mettere in fila i ragionamenti, ma provò una grande tristezza che la comprese tutta e la fece scomparire in un abisso di cui non vedeva fine. Ma aveva ancora i piedi ben saldi sulla terra, che esisteva ancora, e sentiva la spiaggia sotto di sé anche se non poteva vederla più bene. Il lupo era in catene, ma forse non lo era anche lei? Legata ed imbrigliata dalle sue sensazioni, dalla voglia di fare ma di reprimersi, di essere libera di amare chi voleva ma pensare troppo a chi la guardava e chi poteva giudicarla dal lasciarsi andare alla possibilità di costruire qualcosa di diverso da quello che aveva pensato.
    Forse era anche lei in catene - perché le sentiva - ma non se ne era accorta. E soprattutto, non poteva vederle.
    Ma cosa sarebbe successo se e quando entrambi se ne fossero liberati?
     
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    Una semplice conferma aveva portato Rei a cercare fra la folla in festa Astrid, sua collega e, potenzialmente, amica. Inizialmente ne individuò le dita, venne raggiunta dalla sua voce e poi dall'intera sua presenza. Ciao, Astrid. La salutò con calma, notando immediatamente la peculiare acconciatura che ne intrecciava i capelli castani. I suoi, scurissimi e corti, erano nascosti sotto un buffo (per quanto funzionale) cappello fatto a maglia che ricordava le forme di un elmetto vichingo: aveva un triangolino sull'estremità più alta e due piccole corna ai lati, di certo molto più morbide di quelle che abitualmente si trovavano su quella tipologia di copricapo. Gli sguardi di Rei portarono Astrid a giustificare i suoi tentativi con la propria acconciatura e la maggiore sorrise a labbra strette, già parzialmente intenerita. Certo. Stai molto bene, ti donano. Annuì un paio di volte, con il mento che andò a sfiorare il confortevole collo alto del lungo maglione che indossava - talmente lungo e largo da raggiungerle le ginocchia. Al di sotto, pantaloni altrettanto larghi e delle semplicissime scarpe ne circondavano la figura, ricostruendo un'immagine prevalentemente scura, eccezion fatta per il viso da cui spuntavano, tinte del solito rosso, le labbra. Rei non amava il freddo e non era abituata a passare troppo tempo fuori casa: per questo motivo, si era attrezzata al meglio per ogni evenienza, riponendo ogni oggetto che le sarebbe risultato utile all'interno di una borsa di medie dimensioni che ora le pendeva al fianco. Andiamo, sì. Confermò e rimase lievemente sorpresa da quell'offerta che accettò con piacere, avvicinandosi ad Astrid fino a incastrare la mano nella piega del gomito destro dell'altra. "Sarò il tuo cavaliere in questa magnifica serata, finché sarò sobria almeno." Era contenta del fatto che l'altra si fosse presa la responsabilità di instaurare subito un contatto più informale, pronta a condividere un'atmosfera più rilassata per il loro primo incontro al di fuori degli spazi dell'Istituto. Mm, allora a quel punto sarà il mio turno. Le rispose con serenità "Ci sei mai venuta?"

    Le aveva chiesto di lasciargli andare la manuccia e così le piccole dita paffute del fratello minore le erano scivolate via dalla presa, altrettanto bambina, della mano destra. Rei aveva ancora il naso puntato verso l'alto, mentre osservava quei mostri estranei sfilarle davanti. Hajime era rimasto poco più indietro e li raggiungeva solo con lo sguardo, la scia di nicotina appena percepibile attorno a loro e che si mescolava a tanti altri odori che li circondavano. Sadaaki? Ehi, non ti allontanare tanto. Aveva raggiunto il fratello più piccolo alle spalle, sollevandolo dai fianchi e portandoselo addosso prima che potesse perdersi del tutto fra lo sciamare di decorazioni e carri. "Mamma, c'è mamma..." Rei mosse di poco il capo, non potendo fare a meno di soffrire per via delle parole di Sadaaki - non avevano notizie della madre da mesi. Il padre li aveva portati lì entrambi proprio per farli distrarre almeno un po', utilizzando uno dei rarissimi giorni liberi che aveva dal lavoro all'Istituto. Eppure Rei seguì con gli occhi ciò che il più piccolo stava indicando: alla fine captò lo sguardo vitreo di un'enorme maschera di drago. Andiamo, torniamo da papà.

    Prima che potesse risponderle, le due vennero raggiunte da una giovane donna che scambiò qualche rapida chiacchiera con Astrid e, proprio così com'era arrivata, se ne andò. Sembri conoscere un sacco di persone, Astrid. Rispose con calma, lasciandosi trascinare dall'altra donna fino al bancone più vicino e appiccicaticcio su cui Rei avesse avuto l'opportunità di appoggiare i polpastrelli per qualche secondo. Ancora presa a risolvere il rompicapo di nomi e relazioni che Astrid aveva pronunciato nel tempo di una sola frase, gli occhi scuri erano occupati a sondare la breve lista di birre a disposizione. Valutò la meno alcolica e decise di far compagnia ad Astrid selezionando un boccale molto più piccolo del suo. Skål. Fece eco pronunciandosi in modo sorridente, almeno fino a quando le labbra rosse non vennero nascoste dall'orlo del bicchiere. La materialità ricca del contenitore sembrava sposarsi bene con il liquido pallidissimo che conteneva, riuscendo a donarle, in un certo senso, conforto. Non immaginava che, nel tornare a guardare l'amica, avrebbe colto gli occhi di Astrid rivolgerle degli sguardi altrettanto sereni.
    "Non hai idea di quanto sia contenta di averti invitata." Se le parole appena pronunciate dall'altra erano senza ombra di dubbio sincere, qualcosa obnubilò con velocità l'espressione della giovane. Non aveva idea di che tipi di fili la legassero a quelle persone, quali fossero dei piacevoli nastri e quali radici con acuminate spine, ma al posto suo avrebbe brandito delle cesoie senza troppi rimorsi - lasciando a chi di merito la responsabilità di differenziare un ragionamento metaforico da uno più materiale. Per il momento immaginò di potersi godere la calorosa sensazione di essere un punto di riferimento per Astrid: allungò una mano verso di lei e, guardandola con affetto, le strinse di poco la parte superiore del braccio. Vogliamo spostarci? Propose ad Astrid, accennando con la testa verso spazi più liberi dalla calca che aveva deciso di attorniare quella specifica bancarella. Quell'invito mise in moto una serie di azioni a catena che portarono al dispiegarsi di un'altra scenetta. Ci fu un rapido scambio fra Astrid e un uomo che parlava di lavare gli abiti in lavastoviglie (e fin lì non le sembrò troppo bizzarro), ma prima che l'istinto di ricerca potesse entrare a gamba tesa, era stata già trasportata altrove. La musica stava chiamando le due amiche e, prendendo sotto la sua guida Astrid, ne ascoltò gli ultimi strascichi di imbarazzo. È ovvio che sai essere una persona normale. Abbiamo imparato tutti... Le parole di Rei si dispersero fra le note, fra il vociare animato di persone, fra i volti che si liquefacevano fondendosi.
    Le capitò almeno un paio di volte di perdere di vista la compagna per quella serata ma, se doveva essere sincera, non era poi così sicura di ogni evento che le si presentava davanti o in cui rimaneva immersa. Più volte guardava il suo orologio e notava l'avanzare delle lancette senza riuscire a chiedersi perché non avvertisse il sonno ancora avvilupparla completamente - tutti sembravano svegli e, al tempo stesso, fuori fase. Quante volte era passata di fianco alle stesse persone? Quanti spezzoni di discorsi aveva potuto origliare e quanti gli aneddoti che aveva condiviso con Astrid? Batté più volte le palpebre, accorgendosi di trovarsi seduta a poca distanza dalla riva con gli occhi puntati all'orizzonte. Si fissò le mani e venne raggiunta dalla voce di Astrid, mentre Rei si stupiva della presenza di un piccolo animaletto apparentemente irreale. "Ho un po' fame però. Secondo te c'è ancora qualche bancarella per la colazione? Che ore sono?" Alzò gli occhi perché Astrid si era alzata - o forse era appena arrivata? Avevano passato le ultime ore insieme? Sono passate da poco le dodici... Rispose inizialmente e con calma, chinando per una seconda volta lo sguardo per osservare il quadrante del proprio orologio, appoggiato nella parte interna del polso. Probabilmente sì, ci sarà qualche bancarella aperta. Ma forse è meglio non prendere un'altra birra. Che ne pensi? Scherzò ma prima che potesse rendersene conto l'amica era già sparita. Si erano salutate, o forse Rei era rimasta seduta, immobile, senza trovar ragione di seguirla: aveva continuato a guardare il mare, la risacca, le barche che si muovevano lentamente.
    Mi stendo... solo per un momento. Concordò con se stessa non avendo ben chiaro il destinatario di quel messaggio. Solo per un po'. Continuò a mormorare, staccando infine i polsi dalle palpebre chiuse, interrompendo il contatto fra le leggerissime membrane che ora avevano generato macchie oscure ovunque. Si abbassò contro la spiaggia, appoggiando il lato del viso contro la superficie fredda nonostante fosse stata baciata dal sole fino a quel momento, fino all'arrivo della Luna. Riusciva a sentire il ribollire del proprio sangue nell'orecchio piantato nella sabbia o forse si trattava del respiro del mare, del movimento degli astri. Ne avevano parlato, in televisione... dell'eclissi. Credeva che se la sarebbe persa o che l'avesse già mancata di pochissimo, dato che non riusciva a smettere di visualizzare strappi ovunque. La Luna si trovava quasi nel suo punto più alto e, preparandosi all'oscurità totale, Rei ne assecondò il ritmo, serrando gli occhi. Fra l'infinita superficie della cupola densa e vitrea del cielo riuscì a spiare con un solo occhio, la cui pupilla si muoveva in modo rapido e sconnesso, una strana presenza. Questa pendeva dal cielo, fissandola mentre respirava. Aveva un corpo che sembrava estendersi all'infinito. Lunghissime appendici si flettevano al passaggio di un'aria che si era fatta liquida e il fiato, sulfureo e abissale, emanava dense nubi di nera pece e saette di luce. Una vocina dentro la sua testa cantilenava "mamma, mamma, mamma", ma Rei non avrebbe potuto dare un nome a quello su cui aveva posato con eccitato timore lo sguardo. La strana creatura mosse qualche passo, incrinando la materialità del cielo e facendo cadere alcuni dei suoi pezzi mentre, dalle fauci aperte, si schiantavano contro il terreno brandelli di carne, e cenere, e sangue.

    E viene di tenebra, / il drago che vola, / la serpe scintillante / da sotto Niðafiöll. / Porta tra le sue ali, / sulla pianura vola, / Níðhöggr, i morti. / Ora lei si inabissa.”

     
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    Il sole è alto nel cielo e la luna lo copre ancora quasi interamente quando appaiono le figure mitologiche. Il lupo, i due corvi e il drago vogliono esser seguiti.

