As long as we have books, we are not alone

Bea e Xav

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    Non sapeva che cosa le avesse detto la testa quando aveva deciso di mandare qualche curriculum in giro per il mondo. Aveva capito di voler cambiare aria, di avere bisogno di qualcosa di diverso, ma non aveva davvero pensato che qualcuno di quegli istituti scolastici avrebbe potuto risponderle. Invece ora che le avevano risposto proprio da un paesino della Norvegia si sentiva in qualche modo elettrizzata. Teneva il telefono tra le mani, con la mail appena ricevuta ancora aperta davanti a lei e un sorriso stampato sul volto. Aveva dovuto rileggerla tre volte prima di iniziare a credere che quello che stava vedendo fosse reale, che di lì a giorni avrebbe potuto fare un colloquio per una posizione come insegnante di inglese in una delle scuole della città. Era arrivata a Besaid da qualche giorno per tutt’altri motivi, ma poter convogliare le due cose era senza dubbio una cosa positiva. Si portò una mano alle labbra, come a voler coprire quel sorriso radioso, oppure verificare che ci fosse davvero, poi sollevò lo sguardo verso lo specchio della piccola camera d’albergo dove alloggiava e lo vide ritratto sul suo volto. Si sentiva felice come non lo era stata da tempo e in qualche modo anche libera da tutto ciò che la sua famiglia aveva sempre cercato di imporre nella sua vita. Aveva bisogno di ricominciare, di mettere una pietra sopra a tutto ciò che le era successo e trovare una strada che fosse tutta per sé, questa volta senza bugie, senza cose non dette. Perché alla lunga i segreti si accumulavano, divenendo pile troppo pesanti da riuscire a sopportare, che distruggevano tutto ciò che toccavano, ed era questo che era accaduto tra lei e Xavier, anni prima. Avrebbe dovuto essere sincera con se stessa e con lui sin dall’inizio, invece si era ottusamente convinta di poter nascondere tutti quei pensieri e costruirsi una vita che non sarebbe mai stata adatta a lei.
    Erano passati anni da quel detto sull’altare, davanti alle loro famiglie e ancora altri anni da quando lei lo aveva aspettato, seduta al tavolo della loro cucina, per dirgli che aveva deciso di andare via. Ricordava ancora lo sguardo che le aveva rivolto, per nulla felice di accettare quella che era stata una decisione presa solo da lei. Non poteva conoscere l’universo che si agitava dentro la sua mente, perché lei non gli aveva mai permesso di farne parte. Era certa che in qualche modo entrambi si fossero amati negli anni trascorsi insieme, l’uno accanto all’altra. Un modo incredibilmente bizzarro, diverso da quello di tutte le altre coppie, dal batticuore, da quella sensazione di formicolio allo stomaco che tutti descrivevano. Ricordava di averlo guardato con un bagliore negli occhi nei primi tempi, di essere rimasta ad ascoltarlo per ore, come se lui con le sue sole parole avesse potuto creare interi mondi dove smarrirsi. Era quello che aveva sempre amato di lui, la potenza delle sue idee, il carisma delle sue parole, il modo che aveva di sedersi, di muoversi, di sorridere. Non aveva dimenticato nulla dei loro primi mesi, di quell’euforia universitaria con cui si era buttata a capofitto anche su quello, senza pensare troppo, catturata da qualcosa che forse esisteva solo nella sua testa. I problemi erano arrivati solo dopo, quando aveva aperto gli occhi e aveva capito di non poter fingere per sempre, non era una mai stata brava nell’essere una bugiarda. Così tante volte dopo essere andata via si era chiesta come avesse fatto lui a non vedere ciò che doveva essere sempre stato chiaro dentro i suoi occhi. La verità probabilmente era che da mesi avevano smesso di guardarsi, di passare del tempo insieme. Erano come due estranei che popolavano uno stesso ambiente, percorrendo però due binari diversi per raggiungere le stesse stanze.
    Sospirò, muovendo qualche passo per andare a prendere il foglietto giallo che aveva lasciato sul comodino dove aveva appuntato l’indirizzo che lui le aveva dato giusto il giorno prima. Avevano ricominciato a scriversi da qualche mese, in maniera sporadica. Aveva trovato il coraggio di farlo quando aveva saputo di suo padre, anche se aveva creduto che lui non avrebbe risposto al suo messaggio. Invece l’aveva sorpresa, ancora, come tante volte aveva fatto in passato, strappandole un piccolo sorriso. Non avevano mai davvero chiuso il loro matrimonio sulla carta, era ancora un’ombra che aleggiava tra loro e che nessuno dei due aveva più affrontato dopo quel giorno lontano. Erano anni che lei aveva fatto preparare i documenti necessari a porre fine a quello che li aveva legati, ma non aveva mai avuto il coraggio di scrivergli per raccontargli tutto, per dirgli tutte quelle cose tenute sospese che lui meritava di sapere. Era partita per la Norvegia proprio con l’idea di rivederlo, capire che cosa gli fosse accaduto, sapere come fosse cambiata la sua vita in quegli ultimi anni. Sperava poi di riuscire a parlargli di lei, per la prima volta, come non aveva mai fatto, ma ancora dubitava di riuscirsi, almeno nel breve tempo. Per quel giorno infatti voleva solo passare un po’ di tempo con lui, in tranquillità. Era felice di poter assistere alla presentazione del suo libro. Aveva sempre creduto che sarebbe riuscito a pubblicare, anche se purtroppo non aveva potuto vivere accanto a lui quel momento, come invece da anni faceva con Anastasija, curando i suoi testi prima che raggiungessero la luce. Era stata molto felice di sapere che anche lui c’era riuscito, che il suo sogno stesse divenendo realtà, un gradino alla volta.
    Osservò il sottile orologio che teneva al polso e poi si mosse velocemente verso la sua valigia. Doveva fare presto se voleva arrivare in orario e non perdersi neppure un momento. Almeno questo pensava di doverglielo. Indossò abiti semplici, come era solita fare, scegliendo per quell’occasione un vestito con una fantasia floreale e poi un soprabito color panna. Aveva pettinato con cura i capelli, andandoli poi a stringere all’interno di una treccia che ricadeva in maniera piuttosto ordinata sulla sua spalla sinistra. Sorrise mentre si osservava, ancora troppo felice della mail che aveva ricevuto per poter spegnere il suo entusiasmo con un colpo di spugna. Prese sotto mano il libro che aveva acquistato il giorno prima, per non rischiare di rimanere senza una copia e si mosse velocemente per raggiungere a piedi la libreria dove si sarebbe tenuto l’incontro. Passeggiò tranquilla, alternando lo sguardo da destra a sinistra per cercare di cogliere quanti più dettagli di quella cittadina, lasciando che il navigatore del suo telefono le dicesse dove andare, parlandole attraverso gli auricolari che aveva indosso. Non aveva scritto a Xav neppure un messaggio quella mattina, preferendo lasciargli il tempo di prepararsi e ripassare eventuali discorsi. Avrebbero avuto tanto tempo per parlare, doveva solo pazientare un po’. Trovò la libreria colma di persone in attesa di entrare e istintivamente si voltò alla ricerca dell’unico viso conosciuto che sperare di intercettare quel giorno, senza tuttavia ancora riuscire a vederlo. Sarebbe arrivato molto presto probabilmente, ma lei doveva essere un po’ in anticipo. Seguì il fiume di persone verso l’ingresso, mettendosi in fila come tutti gli altri, il suo libro ancora stretto sotto il braccio, come un prezioso tesoro da tenere al sicuro. Osservò gli scaffali della libreria una volta al suo interno, perdendosi davanti a tutti quei titoli di cui non conosceva bene il significato. Aveva iniziato a studiare un po’ di norvegese prima di partire, per pura curiosità, ma ancora non poteva dire di aver appreso molto, quindi immaginava che non sarebbe riuscita a cogliere molto dei discorsi che avrebbe sentito, ma non importava, la pazienza era sempre stata una delle sue doti.
    Colse la figura familiare del suo ex marito attraverso una vetrata e sorrise appena, facendosi un po’ in disparte per evitare di essere vista prima del tempo. Lo osservò per tutto il suo discorso, mostrandosi appena, di sfuggita, rimanendo in piedi vicina a uno degli scaffali, sulla sinistra. Sorrise ad ogni sua parola, rimanendo in religioso silenzio mentre cercava di capire quello che diceva. Gli avrebbe chiesto di fargli un piccolo riassunto, una volta soli, ma sembrava così fiero e deciso da rendere comunque l’atmosfera piacevole. Ad un tratto, in mezzo al suo discorso, lo vide sollevare appena il capo nella sua direzione e allora il suo sorriso si fece appena più largo, nella speranza che lui l’avesse notata, senza tuttavia muovere neppure un altro muscolo del suo corpo, continuando a rimanere ferma, ancora per un po’. Soltanto quando anche le altre persone si mossero, facendo al fila per avere un autografo o magari una dedica dall’autore, si mise in fila insieme a loro. Percepiva il suo cuore battere all’impazzata nel suo petto mentre si avvicina finalmente a quell’incontro che aveva rimandato troppo a lungo. -E’ molto bello vederti così felice. - gli disse soltanto, allungando la copia del suo libro verso di lui, senza che il sorriso si spegnesse per un solo istante. Le era mancata molto, anche se era difficile ammetterlo.
     
