Sunny days wouldn't be special, if it wasn't for rain

James & Sky

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    Erano stati mesi piuttosto freddi quelli che si era lasciato alle spalle. Il clima in Norvegia era più rigido di quello irlandese e anche se per lui era sempre stato semplice adattarsi alle situazioni, in alcune occasioni faceva invece fatica a farlo. Quell’anno ad esempio gli era parso che il tempo fosse peggiore degli anni precedenti, ma forse il cielo era stato soltanto resto più grigio dalla fine della sua relazione con Sybilla, terminata poco prima di Natale. Negli ultimi anni avevano continuato a succedersi relazioni che aveva creduto durature e che invece si erano concluse con un semplice pugno di mosche. Ogni volta finiva con il chiedersi che cosa fosse accaduto, dove avesse sbagliato, che cosa avesse mancato di vedere. Se con Max e Bella aveva capito che il problema era sempre stato il fantasma del suo amore per Julia che ancora aleggiava nei pressi del suo cuore, in questa occasione non aveva proprio saputo darsi risposta. Non era stata una chiusura voluta da entrambe le parti, era stata lei a mettere in chiaro che non c’era mai stato nulla di troppo serio, nulla che dovesse a durare a lungo. Il giorno in cui si erano lasciati aveva trascorso ore a fissare il soffitto bianco della sua camera da letto, piuttosto confuso. Si domandava come avesse fatto a non capire subito di aver dato inizio a una storia dove le due parti non erano in sincronia, di aver forse preteso troppo da qualcuno che invece cercava solo una frequentazione passeggera. Forse dopo tutto quel tempo trascorso a pensare a qualcuno che non aveva voluto renderlo partecipe della sua vita, aveva finito con il perdersi e non essere più in grado di leggere le persone come un tempo. Eppure sul lavoro gli sembrava che tutto andasse ancora bene, che i clienti fossero tranquilli e continuassero a parlare, sentendosi capiti. Il problema evidentemente doveva essere relativo soltanto alla sua vita privata, il che lo rendeva ancora più difficile da risolvere.
    Si era concentrato sul lavoro, cercando di far sparire dalla sua mente il pensiero di Sybilla e, dopo qualche mese, poteva dire che finalmente le cose andavano meglio. Aveva smesso di cercare la sua chioma scusa in mezzo alla folla e di vederla anche dove non c’era. Il clima al Rainbow non era mai cambiato e l’allegria e il calore che avvolgevano ogni centimetro di quel piccolo ristorante erano divenuti un luogo sicuro per lui, dove potersi liberare dalle preoccupazioni, concentrandosi per dare il meglio di sé e contribuire alla crescita del business. Kaja e Inga erano state una manna dal cielo per lui, dopo le brutte esperienze lavorative che aveva accumulato anche lì in città. Piano piano stava iniziando a trovare qualche punto fisso in quella città che non fosse soltanto sua cugina, che aveva già le sue cose a cui pensare, con il suo lavoro alla scientifica. In questo aveva aiutato molto anche Max, con il suo gruppo, che erano sempre stati un valido sostegno per affrontare la sua paura per quella particolarità che aveva iniziato a sviluppare non appena era arrivato. Vedeva gli altri utilizzarle in maniera serena, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo, mentre lui ancora faticava a controllarle e a capire il senso di quella stranezza. Chissà come avevano fatto tutti gli altri ad accettarlo.
    A parte i soliti pensieri la vita procedeva tranquilla, scandita da lavoro, impegni con gli amici, palestra e qualche uscita anche in solitario. Durante la settimana era più frequente che lui svolgesse il turno della mattina, più frequentato rispetto a quello serale perché accoglievano anche molte persone che si recavano da loro durante la pausa pranzo. Gli piaceva quel turno, lo costringeva a svegliarsi presto e gli permetteva di avere poi una buona parte della serata libera. Inoltre in quei casi si dedicava ad allenamenti un po’ più pesanti, sapendo di potersi riposare dopo e di non dover essere sveglio e carico per affrontare una serata lunga e piena di ordinazioni. Quel giorno quindi aveva portato con sé il borsone della palestra, lasciandolo in auto durante il turno lavorativo e poi si era diretto al B-side senza neppure fare prima una tappa a casa sua. Era stato felice di trovare Darko in turno e alcuni membri del piccolo gruppetto che era venuto a crearsi negli ultimi mesi. -Oggi voglio uscire da qui senza energie! - aveva detto a Darko, con un sorriso stampato sul volto e l’istruttore aveva sorriso con aria beffarda per poi prenderlo in parola, ideando uno degli allenamenti più duri che avesse mai fatto. Lo aveva visto sghignazzare con aria fiera quando, al termine delle due ore di allenamento, si era accasciato sul pavimento, completamente senza fiato e pieno di dolori ai muscoli. Una serata che sicuramente non avrebbe dimenticato. Aveva impiegato cinque buoni minuti a rimettersi in piedi, grazie all’aiuto di Mik, che lo aveva praticamente sollevato di peso e messo in piedi con la forza dei suoi bicipiti scolpiti. Si era chiesto quanti anni gli ci sarebbero voluti per avere delle braccia come quelle.
