Don't leave me dry.

Egon e Xavier | tardo pomeriggio|11.04.2021

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    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.
    Le azioni descritte non sono ad ogni modo condonate e sono diretta responsabilità creativa di chi ha realizzato tali contenuti.


    Egon Gibson
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    Aveva sempre trovato divertente quel pub che portava il suo stesso nome. Ok, forse “divertente” è una parola esagerata quando si tratta di Egon, che a conti fatti non trova nulla di divertente da almeno cinque anni, ma bisogna ammettere che l’ironia della sorte si è impegnata in modo particolare nel creare un caso di omonimia tra un pub e un alcolizzato. Sembra quasi l’incipit di una barzelletta da quattro soldi, una di quelle che si raccontano per riempire i silenzi o i momenti imbarazzanti, e invece non è altro che la realtà. Di esperienze surreali, Egon, ne ha vissute parecchie, tutte tangibili e spaventosamente vere che, però, avrebbero fatto invidia ad una qualsiasi sceneggiatura di un film d’avventura condito da tanto dramma. Si, perché se la parola “divertente” è più unica che rara nella vita del poliziotto, la parola “dramma” invece è ricorrente più del necessario. Ed Egon ci sguazza in questo dramma, al pari di come sguazza nei fiumi di alcool che ingerisce ogni giorno nella speranza di rendere più leggere quel fardello che si porta sulle spalle, fatto di sensi di colpa, inadeguatezza e costante dolore. Paradossalmente la parte più cupa della sua anima è anche la sua zona di comfort. Egon ha reso la sua solitudine l’unica sua ancora di salvezza, la ricerca come un pirata cerca il tesoro di una vita, la pretende tanto da irritarsi se qualcuno tenta di fargli compagnia. In tutta onestà, il poliziotto si guarda bene dall’iniziare a socializzare con qualcuno, non perché odi eccessivamente il genere umano, ma semplicemente perché è convinto che chiunque entri in contatto con lui, poi, sia destinato a fare una brutta fine. In pratica Egon si considera un portasfortuna, per questo tende ad allontanare tutti da sé o a limitarsi ad una conoscenza superficiale. Non era così, Egon. Un tempo, quando la vita ancora non gli aveva fatto conoscere quanto potesse essere amara, era un ragazzo come gli altri, con tanta voglia di vivere che col tempo era scemata. Ora, invece, Egon è stanco della vita, procede per inerzia, respira perché gli viene naturale, ma non si aspetta nulla che possa tornare a renderlo il ragazzo che era una volta.
    C’è Bellatrix, però. Ecco, lei è la prima persona, dopo anni, che Egon lascia si avvicini a lui. Certo, è impossibile tenere a bada qualcuno che ha lo stesso carattere estroverso della donna. Spesso lui gli risponde con un muso lungo, a monosillabi o a grugniti, e lei non perde nemmeno per un secondo il sorriso sul suo volto. Sembra che l’atteggiamento del poliziotto, che si occupa della sua sicurezza da quando è giunta a Besaid, non faccia altro che divertirla…in maniera bonaria, s’intende. Ciò che Bellatrix non sa, e nemmeno Egon lo sa, è che lei riesce a far emergere il lato meno spigoloso del poliziotto. Non completamente, è più una crepa in un muro da cui esce un flebile raggio di luce, ma è proprio da qui che può arrivare la speranza, l’opportunità per Egon di cambiare e di annullare quel suo malsano legame con la solitudine totale. Nemmeno lui aveva compreso perché lasciasse tanta libertà a Bellatrix, la libertà di farli battute, la libertà di toccargli la spalla e, soprattutto, non comprendeva quella sensazione che sentiva all’altezza dello stomaco ogni qualvolta lei lo faceva. Era un po' come un pugno, ma non faceva male, lo rendeva solo un po' agitato. Nonostante ormai si occupasse della sicurezza della donna da poco meno di un mese, non si era ancora abituato a quella sensazione e il fatto che non sapesse classificarla lo metteva di cattivo umore, il che implicava che alzasse il gomito più spesso del solito.