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    Le dita che infilarono l'ultimo di una fila indiana di bottoni lungo la camicia tremarono un po', l'uomo diede poi una tenace scrollata ai polsini per allisciare ogni possibile piega e guardarsi infine allo specchio, un oggetto antico dalla cornice di spesso ottone, unico tra centinaia di ricordi dell'America che si era portato dietro. Aveva promesso di conservare gli altri nell'antro più luminoso della mente, almeno finché vi fosse rimasta la luce.
    Non era la prima volta che affrontava una giornata come quella, ma stavolta sembrava diverso. Per un motivo o per un altro, mentre Xavier si preparava per la giornata inaugurale del suo nuovo romanzo, l'emozione era più palpabile che in passato e gli stringeva lo stomaco in leggeri ma ciclici spasmi. Come a ricordargli, silenziosamente, oggi ti giochi il tutto e per tutto. Dopo il grande successo del suo primo libro infatti, nonostante il suo editore gli sparasse fiato sul collo ogni due giorni circa Xavier non aveva più scritto niente, partorendo solamente una sciocca raccolta di storielle firmate sotto pseudonimo che erano andate, ma sarebbero potute andare meglio. Il fatto è che è difficilissimo essere alla pari del primo romanzo d'esordio, sopratutto se quest'ultimo ti ha reso qualcuno; il suo mentore diceva sempre che il primo boom può capitare per fortuna e ti dà soldi, ma che il vero valore di uno scrittore risiede tutto nel suo secondo lavoro. Con quelle parole in testa Xavier aveva buttato anima e corpo in quel progetto, passando giornate chino sul computer e notti insonni a revisionare l'operato delle ore diurne spostando climax, approfondendo personaggi e, in più di un'occasione, eradicando interi plot che non servivano più. Si ravviò indietro i capelli freschi di barbiere, sempre il solito degli ultimi anni, quando aveva dato un taglio alle onde scure del periodo giovanile e universitario per rasare i lati della nuca. Se li ravviò per poi prende un gran respiro e annuire al proprio riflesso: era pronto a far uscire ufficialmente il suo libro e, anche, a rivedere sua moglie dopo tanto tempo.