    Diversamente dal solito aveva scelto di tornare a casa per farsi una doccia e indossare degli abiti diversi da quelli del lavoro per andare a fare un giro. Era rimasto una buona mezz’ora sotto l’acqua, cercando di rigenerare il corpo dopo quella serata massacrante e poi, stanco ma felice, aveva preso la sua giacca ed era uscito, alla ricerca di un locale dove andare a bere qualcosa. Aveva scritto a Freya, sperando che fosse libera per trascorrere un’oretta insieme, ma non gli aveva neppure risposto, segno che doveva essere particolarmente impegnata. Lo incuriosiva molto il suo lavoro, ma evitava sempre di fare troppe domande. I suoi casi erano sempre cose top secret di cui non poteva fare parola e non era divertente porre sempre una raffica di domande che rimaneva nell’aria. Chissà quando sarebbero riusciti a trovare il tempo di andare a vedere un’altra partita insieme, gli mancavano i tempi spensierati in cui erano soltanto due ragazzini che si ritrovavano a casa dei nonni per le feste. Sorrise a quel pensiero mentre parcheggiava l’auto a qualche metro dal Karlsberger Pub. Era un posto dove andava spesso dopo la palestra perché si trovava a qualche centinaio di metri dal B-side ed era quindi un luogo di raccolta per loro. Era un locale abbastanza piccolo, ma molto accogliente, che trasmetteva anche della buona musica. Una volta varcata la soglia riconobbe subito le due cameriere in turno, rivolgendo loro un sorriso e un saluto con la mano, mentre si muoveva in mezzo ad alcune persone in piedi per raggiungere il bancone. Sembrava decisamente affollato quella sera, chissà che non si fosse perso qualcosa. Ordinò una birra e qualche stucchino, sedendosi al bancone con aria tranquilla per poi guardarsi attorno. Riconobbe il volto familiare di Sky, dall’altra parte del bancone, a circa una ventina di metri da lui e le rivolse un cenno di saluto. I rapporti tra di loro erano migliorati un po’ dal compleanno di Jessy, anche se non si poteva dire che avessero iniziato di nuovo a frequentarsi come ai vecchi tempi. Si salutavano, qualche volta chiacchieravano un po’, ma non si erano mai sentiti nel tempo libero, né si erano dati appuntamento per bere qualcosa. La notò in compagnia di un altro ragazzo e aggrottò appena le sopracciglia, cercando di capire chi fosse. Aveva pensato di avvicinarsi, ma non voleva certo disturbarla in caso si fosse trattato di un appuntamento. Dopo quello che era accaduto con Andrew sarebbe stato giusto anche per lei riuscire a ritrovare un po’ di tranquillità e qualcuno con cui condividere un po’ del suo tempo. La vide rivolgergli un’occhiata strana però, come se qualcosa non andasse e allora si fece più attento, sporgendosi appena in avanti, come per intercettare un altro gesto, o una parola. -Vengo da te? - mimò, con le labbra e un gesto della mano. Ad un’occhiata più attenta il tipo che stava a qualche centimetro da lei non gli sembrava più così tranquillo.
     
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    Sakura Blossom

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    Skylar May Lundberg

    Quella notte aveva sognato di essere in cabina di pilotaggio, sembrava tutto normale finché non si rese conto che non c’era alcun vetro tra lei e il cielo. Per un istante ebbe paura, ma quella sensazione scivolò via dalla sua pelle come un telo di seta. Più si guardava attorno e più si sentiva a casa, i banchi di nubi erano suoi amici, e il vento un guardiano invisibile. Chissà perché aveva così paura degli aerei, nemmeno se lo ricordava in quel momento. Un arcobaleno fece capolino tra le nuvole, come a volerla salutare con tutto lo splendore dei suoi colori. Skylar non lo ricordava esattamente così pilotare un aereoplano, c’era qualcosa, un sussurro remoto, che l’avvertiva di stare in guardia. Appoggiò le mani con fermezza sulla cloche, come se tutto il suo corpo le dicesse di prepararsi al peggio, e poi si svegliò.