    L’alcool ed Egon ormai sono un binomio indivisibile. Il poliziotto si odia per questo, ogni sorso alcolico che entra nel suo corpo non fa altro che ricordargli quanto sia diventato un fallito come suo padre. Il bruciore che gli scende lungo la gola, invece, gli ricorda i suoi fratelli, che ha abbandonato a Boston senza alcuna spiegazione. E quando finalmente il veleno gli arriva allo stomaco, si ricorda la morte infame del suo amico Andrew. Insomma, con Egon il detto “bere per dimenticare” lascia il tempo che trova. Solo odio per se stesso, all’inizio provava anche un senso di vergogna perché essere alcolizzato non è esattamente la cosa migliore del mondo, ma adesso non gli importava un bel niente. Questa era la sua vita e aveva il diritto di rovinarsela come meglio credeva, gli altri non dovevano avere voce in capitolo. Il che lo riporta al burrascoso incontro che aveva avuto qualche giorno prima in centrale con quella donna…come si chiamava…Sienna…Ludmilla…Sibylla! Si, Sibylla, questo era il nome della nana indemoniata che pensava di averlo colto in fallo facendogli notare che beveva troppo. La scoperta dell’acqua calda. Certo, non era carino arrivare già ubriaco a lavoro, ma c’era una ragione se Egon aveva esplicitamente chiesto un lavoro da scrivania: poteva permettersi di bere quanto voleva. Non doveva andare in giro a fare degli inseguimenti, non doveva fare indagini e né doveva avere sulla coscienza la sicurezza del suo partner di lavoro. Poteva bere quindi, Sibylla, poteva atteggiarsi a paladina della giustizia quanto voleva, ma lui non stava facendo nulla di male se non a se stesso. Tuttavia, la chiacchierata animata con la semisconosciuta molto più bassa di lui, lo aveva segnato più di quanto non volesse ammettere a se stesso, e quel tardo pomeriggio aveva deciso di abbandonare la sua scorta casalinga di alcolici per bere fuori. Un lusso, nella sua ottica. Per questo era lì, in quel locale che porta il suo nome. Egon entra nell’Egon, se ricordasse come si ride lo farebbe all’istante, mentre varca la soglia del pub. Esistono veramente pochi luoghi in grado di andare a genio al poliziotto, e il pub è uno di quelli anzi, è l’unico. La centrale di polizia non gli piace, odia persino camminare in strada con tutta quella gente che rischia di andargli addosso perché troppo distratta dalla propria vita, casa sua e l’Egon sono gli unici posti di Besaid che gli piacciono. «Ei.» Il fatto che ormai sia un frequentatore abituale di quel posto, lo si evince dal saluto contenuto, ermetico e trasudante tristezza, che rivolge al bartender di turno, con cui le volte passate ha già scambiato due chiacchiere striminzite, Hobi. Se lo ricorda il nome perché non gli sta antipatico, non come Ludmilla, Barilla, Sibylla. Si siede su uno sgabello e poggia i gomiti sul bancone, si sente a suo agio, dal momento che lì trascorre quasi tanto tempo quanto in centrale. «Una rossa alla spina, il boccale grande. Grazie.»
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    Fa la sua ordinazione com’è ormai abituato a fare da anni, le parole gli scivolano via dalla bocca quasi meccaniche, ripetute altre mille e mille volte. Una birra rossa, la sua preferita, perché solitamente ha un sapore più amaro della bionda e, si sa, che l’amarezza è il profumo della vita per Egon.
    Hobi soddisfa la sua richiesta con la velocità di un lampo, ed ecco che un enorme boccale di rossa adesso fa le bollicine proprio sotto al suo naso. Prende il manico del boccale, anche questo un gesto meccanico, ed è pronto ad avvicinarselo alle labbra, se prima però non avesse visto un altro volto sconosciuto. Alzò il boccale in cenno di saluto verso quell’uomo dai grandi occhi chiari e dall’espressione tormentata, un po' come la sua. «Giornata pesante, eh?» Egon parla con Xavier, ha parlato con lui in precedenza, senza troppe pretese, qualche discorso molto astratto e poco pratico, ma sufficiente per fare entrare in sintonia i due. Chi usa il bere come rifugio si riconosce a vicenda, basta un’occhiata per individuare immediatamente il tormento che solo un alcolico può far cadere nell’oblio. Egon, la prima volta che aveva incontrato Xavier, aveva avuto la sensazione di avere a che fare con un suo simile e, nel momento in cui gli aveva rivolto la parola, aveva immediatamente inteso che l’uomo non intendeva giudicarlo per quanto beveva, come facevano tutti, come il giorno prima aveva fatto Sibylla. Ha finalmente azzeccato il suo nome al primo tentativo! «Ci si ritrova sempre qua. Ormai questo è il mio posto preferito a Besaid.» Rende pubblici i pensieri che aveva fatto poco prima, su quanto l’Egon fosse il suo secondo luogo preferito in quella cittadina che abitava ormai da due anni ma che ancora sentiva di non conoscere abbastanza.
     
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    Disturbo maniaco-depressivo, diagnosi mai pervenuta. In sunto, questa era la giustificazione del suo trovarsi lì quella, l'altra e gran parte delle serate della sua vita. Non era esperto in psicologia - a volte, spesso, non si sentiva esperto di un fico secco e neanche del suo lavoro, quindi figurarsi - ma cos'altro poteva essere? Cos'altro poteva spingere un uomo di quanto, trentotto, trentanove, erano già passati i quaranta? Buon Dio. Il quarto bicchiere di liquore gli aveva fatto perdere il conto. Dicevo: cosa poteva portare un uomo di tot anni, non più un pischello ma neanche con un piede nella fossa, a passare ogni notte a ubriacarsi al pub di quartiere da solo?
    Da solo.
    Solo. Quella forse la parte peggiore di un quadretto già di per sé sconfortante. Alcolismo. Sindrome maniaco-depressivo e alcolismo giusto per incentivare, per arrotondare l'elenco che non sia mai restasse a secco. Eppure, per una frazione di secondo aveva creduto che fosse arrivato qualcuno per lui. Settimane bellissime della durata di una manciata di istanti appena, quello ora restava nel palmo della sua mano, aperta all'insù sulla sua coscia. Si era incantato a fissarne le linee e i segni, non del duro lavora ma bensì del tempo. Quella, una piaga che non risparmiava proprio nessuno.