    Arrivò davanti la libreria di Besaid come faceva sempre, ossia con largo anticipo. Il lungo cappotto sventolava nella brezza di un'estate alle porte ma non ancora così vicina, e l'uomo sostò per un po' a guardare l'interno del negozio da fuori, attraverso la vetrina splendente. C'era già qualche avventore in attesa e, dovunque guardasse, il suo sguardo veniva ricambiato dalla copertina rigida del suo libro. Dietro ogni errore, quel titolo aveva dato un gran da fare a lui e ai suoi collaboratori, che per settimane avevano discusso sulla sua validità. Era troppo tetro, lugubre, forse sarebbe stato meglio cambiarlo, ma Xavier aveva lottato per mantenerlo e alla fine aveva vinto. Dietro ogni errore era rimasto così, cupo e intrigante, con quella copertina realizzata da una fotografa che Xavier amava molto e con la quale aveva ormai stretto amicizia.
    Perché alla fine, dietro l'indagine e il mistero, alla base del romanzo c'erano proprio gli errori dietro cui tutti prima o poi si nascondevano. Rimase qualche attimo ancora sul marciapiede, le mani nelle tasche e lo sguardo azzurro all'interno della libreria in quello che era ormai un rito di quelle occasioni. Gli piaceva guardare le persone sfogliare il proprio libro senza che lui fosse ancora presente nella stanza, perché quando poi accadeva era inevitabile che influenzasse i loro stati d'animo e che si deconcentrassero, perdendo l'attenzione dalle pagine, dove invece voleva che restasse, per spostarla sul suo ruolo di scrittore.
    Alla fine però, dato uno sguardo all'orologio da polso, Xavier si decise a entrare. Parlò con il proprietario a lungo, salutò i primi clienti per poi sistemarsi in una zona a parte quando l'affluenza cominciò ad allargarsi. Quando fu l'ora di salire sulla piccolissima pedana rialzata, il cuore di Xavier batteva con inconsueta rapidità. Parlò brevemente del testo, inumidendosi le labbra a ogni pausa, le mani sulle gambe accavallate sul bordo di una sedia vellutata proprio di fronte a quella del proprietario della libreria che, in quella circostanza, fungeva anche da host dell'evento. Guardò brevemente nel pubblico, forse alla ricerca di una faccia famigliare che non vedeva da tempo e che, improvvisamente, era riapparsa nella sua vita sotto forma di messaggio. ...ma non sono io l'interesse delle giornata: lascio parlare ora le pagine, spero vi risveglino dal torpore indotto dalle mie parole. Scherzò con un leggero sorriso Xavier, mentre apriva una copia lì dove aveva lasciato il segno e iniziava a leggere l'estratto prescelto. Era un bravo lettore sin dalla scuola, ricordava che le maestre chiamavano sempre il suo nome quando si trattava di leggere ad alta voce in classe. Parlò con la solita voce un po' roca e graffiante, con la giusta cadenza e ritmo nonostante il nervosismo. Ci teneva particolarmente, in quelle pagine erano stipate parti di lui che non sarebbero uscite fuori altrimenti. C'era un po' di tutto. Un po' del padre, un po' della madre, un po' del suo matrimonio e un po' di Lyra.
    Quando finì ci furono gli applausi, la stanza era sorprendentemente piena per un autore pressoché sconosciuto da quelle parti. Felice dell'accoglienza ricevuta, Xavier passò a firmare le copie con più rilassatezza di quando era entrato.
    Chiedeva nomi, si presentava, firmava con grafia elegante per poi scambiare anche qualche parola con le persone che gli si paravano davanti, immensamente grato della loro presenza lì. Quella era, stranamente per lui, una bella giornata, e aveva ritrovato un sorriso e una luce assente da un po' di tempo nella sua persona. Quando a testa china si preparava a firmare il libro successivo, qualcosa ben prima della voce si impresse nel suo mondo, fermandolo. Erano state le mani, le dita che avevano spinto la copia facendola scivolare sul tavolo per approdare sotto al suo naso. Le unghie non troppo lunghe e precisissime, la rotondità dei polpastrelli, il bianco delle nocche venato di azzurro nei pressi dei polsi sottilissimi. Le riconobbe subito, quelle fattezze che non aveva sperato di rivedere. Alzò allora la nuca e, quando gli occhi azzurri si fermarono su di lei, qualcosa dentro fece sia bene che male. Beatrice! La guardava come se avesse appena visto un fantasma o un'apparizione bellissima. La specialità del passato è farti sentire al settimo cielo e con due piedi nella fossa. Una valanga di ricordi erano legati a quel viso, a quelle labbra e a quella voce, e lo investirono in pieno petto. Sei venuta davvero. Riuscì a ritrovare la voce, ricordandosi come si faceva a muoversi e a produrre saliva. Non fu certo del perché lo disse mostrandosi così sorpreso. Forse aveva paura che, nonostante gli accordi presi e l'invito che lei aveva accettato volentieri, alla fine non sarebbe poi venuta davvero. Inclinò il busto di lato per guardare al di là della donna, giudicando la fila ormai abbastanza breve per chiederle di aspettare. Hai cinque minuti? Finisco con le ultime persone e poi andiamo a berci un caffè. Questo te lo firmo dopo. Aveva messo il libro di lato, vicino al suo gomito, e non potè fare a meno di rispondere al sorriso che lei sfoggiava senza sosta. Perché nonostante tutto il male, Beatrice era stata per molto tempo il suo unico amore.

