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Un ricordo si era affacciato quel giorno nella sua mente, una corsa trai buchi nei mattoni, lungo le strade della città. Era la prima volta, quella, che attraversavano da soli il bosco che faceva da barriera naturale e proteggeva la Reservoir dall'esterno, circondandola di rami e radici fittissime. Era la prima volta e si sentivano ribelli nel torto, quei tre dodicenni, nella colpa che scalciavano via dalla testa e dal cuore, rilegandola nelle viscere. Lì, pensavano, avrebbe pesato di meno. Tutto quello che avevano fatto era stato rincorrersi, chissà, forse credevano che a camminare fossero capaci tutti e che affannarsi fosse la vera ribellione, l'uscita dagli schemi che qualcun altro aveva disegnato intorno a loro già dal primo respiro; Milo per ultimo proteggeva il branco, Lug in mezzo, era il più piccolo, andava protetto, e Rem davanti a tutti conduceva la rivolta decidendo dove girare, quale muro saltare e che strada imboccare alla prossima curva. Mancava di dettagli quella reminiscenza, rimanevano soltanto carte di caramelle stropicciate per terra, dita sporche, ginocchia sbucciate, vento forte tra i capelli, così feroce da farsi urlo nelle orecchie. Non ricordava, Rem, cosa fosse successo al rientro, ci ragionava sopra mentre infilava la giacca marrone e subito tastava la tasca, l'abitudine di trovarci le sigarette era a tanto così dal tramutarsi in un nuovo tic, l'ennesimo. Fumare era una delle poche pessime abitudini a cui non aveva mai rinunciato, neanche dopo che un suo amico era morto di cancro ai polmoni. Aveva dimezzato le quantità, quello si, tre che si accendevano a orari prestabiliti della giornata, una appena sveglio e due la notte, quando c'erano più pensieri e azioni: le concentrava lì, tra le undici e le quattro del mattino. Ci pensò fino alle scale di cemento del motel in cui alloggiava da un paio di giorni, niente di durato ma solo una soluzione provvisoria, e ci pensava anche mentre saliva in auto, una ford fiesta scassata che non attirava l'attenzione neanche dei piccioni, troppo anonima persino per cacarci sopra dai rami più bassi.
Guidava senza riuscire ad acciuffare nient'altro che immagini sparse, sconnesse, troppo rarefatte per ricostruire davvero il corso degli eventi, una mancanza, quella, che si trascinava dietro da quando era nato, come un difetto di fabbrica in un oggetto che non si può restituire. Aveva dei vuoti, Rem, come dei buchi nel terreno che ci si dimentica di riempire, a volte si diceva che fosse colpa del buio che lo circondava, che fosse la sua ombra a rosicchiare via i dettagli più sfuggenti; altre, invece, capiva che ciò che aveva dimenticato non era poi così importante. Parcheggiando di fronte a un palazzo in mattoncini, l'uomo non scese subito ma prese tempo per accertarsi che la strada fosse deserta. Destra sinistra destra, nessuno sembrava popolare quel quartiere di una periferia tranquilla ma non troppo lontana dal centro, forse perché erano quasi le otto e tutti erano già a casa seduti a un tavolo a consumare la cena con i propri cari. Le palpebre, per una volta tranquille, si chiudevano e aprivano contro occhi azzurrissimi che scrutarono l'insegna del pub all'angolo, una bakery chiusa e un mini market che diceva aperto tutta la notte. Perfetto per lei, pensò Rem, e per i suoi attacchi di fame notturni. Lo svegliava la notte, Astrid, per dirgli quanto avrebbe dato per avere in quel momento una caramella sulla lingua. Custodite nella credenza di ottone in cucina, il posto più in alto della casa intera, erano il desiderio più proibito che avessero a quell'età e i genitori lo sapevano, per questo le centellinavano cautamente. Rem ricordava che si scioglievano sulla lingua come burro in una padella antiaderente. Gli stivali dell'uomo piombarono giù come sassi a tuffo in un lago e atterrarono, invece che su un fondale pietroso, sull'asfalto umida di pioggia di quella viuzza disabitata. Con una busta bianca in man trovò senza problemi strada nel microscopico giardino, vivere al piano terra per la sorellastra sembrava non contare visto che si comportava come fosse all'undicesimo piano, e quando fece scorrere la porta finestra di lato Rem si ritrovò nel soggiorno, un'ampia stanza dai colori chiari che, come la padrona, neanche nella notte parevano perdere la propria luce. Lasciò la porta del giardino aperta per muoversi nello spazio con