    ◊#1 Tenendo il passo dietro il lupo, questo vi conduce verso il bosco, dove vi addentrerete fra gli alti arbusti che confinano con il lato ovest della spiaggia. Camminerete a passo svelto, ad un paio di falcate di distanza dall'animale dal pelo nero per non perderlo di vista fra i tronchi degli alberi e, dopo aver attraversato un sentiero battuto, vi lascerete il bosco alle spalle per approdare in quello che sembra un quartiere abbandonato della città: la Kaigaten. Di fronte a voi si apre un'enorme scacchiera ormai sbiadita le cui grandi mattonelle bianche e nere si alternano e sono ricoperte di terriccio ed edera, rampicanti che sembrano aver preso possesso anche delle figure di marmo alte dal metro al metro e mezzo, ora distrutte e ormai in rovina, inoltre sono ancora visibili macchie di sangue di coloro che erano lì prima di voi. C'è silenzio, come se il luogo fosse fuori dal mondo e lontano da una qualsiasi definizione di tempo. La storia però si ripete, anno dopo anno, morte dopo morte e vita dopo vita, e vi conduce, guidati dallo spirito del lupo, nell’antro in cui le sue catene sono state forgiate ed in cui si sono spezzate: lungo il perimetro di quel grande spazio vuoto e quindi sopra la scacchiera vi è una cupola che ne delimita i confini, relegando il luogo e voi ad una forzata solitudine.


    ◊#2 Guardate svolazzare i due corvi sopra le vostre teste e poi intorno a voi in un moto lento e circolare, quasi come se fosse un richiamo. Li seguite fino all'alta scogliera che delimita la spiaggia sul lato ovest, contro la quale voleranno attraverso un’arcata di pietra scura, uno spacco nella terra che forse c’è da millenni o forse è solo un vuoto momentaneo nello spazio materiale: è dentro la grotta dalle pareti alte e buie che li seguirete. A camminare nell’oscurità si abituano presto anche gli occhi, che nel momento in cui riescono a catturare un fascio di luce questo si è già mangiato tutto e ora, al posto della grotta fra le alte scogliere della spiaggia, ci si ritrova dentro un grande salone andato in rovina: è la sala di San Giorgio del Palazzo d’Inverno, eppure qualcosa è cambiato. Oltre ai segni di lotta e cenere, lungo tutto il perimetro vi sono quelli che sembrano alti specchi. Niente finestre, solo immense vetrate su cui si riflette sempre la stessa immagine, quel perimetro della stanza che luce solare non conosce, quasi come se qualcuno vi avesse posato un telo nero sul tetto per farlo cadere lungo i lati del palazzo intero così da delimitare l’esistenza di quel pezzo di storia cementata e il suo salone ad un’idea antica, vecchia e ormai forse inesistente. Eppure, così vuoto, spoglio e incenerito, il Salone del palazzo d’Inverno è ancora vivo: l’eco di un dolore estraneo a quei tre nuovi volti, si possono udire ancora le urla di ciò che la magia ha intrappolato fra quelle mura, solo tre anni prima. Paura, sofferenza, debolezza e desiderio d’arresa.


    ◊#3 E’ proprio il sole che si riaffaccia di nuovo oltre la sua antitesi, che illumina di nuovo le scaglie lucenti del drago maestoso, i cui artigli affondano tra le sabbie della spiaggia su cui, chi ha deciso di seguirlo, si trova. La terra trema, quando egli atterra dal cielo. E continua a tremare anche oltre, quando si avvicinerà imponente a voi. Spiegherà poi le ali con ferocia e con altrettanta lentezza ed eleganza si immergerà nell'acqua scura del mare: saprete di doverlo seguire e, una volta sotto la superficie, l'animale mitologico sarà lì ad accogliervi così da trascinarvi sul fondo. Improvvisamente, una pressione proveniente dal terreno vi spingerà verso l'alto e l'acqua si prosciugherà intorno a voi, facendovi ritrovare nel centro esatto di un'arena. Qualcuno in città ne ha parlato, ma nessuno vi ha più messo piede, dopo allora. Coperta d’alghe e mutila di pezzi, l’arena emerge dal mare, silenziosa, senza più alcuno spettacolo da mostrare. Nessuno più popola i suoi spalti. Il terriccio sotto i vostri piedi è asciutto e granuloso, come se non ci fosse mai stato il fondo del mare al suo posto. Catapultati nel centro di un luogo carico di storia e ricordi di battaglie, avvertirete l'eco di lontani combattenti che, prima di voi, hanno versato sangue su quella stessa sabbia. Il vento soffia leggero ma non porta null'altro con sé, se non il timore che quello possa essere il luogo all'interno del quale resterete per sempre, lontani da tutto ciò che avete conosciuto nella vostra realtà. Voci echeggiano tra quelle pietre vuote, tra le armi gettate a terra. Sono come fantasmi, le figure che si muovono in cerchio intorno a voi.


    “Avete idea di cosa si provi, ad un passo dalla morte? Quanto forte sia l’ultima paura?”



    Una volta raggiunti quei luoghi pregni del passato di qualcun altro, forse qualcuno che addirittura conoscete, avvertirete delle sensazioni forti e al contempo astratte, riuscirete a percepire l'importanza degli eventi avvenuti all'interno di quei luoghi così come i forti legami che hanno unito chi ha calpestato quella terra prima di voi. Impossibile evitare quelle emozioni: sofferenza, perdita, paura e, più di tutto, speranza. Sarà difatti quest'ultima la più forte, quella che riuscirà a coprire tutto il resto. Quella sensazione si tramuterà in una figura a cui tenete tantissimo, sia questa una persona importante del passato o del presente, vi lascerete guidare dalla sua voce calda, familiare e accogliente. Vi chiederà di fidarvi, cercando di indurvi a credere che tutto possa risolversi al meglio nella vostra vita: dopotutto è ciò che ognuno desidera. E sarà quel desiderio tenuto a bada per tutto quel tempo che troverà finalmente l'opportunità di venir fuori. Ciò che si manifesta però è solo nella vostra mente, è davanti ai vostri occhi e non è qualcosa che potete scacciare via facilmente. E' una creazione della vostra psiche, estrapolata dal vostro inconscio, ed è bellissima. Saranno parole dolci, di conforto, un invito a restare lì per sempre e a dimenticare tutto il resto, il mondo reale dal quale siete giunti e che potreste lasciarvi alle spalle con estrema facilità: basterà morire. Un prezzo da pagare per la felicità assoluta ed eterna, perché declinare quell'invito e decidere di abbandonare la sensazione di familiarità e tenerezza da cui siete avvolti potrebbe causarvi sofferenza, una tristezza a cui potrebbe non esserci mai più alcun rimedio. Vi sarà mostrato chiaramente: un contrasto impossibile da non notare, quello che si interpone fra la sensazione di gentilezza e amore che provate vicino a quella persona e il mondo idilliaco che vi sta mostrando, e le immagini dei brutti ricordi o sensazioni che non potrete risparmiarvi di guardare o sentire dentro al petto quando sarete esposti ad esse. Per voi Besaid ha certamente fatto tanto, non sarebbe bello apprezzarne ogni regalo? La vostra particolarità scivolerà fluida via dalle vostre mani se vorrete lasciarla scorrere.
    La realtà è relativa in quei luoghi, tenetelo a mente. Qual è il vostro vero mondo? Quello che vi siete lasciati alle spalle o quello in cui vi hanno condotto le figure degli animali mitologici? Cederete alla sicurezza e alla dolcezza eterna o rinuncerete al vostro più grande desiderio per fare ritorno alla paura e alla sofferenza di tutti i giorni?
    Per la prima volta avete la possibilità di scegliere.


    #indicazioni:.
    -- In questo post potete descrivere a grandi linee il momento in cui i PG seguono gli animali, tenendo in considerazione la scelta compiuta nel primo turno!!! Verranno quindi condotti in tre gruppi separati sui luoghi che hanno ospitato le Quest precedenti: Lupo: Cupola/Kaigaten -- Corvi: Spiegelhaus/Salone di San Giorgio nel palazzo d'Inverno -- Drago: Arena --- se avete voglia potete leggervi il primo masterpost di ognuna, ma non è obbligatorio, non saranno collegate.
    -- Come descritto nel masterpost, tutti e tre i luoghi sono praticamente inanimati, ma non per questo asettici. Non appena i vostri pg si ritroveranno nei luoghi sopracitati avvertiranno l'eco delle stesse sensazioni provate da chi ha calpestato quei terreni prima di loro (e quindi nelle vecchie quest).
    -- Inoltre, sempre tornando anche al primo masterpost, i PG resteranno in uno stato alterato di coscienza, in cui aleggeranno in uno stato quasi onirico che, inizialmente leggero, progredirà nel momento in cui vedranno la persona che li attende all'interno dei luoghi.
    -- Sparse entro quei confini vi sono delle armi: una corda, un pugnale, una boccetta di veleno e una pistola. (in basso più Info)
    -- LA SCELTA DELLA PERSONA E' LIBERA: Siete voi a decidere chi apparirà ai vostri PG (potrebbe anche essere un altro PG e in quel caso prendete accordi con il player che lo muove per evitare incomprensioni o per chiedere suggerimenti riguardo al modo in cui interagirebbe). Avrà sembianze reali, proprio come il PG ricorda di lei/lui e tenterà di convincervi a restare in quel luogo insieme a lei/lui per l'eternità = può accadere solo attraverso la morte del vostro personaggio. Vi è stato assegnata un'arma e, sebbene speriamo che i vostri PG riescano a rinsavire e rendersi conto che si tratta di un inganno, anche qui sarete esclusivamente voi a decidere se far cedere il PG e farlo morire oppure se fare in modo che si rendano conto sia solo una trappola frutto di un'illusione.
    -- Niente è proibito: vi consigliamo di parlare anche fra di voi e decidere, nel caso, che qualcuno in grado di ritirarsi più velocemente rispetto agli altri dalla visione sia poi deciso ad aiutare gli altri.
    -- Il dialogo fra i PG e la figura che sceglierete per loro è a vostra discrezione, l'importante è che queste li convincano a cedere alla morte così da restare per sempre insieme in un luogo lontano dalla sofferenza. Un monito a non procedere perché ciò che troverebbero oltre potrebbe essere terribile.
    -- Le figure potrebbero mettere i PG nella condizione di dover usare la particolarità creando altre illusioni cui solo voi potrete assistere e - eventualmente - chi riesce a liberarsi del tranello e si trova nello stesso luogo/gruppo.
    -- Vi invitiamo ad iscrivervi alla discussione per non perdere nessun post.


    #armi: Le armi saranno già nei luoghi in cui giungete ancor prima che appaiano le figure con cui dialogherete. Le corde penderanno dal soffitto/cielo vicino a punti più alti da raggiungere; i pugnali saranno incastrati fra delle rovine di pietre o mattoni scheggiati; le boccette di veleno saranno nascoste in luoghi "naturali", per esempio fra i rampicanti o immerse in un sottile strato d'acqua; la pistola quasi si mimetizza, posata su una delle mattonelle nere della scacchiera ancora macchiata di sangue;
    Qui le armi assegnatevi:
    Corda: Bella, Lys, Eira
    Pugnale: Max, Magda, Astrid
    Boccetta di veleno: Leo, Rei, Riley
    Pistola: Beat


    #recap azioni & info utili:
    • Seguite gli animali scelti;
    • Raggiungete i luoghi delle vecchie Quest;
    • Ad ognuno appare la figura/persona che proverà a convincerli con tenerezza a restare lì con loro;
    • Prenderete possesso delle armi a voi assegnate, sta a voi decidere se usarle o meno;
    • Se il PG cede, verrà portato a morire per mano propria usando l'arma a lui assegnata;
    • Se il PG resiste, vedrà nuovamente lo stesso animale da cui è stato guidato fin lì e potrà scegliere eventualmente di aiutare gli altri ancora incastrati nel limbo della loro stessa psiche.

    Turni: ◊Dovrete aggiungere, in cima al vostro post, l'animale che avete incontrato durante la festa, in modo da riconoscere i gruppi~
    Questa volta non ci saranno turni! Potrete postare entro il 11.05.2021


    Qualsiasi dubbio o domanda riguardante la Quest potete porgerla in questo topic.
     