    Non era matida di sudore come le capitava la maggior parte delle volte che faceva un sogno, di sicuro perché per la prima volta non aveva visto sangue e lo schianto del suo volo di tanti anni fa. La sua terapista le diceva sempre che quando le notti si coloravano di tonalità felici, era un buon segno, un progresso inconscio della sua mente. Skylar invece lo trovava strano, come se dietro l’arcobaleno ci fosse un incubo ben nascosto e pronto ad assalirla. Era prevenuta, Helen glielo ripeteva sempre, ma non era difficile da comprendere viste le disgrazie che avevano costellato la sua vita negli ultimi anni. Farsi schermo persino dalla felicità era una difesa, un meccanismo involontario che Skylar adottava per sentirsi al sicuro. Aveva visto troppi orrori per potersi permettere di lasciarsi trasportare con fiducia dagli avvenimenti o dagli altri. Scacciò via quel pensiero sventolando la mano in aria, come se fosse un insetto fastidioso, così facendo spostò solo un po’ di buio nella sua stanza. Rimase sdraiata nel letto in silenzio, ascoltando il ticchettare dell’orologio della cucina, un acquisto di Petra per dare personalità al loro appartamento. Chissà che ora era, dalla finestra non filtrava altro che oscurità screziata da sottilissime scaglie argentate, la luce della luna era flebile quella notte. Skylar si tolse il lenzuolo di dosso coi piedi, poi si alzò in piedi e si diresse verso la finestra per aprirla. Il vento leggero le accarezzava il viso, come la mamma premurosa che non aveva mai avuto. Tove era un osso duro, la sua malattia non le aveva mai permesso di essere la figura di riferimento di cui le due figlie avevano avuto bisogno. Eppure se l’erano cavata bene anche da sole, camminando sulle loro gambe, fragili, ma instancabili. Un passo dopo l’altro lei e Petra si erano addentrate nella vita, alcune volte erano finite in delle strade che sembravano condurre solo al peggiore degli scenari, invece altre avevano sorriso davanti a sentieri aperti e baciati dal sole. In fondo la vita non era altro che un alternarsi di dolori e gioie, affinché dopo aver sperimentato le prime si potessero compendere le seconde.
    ”A guardare le stelle sembra che siano le due.” mormorò a se stessa stringendosi le braccia attorno al petto, un alito di vento più impertinente degli altri le aveva fatto venire i brividi lungo la schiena. Socchiuse la finestra e si diresse in cucina, non aveva molto sonno, così decise di prepararsi un tè rilassante. Prese una confezione dai colori brillanti, era il tè natalizio che si era fatta spedire da Londra da una sua collega della Fly Besaid. In effetti era un po’ fuori stagione per mela, cannella e un augurio di pace nel mondo, ma per un’amante del Natale come Skylar ogni momento era una preparazione al suo periodo dell’anno preferito. Mise il tè in infusione, appoggiandosi con la schiena accanto ai fornelli. L’odore che riempiva la cucina era dolciastro e speziato, le ricordava i mercatini natalizi in giro per il mondo. Quando volare non le pugnalava il sonno, sentiva una punta di nostalgia per i suoi viaggi e per quei voli pieni di ricordi che ancora custodiva da qualche parte nel retrobottega della sua mente. Un soffocato rumore di acqua in ebollizione richiamò la sua attenzione, si mosse per automatismo, aprendo lo sportello accanto al frigo per prendere la sua tazza coi fiori. Tornò verso i fornelli e la riempì fino all’orlo. Al buio il suo tè sembrava nero, anche se socchiudendo gli occhi riusciva a vedere perfettamente la tonalità di un rosso brillante che lo contraddistingueva alla luce. Spense i fornelli e si sedette sopra l’isola della cucina, non le andava di spostare lo sgabello. Accavallò le gambe e rimase a fissare per qualche istante la penombra, la cucina era più illuminata rispetto alla sua camera, c’erano più finestre a lasciar entrare la polverosa scia della luna. Sin da quando era bambina Skylar era convinta che i raggi della luna fossero fatti di polvere, cercava di acchiapparli con le mani, ma non era mai riuscita a prenderli. Ci era rimasta male molte volte, ma Halvard aveva sempre provato a spiegarle che non poteva toccare tutto nella vita, certe cose erano fatte per essere ammirate solo con gli occhi. La Skylar adulta sorrise a quel pensiero, appoggiò una mano sull’isola appena dietro la schiena per sostenere il proprio peso. All’età di 27 anni aveva capito che suo padre non era così male come aveva sempre pensato, lo aveva incolpato del divorzio e della crisi che aveva colpito la loro famiglia, ma non aveva mai compreso la sua sofferenza, l’aveva schivata come se fosse una vergogna. Come può un genitore essere fragile? Solo tanto tempo dopo lo aveva capito, i genitori sono figli diventati adulti, fanno del loro meglio per essere l’esempio che vorrebbero dare, ma non sono perfetti.