    Le cicatrici del proprio mestiere Xavier le aveva dentro, nella testa che, era evidente, non operava a pieno regime. Dopo Bea si era detto che era proprio vero, gli scrittori non sono fatti per amare nella vita di tutti i giorni e, se possibile, è ancora più difficile che siano amati da altri. Riversano tutti i sentimenti che hanno nelle pagine e ne rimangono vuoti. In fondo, si diceva, Beatrice l'aveva fatta scappare lui; in fondo, forse, il motivo della fine di ogni sua relazione che andava tormentosamente cercando non era negli altri o nei dettagli: semplicemente, era lui. Aveva mollato dunque le redini, ormai certo di potersi sentire appagato solamente fra i ghirigori di quella grafia fittissima con cui, anche ora, non la smetteva di scrivere. Prendere appunti era ormai un'abitudine, lo faceva sempre e sulle superfici più disparate, come il tovagliolino da bar che aveva sfilato da sotto il suo primo bicchiere per appuntarci sopra cose, disegni e scarabocchi incomprensibili. Solo che l'aveva lasciato poco dopo, quando si era reso conto che la malattia degli scrittori, quel maledetto blocco, gli impediva di partorire decenze anche da ubriaco. Quello era un male difficile da superare, sai quanti scribacchini erano periti nel tentativo di farcela? Chissà cosa sarebbe successo a lui, all'amore, o a quel libro che non riusciva proprio a scrivere. L'editore gli stava con il fiato sul collo. Dopo i suoi primi grandi successi, inebriato da quella sensazione riempi pancia, Xavier si era fatto abbindolare e aveva firmato un contratto per altri cinque libri, uno all'anno, e ora non riusciva neanche a tenere in mano una penna.
    Burk, il suo agente e ormai amico, lo chiamava un giorno no e due si con la scusa di sapere come stesse.
    Come stai vecchio mio?
    Oggi un po' meglio, Burk, grazie.
    Lo vedi? Lo dicevo che con la dipartita di quella là ti saresti sentito meglio.
    Non è morta, si è solo trasferita.
    Quel che è. Allora, come procede?
    Manca poco Burk, ma sono fermo sempre alla solita pagina.
    Quella per Burk era Lyra. Non sapeva molto su di lei eppure la incolpava già di ogni blocco dello scrittore o malinconia di Xavier ed era, fra le altre cose, fermo sostenitore della seguente teoria: no Lyra no drama e libro pronto per il prossimo mese. Impresa impossibile. Per un po' all'uomo era piaciuto credere che quella condizione fosse vera, senza la ragazza in casa su cui imbambolarsi era riuscito persino a scrivere qualche pagina in più, solo per rendersi conto poco dopo che si trattava di una porcheria immensa, una roba senza anima. Allora un'altra consapevolezza era strisciata e si era consolidata in lui, qualcosa che sapeva da anni e che solo ora, con Lyra magicamente presente nella sua vita, Xavier poteva confermare: era grazie a Melodie che scriveva. Era sempre stato così anche quando Lyra era solo frutto della sua immaginazione, e se ne rendeva conto soltanto adesso. Non poteva più scriverla e non poteva averla. Lui, la sua sanità mentale e il libro erano spacciati.
    Seduto al bancone Xavier ne fissava il legno sotto ai gomiti che, appuntiti, forzati dal peso del suo busto lo pigiavano caparbiamente. Come al solito indossava una giacca che ora giaceva sulle sue ginocchia sbilenca, un po' come la postura dell'uomo piegato sul bar e sull'ennesimo bicchierino ambrato. Le maniche della camicia erano malamente arrotolate, una quasi al gomito e l'altra da qualche parte a metà dell'avambraccio, una piccola macchia di whiskey formava un tondino quasi perfetto su uno dei polsini bianchi. Quando vide Egon, era ormai più che brillo. Si raddrizzò con la schiena, lo stretto indispensabile per riuscire a guardare l'uomo in viso senza doversi spezzare collo e annessi, stringendo tra pollice indice e medio il bicchiere per tirarlo su in un saluto/brindisi distante. Naaah. Ogni respiro, un dono. Una sentenza grondante sarcasmo e alcool. E anche morte. Fece uno sbuffo prima di finire con un sorso il liquido nel bicchiere, il completamento di quel brindisi cupissimo. Bisognava sempre bere dopo, sia mai che si tirasse più sfiga di quanto già non avesse. E la tua? Giornata rosa e fiori, immagino? A ritroso, il movimento fu meno aggraziato e il fondo del bicchiere urtò contro il legno più forte di quanto fosse l'intenzione. Poi, Xavier scucì una risatina. Sfido io! Ci sarebbe qualcosa di davvero sbagliato nel mondo se questo non fosse il tuo posto preferito, Egon dell'Egon. Si morse un labbro, il sapore dell'alcol di nuovo tutto in bocca. Poi prese la penna e scrisse sul tovagliolo quel nome, Egon dell'Egon, sorridendo di nuovo tra sé e sé. Suona come il protagonista di un libro, anzi no. Suona come l'antagonista. Xavier alzò la testa, in quel momento i suoi occhi scintillavano di una luce che, in quelle biglie azzurre, non si vedeva da un po'. Scese dal trespolo un po' traballante (lui, non lo sgabello), afferrando malamente giacca, tovagliolo, bicchiere e, messa la penna di traverso fra le labbra, si avvicinò di qualche posto vicino a Egon dove si riaccomodò in preda a uno stato di altissima attenzione - per quanto possibile. Dammene un altro, Hobi, per piacere. Disse al barista dopo avergli fatto un cenno con due dita tese. Lui, comunque, ne vedeva tre.