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    Era in piedi nella sabbia, il mare, ad ogni risacca, a lambirle le dita, a sfiorare le caviglie mentre sommergeva di acqua e schiuma i suoi piedi. La testa rivolta in alto, come i bimbi piccoli quando vedono per la prima volta la scia di un aereo o una nuvola dalla forma particolare. Nel buio innaturale dell'eclisse, in quella strana luminescenza di un cerchio nero contornato da una corona di fiammante luce, Magdalena vide il drago muoversi nel cielo. Era una figura scura ai suoi occhi, ma sapeva che così non era. La luce colpiva le sue scaglie quando ad ogni movimento la testa dell'essere sembrava muoversi al ritmo di qualche antica canzone, inclinandosi e riflettendo la luce in piccoli bagliori. Il collo era lungo, sinuoso, serpentino, proporzionato all'enorme apertura alare delle membrane che lo stavano sostenendo in volo e quasi a fare da contrappasso alla coda, allungata e in movimento quanto la sua testa. Planò in ampi cerchi, scendendo di decine di metri ogni volta, rendendosi sempre più presente, sempre più imponente, mostrando di non temere nulla, di essere lui che aveva il controllo di ogni cosa, quasi anche del sole e del suo viaggio nel cielo al pari della luna. La donna si spostò lentamente, impaurita sicuramente, ma anche attratta da quella figura che non poteva essere reale, poteva solo essere il frutto della sua fantasia. Eppure, allo stesso momento dentro di lei, nel suo profondo sapeva che quella figura mitologica era vera, era presente, ne poteva sentire in quel momento il fischio nell'aria mentre le ali fendevano la stessa, sentiva il rumore del suo respiro quando atterrò davanti a lei, sulla spiaggia, distante alcune decine di metri. Il sole era tornato ad illuminare la Terra, era tornato ad illuminare sia lei che il drago davanti a lei. Le quattro enormi zampe artigliate toccarono il terreno, prima le posteriori, pochi secondi dopo le anteriori, scuotendo il terreno, facendo perdere l'equilibrio alla donna, che cadde goffamente a terra, il sedere a colpire la sabbia bagnata. Le ali sbatterono un paio di volte, ripiegandosi ai lati dell'imponente torso, mostrando la loro colorazione perlacea, cangiante per via delle piccolissime, innumerevoli scaglie che ricoprivano comunque la membrana, allargandosi poi in scaglie più spesse sulle articolazioni e in placche corazzate sui fianchi e sul resto del corpo. Era un drago bianco, lo avrebbe potuto definire eburneo, il colore delle ossa sbiancate dal sole e perlate dalla schiuma del mare, il colore delle ossa di un guerriero abituato al mare e al sangue, al ferro e al cuoio. alzò il collo come un leone pronto a ruggire, mostrando le enormi squame bianche come la neve, differenti da quelle delle ali e del dorso, che ornavano il sotto del suo collo, del suo mento e probabilmente del petto e della pancia. aprì la bocca ma non emise nessun rumore, nessun grido, nessun segno della sua supremazia assoluta, incontrastata. il collo e la testa discesero nuovamente, stavolta quasi a portarsi al livello del terreno, scrutandola. Le fauci mostravano le zanne inferiori sovrasviluppate, i denti appuntiti che si potevano definire i canini sporgevano dalla bocca per probabilmente una ventina di centimetri. Le froge emettevano un sottile filo di fumo chiaro, vapore probabilmente, mentre gli occhi dalla pupilla verticale, gialli e grandi come se non di più dei cartelli stradali, lo fissarono curiosi. Emise un suono come una risata strozzata, lenta, profonda, cavernosa. Una delle possenti zampe dotate di quattro artigli neri e lucidi, lunghi probabilmente più di un metro ognuno, si alzò, per poi abbassarsi più avanti, mentre l'essere camminò verso di lei, la coda a frustare l'aria, mostrando una serie di spine sul dorso e una sorta di rigonfiamento corte sulla punta, come quella degli antichi anchilosauri, ma più allungata. Ad ogni passo la terra tremava, la sabbia attorno alle sue zampe sembrava sollevarsi come spaventata, gli artigli scavavano nella spiaggia come coltelli caldi nel burro. La paura e le vibrazioni impedivano a Magdalena di alzarsi, ma non di allontanarsi di alcuni metri scivolando sulla schiena, sicura che l'avrebbe mangiata in un solo boccone. quando si fermò il suo collo si allungò verso di lei, finché il suo muso fu a pochi centimetri dal volto della donna, pallida e tremante. Il drago inspirò lentamente, come ad assaporarne il profumo, per poi espirare altrettanto lentamente, inondandola di tiepido vapore leggermente affumicato, ancora una volta mettendo quel rumore, che sembrava provenire dalla gola, vicino alla testa, un insieme di fusa e risate. Alzò il collo, senza però staccare lo sguardo da lei.
    Magdalena si rialzò, sentì come il bisogno di farlo, come se una forza dentro di lei, magnetica e attivata dalla presenza dell’essere mitologico, la portasse a farlo. Il drago improvvisamente spalancò le ali, muovendole velocemente e con una potenza tale che per un istante la donna credette di essere sbalzata in aria e portata via dal vento creatosi, ma nulla avvenne. Con passo lento, ieratico, il drago si mosse nuovamente, dandole il fianco sinistro dopo aver ripiegato nuovamente le enormi ali e, procedendo nel mare davanti a lui, lentamente si immerse, finché solo il collo e la testa rimasero fuori dall'acqua scura. Con un unico, lento movimento, in un mondo in cui il tempo sembrava essersi fermato, l'essere volse il collo così da osservare ancora una volta la donna, per poi immergersi totalmente e scomparire dalla superfice. I secondi passarono, lenti come grani di sabbia che cadono nella glicerina, mentre le onde ricominciavano a infrangersi pigre e indolenti sulla spiaggia e sui piedi nudi di Magdalena. Un passo, dopo un altro, poi un terzo, l’acqua ad arrivarle a metà polpaccio, poi al ginocchio, bagnando il vestito. Sentiva il bisogno di seguirlo, di immergersi con lui, di perdersi in quel mare scuro e freddo, denso come l’olio o un sogno non fatto. Con delicatezza si slacciò il vestito quando l’acqua lambì la vita, finendo di immergersi totalmente nuda. Sotto la superfice la luce del sole arrivava morbida, mossa dalle onde, dando al drago, sdraiato davanti a lei, sul fondo, un aspetto quasi rilassato, dolce. Lei si mosse con un piccolo balzo, come se fosse sulla Luna, avvicinandosi a lui, cadendo lentamente verso il fondo, a una decina di metri da lui, i piedi a sollevare una piccola nuvola di sabbia e conchiglie quando colpì il fondo coperto anche di alghe.
    Come un segnale, il suo tocco fece tremare il fondo, mentre il drago sollevava incuriosito la testa, ripetendo la sua strana risata. Qualcosa stava premendo Magdalena sul fondo, costringendola a genuflettersi e a puntellarsi con le mani per non essere schiacciata, ma pochi secondi dopo capì che non era lei che veniva spinta, era il fondo che si stava sollevando, spostando sabbia, sassi, alghe in un crescendo di vibrazioni e rumori, sebbene attutiti dall’acqua, la cui superfice si stava avvicinando fin troppo velocemente, il chiarore sempre più presente.
    Con un rumore di risacca nella tempesta la roccia riemerse e lei con essa, obbligandola a chiudere gli occhi. Quando li riaprì, il mondo sembrava non essere più lo stesso. Il drago era scomparso, come svanito, solo il tenue profumo del suo vapore ancora aleggiava nell’aria di quella che pareva essere una arena. Magdalena era in piedi, a centro di essa. Aveva una forma ellittica, simile eppure distante da quelle romane che aveva studiato nella storia, forse più un Colosseo che un circo massimo date le vestigia ormai inutili di legni e tessuto, quelle che nell’antica Roma erano definiti velarium. Attorno a lei, visibile nelle grandi fenditure delle pietre, dei blocchi di roccia decisamente intagliati e posizionati da mani umane, ma ormai erosi dal tempo e dall’incuria, poteva vedere il mare. Ovunque, in ogni direzione, un mare scuro simile al cielo sopra di lei, un colore innaturale, plumbeo, eppure rischiarato da un sole allo zenith, dando al tutto un aspetto tra il sogno e l’incubo. Alghe rimanevano, come stendardi strappati, sulle pareti alte e a gradoni dell’arena. Magdalena poté vedere solo quelle come prove che l’arena stessa fosse stata fino a pochi secondi prima sotto il mare, perché tutto attorno a lei era asciutto, arido quasi. La sabbia, mista a del terriccio scuro, quasi color mattone, era quella di una vera arena, o così sarebbe dovuta essere nella sua mente, polverosa e calda. I piedi nudi sentivano il calore del terreno, il calore assorbito da ore di sole, così come sentiva i raggi sulla sua pelle. Incurante della sua nudità si voltò ad osservare quello spettacolo tanto inquietante quando suggestivo, maestoso. Si immaginò chi o cosa avesse potuto combattere in quel cerchio di sabbia e terreno, i combattenti che si erano scontrati, per gioco o per sopravvivenza, il clangore delle armi sugli scudi, le grida del pubblico sugli spalti, il dolore delle ferite.
    Improvvisamente si portò la mano destra sulla spalla sinistra, emettendo un grido di dolore a denti stretti.
    “Cosa?” mormorò riprendendosi. Non c’era nulla, eppure era certa di aver sentito la pelle tagliarsi e il sangue colare dalla ferita inferta dalla spada di un combattente del Nord. Si guardò attorno ancora, sentì davvero, echi lontani di fantasmi ormai svaniti, ma mai stanchi di tornare, mai sazi di sangue, le grida e le sensazioni di chi aveva calcato, vinto e spirato in quell’arena; sentì l’adrenalina della battaglia nei combattenti, in lei stessa, la rabbia e il dolore dei colpi inferti e subiti, sentì il vento spirare nelle mura ormai parzialmente crollate, nei due grandi fori contrapposti, simili a bocche di mostri fissati nel tempo e nella roccia, che portavano i guerrieri a scontrarsi. Lei stessa si vide una di loro, si vide vestita, sentì il peso dell’armatura di maglia, del giustacuore, degli spallacci e degli schinieri in cuoio bollito e borchiati a proteggere stivali in pelle dal fondo morbido, adatti alla corsa quanto al combattimento. Sentì il peso di uno scudo tondo, dall’umbone circolare, sentì il freddo e rincuorante peso della spada nella mano destra, l’impugnatura in fine maglia ritorta a graffiare dolcemente il guanto in crosta che le proteggeva la mano e che impediva al sangue degli avversari di rendere la presa insicura e scivolosa. Si guardò attorno, la visuale solo leggermente ridotta dall’elmo a mandorla di stampo normanno con paranaso. I suoi avversari, i suoi compagni erano accanto a lei, già impegnati in una danza senza esclusione di colpi, mossi da una sete che veniva dall’anima, da un desiderio irrefrenabile di vincere, di dare il loro meglio, perché l’alternativa era la morte, era l’oblio, era la condanna di rimanere in quell’arena per sempre, fantasmi di combattenti che non erano degni di ascendere, di essere definiti guerrieri.
    Tremò all’idea che il suo sangue si mischiasse per sempre con quello degli altri caduti, e seguì un’ombra, una in particolare. Sembrava vagare come disinteressata da ciò che accadeva attorno a lei. Magdalena si fece strada verso di lei, parando fendenti, colpendo ossa e muscoli di braccia e gambe nella sua lenta camminata verso l’ombra scura e fumosa, terrificante come la morte eppure impossibile da non desiderare, da non cercare ed agognare con ogni fibra del suo essere. Gli spalti si erano popolati, figure eteree come quelle attorno a lei, uomini e donne senza volto ma pieni di emozioni, come se fossero le emozioni stesse nei secoli che si fossero condensate in tali apparizioni in quel momento tanto particolare, in quel luogo tanto particolare.
    Parò un ennesimo colpo, portandosi finalmente fuori dalla mischia, un posto più tranquillo, vicino al muro di roccia e pietre che divideva l’arena dal primo anello di gradoni, quasi tre metri sopra il terreno che stava calpestando. L’armatura, le armi, tutto era svanito, come un sogno al mattino sotto i raggi del sole. Anche le sensazioni, la paura, il dolore, la tristezza e l’adrenalina erano svanite, lasciando solo il posto a una sensazione calda, rassicurante, che la cullava come il vento stava cullando le onde nel mare tutto attorno a lei, come stava cullando il vento i suoi capelli e la bianca tunica che ora ricopriva il suo corpo, immateriale eppure così presente, stretta in vita da una piccola cintura in cuoio chiaro, sandali alla schiava ai piedi. La figura, ammantata di nero, fumo che si levava leggero e profumato di speranza attorno a lei, si voltò, il viso nascosto dall’ampio cappuccio. Era alta come lei, neri capelli leggermente mossi uscivano dal cappuccio ai lati del collo, scendendo fino al petto, le mani nascoste, come il resto del corpo, nel mantello, che scendeva fin oltre a terra nascondendo tutto di lei.