    ”In fondo sono anime imperfette, proprio come me.”

    La palestra era affollata come sempre, Skylar faceva fatica a trovare l’uscita tante erano le persone che correvano da una parte all’altra per raggiungere la propria classe o la sala pesi. Si voltò cercando con lo sguardo Jessy, era certa che la stesse seguendo, si erano cambiate nello spogliatoio col proposito di raggiungere il Karlsberger lì vicino, ma l’aveva persa di vista. Ci mise un po’ a mettere a fuoco prima il suo borsone giallo fluo e poi il suo viso appena arrossato, ma quella non era fatica, appena sotto le guance colorite c’era un sorriso divertito. Quando un paio di ragazzi altissimi della lezione di karate le liberarono la visuale, riconobbe Jacob il ragazzo a cui Jessy stava facendo il filo da un paio di mesi a quella parte. La sua amica finalmente si voltò in sua direzione, mormorò uno “scusa” col labiale e tornò a rivolgere le sue attenzioni all’istruttore. Skylar scosse la testa, era certa che pur di proseguire la conversazione con Jacob, Jessy avrebbe partecipato alla sua lezione nonostante avesse appena terminato quella di yoga. Le rivolse un cenno di saluto con la mano, ma andò a vuoto visto che aveva smesso di guardarla da un pezzo. Si avviò verso l’uscita pensando che non avrebbe rinunciato al panino al Karlsberger di cui aveva parlato con Jessy, ormai il suo stomaco non faceva altro che rumoreggiare per ricordarle di riempirlo. Decise di passare prima a lasciare il borsone in macchina, poi avrebbe raggiunto il pub a piedi visto che distava poche centinaia di metri dalla palestra. Le piaceva camminare, l’aiutava sempre a liberare la mente, non che ne avesse troppo bisogno dopo la lezione di yoga. Lanciò il borsone nel cofano e si avviò lungo il marciapiede sin troppo familiare, ormai conosceva ogni gomma incrostata sull’asfalto e la barbona dal vestito viola che aspettava l’autobus tutto il giorno, ma nessuno era mai il suo. L’aveva soprannominata “Violet” per darle un nome, la incuriosiva il fatto che avesse scelto una fermata dei bus come sua casa, forse per avere compagnia oppure per avere l’illusione di poter andare davvero da qualche parte. Skylar ogni tanto le portava qualcosa da mangiare, rimanendo a chiacchierare con lei del più e del meno, la maggior parte del tempo parlavano del meteo e del piccione che interrompeva il pisolino pomeridiano di Violet. Non erano conversazioni particolarmente divertenti o profonde, ma Skylar aveva la sensazione che la signora in viola ogni tanto necessitasse di compagnia. Chi non ha bisogno di avere accanto qualcuno nella vita?
    Con quel pensiero nella testa arrivò davanti al Karlsberger, si accomodò al bancone e salutò la barista con un sorriso caloroso. Ormai conosceva tutti i dipendenti li dentro, ci andava spesso dopo palestra, e non era difficile incontrare tutti gli altri allievi della B-side. Erano un gruppo rumoroso e sempre festante, a lei piaceva quel tipo di atmosfera, le faceva bene all’umore che ogni tanto non voleva saperne di sfiorare l’allegria con le dita.
    ”Cosa ti porto?”
    ”Il solito, più un panino prosciutto e pesto all’italiana!”
    ”Qui qualcuno ha fame, te ne farò fare uno maxi size.”
    ”Mi vizi, grazie Kristin.”