    Se non ricordo male sei un poliziotto, giusto? Sto scrivendo un libro, l'antagonista è un ex poliziotto alcolista e tu sei perfetto per il ruolo. Senza offesa... Era di nuovo con un gomito sul bancone e non perdeva di vista Egon. ... e men che meno giudizio. Si indicò il petto. Era chiaro che giudicarlo non gli interessava anzi, forse era il primo e unico suo simile che avesse incontrato in quella città. Pensi che potresti descrivermi un po' il tuo mondo? La polizia, intendo. Com'è esserci dentro fino al collo? Sono bloccato, non riesco a dare il giusto spessore a questo personaggio importantissimo. Non si conoscevano quasi per nulla e quelle erano chiaramente le richieste di uno scrittore folle e per di più ubriaco.

    Edited by Dead poets society - 5/8/2021, 23:28
     
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    Egon ormai aveva gettato le armi, non lottava più nella speranza di poter cambiare la sua vita. In realtà il cambiamento che il poliziotto aveva ricercato per tanto tempo non risiedeva nel mondo esterno, ma dentro di lui. Esiste un detto, banale ma azzeccato: non puoi cambiare il mondo se prima non cambi te stesso. Ecco, chiunque lo avesse detto, probabilmente non sapeva che aveva cucito quelle parole sulla pelle di Egon, su quella sua armatura che si ostinava a portarsi addosso ormai per inerzia. Era rassegnato, sapeva che niente e nessuno poteva essere la chiave di volta per aprire l’armatura e cambiare l’animo dell’uomo, ormai composto da sensi di colpa e alcolici. Nient’altro c’era nella vita di Egon, persino la sua famiglia non sapeva dove fosse e lui, codardo, non si era fatto vivo temendo che ogni suo fratello gli sputasse addosso il rancore per essere stato abbandonato. Non metteva piede a Boston da anni, non riusciva a trovare la forza per fare un dannato biglietto aereo per tornare a casa e dire alla sua famiglia che era ancora vivo e che non li aveva abbandonati, semplicemente lui era stato troppo idiota da non farsi più vivo. E a quel pensiero ingurgitò un grande sorso di birra, mentre era seduto al bancone di quel pub che era più casa di quanto non fosse il suo appartamento.
    Al poliziotto non interessava molto avere compagnia, era abituato alla solitudine, in realtà era il suo porto sicuro. Bere in compagnia gli sembrava una cosa troppo faticosa e allegra per lui che aveva cacciato via la socialità nascondendola sotto il suo consueto tappeto fatto di sensi di colpa. Beveva perché gli andava, perché così dimenticava e, in un modo di cui ancora non era consapevole, si faceva male da solo, addirittura contento poiché quel male se lo meritava tutto. Ogni goccia che cadeva lungo la sua gola equivaleva ad una goccia di dolore che, secondo Egon, lui stesso aveva procurato agli altri e, adesso, gli veniva restituita. Fosse morto per un problema al fegato non gliene sarebbe importato poi molto. Non aveva più nulla, né nulla da perdere e né nulla da vincere. Tuttavia, quando vide Xavier seduto poco lontano da lui, Egon si sentì quasi sollevato nel riconoscere un suo simile, qualcuno che come lui beveva per un motivo a lui sconosciuto ma che doveva essere comunque un buon motivo. Ormai le riconosceva quelle persone che si volgevano all’alcool solo per divertimento da quelle che invece lo prendevano quasi come fosse una necessità e l’unico modo per andare avanti in quella vita di merda. Xavier apparteneva sicuramente alla seconda categoria, anche se non conosceva quale motivo lo spingesse verso gli alcolici, ignaro del fatto che lo avrebbe scoperto di lì a poco. E la tua? Giornata rosa e fiori, immagino? Un sorriso amaro increspò le labbra di Egon, che colse immediatamente il sarcasmo quasi nero del suo conoscente. Con le maniche della camicia arrotolate, gli occhi luccicanti per gli alcolici bevuti, Xavier sembrava un artista scapigliato proveniente direttamente dalla Montmartre parigina. Probabilmente i due non avrebbero trovato tanto divertente nemmeno una stand up comedy fatta dalla persona più divertente del mondo, presi com’erano dal loro personalissimo sarcasmo. «Ovvio, ho incontrato anche un unicorno con la criniera arcobaleno mentre venivo qui.» Egon, sicuramente, non avrebbe fatto ridere nessuno, così come nessuno riusciva a far ridere lui sul serio. Egon dell’Egon, a parte l’assurdità dell’omonimia, non aveva nulla di simpatico, almeno non agli occhi del poliziotto che ormai ci aveva fatto l’abitudine, eppure osservò Xavier mentre scribacchiava quell’omonimia su un tovagliolo di carta. Che, poi, Egon aveva pensato a come sarebbe stato se lui avesse gestito quel pub…e niente…probabilmente tutto l’alcool se lo sarebbe scolato solo lui e sarebbe andato in rovina. Sempre merito delle sue visioni negative del futuro. Suona come il protagonista di un libro, anzi no. Suona come l'antagonista. Il poliziotto alzò un sopracciglio, quasi divertito ed incuriosito da quelle parole, probabilmente era anche colpa del fatto che era già un po' brillo. Lui si era sempre visto l’antagonista di tutti, quindi Xavier non aveva poi tutti i torti anzi, ci aveva visto lungo. Lo scrittore (era uno scrittore, vero?) si avvicinò a lui, quasi come fosse preda di una brillante ispirazione, e ad Egon sembrò quasi ridicolo che la fonte fosse proprio lui che al massimo poteva ispirare il proprietario di una distilleria. «Non mi sono offeso, sono stupito. Davvero trovi i poliziotti alcolizzati tanto interessanti da inserirli in un tuo racconto?» Lui i poliziotti li trovava noiosi e rompipalle, come quella Sibylla che gli aveva raccomandato di smetterla di bere, almeno mentre era in servizio. Non stava giudicando la scelta di Xavier, più che altro voleva capire cosa mai ci trovasse di interessante nella divisa che lui indossava. Egon stesso era divenuto poliziotto perché non aveva altra scelta, dopo aver visto ogni tipo di orrore in guerra voleva solo un posto di lavoro tranquillo in cui non dovesse fare tanti sforzi, e quello a Besaid sembrava la cosa più giusta per lui: noioso e con poca fatica. O almeno lui pensava lo fosse e ogni giorno andava in centrale facendo il minimo indispensabile, non sentendosi minimamente in colpa per prendere quella professione sottogamba.