decisa cautela, stando attento a non sfiorare proprio nulla, abbandonando la busta sul ripiano del basso tavolino per dare uno sguardo al di là della teca che racchiudeva il geco, sul volto neanche una reazione verso quell'essere per cui la sorella nutriva un'inspiegabile affetto, finendo poi per concedere al corpo un po' di riposo, sedendosi al centro esatto del divano. Era stanco, si rese conto Rem massaggiandosi una mano con l'altra, lungo le ossa delle dita, per lanciare poi uno sguardo contrito all'orologio da polso. Odiava il ritardo, anche quando l'altra persona non sapeva di avere un appuntamento. Quando le chiavi girarono nella toppa, fuori era notte e, Rem parte di quel buio, si mimetizzata contro di esso. Aspettò che il rettangolo di luce squarciasse l'aria e si spegnesse, lungo la spina dorsale un brivido leggero scaturito dal ricordo della scatola in cui era stato rinchiuso da bambino, prima di allungare il braccio e accendere la lampada da pavimento proprio dietro di lui. Bu. Disse senza saltare in avanti o muoversi se è per questo, ma restando semplicemente seduto con la testa illuminata dal cono di luce della lampada, metà viso al buio e l'altra metà chiarissima. Prima che tu lo chieda: sono entrato da lì. Accennò con il capo alla porta scorrevole che dava sull'esterno, serissimo. Sei al piano terra, la vogliamo chiudere la porta almeno? C'è brutta gente in giro, Astrid, la prossima volta potresti trovarti qualcuno di indesiderato nel soggiorno. Non ci pensò neanche che potesse essere lui, quello indesiderato lì dentro. Gli occhi si assottigliarono per un secondo, poi Rem emise un sospiro: il discorso poteva essere accantonato. Ti ho portato la cena. Da uomo di poche parole, Rem indicò la busta sul tavolino tramite la distensione dei muscoli della gamba, la punta dello stivale che accennava in direzione del cibo. Dentro c'erano i due piatti thailandesi preferiti dalla sorellastra in porzioni che non sarebbero bastate per entrambi, erano solo per lei, anche perché Rem odiava la cucina etnica e lei lo sapeva. Allungò lo stesso piede, poi, arrivando a poggiarne con nonchalance il tallone sul tavolino di fronte a lui per stiracchiarsi. Sapeva comportarsi, crescendo il bon-ton era stato molto importante in casa Nilsen, era Rem che da un certo punto in poi aveva deciso di non seguirlo più. Osservando lo spavento causato dall'intrusione sciogliersi sul viso simmetrico di Astrid, a Rem venne in mente cosa fosse successo tanti anni prima, dopo quella folle corsa clandestina giù in città. Occhi imbrigliati in altri occhi simili solo a metà, gli sembrò di sentirsi addosso la stessa scoperta fatta quel giorno, quando era tornato a casa e aveva capito cos'era che segretamente invidiava tanto alla nuova sorella: la sua libertà. Prima di arrivare dai Nielsen, Astrid era stata libera da loro, dalla comunità, dalle sue regole e, per il modo in cui si comportava, libera anche da Dio. Anche dopo però, quando era cresciuta, aveva formato idee e tendenze proprie che Rem non approvava, tentando il più possibile di seguire la propria strada e non quella tracciata per lei da altri fino all'atto finale, quando si era allontanata da tutti loro Reservoir. Se la sarebbe portata dietro per sempre, Astrid, quella capacità di essere se stessa fino in fondo nonostante il dissenso intorno a lei. Dopo quella notte non lo avrebbe mai più neanche pensato, ma a dodici anni Rem aveva invidiato con una tale forza la sorellastra da desiderare di non essere più lui ma lei, anche solo per un minuto. Si era punito, poi, più tardi, nel buio del suo armadio. Astrid era luce tanto quanto Rem era ombra, non esisteva altro modo. Recentemente ho avuto la conferma che in tutti questi anni non hai detto niente a nessuno di me, speravo davvero di potermi fidare del sangue che ci unisce anche solo per metà. Si riferiva a Max, ma questo Astrid non lo sapeva. Aggiungere quella strana confessione era la cosa più simile a un ringraziamento affettuoso che ci si potesse aspettare da lui. Non si vedevano da qualche mese, quei due, è difficile uscire per un caffè quando tutti ti credono lontano e senza memoria. Credo ormai di essere ufficialmente risorto dal mondo dei morti. O quasi. Abbozzò un sorriso, mentre le dita della destra estinguevano un prurito sotto gli occhi cerchiati da notti insonni. Era davvero stanco, pensò Rem.
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