    “Finalmente posso vederti…” disse la figura in kazako. La voce colpì il cuore di Magdalena come un proiettile, centrandole il dolore, la gioia, la sorpresa. “Sei cresciuta molto…”
    “Ma… mamma!” disse lei nella sua lingua natale. “Ma come è possibile? Io… tu sei…”
    “Morta? Sì, può essere, ma a volte i miracoli accadono. Questo luogo è come una zona di passaggio, un posto particolare in un momento particolare. La luna e il sole si sono incontrati e baciati nel cielo, due entità che mai si dovrebbero toccare, quindi se la Natura stessa può andare contro le sue regole eterne, perché non può avvenire anche questo, che la morte chiuda un occhio per un po’ di tempo permettendomi di vederti, di stare con te. Ti ho visto crescere, ti ho visto diventare la donna forte e coraggiosa che sei, ti ho visto cercare un tuo posto nella vita, in una vita che ancora non ha capito che meriti solo amore e gentilezza, solo quanto ti spetta di diritto. Io sono qui per poterti dire quanto sono orgogliosa di te, quanto mi riempie il cuore di gioia vederti come sei adesso.”
    Magdalena tremò, per poi scoppiare a piangere come una bambina. Le mani chiuse a pugno come a voler fermare le lacrime, singhiozzò mentre calde lacrime scendevano le guance e cadevano a terra, piccole macchie scure sulla sabbia altrimenti asciutta.
    “Mamma, io…”
    “Shhh, piccola mia, non dire nulla. Non abbiamo molto tempo e dobbiamo sbrigarci. Sono tornata per avvertirti che se sei qui in questo momento è per avere la possibilità che hai sempre sognato, la stessa che ho sempre desiderato io: Stare assieme, io vedere la grande donna che sei, tu per dimostrarmelo quotidianamente. So che è ciò che vuoi dentro di te, posso leggertelo negli occhi, nel cuore, so che ciò che hai fatto, dalla fuga dai nonni ai tuoi studi, alla tua personale vendetta verso di loro, alla ricerca di tuo padre è tutto stato fatto per questo preciso istante. Non sarebbe bello poter essere felici… assieme?” le disse gentilmente, senza muoversi, una figura come Virgilio che si presenta a Dante.
    “Sì. Sarebbe il sogno della mia vita, sarebbe il punto a cui ho sempre aspirato, ma che non potrò mai raggiungere. Tu vivi nei miei ricordi, e ora qui davanti ame, ma come potrà essere quando… questo finirà? Come sarà possibile che io e te si possa rimanere assieme?”
    La donna mosse una mano fuori dal mantello, Era una mano candida, come il braccio, pallida ed eterea, eppure così perfetta da far correre dei brividi dietro la schiena di Magdalena. Indicò un punto poco lontano da dove erano, un punto in cui una spessa crepa sembrava quasi tagliare in diagonale la parete di pietre e mattoni spaccati, alcuni divelti e caduti a terra per il movimento dell’arena e per il tempo passato. “Prendi quello che troverai, piccola mia.” Le disse.
    La donna si mosse, cercando di capire se qualcosa in particolare aspettava in quella crepa. Vide scintillare qualcosa sotto la luce di quel sole così particolare. Allungò la mano, toccando una lama fredda e piccola, scendendo cauta fino all’impugnatura, estraendo un lungo pugnale, quasi trenta centimetri di lama leggermente ricurva e che assomigliava vagamente alla fiamma di un drago, come l’impugnatura ne rappresentava uno stilizzato di stampo orientale. Era un’arma molto particolare, strana ma a suo modo bella, suggestiva. Sentì una sorta di pace interiore toccandola, assaporando la delicata fattura dell’elsa. Sorrise portandosi la lama al petto, come se abbracciasse un tenero orsetto, e tornò dalla figura della madre, che l’aveva e la stava ancora attendendo. L’arena era vuota, tutti i combattenti giacevano apparentemente morti nel terreno, reso scuro dal sangue. Regnava un silenzio innaturale, eppure in qualche modo la luce del sole rendeva la scena pacifica, come fosse così naturale che la lotta fosse finita in quel modo.
    “Cosa è questo?” le chiese, mostrandole il pugnale, tenuto nella mano destra, la lama a riposare nel palmo della mano sinistra.
    “È un pugnale, questo lo vedi da te. Ma ciò che davvero rappresenta è molto di più. È una chiave, è il modo per poter far avverare il tuo sogno più nascosto, il tuo desidero, la tua fantasia. Cosa davvero, davvero desideri con tutto il tuo cuore?”
    Lei non rispose, osservando la lama. Era così ben fatta, così fredda al tatto eppure sembrava pulsare di una vita sua, di un calore che sembrava provenire dall’elsa, da quella bocca spalancata. Il drago, morte e rinascita in molte culture, e sicuramente in quella norrena. Morte e rinascita. Chiudere un ciclo per iniziarne un altro, per costruire sopra le ceneri del vecchio, per migliorare ciò che non si era potuto fare nella vecchia vita. Il susseguirsi di cicli era comune a molte culture, dalla reincarnazione orientale al Nidhogg vichingo all’Uroboro presente fin dall’antico Egitto. Che fosse quello il significato di quanto fosse successo? Che in qualche modo lo stravolgimento delle leggi naturali, dell’infinita caccia del sole con la luna, la presenza del drago, l’arena, fossero la possibilità di ricominciare in un modo migliore?
    “Io vorrei che tu fossi accanto a me per sempre.” Le disse abbassando gli occhi, quasi vergognosa di esprimere il suo desiderio quasi da bambina.
    La madre sorrise e annuì lentamente.
    “Anche io voglio lo stesso, e ora è il giusto momento per farlo. Usa il pugnale, tu sai cosa devi fare, sai come si può continuare ad essere assieme. Questo è solo il primo passo, questo è solo l’anticamera del mondo perfetto che potremo avere. Io e te potremo plasmarlo come vorremo, io e te saremo le artefici, le sole artefici del nostro futuro senza fine. Senti la pace che pervade questo posto, una eterna pace e dolcezza, il dolce profumo della tranquillità che potremo ottenere sempre. Basterà solo fare un piccolo gesto, un piccolo movimento, un piccolo sacrificio.”
    “Madre, ma questo vuol dire… morire?”
    “Sì, morire per rinascere. Sai cosa sia l’uroboro, sai benissimo che cosa rappresenta. Morire per rinascere. Cosa ti lega a quella vita di affanni e dolori, cosa ti potrebbe spingere a ritornare alla vita reale, abbandonando questi… Campi Elisi? Riposare, abbandonare le angosce, la necessità di correre, di fare. Il mondo sarà ciò che vorrai, lo plasmerai con il semplice tocco della mente, senza fatica.”
    Mentre parlava, attorno a Magdalena, come in una sorta di realtà virtuale, si stesero dapprima enormi pascoli verdi, alberi da frutto e dolci ruscelli che creavano cascatelle di acque cristalline, un dolce sole che scaldava il corpo quanto l’anima, poi le immagini della sua stanza dai nonni, i suoi vestiti scuri e casti, il rumore della cintura del nonno, le notti a sentire piangere sua madre perché non avevano nemmeno una scatola di fagioli come cena. Un dolore freddo, come una lama di ghiaccio le penetrò nel cuore al ricordo di quei momenti, che iniziarono, come un fiume in piena, ad accavallarsi, a fondersi nella sua mente come nell’ambiente circostante, creando suoni volti, sensazioni cupe e scure, fulmini di rabbia in cieli tempestosi di tristezza, mentre pioveva dolore. Le sue lacrime si fusero con la pioggia, bagnando la tunica rendendola grigia e poi rossa, un rosso cupo e pesante. La lama era così invitante, nessuno avrebbe visto, sarebbe stato un dolce, veloce, lunghissimo attimo e poi tutto sarebbe finito. O iniziato. La sollevò, guardandola ancora, era intonsa, come se fosse al di fuori dal tempo. Alzò lo sguardo verso la madre, che la attendeva davanti a lei, a pochi metri, contornata dal sole e dal terreno verde e rigoglioso. Attorno a Magdalena c’era la tempesta, non lontano eppure irraggiungibile il campanile del Big Ben sembrava lentamente colare come in un quadro di De Chirico su uno dei carri allegorici che aveva seguito alcune ore prima. Besaid. Il suo punto di arrivo, doveva essere la fine della sua vendetta, era stato l’inizio di una nuova vita probabilmente, di una nuova avventura che si era concretizzata in maniera inaspettata con la scoperta del suo potere, con cui aveva a malapena iniziato a convivere. Tutto sarebbe scivolato via, il dolore, la particolarità, l’affanno, la vita come la conosceva. Non ci sarebbe stata più tristezza, dolore. Ma… Nella mente di Magdalena passarono le immagini del suo diploma, del suo primo lavoro, del volto della nonna e del nonno quando la videro in giacca e pantaloni. Sorrise, e tra le nubi comparve il sole, i raggi ad illuminare per un istante tutta l’arena, a gettare ombre sui frutteti dietro la madre, a mostrare i vermi che si nascondevano tra le mele apparentemente perfette. Il pugnale si fece freddo, di un gelo simile alla morte, tanto che lo fece cadere sul terreno, provocando uno spruzzo di neve e di ghiaccio dove tocco il terreno. La tunica si fece pesante, umida e l’odore dolce e sidereo del sangue che la inzuppava la fece stomacare. Se la strappò di dosso, mentre la madre la guardava ancora serena, continuando a dirle di seguirla, di abbandonare la vita.
    “No!” urlò lei. “La vita non sarà perfetta, ma la morte non è la soluzione! Io ho vissuto e vivrò per dimostrare che non è solo la fortuna che serve nella vita, ma il duro lavoro, che le gioie conquistate con le proprie capacità sono molto più gustose e belle di quelle ottenute senza fare nulla. Io non so chi o cosa tu sia, ma non sei mia madre. Lei ha lottato, ha lottato ogni secondo della sua vita, per lei, per me, per un mondo in cui ognuno potesse essere davvero cosa desiderava. Ha lottato contro la sua famiglia, contro il mondo intero, e la vita, per quanto schifosa a volte, ha fatto di me ciò che sono ora, nel bene o nel male. Morire adesso, voltare le spalle alla vita, sarebbe voltare le spalle all’eredità di mia madre, a tutto ciò che ha fatto per me, che ha sofferto per me. Quindi stai pure dove sei, chiunque tu sia.” Gridò, lanciandole il pugnale, ma non per colpirla, solo per gettarlo ai suoi piedi. L’oggetto sembrò colpire un vetro, come se lei e la madre fossero separati da una superficie di cristallo, che si frantumò in mille pezzi e con lei tutto ciò che aveva attorno. La luce, le nubi, i fulmini, tutto sparì, lasciando Magdalena nuovamente sola nell’arena, sotto lo stesso innaturale sole. Davanti a lei si ergeva il drago, maestoso e imponente. La guardava dall’alto in basso, la sua testa una decina di metri sopra di lei. Era immobile, come una statua, solo il sottile vapore che usciva dalle narici mosso dal suo lento e pesante respiro indicava che era un essere vivente e non una visione. O forse lo era, come tutto quello che vedeva in quel momento. Forse lei stessa era parte di un sogno più grande. Il drago voltò la testa verso destra, e gli occhi della donna seguirono la direzione del muso, scoprendo che sulle gradinate ora vuote, due figure stavano apparentemente in piedi, parlando. Sentì l’impulso di guardarle meglio, e scoprì che se una di loro sembrava come lei, l’altra era una sorta di ombra, di visione, e il sangue le si gelò nelle vene all’idea che li non fosse stata la sola costretta ad una scelta folle quanto irrazionale. Senza curarsi dell’animale, iniziò a correre, cercando un punto in cui poter accedere alle stesse. Doveva trovarlo, ma fu solo dopo un’affannosa ricerca che le parve durare ore che trovò un pezzo crollato di muro adatto a farla arrivare agli spalti, e da lì la corsa, le urla alla ragazza. Poteva scorgerne solo il viso, uno di quelli che probabilmente aveva visto vicino a lei sulla spiaggia. Era molto più giovane di lei, forse una ventina di anni in meno, con capelli castani lunghi e un viso angelico. Sembrava colta da fortissime sensazioni, come lo era stata lei, di fronte a quello che pareva un ragazzo dai capelli corti e della sua età, che le stava parlando con un sorriso dolce e in cui ci si sarebbe facilmente persi.
    “Non ascoltarlo!” gridò, mentre gli scalini sembravano moltiplicarsi, come se per ogni scalino fatto due si aggiungessero alla fine della sua corsa. “Non devi ascoltarlo!” gridò quasi a sentire male alla gola. “È solo un’illusione, non farlo, non ascoltare ciò che ti dice!”
    Chiuse gli occhi e inghiottì della saliva per umettare la gola, poi li riaprì e con rinnovato vigore corse quanto poté, vedendo che la ragazza aveva in mano una corda. “Oddio ti prego no!” pensò mentre si avvicinava in maniera lenta, i gradini sempre più alti, le gambe sempre più pesanti. Finalmente, non sapeva dopo quanto, riuscì a raggiungerla, sfiancata, ansimante, e poté solo mormorare tre parole prima che il drago la fissasse nuovamente, come a bloccarla, come a dirle che la scelta finale, anche con il suo intervento era solo della ragazza: “Ti prego… vivi!” Magdalena le disse, in lacrime.
     