    Pensi che potresti descrivermi un po' il tuo mondo? La polizia, intendo. Com'è esserci dentro fino al collo? Sono bloccato, non riesco a dare il giusto spessore a questo personaggio importantissimo. Egon alzò lo sguardo verso il soffitto in legno del pub, riflettendo seriamente su quale fosse la risposta più adatta da dare, non curandosi del fatto che probabilmente, ad un occhio esterno, quei due sembravano due pazzi che credevano di poter partorire qualcosa di sensato mentre erano brilli. Aveva due scelte: da una parte poteva dire falsità su quanto fosse bello quel lavoro, dall’altra poteva essere sincero e rispondere senza alcun filtro. «Una merda.» Aveva optato per la seconda scelta. Tanto ad Egon non importava un bel niente, lo avrebbero licenziato? Meglio, almeno non sarebbe stato costretto a trascorrere le sue giornate tra quella massa di idioti in divisa. Bevve un altro sorso della sua birra, svuotando definitivamente il boccale e guardando Hobi, che ormai era il suo barista di fiducia, per chiedergliene un altro, poi tornò a puntare gli occhi su Xavier, mentre si strofinava le mani. «Indossare quella divisa è una grandissima rottura di palle. Hai gente che ti da ordini tutto il giorno, e non ordini importanti, ma ordini del tipo ‘senti, coso, puoi grattarmi il culo che io sono troppo pigro per farlo?’ Ecco, cose di questo genere.» Prese una paura solo per ringraziare Hobi che nel frattempo gli aveva messo sotto il naso un altro boccale pieno della sua birra preferita. Almeno lì a Besaid le birre erano buone. «E poi c’è questa idea di rischiare la vita per il bene comune, sul serio? Abbiate un po' di amore per voi stessi, idioti! Prendi nota, tutto questo potrebbe servirti per il tuo antagonista.» La sua voce si era un po' alzata, senza però essere minacciosa. Egon stava chiaramente dando sfogo a pensieri che, fino a quel momento, non aveva esternato con nessuno e Xavier, era il primo che stava assistendo allo scenario di Egon che parlava più del solito.
     
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    Il pensiero di Lyra gli navigava in testa come un proiettile impazzito e Xavier aveva una gran voglia di fumare. Si poteva, o la castrazione d'ogni vizio operata dai governi mondiali era arrivata anche in quella cittadina sperduta nel nord della Norvegia tra boschi, campi e laghi invernali? Nel 2021 sperava di si, ma ora come ora detestava ognuna di quelle imposizioni così superflue rispetto ai mali del mondo, anche se si sarebbe potuto controbattere che il fumo facesse parte di quella categoria infame di cose che ammazzano lentamente e decimano la popolazione mondiale. Si sarebbe potuto fare a meno di un bel po' di persone, pensò con rammarico rigirandosi una sigaretta fra le dita, il globo avrebbe solo che giovato dell'assenza di che so, niente di traumatico, diciamo metà della popolazione. Metà eliminata uguale più aria pulita per tutti, più lavoro, meno emissione di anidride carbonica, meno sprechi, più spazio: e il resto avrebbe deciso se fumare o no all'interno di locali come quello. Che poi, neanche a dire sentisse l'impulso di inalare tabacco nel bel mezzo di un asilo nido, per dire, ma in una bettola che in un film di avventura sarebbe stata definita il peggior bar di caracas. Niente per cui sentirsi in colpa, dunque, ma ad alzare gli occhi dalla sigaretta non riusciva proprio, era come fossero incollati lì, ossessione appiccicata a filtro. «Ovvio, ho incontrato anche un unicorno con la criniera arcobaleno mentre venivo qui.» Ci provò Egon a sradicarlo dalla propria mente con quella battuta alla quale Xavier rispose con una specie di sbuffo, né risata né tosse ma qualcosa di non specificato nel mezzo. Lanciò uno sguardo naturale all'uomo, soppesava nei suoi occhi azzurri il compagno di bevute come a classificarne la fedeltà alla depressione e al vizio, neanche si trattasse di un club esclusivo in cui era quasi impossibile entrare. No, ridursi così era fin troppo semplice purtroppo, bastava un niente e ti ritrovavi a passare le serate appollaiato al bancone di un pub invece che a casa con la tua donna, uomo, con il cane o con chiunque, e ovunque, al di fuori di lì. La cosa pazzesca era che neanche ricordava come ci fosse finito in quel baratro ripidissimo, un battito di ciglia, fast forward di cinque anni ed eccolo lì ad affogare in diverse pinte di birra. Ad affogare e basta.