    Fece per appoggiarsi allo schienale che lo sgabello non aveva e per poco non cadde, trattenne una risatina e si appoggiò coi gomiti al bancone sperando che nessuno l’avesse vista. Con la coda dell’occhio notò un ragazzo accanto a lei che sghignazzava, aveva una birra quasi finita tra le mani e un paio di bottiglie vuote lo fissavano vacue dal bancone. Skylar gli rivolse una smorfia poco decifrabile, era infastidita dall’ilarità dello sconosciuto, ma venne distratta dall’arrivo del suo panino e del succo d’ananas.
    ”Grazie!” non indugiò neanche un istante, addentò il suo panino con la sensazione di star mangiando la cosa più buona del mondo tanto aveva fame.
    ”Ti servirebbe una birra con quello, altrimenti come lo mandi giù?” quel ragazzo apparentemente un po’ nerd per via degli occhiali e del gilet su una camicia a righe, aveva una voce che non si abbinava affatto al suo aspetto. Sembrava che avesse appena fumato un intero pacchetto di sigarette tanto suonava roca e sgradevole la sua voce, ogni parola pareva impregnata di uno spesso strato di nicotina. Skylar gli rivolse un’occhiata diffidente, non le piaceva il modo in cui si era sporto nella sua direzione, stava invadendo il suo spazio personale con quel naso pronunciato e il forte odore di sigarette che emanava.
    ”Sei una timida, eh? Hey, Kris, una birra per la bionda, magari si scioglie.” la cameriera non si voltò nemmeno a guardare il tipo, era palese che lo avesse sentito, ma il suo rimanere a distanza mise Skylar in allerta. Iniziò a guardarsi attorno alla ricerca di un posto libero per allontanarsi, ma le sedute al bancone erano tutte occupate. Cercando una via di fuga notò James seduto poco lontano da lei, si voltò col busto completamente rivolto verso di lui per nascondere il cenno che gli fece con la mano, un SOS tacito, con un movimento eloquente delle dita gli chiese di avvicinarsi. Annuì in sua direzione quando le chiese conferma del suo gesto, nel frattempo lo sconosciuto le mise una mano sulla spalla, smuovendo nell’aria un odore di tabacco misto a sudore. Skylar arricciò il naso per il disgusto e si girò verso di lui per tenere d’occhio i suoi movimenti, quel tipo non le piaceva affatto. Per fortuna che lei e James avevano trovato un buon equilibrio nel loro rapporto ultimamente, non erano più ai ferri corti, ma nemmeno buoni amici ad essere onesti. Erano in uno strano limbo di cortesia e ritrovata simpatia, ma non avevano più avuto modo di parlare a lungo come la sera del compleanno di Jessy.
    ”Biondina, dovresti ringraziare un uomo quando ti offre da bere.” quelle parole interruppero i suoi pensieri, si ritrovò ad aggrottare la fronte infastidita da quella presenza molesta. ”Anche se non è stato accettato il drink? Io non bevo.” disse tirandosi appena indietro con la schiena. In quel momento venne affiancata dalla figura di James, non riuscì a trattenere un sospiro quando lo vide. ”Ciao, James! Ti aspettavo, sei in ritardo per il nostro appuntamento!” si finse piccata per quel ritardo inventato, sperò che comprendesse il suo gioco senza doversi spiegare più di tanto. Si alzò in piedi di scatto prendendolo sottobraccio d’istinto, si accostò al suo orecchio cercando di mantenere la voce bassa per non farsi sentire. ”Non so chi sia questo tipo, portami via, per favore.” dovette mettersi in punta di piedi per arrivare all’altezza giusta, poi tornò a poggiare i talloni a terra.
    ”E questo chi è? Non eri con me, bionda?” lo sconosciuto si avvicinò di un paio di passi ad entrambi, allargando le spalle per far mostra del petto piuttosto ampio, probabilmente anche lui frequentava il B-side. In effetti presa com’era ad evitare i suoi tentativi di rimorchio, non aveva notato che aveva un fisico ben piazzato sotto l’abbigliamento da nerd.