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    29|Giornalista|Terracinesi
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    Ha il naso all’insù, intenta ad osservare quei due corvi che le svolazzano sulla testa. Riley non riesce a distogliere lo sguardo dai due animali che sembrano richiamare la sua attenzione, con quelle piume lucide e corvine che, fino a quel momento, aveva solo immaginato grazie ai racconti della madre. Il Pensiero e la Memoria sbattono le ali senza fretta, con eleganza, come se per loro il tempo che scorre sia relativo e in realtà abbiano a disposizione l’eternità. Le loro ali, poi, la circondarono, iniziando a girarle intorno, non come fa un cacciatore con la propria preda ma come farebbe qualcuno in cerca di attenzioni disperate. Nello stato in cui era, Riley non poteva esimersi dall’assecondare quelle due creature il cui battito d’ali sembrava suonare una melodia che riusciva a sentire solo lei e che aveva lo stesso effetto del miele con le api. Segue i due pennuti lungo il lato ovest della spiaggia, lì dove si staglia un’alta scogliera. Riley non è mai stata in quel posto e, soprattutto, non è mai stata in quel luogo con il sole coperto da un’eclissi totale in corso. L’atmosfera prescinde dalla realtà, ma lei continua a seguire i corvi anche quando passano attraverso quell’arco di pietra, guidandola dentro uno spacco della terra le cui tenebre inghiottiscono Riley non appena vi entra. Nonostante l’oscurità che la circonda, non è dominata da alcun stato d’animo particolarmente preoccupato o ansioso, almeno finché non raggiunge una sala a lei sconosciuta, mai vista.
    Gli occhi si erano abituati al buio nel corso di quel tragitto quasi claustrofobico, finché poi non era arrivata in quella che doveva essere la sua destinazione, dal momento che i corvi avevano smesso di svolazzare ed erano spariti nel nulla, lasciandola da sola. «C’è nessuno?» L’unica domanda che Riley riesce a fare, nel vuoto di quella sala che non solo è circondata dalle tenebre, ma è anche fredda. Non il solito freddo di Besaid che lei non adora particolarmente ma in qualche modo riesce a sopportare. Il freddo che popolava quella sala era decisamente particolare, mai sentito in vita sua, le entrava sotto la pelle fino a farle raggelare l’anima. Non una finestra, non una luce che le faccia capire dove si trovi, quanto è lontana dalla spiaggia e dove sono i ragazzi con cui aveva festeggiato quella notte più lunga del solito. La sua domanda non riceve risposta, echeggia nel vuoto fatto di echi antichi pregnanti di dolore. Dove diamine è finita? Riley è confusa, mentre la festa di poche ore fa nella sua testa si fa sbiadita come se appartenesse ad un evento accaduto molti anni fa, persino i volti che le hanno fatto compagnia per tutta la serata sono sbiaditi, ciò che il suo corpo e la sua mente stanno assorbendo in maniera nitida è l’ambiente circostante. Fatto di vuoto e di un dolore che assale Riley di riflesso, come quella schiera di specchi che adornano la sala oscura e sconosciuta. Un luogo in rovina, fatto di cenere e le cui pareti, sicuramente, avranno assistito a scenari di lotta e dolore. Se la sentiva addosso, quella sensazione condita dalla paura e dalla sofferenza di anime che prima di lei si erano trovate in quella stessa sala ormai arredata con la decadenza del tempo, Trema, non sa se per il freddo o per il timore di essersi persa senza possibilità di ritrovarsi, forse si tratta solo del freddo, dal momento che tra la lotta e il dolore, emerge in lei la speranza. Forte, come una guerriera, la speranza che era considerata uno dei mali usciti dal vaso di Pandora è, in realtà, per Riley l’ancora di salvezza a cui si aggrappa con tutte le sue forze. Sa di non essere sola, sa che intorno a lei c’è altro ma l’idea che si tratti di ombre senza identità e senza volto la rende confusa tanto da decidere di uscire da quell’immobilità con cui la stranezza di quel luogo l’aveva colpita per una manciata di secondi.
    Si avvicina verso una parete e allunga la mano fino a toccare quello specchio fatto di tenebra e, dal vetro che sembra riflettere solo il buio, esce un’ombra. Sussulta, Riley, per quello che inizialmente è solo un ammasso di fumo scuro e poi assume le sembianze di una persona, un uomo che lei riconosce solo dopo averlo osservato con attenzione. «Sei cresciuta.» La voce dell’uomo è profonda, rassicurante, Riley non riesce ad esserne impaurita perché è un suono familiare, che stona con quelle voci strazianti provenienti dall’ambiente circostante. Guarda gli occhi dell’ombra umana, uguali ai suoi nel colore e nella forma e, come i suoi, animati dalla speranza. Riley si siede sul pavimento impolverato, le ginocchia raccolte sul petto con le braccia che le cingono, e lo sguardo puntato in alto, verso quello che riconobbe come suo padre. Si era accovacciata su se stessa, in quel gesto infantile risalente ad una delle ultime volte in cui aveva visto l’uomo, da bambina. Pendeva dalle sue labbra allora, come adesso. «Papà.» Quel sussurro uscì dalle sue labbra, felice e sollevato, dopo aver recuperato la memoria di quel volto che era mancato nella sua vita per così tanto tempo. Uno scenario, quello, diverso dalla realtà che aveva vissuto Riley ma che, in quel momento, la faceva sentire a suo agio, come se quella sala polverosa e decadente fosse il suo posto sicuro. «Dove sei stato per tutto questo tempo?» Una domanda lecita, la prima domanda che si era sempre ripromessa di rivolgere all’uomo non appena lo avesse rincontrato. Un sorriso comprensivo solca le labbra dell’ombra umana, che guarda Riley con tenerezza, proprio come un padre farebbe con la propria figlia. «Impiegherei l’eternità per rispondere a questa domanda, e so che tu desideri la risposta con tutta te stessa. Hai impiegato gran parte della tua esistenza per colmare questo vuoto. Ma adesso non abbiamo abbastanza tempo affinché io possa raccontarti tutto, a meno che… La mano sinistra dell’uomo si solleva, ha un colore pallido che sa di morte, e il suo dito indice indica un punto dietro la spalla di Riley. Lei, che è incantata dalla voce dell’uomo, segue la traiettoria del dito, che punta ad un angolo poco distante da lei, più oscuro del resto della sala, più impolverato. A gattoni, come una bambina, raggiunge quel punto. Radici di un albero sono cresciute lì, sovrapponendosi nell’abbandono totale di quel luogo che ha portato Riley lontana dalla realtà. Allunga la mano in quel groviglio di rami fino a toccare qualcosa che sembra stonare tra i rampicanti cresciuti in modo selvaggio ed innaturale. Qualcosa di vetro. Guarda suo padre in cerca di approvazione, per capire se è giusto ciò che sta facendo. Il sorriso rassicurante non è scomparso dal volto dell’uomo che, con un cenno di capo, incoraggia la figlia a recuperare l’oggetto ancora sconosciuto.
    Con un po' di difficoltà libera dal groviglio quella che è una boccetta contenente un liquido verde al suo interno. Solo in un secondo momento Riley si rende conto che, nel compiere il gesto, un ramo ha graffiato il dorso della sua mano lasciando uscire dal taglio un po' di sangue. Niente di grave, soprattutto perché la sua attenzione è concentrata su altro. «Cos’è?» L’ennesima domanda che rivolge al padre, mentre rimane inginocchiata accanto ai rampicanti, l’ennesimo interrogativo che la fa sentire come una bambina. Il sorriso dell’uomo non cambia, rimane lì, come una linea positiva dipinta sul suo pallido volto. «Quella, piccola mia, è la chiave che aprirà ogni tuo desiderio. Bevi il suo contenuto ed ogni domanda che ti sei posta riceverà una risposta, la tua vita finalmente non avrà più segreti e potrai vedere tutto con più chiarezza. Ricevere una risposta ad ogni domanda che si era mai posta in vita sua; una proposta allettante per Riley che si era chiesta che fine avesse fatto suo padre più volte di quanto non volesse ammettere a se stessa. Guarda ancora la boccetta di vetro tra le sue mani, se la rigira tra le dita come se potesse già darle tutte le risposte che cerca. «E tu?» Ancora una domanda, questa volta timorosa. Non vorrebbe perdere suo padre, non dopo che ha aspettato tanto tempo per rivederlo. «Io sarò accanto a te, per sempre. Anche la mamma potrà stare con noi. Saremo la famiglia che hai sempre sognato, per l’eternità.» Il cuore di Riley batte più forte, felice. La famiglia che ho sempre sognato, basta questo pensiero per farle togliere il tappo in sughero che fino a quel momento sigillava la boccetta di vetro. Stava per portarsela alla bocca, quando un’altra domanda fece capolino nella sua testa. «Ma come potremo stare per sempre insieme se tu sei…beh…» Morto. Morto era la parola che voleva dire ma che le si bloccò in gola. Il volto pallido del padre, tanto da essere di un bianco cadaverico, non poteva lasciare dubbi, così come non celava segreti quel fumo nero che lo circondava. Gli occhi che la guardavano e che erano tanto simili ai suoi, non erano terreni. «…anch’io dovrò diventare come te? Anche mamma?» Quella speranza di vivere per sempre felici, contenti e insieme, iniziò ad affievolirsi all’idea di condannare a morte non tanto se stessa, quanto sua madre. Non era pronta a vedere senza vita colei che la vita gliel’aveva data. «E’ solo una transizione, bambina mia, non sarà una condizione perenne. Sarà necessario morire per rinascere, come la fenice il cui cuore torna a battere dalle proprie ceneri. Noi, io, tu e la mamma, faremo esattamente così.» Quella rimaneva la proposta più allettante che le era mai stata fatta, ricordò con nostalgia quei momenti trascorsi in famiglia, tutti e tre, lei ancora troppo piccola per comprendere a fondo quanto fosse fortunata di essere così amata dai suoi genitori ma, al contempo, le tornarono alla mente anche quei momenti che aveva vissuto in totale solitudine, quel passato in cui le era mancata la figura paterna, assente negli anni della sua crescita. Ricordò il sorriso innamorato che sua madre rivolgeva all’uomo e, al contempo, ricordò le lacrime che la donna aveva versato perché troppo in difficoltà per mandare avanti la famiglia tutta da sola. Ferite troppo profonde, quelle, per poter essere colmate in un sorso. Riley scuote la testa «No.» E’ ancora un diniego incerto quello che esce dalla sua voce, non è del tutto sicura di voler rinunciare a quella possibilità. Si alza, le ginocchia anche quelle graffiate dalle mattonelle scheggiate che pavimentano la sala. «La verità ha un prezzo troppo caro. Non voglio farlo, ancora. Continuerò a vivere nel dubbio ma, almeno, vivrò e prenderò ciò che la vita ha ancora da offrirmi. In fondo non saranno sempre offerte di dolore e sofferenza.» La verità assoluta, più del sapere che fine avesse fatto suo padre, era quella: sapere che negli anni i riserbo per lei ci saranno tante cose positive, oltre a quelle negative, ma non è questa l’essenza della vita? Perché privarsene prendendo una scorciatoia? «No.» Questa volta il diniego è fermo, sicura. Con quel “no” Riley rifiuta definitivamente la possibilità offertale e lascia cadere la boccetta di veleno che si frantuma in mille pezzi una volta raggiunto il pavimento.
    Sentì l’aria muoversi proprio dietro il suo orecchio, si voltò e vide che i corvi erano tornati, uno di loro le svolazzava intorno mentre l’altro era appollaiato su quei rami che erano stati scrigno della boccetta. Dal becco di quest’ultimo uscì un suono gracchiante, come un allarme cacofonico lanciato in direzione di un punto lontano della sala. Istintivamente Riley si voltò lì, dove gli occhi neri del corvo puntavano, e vide altre due ragazze, come lei, intente a parlare con quelli che ormai aveva classificato come figure-ombra. Le ragazze avevano in mano due oggetti diversi: una di loro teneva in mano una corda, l’altra un pugnale. «No, no, no.» Lo ripetè in ansia, temendo che a quelle ragazze, che nemmeno conosceva, fosse riservato lo stesso destino che poco fa aveva sfiorato lei stessa. Non sapeva con chi stessero parlando, non sapeva chi quelle ombre rappresentassero per loro, ma sapeva per certo che non dovevano morire, non se plagiate in quella maniera. Corre verso di loro, rischiando di inciampare in una mattonella divelta. «Ferme, ferme. Buttate via quella roba.» Nella voce un tono di urgenza. Non sapeva cosa fare esattamente, non sapeva se toccandole avrebbe fatto più male che bene, ma almeno con le sue parole poteva provare a riportarle alla realtà. La scelta, però, rimaneva pur sempre a loro. «Non sono veri, è solo un’illusione.» Guardò con timore gli oggetti in mano alle due ragazze, e poi guardò i loro volti. Una di loro, adesso che ci pensava, l’aveva incrociata prima di salire su un carro, non ricordava però chi della sua combriccola avesse salutato. Ci avrebbe pensato quando sarebbe rientrato l’allarme della possibile morte delle ragazze. «Avanti, non importa quanto la vostra vita sia difficile, vi assicurò che c’è sempre una ragione per continuare a vivere. Vi prego, vi prego, ascoltate me.» Desiderava avere una voce rassicurante e quasi ipnotizzante come quella di suo padre, anche Riley voleva incantare quelle due ragazze e allontanarle dalla morte. La terra tremò leggermente, segno che Riley era particolarmente in ansia. Era la sua particolarità, quella di far muovere la terra come se fosse un terremoto. Una leggera scossa che sfuggì al suo controllo, perché troppo nervosa, ma che fece rientrare immediatamente. Non sapeva nemmeno se, in quello stato, le ragazze l’avessero sentita. Sperava soltanto che fosse sufficiente per far uscire le ragazze da quella fase surreale ed onirica in cui si era ritrovata lei stessa.
     