    Bevve l'ennesimo sorso mentre rifletteva sulla domanda, davvero trovava i poliziotti interessanti? In realtà no, non particolarmente, in vita sua non ne aveva neanche avvicinati di troppi perché era essenzialmente una persona noiosa con un'esistenza noiosa, e il massimo che aveva fatto era ricevere qualche multa. E uccidere il padre di Lyra. Scosse la testa. No, quello era successo nel libro, era stata Lyra, Lyra per mano sua e della sua penna. Come veniva giudicato quel crimine? La polizia in generale no, ma tu potresti esserlo. Rispose allora Xavier, cercando nel fondo del bicchiere un'assoluzione che non avrebbe trovato né lì, né altrove. Si era ormai fatto più vicino, vicinissimo, lo sguardo accesso da una speranza che non si vedeva da un po' in quelle iridi chiarissime. Aveva afferrato un tovagliolo per annotare ogni cosa, conscio solo parzialmente delle probabilità che quello andasse perduto in una pattumiera qualsiasi, chances altissime che tuttavia preferì ignorare, preso com'era ad osservare Egon e sentirlo parlare, neanche fosse il nuovo messia. Si ammosciò quasi subito, purtroppo le parole dell'uomo non erano quelle che avrebbe voluto sentirsi dire, cose tipo inseguimenti spericolati in auto, sparatorie infinite che lasciavano un solo vincitore, cose interessanti insomma. Aggrottò le sopracciglia sporgenti come fosse un bambino sulla soglia dei quaranta, lo sguardo vago di chi ha bevuto troppo e non riesce a capire. Tutto qui? Sbottò, incredulo che fosse davvero finita lì. Non hai nessun racconto di suspense, un'indagine che ti ha messo a dura prova, un amore scoccato tra criminale e detentore della legge? Tamburellò l'estremità della penna sul bancone, i grandi occhi cerulei ancora fissi sull'uomo. Allora era davvero tutto perduto, per lui, per Egon, per l'umanità intera: la vita era solo un susseguirsi di alti e bassi e non sarebbe cambiata mai. Avrebbe dovuto immaginarlo, Xavier, dopotutto cosa poteva avere da raccontare un tizio che per abitudini gli somigliava terribilmente? Eppure non voleva darsi vinto, non poteva, doveva seguire la scintilla che poco prima l'aveva animato e ancorarsela dentro per non farla spegnere. All'improvviso una lampadina si accese nel buio, tutto merito dell'ultima affermazione di Egon. Se la pensi così perché sei finito nel corpo di polizia? Si era sistemato sulla sedia, le orecchie drittissime e attente a carpire ogni parola mentre intanto nella testa stava nascendo il nocciolo di un'idea.
    Il poliziotto cinico, che si è arreso al male nel mondo, l'individualista triste che affoga il dolore nell'alcool perché ha perso fiducia nell'umanità. Un poliziotto distrutto, magari anche corrotto.
    I effetti potrei chiedermi la stessa cosa: perché ostinarsi a scrivere quando l'80% del tempo non mi riesce? Soppesò le proprie parole, il palmo sotto al mento. Un poliziotto infelice e uno scrittore ubriaco, bella coppia.
     
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    Quando Egon si concedeva di riflettere seriamente sulla sua vita, su com’era andata e su come poteva andare, concludeva sempre che tutte le scelte da lui fatte erano state una merda. Sin da quando aveva involontariamente seguito le orme di suo padre tutto era andato a rotoli, dalla sua salute mentale alla salute del suo fegato. Si poteva riassumere tutto in un enorme groviglio di fili neri che lui, ormai, non riusciva più a districare e né ne aveva la voglia. Rimaneva lì, con tutti quei fili neri attorcigliati attorno a sé, che col trascorrere degli anni si stringevano sempre di più attorno a lui fino a fargli perdere il respiro, prima o poi. Sapeva che sarebbe successo. Egon sapeva benissimo che quello stile di vita non gli giovava e prima o poi ci sarebbe rimasto secco, probabilmente il suo fegato si sarebbe rifiutato di assisterlo, o magari la sua tristezza sarebbe stata tale da indurlo a togliersi la vita. Insomma, il poliziotto non sapeva di che morte doveva morire, ma sapeva che se continuava così l’avrebbe raggiunta prima del previsto. Tutti questi pensieri macabri gli attraversarono la mente proprio mentre stava seduto al bancone a sorseggiare l’ennesima birra della giornata, poco prima che arrivasse Xavier e si sedesse vicino a lui con un interesse nei confronti della professione del poliziotto che Egon stesso non riusciva a spiegarsi. Gli piacevano le divise? Gli piacevano le armi? Gli piacevano le ciambelle? La polizia in generale no, ma tu potresti esserlo. Fu addirittura sollevato nel sentire quella risposta, perché dubitava che la categoria dei poliziotti potesse suscitare un tale interesse in un uomo come Xavier che, Egon ne aveva l’impressione, era troppo intelligente per essere ipnotizzato dal luccichio di un distintivo. «Vacci piano.» Egon fece quello che gli riusciva bene: tentare di smorzare l’entusiasmo altrui. Vedeva il suo interlocutore speranzoso, intento a prendere appunti su di un tovagliolo, e non poteva fare a meno di fasciarsi la testa prima ancora di rompersela. Xavier era al cospetto di un essere umano che conduceva una delle vite più noiose sulla faccia della terra, ed Egon si stava impegnando per farglielo capire il più presto possibile. Si strinse nelle spalle quando il suo compagno di bevute si rese conto che no, lui non poteva proprio essere d’ispirazione per un qualsiasi personaggio da romanzo. «Lo vedi questo?» Indicò il boccale di birra che aveva afferrato sin da quando aveva poggiato il culo sullo sgabello del pub: «Questo è ciò che mi tiene lontano dalle indagini sul campo ma, in compenso, ho un comodo posto dietro una scrivania che mi relega a sistemare scartoffie. Per quanto riguarda l’amore…» E qui bevve prima un lungo sorso di birra per affrontare al meglio il discorso sui sentimenti che non faceva mai e da cui si teneva sempre a debita distanza «…me ne tengo alla larga. Sia che riguarda me o i miei colleghi, o i detenuti, o qualsiasi altro essere umano.»