    ”Veramente io sono venuta da sola, ma lui è...” strinse di più la presa attorno al braccio di James, non le veniva una bugia adatta in quel momento, se gli avesse detto la verità avrebbe solo peggiorato la situazione. Per una frazione di secondo le sue dita si soffermarono sulla pelle del suo amico e sulla muscolatura ben delineata, respinse i pensieri che conseguirono a quel contatto con rapidità, doveva salvarsi da quel tipo molesto e soprattutto tornare al suo panino. ”James è il mio ragazzo, ecco." lo disse senza riflettere, sgranò gli occhi quando si rese conto di ciò che le era appena uscito dalla bocca. Si voltò verso il ragazzo mimando uno “scusa” con la bocca, mentre la presa sul suo braccio non cedeva di un millimetro, aderì contro la porzione di pelle lasciata scoperta dalla mezza manica. Non sapeva spiegare bene perchè, ma quella vicinanza le dava un senso di sicurezza, appoggiò delicatamente la testa sulla sua spalla, inalando il profumo di bagnoschiuma che emanava la sua pelle. Skylar rimase ferma, incerta su cosa fare o dire, era confusa da quella situazione così strana.
    ”Non sembrate una coppia. Bionda, non mi predere per il culo.” c’era un accenno di rabbia nella voce dello sconosciuto, che portò Skylar a indietreggiare di un passo. Sarebbe stato saggio richiedere l’intervento della sicurezza, sempre che nel locale ci fosse, ma il rumore del cuore che batteva prepotentemente nel petto e nelle orecchie le impediva di ragionare in maniera pratica. Si voltò verso James in cerca di una risposta o di un suggerimento, i suoi occhi chiari s’incollarono ai suoi interrogandoli sul da farsi. Non poteva far altro che fidarsi di lui.

    Edited by Aruna Divya - 24/8/2021, 21:49
     
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    Iniziava a trovare la sua strada, una forma di equilibrio in mezzo a tutto il caos che si agitava all’interno della sua mente. Gli incontri al centro Aerial lo avevano aiutato molto in quegli anni, permettendogli di conoscere altre persone che, come lui, non si trovavano del tutto a loro agio con l’utilizzo delle particolarità. Aveva imparato a sentirsi meno strano, ad accettare il fatto di avere dei problemi con delle stranezze e che quei problemi non lo rendevano una brutta persona. Tutti avevano le loro pecche, alcune più gravi di altre e in fin dei conti la sua non era neppure così condannabile. Certo, a tratti era un po’ invidioso dei suoi concittadini che riuscivano a vivere la cosa con leggerezza, come se fosse l’assoluta normalità, ma forse anche lui un giorno avrebbe smesso di pensarci e di ritenerlo assurdo. Riuscire a ignorare la sua particolarità era già un passo avanti, così come il fatto che non si attivasse da sola in circostanze di eccessivo stress. Si sentiva meglio se pensava di essere di nuovo padrone di se stesso e del proprio corpo e che nessuna strana forza lo avrebbe più messo a dura prova. Con quella sicurezza aveva anche recuperato maggiore leggerezza e più voglia di uscire e di conoscere altre persone. Non sentendosi più eccessivamente a disagio riusciva a tirare fuori la parte più allegra di sé, quella che non si faceva scoraggiare dalle brutte giornate e che anzi le considerava un modo per apprendere qualcosa. Doveva prendere le cose a piccole dosi, Max glielo diceva da mesi. Non poteva sperare che tutto si risolvesse in un istante e avrebbe dovuto avere ancora pazienza, ma era certo che presto quegli anni che si stava lasciando alle spalle sarebbero stati solo un brutto ricordo, una porta chiusa da non riaprire per nessun motivo al mondo, affinchè gli anni successivi proseguissero sereni.