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    Guardò la superficie di quel mare ora ombrato per qualche istante ancora, sorridendo al proprio riflesso e a quello circolare di un paio di pianeti e stelle che volevano sovrapporsi gli uni agli altri. Raro, che accadesse in maniera così visibile, eppure la sensazione le ricordava qualcosa di tremendamente familiare, come se dentro al petto venissero scosse le costole e tutti gli organi vitali ogni volta che si ritrovava a vedere la vita penderle dalle mani, come fili sottilissimi ed invisibili che la tenevano legata ai cuori che sottraeva alla stretta ferrea della morte che, contro di lei, poco poteva. Quando sollevò lo sguardo in direzione del cielo e vide quella creatura fantastica ed imponente, non ne fu spaventata, ma affascinata. Le dita a sfiorarne i contorni anche da lontano e le gambe che, muovendosi in avanti, s’immergevano all’interno dell’acqua tiepida passo dopo passo, lasciando che il corpo di Lys avvolto dalla stoffa blu del vestito venisse lentamente assaporato da lingue di sale mosse dalla corrente che spingeva il mare a volere e prendersi tutto, quasi come se i granelli di sabbia della riva non bastassero mai ad estinguere quella fame. E Lys camminava, frammentata fra pezzi di realtà nuova e già vissuta, irrompendo nella piattezza di quella superficie del mare per infilarcisi dentro e spaccarla in due, crearsi uno spazio proprio dentro il quale immergersi per cercare calore. Gli occhi del drago la seguirono per tutto il tempo, tenendola d’occhio ed incoraggiandola silenziosamente a compiere quei passi pesanti e altrettanto necessari, l’unica via da seguire era quella giusta. Con le zampe premute nella sabbia asciutta, il drago dava le spalle al mondo per mostrarsi fiero alla luce del sole che lentamente tornava ad illuminare le sue scaglie lucenti. Lys, che nient’altro riusciva ad osservare se non quelle squame incandescenti, rivolgeva la propria attenzione alla creatura continuando a camminare dando le spalle al sole e alla luna ancora alte nel cielo, muovendosi in maniera quasi sincronizzata al drago che, silenziosamente, prese a mostrarle la via emulandone ogni suo gesto per ritrovarsi accanto a Lys e affondare con la stessa eleganza sotto la superficie dell’acqua scura. Ogni movimento del corpo di lei era un richiamo di quelli compiuti dal drago che, legato da un filo invisibile alla ragazza, ne gestiva ogni curvatura del busto o del collo, trascinandosela in acqua senza alcuna difficoltà. Caviglie, gambe, vita e polsi, petto e gomiti, quando l’acqua giunse all’altezza della gola, Lys serrò le palpebre e inspirò a pieni polmoni, scivolando giù nel blu brillante di un mare poco mosso. I rumori della spiaggia scomparirono nel nulla, come se il vociare che aveva avuto intorno fino a quel momento non fosse mai davvero esistito, come se nulla al di fuori di quell’acqua potesse esser stato reale per lei. Spinta da una consapevolezza che non avrebbe mai saputo spiegare a parole, Lys riaprì gli occhi e schiuse le labbra e il mare non bruciò come aveva pensato, ma anzi, l’avvolse in una presa leggera e gentile, guidandola verso il fondo di sabbia compatta in piccole collinette mobili sulle quale s’infrangevano di nuovo le zampe del drago che, come lei, si era lasciato cullare dalla corrente fino lì, lontano dai raggi di luce che imperterriti cercavano un modo per raggiungere quello stesso fondale senza davvero riuscirci. Quando i piedi nudi di Lys si posarono con cautela sulla sabbia, anche il resto del corpo parve perdere peso e si adagiò di fianco al drago, lasciandosi avvolgere in una stretta caldissima da quelle grandi ali fatte di scaglie scure che riuscivano a brillare di luce riflessa anche lì sotto. La terra tremò sotto la schiena di Lys, ma lei non fu spaventata da quelle scosse e continuò a cercare un appiglio nelle pupille fredde della creatura che, Lys lo sapeva, voleva solo proteggerla. Quando l’acqua si ritirò e Lys tornò a respirare, il calore delle ali del drago era sparito e al suo posto, sulla fronte lucida, i raggi flebili di un sole ancora lontano s’infransero sulla sua pelle senza però riscaldarla come avevano fatto l’acqua e le squame del drago. Si diede una spinta leggera per sollevarsi dal terreno e drizzare la schiena, lo sguardo prese immediatamente a vagare tutt’intorno, alla ricerca di qualsiasi particolare potesse risultarle conosciuto, eppure niente di ciò che vide le fu familiare: spalti alti e vuoti da cui, avrebbe potuto giurarlo, giungevano sonori richiami al combattimento. Se la sentiva sotto la pelle, quell’adrenalina, che Lys non riusciva neanche a comprendere come potesse generarsi dento di lei e farle battere il cuore così velocemente, una corsa dentro al petto che i globuli bianchi facevano assieme a quelli rossi, piastrine d’ossigeno che mettevano in moto tutto quanto dentro di lei. A labbra schiuse lasciò che un profondo respiro si levasse dai suoi polmoni ora rigonfi dentro la cassa toracica, stretti dentro quello scheletro d’ossa e muscoli che per un momento le parve troppo stretto. Portò una mano a premersi contro il busto, le dita che afferrarono piano il tessuto di stoffa blu del vestito che, ora, sembrava stringersi addosso a lei in maniera quasi soffocante. Si sollevò, continuando a tirare il colletto dell’abito per tenerlo lontano dal collo e avere così la parvenza di poter respirare meglio. Aveva paura, mentre si guardava intorno alla ricerca di qualcosa, dovendo fare però ben presto i conti col fatto che fosse terribilmente sola. Voltò il capo da un lato e poi dall’altro, compiendo qualche passo incerto verso il lato ovest di quell’arena per avvicinarsi al perimetro degli spalti che, in parte distrutti, s’innalzavano fino al cielo, dove guardò per un momento alla ricerca di qualcosa di conosciuto e ritrovandosi a dover fare ombra sugli occhi con il palmo della mano aperto contro quello che era un sole, sì, ma quasi stanco, troppo lontano per avere la possibilità effettiva di bruciare. Un vento leggero s’innalzò piano, silenzioso come l’eco dei passi di Lys sui ciottoli granulati di quel terreno asciutto e secco cosparso di vecchie alghe prive di qualsiasi vita. E con quella leggerissima raffica d’aria pulita si aggrappò a lei anche una sensazione di inquietudine che la fece tremare violentemente per qualche istante, portandola a giungere le mani dinanzi al busto e ad accucciarsi per terra. Gomiti premuti contro la pancia, ginocchia e caviglie ben flesse, collo ricurvo verso il basso, nell’angolo stesso in cui nascose Lys il proprio volto coperto dalle mani a palmi aperte. Non volle guardare quello che riuscì inevitabilmente ad immaginare stesse accadendo intorno a lei: sentiva delle voci, urla che non avrebbe potuto ammutolire e, se solo avesse sollevato la nuca, era certa che avrebbe potuto vedere quello che sentiva accaderle persino sotto la pelle, come se fosse stata lei a vivere ciò da cui qualcuno prima di lei era riuscito a scappare. Il dolore, quello fu straziante: aveva il sapore amaro dell’abbandono e del senso di colpa per qualcosa che era stato inevitabile, ma fu la sensazione che durò meno, perché quando le voci sparirono e il vento si fermò all’improvviso, Lys aveva ancora gli occhi serrati e coperti dai palmi delle mani mentre se ne stava rannicchiata per terra, decisa a non guardare, non finché avesse avuto la consapevolezza d’essere di nuovo a casa. Contò i secondi, o forse furono minuti, ore, giorni, non poteva saperlo, ma quando lui la chiamò, Lys sollevò immediatamente il viso e tutte quelle brutte sensazioni che le si erano incollate addosso scivolarono via come acqua, lasciandola di nuovo asciutta. «Sonnenschein?» lo disse con un tono di voce che non mostrava alcuna sorpresa nel vederla lì, anzi, sigillava la fine di un’attesa. Le sorrise a labbra schiuse, Beat, che allungava una mano nella sua direzione per aiutarla a tornare in piedi. Lo guardò ancora qualche secondo, Lys, interdetta da ciò che aveva provato fino a quel momento e di come tutta la paura sembrava essersi trasformata in speranza, sensazioni che si mischiavano le une alle altre e si sovrapponevano alla negatività che aveva sentito scorrerle lungo l’epidermide per tutto il tempo sotto forma di pelle d’oca, la stessa che ora tornava a pizzicarle la cute ma la faceva stare bene, sentire emozionata da quell’incontro e non più impaurita dalla solitudine che aveva pensato l’avrebbe soffocata fra gli spalti alti e semi distrutti dell’arena. Furono quattro, i secondi che ci impiegò per tornare a muovere i muscoli e sciogliere il corpo da quel nodo di carne in cui si era incastrato. Mani, braccia, gambe, caviglie; tutto tornò a stiracchiarsi mentre si sollevava e tirava le dita della mano aperta di Beat per avvicinarlo a sé così da aggrapparsi a lui in un abbraccio solido. Con una mano a tenere saldo il braccio di lui attorno alla propria vita, quasi avesse paura che lui potesse lasciarla di nuovo sola, Lys portò l’altra mano dietro la nuca del ragazzo per posarvi i polpastrelli delle dita sulla pelle ruvida, la dove cominciava a ricrescere un velo sottilissimo di capelli. Lateralmente, il mento di Lys andò a premersi nell’incavo del collo di Beat, restando lì per qualche istante ancora mentre respirava, finalmente, di nuovo a pieni polmoni. «Sono