    E dopo un discorso del genere chiunque se ne sarebbe andato, girando alla larga da Egon per non rivolgergli mai più la parola. Era la reazione più normale, almeno secondo il diretto interessato che era convinto di essere solo un’immensa delusione per chiunque incrociasse il suo cammino. Xavier no. L’uomo dai grandi occhi azzurri rimase lì, seduto vicino a lui valutando il da farsi. Un filo del suo entusiasmo era venuto meno, Egon l’aveva notato, eppure sembrava non voler mollare la presa, come se volesse scavare a fondo, convinto che prima o poi avrebbe trovato un tesoro. Se la pensi così perché sei finito nel corpo di polizia? Dinanzi ad una domanda come quella Egon poteva rispondere in due modi: dicendo una bugia o dicendo la verità. La bugia era che…in realtà non aveva voglia di mentire, forse per colpa dell’alcool che aveva in circolo, forse perché ormai era stanco della vita e dei suoi convenevoli, optò per una lapidaria sincerità: «Era la mia unica opzione. O poliziotto, congedato con onore dall’esercito, o senzatetto, sempre congedato con onore dall’esercito. Tu cosa avresti scelto?» In fondo Xavier era uno scrittore, magari con la sua fantasia, al posto di Egon, avrebbe escogitato un altro modo per sopravvivere, magari avrebbe inventato una nuova professione. Bevve ancora un sorso, mentre continuavano a parlare di cosa, poi, era difficile da definire. Si parlava di un fantomatico romanzo che Xavier avrebbe voluto scrivere pur non avendo alcuna ispirazione e si rivolgeva ad Egon, che era un poliziotto, pur non volendo essere un poliziotto. Sul serio, cosa stava succedendo al bancone di quel pub? Il poliziotto guardò il soffitto per una manciata di secondi, come se da lì potesse arrivare ispirazione sufficiente sia per lui che per Xavier, poi tornò a guardare lo scrittore: «Pensi che se siamo così patetici è colpa dei troppi alcolici che beviamo? Ho pensato a questo, qualche volta, ma poi mi sono detto che ci sono un sacco di ubriaconi di successo tipo…tipo…adesso non mi viene in mente nessuno, ma ci sono!» Non era ubriaco, Egon. Quelli non erano i vaneggiamenti di un uomo col fegato impregnato di alcool, più che altro si trattava della brutale onestà verso cui conduceva l’ingerire quantità industriali di quella sostanza. Puntò lo sguardo su Xavier, in attesa che lui gli desse una risposta, un’illuminazione.