    Si era fatto molti nuovi amici, altri invece erano come riapparsi dalla sua vita in Irlanda in maniera del tutto inaspettata, come Sirius, l’amico di infanzia che era finito a fare il parroco proprio nella cittadina norvegese. Quando lo aveva incontrato in città, quasi per caso, aveva pensato che il mondo fosse proprio un luogo strano se, tra tutti gli angoli del mondo, l’amico era finito proprio lì. Era stato bello ritrovarlo però, lo aveva fatto sentire per un momento un po’ più a casa, come se in fin dei conti nulla fosse cambiato, anche se entrambi erano parecchio cresciuti da quei giorni spensierati in Irlanda. Era stato poi proprio grazie a Sirius, che li aveva fatti ricontrare, che lui e Bellatrix avevano finito con il frequentarsi per diversi mesi. Era stato bene, per qualche tempo gli era persino sembrato di essersi lasciato alle spalle i fantasmi del passato, di essere finalmente pronto a ricominciare, ma purtroppo non era stato così ed entrambi avevano preferito allontanarsi, mantenendo buoni rapporti, piuttosto che impuntarsi su una relazione che non sarebbe mai giunta da nessuna parte. Sembrava condannato a incontrare sempre la donna sbagliata al momento sbagliato, non facendo che accumulare una serie di relazioni lunghe ma purtroppo mai davvero durature. Anche in quel momento, con lo sguardo perso dentro al bicchiere che teneva tra le mani, pensava a Sibylla e a come lui avesse del tutto frainteso i segnali della donna. Si erano lasciati da qualche mese, eppure la scottatura che si era preso bruciava ancora, come se fosse appena successo. Certo, era adulto, e aveva già appreso come andare avanti dopo quel genere di situazioni, ma il fatto che non facesse che collezionare un fallimento dietro l’altro in campo amoroso non rendeva le rotture più semplici. Forse la vita stava cercando di mandargli un messaggio, di fargli capire che stava molto meglio da solo e che era quindi il caso di smettere di buttarsi in tutte quelle relazioni. Magari un giorno la persona giusta sarebbe arrivata senza che lui neppure se ne accorgesse, oppure non lo avrebbe mai trovato. Lui di certo non poteva saperlo.
    Scosse il capo con aria divertita immaginandosi come un vecchietto dai capelli bianchi e la schiena ricurva che correva dietro i figli di sua cugina o magari di qualche amico, ancora solo. Era uno scenario divertente se evitava di prenderlo troppo sul serio. Di sicuro sarebbe stato un ottimo zio. Mandò giù un altro sorso di birra, allungando una mano verso uno degli stuzzichini che aveva chiesto come accompagnamento. Non aveva molta voglia di preparare la cena per quel giorno, quindi si sarebbe limitato alla consumazione che aveva ordinato, prendendosi quel tempo per stare un po’ da solo e fare pace con i suoi pensieri. Da quanto tempo dopotutto non si prendeva dei momenti per capire cosa gli frullava in testa e come stava andando il suo processo di guarigione? Sollevò lo sguardo quindi, intercettando quello conosciuto di Skylar che se ne stava dall’altra parte del bancone, con davanti un bel panino che però sembrava ancora quasi intero. Le sorrise, rivolgendole un cenno della mano, come se fosse una serata come tante. Aveva ripreso a salutarsi e a scambiare qualche parola se capitava di incontrarsi per i corridoi della palestra, ma non poteva certo dire di essere diventati migliori amici, quindi il suo pensiero non fu quello di raggiungerla, quanto piuttosto quello di lasciarle godere della sua serata o della sua cena in santa pace. Fu però lo sguardo sin troppo serio che lei gli rivolse, insieme ad uno strano gesto della mano, che sembrava voler chiedere aiuto, a fargli trattenere lo sguardo su di lei ancora per un po’. Si sporse appena in avanti, osservandola meglio, per poi cercare di comunicare a distanza con lei, chiedendole se voleva che la raggiungesse, notando un cenno affermativo da parte sua. Abbandonò quindi velocemente la sua birra sul bancone, insieme a tutto il resto, muovendosi in maniera veloce, senza però correre in maniera palese, per evitare di attirare l’attenzione. Qualunque cosa stesse accadendo dubitava che Sky volesse farne una faccenda di dominio pubblico. Che si trattasse del suo ex? Era tornato e ora la stava infastidendo?
    Impiegò comunque meno di un minuto a raggiungerla, sfiorando la sua schiena proprio mentre la ragazza cercò di arretrare per sottrarsi alle attenzioni di un tizio, seduto proprio a pochi centimetri da lei. La sentì indispettita nel lamentarsi del ritardo al loro appuntamento e lui abbassò appena il capo, dandole un leggero bacio sulla testa, continuando a rimanere alle sue spalle. -Scusami tesoro, non riuscivo proprio a trovare parcheggio. - disse, cercando di dare corda alla sua messa in scena e di renderla il più credibile possibile. Non gli diede però molto tempo per adattarsi che subito si alzò in piedi, afferrando il suo braccio sinistro e chiedendogli di portarla fuori da lì perché non conosceva quel tipo e di certo non sembrava una compagnia particolarmente gradita. L’energumeno fece un passo in avanti, lamentandosi di quel nuovo ingresso, come se fosse stata sicuro ormai di aver fatto colpo sulla bionda con i suoi ottimi modi. Le parole della ragazza non suonarono molto convincenti mentre affermava che loro due stavano insieme. Era visibilmente nervosa, troppo spaventata e preoccupata per poter rendere credibile una cosa come quella e infatti l’uomo non la bevette. La vide scusarsi mentre posava la testa contro il suo petto, come a mimare un gesto d’affetto, mentre continuava a stringere forte il suo braccio, come se avesse bisogno di qualcosa a cui aggrapparsi per evitare di cadere. Le cinse i fianchi con il braccio libero, muovendo un passo all’indietro, insieme a lei, per cercare di allontanarla almeno un minimo dall’energumeno che continuava ad avanzare verso di loro. -Ehi amico, non è abbastanza chiaro che la ragazza non è interessata? - chiese quindi, provando a fare breccia sul suo orgoglio per cercare di allontanarlo, beccandosi in cambio un’occhiataccia. -Noi non siamo amici e non mi interessa quello che pensi tu. - si lamentò quindi, allargando ulteriormente le braccia, forse un invito a farsi sotto se davvero ci teneva.