qui, Lys.» sussurrò lui a pochissimi millimetri dall’orecchio di lei, depositando poi un bacio leggero sulla guancia della ragazza mentre rafforzava la stretta delle braccia attorno al corpo più minuto di lei. E avvolta dal profumo di Beat avrebbe potuto restare Lys per ore ed ore senza mai volersene allontanare, sigillata in quello che da sempre le era sembrato il frammento di spazio più sicuro sulla terra, almeno finché non lo era stato più e le braccia di Beat si erano allentate fino a lasciarla andare completamente. Quando Lys ritrasse appena la schiena per tornare a guardarlo in volto, Beat era triste. Posò le iridi blu in quelle di lei e poi tornò a ritrarsi a quello sguardo, ora così diverso dal proprio, perché Lys sembrava non provare la stessa malinconia che provava lui. «Te lo ricordi?» le sussurrò piano con gli occhi puntati prima verso il basso e poi, cauti, tornavano a guardare lei un istante prima di spostarsi alle sue spalle: quando Lys ne seguì la traiettoria e si girò, dandogli le spalle per vedere ciò che sembrava spaventare lui, l’arena era sparita del tutto e il giorno era divenuto notte. Alti alberi s’innalzavano ai lati di una lunga strada asfaltata e c’era una quiete terribile tutt’intorno. Non lasciò andare la mano di Beat neanche quando comprese dove fosse, quando fosse. Erano passati sette anni, ma lo ricordava ancora come si ricorda qualcosa di importante, come si rimembra la parte più bella e brutta della vita, un sogno che diviene incubo appena prima di aprire gli occhi dopo una lunga e turbolenta dormita. Sentiva il calore del corpo caldo di Beat ancora in piedi alle proprie spalle, immobile dietro di lei che, senza neanche doversi voltare di nuovo a guardarlo per capire, Lys si sapeva osservata da quelle iridi azzurre, ne avvertiva la traiettoria caparbia e apprensiva che proprio non voleva perdersi neanche il più piccolo tremore del suo corpo, nessuna ondata di pelle d’oca. I contorni dell’auto risultarono ancora ben delineati, persino nella grande conca sfondata sul lato del passeggero, laddove il vetro si era infranto in tanti piccoli pezzi che erano finiti sul cruscotto scuro, ombre animare sembravano muoversi intorno a quel veicolo mentre il terreno sotto i piedi di Lys sembrava muoversi in circolo per lasciare solo loro due immobili all’interno di quel ricordo. Lo era, poi, un ricordo? Quando furono abbastanza vicini da vederli, Lys trattenne il respiro e strinse la presa delle dita che mai aveva lasciato andare sulla mano aperta di Beat che, Lys lo sapeva, aveva smesso di guardare quei due ragazzini ora distesi per terra. Eppure lei non riuscì ancora a distogliere lo sguardo dal ricordo che le si palesava davanti, restando incapace di respirare ancora: steso sull’asfalto c’era Beat, la pozza di sangue sotto la testa e gli occhi serrati; a stringerselo contro c’erano le braccia di Lys che, solitamente salde, sembravano fatte di gomma: abbassò lo sguardo, lei, sorpresa dalla sensazione di tepore che iniziò a formicolarle addosso fino ai polsi, quasi potesse avvertire di nuovo il peso delle spalle di Beat senza vita fra di esse. «Te lo ricordi ancora, Lys?» il sussurro di Beat alle sue spalle la raggiunse con gentilezza e melanconia, un sospiro dietro l’orecchio teso di Lys che, senza neanche averlo davvero pensato, pronunciò parole che loro forse mai si erano detti. «E’ qui che finiamo.» rispose con voce tremolante, una cantilena che si era ripetuta mentalmente così spesso da averne imparato a memoria il suono, da poterne accostare un sapore amarissimo sulla lingua. Improvvisamente si slacciò da lui per avanzare in direzione di quella versione di loro che mai aveva davvero cancellato dalla mente. Avvertiva sotto i polpastrelli quel potere che l’aveva spinta a capovolgere tutti gli equilibri a lei conosciuti con la speranza di non perdere neanche la più piccola parte di se stessa, quando poi aveva dovuto invece fare i conti con tutto quello che aveva dato per scontato, una volta scivolatole via dalle dita. Con l’intento di rifare tutto daccapo, alla stessa maniera, Lys camminò caparbia verso il corpo di Beat senza vita che ancora giaceva sull’asfalto bagnata, eppure non ricordava piovesse. Si domandò nel frattempo perché quella Lys attendesse, perché le dita non fossero premute sul torace di Beat, quasi adirata. A qualche passo di distanza da loro, però, la mano del ragazzo dietro di lei si chiuse sulla spalla per attirarla a sé, facendola voltare nuovamente verso di lui. «Perché!» lo disse a voce alta quando incrociò ancora una volta il suo sguardo chiaro, nessuna vera domanda, più che altro un’affermazione che racchiudeva entro quelle poche lettere ciò che non aveva più funzionato, il modo in cui persino lei si era rotta, spezzata in due, rimasta aperta per raccogliere luce che a lungo non era mai riuscita a farsi spazio dentro quel corpo stanco e poi buio. Quando Beat lasciò scivolare via la tristezza dai propri lineamenti per sorriderle e avvicinarsi a lei per afferrarle il viso fra le mani, Lys ritrovò quel calore che aveva provato non appena gli aveva afferrato la mano poco prima. «Possiamo ancora cambiare tutto. Possiamo ancora tornare a quando non c’era nessuna fine.» glielo disse a fior di labbra e sottovoce, come se fosse un segreto che neanche la terra sotto ai piedi avrebbe dovuto mai udire, come se nessuno, oltre loro due, potesse davvero sapere cosa si dicessero standosi così vicino. Si allontanò da lei restandole allacciato con la mano, le dita che si intrecciavano a quelle di Lys e la tiravano per farsi seguire: assieme all’ombra di Beat venne via anche la notte e Lys tornò a stropicciare gli occhi per via del sole che, ora, splendeva di nuovo nel cielo. Chiuse le palpebre qualche istante solamente, ma quando le riaprì, le iridi chiare di Lys si appropriavano di qualcosa di meraviglioso: erano in alto e, a separarli dal nulla, una ringhiera di metallo dorato a forma di rombi li separava dal resto del mondo, una frenesia che aveva visto tanti anni prima. A metri e metri di distanza sotto il pavimento che stavano calpestando c’era una lunga strada e l’orizzonte prendeva la forma di casa, la stessa forma che aveva intravisto nelle pupille chiare di Beat quando lui le aveva mostrato la propria felicità e l’appartenenza a quelle strade, quei palazzi, quel popolo che a lei era stato sconosciuto. La sensazione di familiarità con quel paesaggio era rimasta lontanissima e chiusa in una scatola che nascondeva sotto una delle mille assi di legno della sua stanza, persa nel mare di ricordi cartacei e di stoffa che l’avevano legata alla vita di prima, quella che aveva avuto lo stesso sapore dolciastro e tenero che avvertiva adesso non solo sotto il palato o dentro al palmo della mano che si stringeva a quello di Beat, ma anche sin dalla radice dei capelli alla punta dei piedi. Berlino si stagliava fiera sotto l’altissima Siegessäule, nel silenzio ovattato di quel ricordo che neanche più lo sembrava, talmente era vivo davanti agli occhi di Lys. Si sentiva felice, custodita da una patina di leggerezza e normalità di cui aveva sentito la mancanza per così tanto tempo da non poter fare altro che accoglierla a braccia aperte: e fu così che, avanzando all’interno dell’alta torre su cui Beat l’aveva già fatta salire una volta, Lys lasciò andare la sua mano per aggrapparsi, contenta, ai nodi di ferro che si incrociavano agli angoli ben definiti di quei rombi. Avvicinò la nuca ad uno di quei frammenti di spazio che davano sul vuoto e, a piccoli passi laterali, costeggiò il perimetro della ringhiera, frettolosa, voltandosi a guardare Beat appena prima di fermarsi dinanzi ad un piccolo cancello di metallo che, a differenza di otto anni prima, ora era spalancato e dava su quello che era una sorta di cornicione solitamente chiuso ai visitatori. Allungò una mano verso Beat, sollevando il braccio nella sua direzione ed attendendo che lui intrecciasse le sue dita a quelle di lei. I due si mossero oltre l’apertura metallica per atterrare, leggeri, sul cemento chiaro delimitato da una sottilissima ringhiera di ferro che solo orizzontalmente cingeva l’intero perimetro della torre da parte a parte. «Perché qui?» chiese allora, riprendendo a camminare a passo lento, la mano ora di nuovo libera si strisciava cauta sul ferro circolare che li separava dal vuoto all’altezza della vita. «Lo sai perché, Sonnenschein.» rispose Beat, restando a pochi passi di distanza da lei ma sempre vicino. Si fermò, Lys, abbassando lo sguardo sulla città silenziosa e movimentata sotto di loro, intorno nessun altro, a parte il calore dei raggi di un sole pronto a tramontare e sparire oltre l’orizzonte. «Perché eravamo felici.» si rispose da sola, Lys, avanzando ancora qualche passo per poi corrugare la fronte mentre con lo sguardo su Beat riusciva a catturare un movimento leggero poco di lato. «Perché eravamo felicissimi.» assecondò lui, avvicinandosi a Lys che, ora, gli dava le spalle e studiava una corda bianchissima che pendeva dalla ringhiera della torre cui era ancora aggrappata dolcemente con una delle mani. Restò a fissarla per qualche istante, in silenzio, confusa nonostante sapesse improvvisamente alla perfezione perché fosse proprio lì e perché ci fossero anche loro. Slacciò la presa della mano dalla ringhiera per posarla cautamente sulla corda