     
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    Era davvero come guardarsi allo specchio? Più lo osservava e più lo ascoltava, più gli sembrava di sì. Non erano tanto le birre che sparivano di pari passo alle sue a dargli l'hint, dopotutto a bere erano capaci tutti, piuttosto erano i piccoli gesti come il modo che aveva Egon di stringere il bicchiere come fosse un vecchio amico e al contempo il più temibile dei nemici, e le rassegnazione con cui osservava il liquido e il fatto che non era ubriaco pur essendo ubriaco marcio. Quei dettagli gli dicevano di trovarsi a parlare con un suo simile e che in qualche modo potevano, se non capirsi, quantomeno intendersi. Del resto, da che mondo e mondo gli alcolizzati si somigliavano un po' tutti. Sorprendentemente, constatare di apparire a quel modo non lo rattristò né lo fece arrabbiare, era ormai molto che Xavier aveva accettato che di quello sarebbe morto. Lo diceva anche ai dottori quelle rare volte in cui si lasciava convincere a farsi dare un'occhiata generale, come se non sapessero tutti che non era il neo dai contorni frastagliati che avrebbe dovuto far vedere ma il fegato, la milza, il sangue e così via. Oh dio, anche i polmoni avrebbero giovato da un occhio clinicamente esperto, da quando aveva ripreso a fumare quasi due pacchetti al giorno il sibilo che ogni tanto fuoriusciva dalla bocca non doveva essere nulla di buono. Fece oscillare la testa, ci avrebbe pensato più in là, tanto non sarebbe morto di quello e forse neanche di alcolismo. L'intento era alzare entrambe le mani ma solo una riuscì nell'impresa di arrendersi al brusco intermezzo di Egon, l'altra era troppo stanca o troppo ubriaca o troppo gelosa della birra che stringeva per tentare di indicare il cielo. Vacci piano aveva detto e lui aveva annuito senza troppe storie, forse Egon voleva smontare l'entusiasmo che, lo sentiva, sarebbe comunque durato pochissimo perché succedeva sempre così, Xavier si agitava in preda a un'esplosione artistica che poi svaniva con i fumi della detonazione lasciando solo detriti e terra arida tutt'intorno. Era stato quasi carino da parte di Egon cercare di bloccare la speranza prima che Xavier si facesse troppo male, ma com'è che si dice? Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire, e infatti l'entusiasmo Xavier l'avrebbe perso poco dopo ma non ancora, adesso era il momento dell'eccitazione irrefrenabile che provava quando sentiva di essere sul punto di sbrogliare la mente intorpidita dall'alcool e dalla depressione del non trovare la vena giusto per scrivere. Egon a quel punto era il suo salvatore e così lo guardava Xavier, con i grandi occhi azzurri resi lucidi e vitrei dall'alcool che improvvisamente tornavano in vita e si accendevano mentre cominciava a scrivere un affrettato elenco puntato in una grafia ancor meno comprensibile del solito. «Questo è ciò che mi tiene lontano dalle indagini sul campo ma, in compenso, ho un comodo posto dietro una scrivania che mi relega a sistemare scartoffie. Per quanto riguarda l’amore……me ne tengo alla larga. Sia che riguarda me o i miei colleghi, o i detenuti, o qualsiasi altro essere umano.» Aveva indicato l'artefice come il boccale di birra che Xavier rimase a guardare come ipnotizzato anche dopo, risvegliandosi e puntando lo sguardo sull'uomo solo quando ci fu solo silenzio. Fra loro e non nella stanza, che invece risuonava delle conversazioni lente e strascicate dei presenti. «La vita senza amore non è vita.» Gli era uscita così, di getto, quasi non se ne era reso conto. Imprecò interiormente ma pensò che in fondo era vero o meglio, quella era la sua verità, era qualcosa che credeva fin da quando era bambino nonostante gli esempi in casa non giustificassero tale dedizione alla materia. Per Xavier l'amore era la cosa che più in assoluto ricercava nonostante in quel momento non si sarebbe proprio detto un tipo che fa del sentimento la sua prima ragione di vita. L'aveva trascurato per tanto, tantissimo tempo, aveva confuso l'amore con altro che poi si era rivelato essere niente se non appagamento e mero piacere per un unica ragione, e questa ragione era racchiusa in dozzine e centinaia di fogli di carta. Anzi, ora non più: ora girava sulle proprie gambe affusolate senza perdere neanche una goccia di inchiostro. Fece un gesto con la mano per scacciare quei pensieri e le parole sdolcinate pronunciate poco prima, intercalando una frase qualunque giusto per spostare l'attenzione e rimediare alla sciocchezza compiuta.«Era la mia unica opzione. O poliziotto, congedato con onore dall’esercito, o senzatetto, sempre congedato con onore dall’esercito. Tu cosa avresti scelto?» Prese l'ennesimo sorso che gli costò un'altra birra mentre concedeva a Egon il tempo per parlare e snocciolare la triste storia della sua carriera. Non avrei scelto di fare il militare né tantomeno il poliziotto. Replicò con arguzia sorprendente per uno alla chissà quale numero di birra. Posò la penna sul bancone - più che altro gli scivolò dalle dita. Aveva ragione, l'entusiasmo stava svanendo. Abbozzò un sorrisetto sentendo l'ultima affermazione di Egon, che si chiedeva se fosse l'alcool a renderli particolarmente patetici o se fosse in fin dei conti intrinseco nel loro essere. «Ti aiuto io, come Kerouac, Bukowski e F. Scott Fitzgerald. Mi intendo solo di scrittori alcolizzati, del resto non saprei ma qualche poliziotto di successo che alza un po' troppo il gomito c'è di sicuro.» Prese respiro, distese le gambe per scendere dallo sgabello alto senza fare la figura di merda di cadere. Ci riuscì. «Quindi purtroppo credo che l'alcool abbia la colpa soltanto a metà, forse addirittura solo un quarto. Dovremmo fare qualcosa a riguardo, ah? Ma non oggi, domani. Sì, domani.» Sussurrò le ultime parole come fossero trascinate via da una brezza inesistenze visto che lì dento cominciava a fare caldo. Quello era il segnale che doveva andare. Non si azzardò a menargli una pacca sulla spalla perché temeva di perdere l'equilibrio e rovinare a terra, invece si limitò a lasciargli un bigliettino da visita facendolo scorrere sul bancone. «Fa molto detective questa cosa, al confine con una commedia romantica, non trovi? Ma comunque chiamami se deciderai di andare in riabilitazione o per una bevuta, magari mi unisco a te.» Non sorrise questa volta, lanciandogli l'ultimo sguardo prima di raccattare le sue cose e avviarsi barcollando verso il buio che lo attendeva fuori.
     
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5 replies since 4/5/2021, 18:27   194 views
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