    -Andiamo, cerchiamo un altro locale, questo mi sembra troppo pieno stasera. - disse poi, ammorbidendo il tono di voce mentre si rivolgeva di nuovo a Sky, abbozzando anche un leggero sorriso, mentre, facendole fare una leggera piroetta, la portava dall’altro lato rispetto all’energumeno, frapponendosi ora in mezzo a loro. -Inizia a camminare, non preoccuparti. - la invitò, a bassa voce, aspettando che lei allentasse appena la presa sul suo braccio. Stringeva forte per essere una che faceva solo lezioni di yoga. -Dove diavolo pensate di andare? - si lamentò ancora l’altro, visibilmente contrariato dall’essere appena stato ignorato. Fece giusto in tempo a voltarsi nella sua direzione, sperando di poter continuare a parlare, quando invece un bel gancio destro gli arrivò dritto sullo zigomo, spostandogli il volto. -Ehi, ma che cazzo? - si lamentò, riuscendo a svincolarsi dalla presa di Sky e schivare un secondo colpo che lo mandò di pochi centimetri. Serrò la mascella, indispettito da quella reazione esagerata. Non era certo il primo a cui veniva detto di no e quella non era certo la maniera di reagire se si voleva sperare in risposte differenti la volta successiva. Lo vide abbassare il capo, cercando di caricare per buttarlo a terra e allora James allungò una mano verso il bancone, stringendo forte il granito di cui era composto e attivando la sua particolarità. La craniata non lo fece spostare neppure di un millimetro. Tutto il suo corpo aveva assunto la durezza della pietra e l’altro sembrò incassare il colpo, toccandosi il capo con aria dolorante, mentre continuava a inveire. Si voltò quindi di nuovo verso la ragazza, rivolgendole un cenno verso l’uscita. -Approfittiamone. - le sussurrò, afferrando la sua mano e iniziando ad avanzare in mezzo alla folla, sperando che le altre persone li coprissero e gli permettessero di seminare lo strano individuo. La sua mano era fredda e sin troppo dura per dare l’impressione che si trattasse di un tessuto umano, ma lui non ci badò in quel momento e sperò che anche lei facesse lo stesso.
    Dopo pochi secondi sentì di nuovo la voce dell’uomo che gridava nella loro direzione. Doveva essersi fatto un bel bernoccolo con quella testata ma a lui non importava, se lo era meritato. Continuò ad avanzare quindi, raggiungendo il parcheggio di fronte all’edificio. -Stai bene? - le domandò, prendendosi poi un momento per sospirare appena. Iniziò a sentire la mano tremare appena e perse il contatto con quella di Sky, che non riusciva più a percepire. Si lasciò andare ad un verso seccato, dandosi alcuni colpetti sulla coscia con la mano sinistra, cercando di risvegliarla, anche se sapeva che non sarebbe stato così semplice. Si mosse di alcuni passi, cercando di calmarsi a sua volta, per poi rivolgere lo sguardo in direzione della bionda, cercando di forzare un sorriso. -Facciamo due passi? Ti offro qualcosa da mangiare da un’altra parte. - le propose, per poi indicare con un cenno una delle due direzione e attendere una risposta veloce da parte sua prima di incamminarsi. -Immagino che uscirà anche il tipo e non ho voglia di chiacchierarci di nuovo. - aggiunse quindi, come a giustificare tutta quella fretta nell’andare via. Non gli piaceva usare la sua particolarità e neppure usare la violenza, quindi cercava di sottrarsene il prima possibile.
     
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