calda, stringendo le dita attorno al tessuto ruvido del laccio annodato. «Beat?» chiamò, avvicinandosi alla ringhiera per abbassarsi e passare oltre. Poco prima che potesse voltarsi per cercare lui con lo sguardo, Lys ne avvertì le mani calde cingerle il busto e stringerla ancora, piano, per tenersela contro un altro po’. «Lys?» sussurrò quindi al suo orecchio, avvicinando le labbra all’incavo del collo scoperto per depositarvi un bacio. «Cos’è tutto questo? Un sogno? Un ricordo?» domandò lei, ancora incerta, alla ricerca di un senso a quello che dentro di sé già sapeva benissimo. «Cosa vuoi che sia, Lys?» domandò Beat, restandole vicinissimo dall’altro lato della ringhiera. «Non è reale.» affermò Lys, scuotendo piano la nuca mentre osservava le ali del vestito blu che svolazzavano leggere ad ogni più piccolo soffio di vento che scuoteva il marmo della torre fin lassù. «Potrebbe esserlo, basta che tu lo voglia.» glielo disse con un tono di voce che sembrava volesse più che altro essere una supplica, quasi a pregarla di volere esattamente ciò che voleva lui. «Lo vuoi, Lys?» chiese ancora Beat, la voce sembrava tremargli nella gola, in attesa. «E gli altri?» domandò Lys, voltando di poco il viso di lato per catturare almeno i contorni di quello di lui, le ciocche di capelli sbarazzine che s’innalzavano ribelli sulla fronte. «Sarebbero tutti qui, dove dovrebbero essere. Sarebbe facile, saresti felice, Sonnenschein.» spiegò Beat, annuendo nella sua direzione mentre, con gli occhi chiuse, spingeva affettuosamente il naso contro la guancia di Lys. «Max? Astrid? Mamma e papà?» chiese lei, ora appena più concitata ma sempre un po’ distaccata da quella che sapeva non potesse essere la realtà. Ma allora perché provava quella sensazione di pace e serenità, perché il tocco di Beat lì, proprio sotto i suoi palmi premuti contro la pancia di Lys, sembravano avere un battito forte ed impetuoso come quando si sfioravano anche solo per sbaglio? «Se loro sono nel tuo mondo felice sapresti come trovarle.» disse lui, piano, stringendo piano la presa su di lei con una mano mentre, con l’altra, andava silenziosamente a condurre quella di Lys verso l’alto, tenendo le dita di lei ancora strette attorno alla corda bianca. «Mi dispiace per Jan, Beat… non volevo, non era mia intenzione. Lo sai, vero? Ma non potevo lasciarti andare, lo capisci?» una supplica, quella richiesta di perdono, che Lys aveva voluto dedicargli da tutta una vita, la stessa che si era srotolata davanti a lei senza che ci fosse lui di fianco, almeno fino a qualche mese prima. «Lo so, ma qui non è mai accaduto, Lys. È tutto creato per te, staresti bene. Ich verspreche es dir.» - Te lo prometto. «E tu?» chiese, schiudendo piano le labbra mentre le palpebre, incerte, si lasciavano scappare una piccola lacrima. Con una mano stretta intorno alla ringhiera di ferro che avvertiva fredda dietro la schiena e l’altra sollevata all’altezza delle spalle con la corda stretta fra le dita e tenuta saldamente in uno dei palmi caldi di Beat, Lys guardò in basso e mosse piano un piede, la punta delle scarpe che spezzò il perimetro chiaro del cornicione e coprì una parte di stradone che si stendeva sotto di loro a metri di distanza. «Io ti trattengo, non ti lascio. Ti fidi di me?» sussurrò ancora Beat, slacciando la presa delle braccia dal corpo di Lys per aiutarla a sollevare la corda mentre con l’altra mano scostava via una ciocca di capelli che era sfuggita ad uno dei due codini in cui aveva intrappolato le filature castane. Ma ad un tratto, qualcosa s’incrinò. “Non ascoltarlo!” - Lontana, una voce sembrò spezzare lo spazio e il tempo, un’intrusione che a Lys non piacque, non aveva né forma né contesto. Drizzò piano la schiena, Lys, voltandosi poi a cercare lo sguardo di Beat e ritrovandolo ancora così vicino e reale, si dimenticò della voce ed annuì alle sue parole. «Ti prego, devi farlo, Lys. Per me.» rincarò la dose, Beat, con la sua voce supplicante e lo sguardo impaurito di chi non ha alcuna intenzione di restare di nuovo solo. “Non devi ascoltarlo!” - la voce, di nuovo, s’infranse nel silenzio della torre e Lys voltò a guardarsi intorno, incerta, senza riuscire a vedere nessun altro. La tenerezza del momento sembrava volerle rimanere aggrappata addosso mentre, violentemente, qualcos altro tentava di strappargliela via con furia. Scosse il capo, confusa, tornando a guardare l’unica cosa che sembrava poterle dare certezza: gli occhi di Beat erano lucidi e vacui, ora sembravano allontanarsi da lei pur restando così vicini ai suoi, e Lys si preoccupò che avrebbe dimenticato il colore di quelle iridi o la forma del suo naso appuntito, la mascella definita e la punta delle dita magre che si stringevano ancora attorno a lei e a tutto quello che di lei avrebbero potuto afferrare e tenere strette. Sospirò piano mentre tornava schiudere le labbra e corruga la fronte, incerta. «Allora tirami un pizzico e dimmi che è reale, Beat ordinò quasi, mentre aveva l’impressione che la realtà si frantumasse sotto i piedi e tutt’intorno a loro due. “È solo un’illusione, non farlo, non ascoltare ciò che ti dice!” la sentì chiara, stavolta, ma lui ne sovrastò ogni parola senza però riuscire a nasconderne il significato. «Anche quando finisce la notte, quando fa alba, quando chiudono i clubs o quando non rimane più nessuno.» glielo disse Beat, le labbra vicinissime all’orecchio destro di Lys mentre, la mano l’aiutava ad avvicinare la corda al collo. Dov’era il pizzico? pensò Lys.
    «…il resto è solo una questione di leggi fisiche che nulla hanno a che fare con me e te. Noi due non abbiamo fine, lo sai.» sussurrò con un tono di voce bassissimo mentre, tornando a chiudere gli occhi, Lys attendeva di sentire le dita di Beat chiudersi attorno ad un fazzoletto di pelle e, nel momento in cui non giunse, seppe di dovergli dire addio per l’ennesima volta. “Ti prego… vivi!” la voce prese forma, vicino a lei: aveva le sembianze di una donna che mai aveva visto prima e che, con il suo sguardo spaventato e malinconico la strappò via da Beat. Restò immobile, Lys. Restò in piedi sul gradino più alto di quegli spalti in pietra e con la corda stretta fra le mani, alla ricerca di tutto ciò che invece non era reale e non aveva più intorno: il profumo di Beat, la pressione delle sue dita sui dorsi delle mani, le impronte dei suoi polpastrelli sul tessuto blu notte del vestito, il respiro sulla pelle liscia del collo, proprio sotto l’orecchio, nell’angolo morbido al centro del quale gli piaceva depositare segreti affettuosi, marchi indelebili che solo lei e lui ancora avrebbero potuto scorgere e ritrovare per riprenderli di nuovo così’ da donare loro nuove forme, nuovi significati. I respiri, uno dopo l’altro e così accelerati, le esplosero nel petto e si tramutarono in battiti cardiaci, paura e lacrime che, velocissime, frettolose di sfuggire alla sua pelle ai suoi occhi, vennero giù come corsi di fiumi impetuosi, correnti d’acqua che avrebbero lavato via ogni dolore ed ogni abbandono. «L’avevi promesso…» sussurrò, ancora immobile su quel gradino, mentre distoglieva lo sguardo dalla donna che ora, lenta, avanzava di gradino in gradino nella sua direzione, ugualmente scossa. Continuò a restare ferma lì, impalata e con la corda ancora fra le mani, mentre spostava le iridi inumidite dalle lacrime per puntarle altrove, alla ricerca di chi sapeva non avrebbe certamente trovato e scoprendo, a qualche metro di distanza da loro, una terza figura, la stessa che subito riuscì ad accomunare al ricordo di Astrid alla festa: capelli scuri e portamento pacato, elegante, Lys la riconobbe come amica di Astrid, per quanto potesse saperne. Venne però presto distratta dalla sagoma della creatura che l’aveva accompagnata fin lì, la quale riapparve alta nel cielo sopra le loro teste in un moto leggero e circolare, appena prima di tornare a piantare le zampe sul terriccio asciutto dell’arena. Solo allora si mosse e lasciò cadere la corda per terra, seppur con difficoltà, slacciando i noduli della muscolatura che sembrava essersi raggelata sotto la sua pelle per portare una mano al viso e asciugare via le lacrime. «Grazie.» sussurrò poi, incerta, tornando a rivolgere la propria attenzione sulla bionda e, sciogliendo il cemento che sembrava aver preso il posto delle ossa nelle gambe, Lys tornò a scendere piano dagli spalti, scalino dopo scalino, per ritrovarsi di fianco a lei. Guardò oltre la spalla della donna tornando a puntare gli occhi sull’altra figura che, come loro, si trovava nell’arena, e la paura pervase ogni suo più piccolo frammento razionale: che fosse incastrata dentro la propria mente anche lei? Posò una mano sulla spalla dell’altra ora in piedi di fianco a lei e, con l’altra, indicò la bruna. Fu incapace di parlare, Lys, per metà ancora persa dentro il ricordo degli occhi di Beat e per metà strappata via ad una realtà cui aveva voluto credere con tutta sé stessa. Avanzò, facendo cenno all’altra di seguirla verso la terza donna, e persa nei propri pensieri ora caotici e contrastanti, per un momento Lys pensò che sarebbe stato bello restare intrappolati.

    non ho riletto, perdonate eventuali orrorih. <3
     
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33 replies since 31/3/2021, 23:37   1889 views
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