    Dieci minuti dopo Xavier salutava l'ultima donna e si alzava stiracchiandosi. Prese il cappotto e la borsa di cuoio da mettere a tracolla, poi afferrò tra le mani la copia del libro di Bea e si mosse per cercarla, trovandola poco dopo intenta ad osservare il dorso di alcuni libri esposti. Le fece un sorriso invitandola a seguirlo fuori dalla libreria e attraverso la strada, in un piccolo bar all'angolo in cui si accomodarono. Ma lei è lo scrittore! Buonasera! Come posso portarvi? Ordinarono, per Xavier un caffè americano, poi qualche pasta da dividersi. Mentre aspettavano, l'uomo si spinse con il busto sullo schienale e osservò l'altra di fronte a lui. Da quanto tempo Bea... Quel nomignolo. La chiamava così quando stavano insieme. L'ultima volta che ti ho vista eri in lacrime fra le mie braccia e mi stavi lasciando. Non riuscì a trattenersi. Quella, una ferita ancora pulsante. Fortunatamente la cameriera tornò con le ordinazioni, e quando Xavier riprese la parola lo fece più serenamente.
    Scusami, non ho perso il brutto vizio di fare lo scorbutico. Come stai? La tua famiglia? Ci fu una pausa nella quale Xavier si arrotolò le maniche dalla camicia e bevve un sorso di caffè. Sono contento di rivederti. Ti trovo bene. Era la verità. Nonostante il male, Beatrice aveva fatto parte di lui e certe cose non le cancella niente. Non il tempo, non il dolore.

    Edited by Dead poets society - 29/8/2021, 01:04
     
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    Erano passati anni dall’ultima volta in cui aveva visto Xavier eppure nell’istante in cui il suo sguardo si posò su di lui le parve che non fossero trascorsi che pochi mesi. Molte cose erano cambiate in entrambi, probabilmente più di quante se ne potessero vedere ad una prima occhiata, eppure l’affetto che aveva sempre provato per lui non era cambiato. Il problema, purtroppo, era che quell’affetto non era riuscito a divenire qualcosa di più. Ci aveva sperato, aveva provato in maniera testarda a far funzionare le cose, ma non si poteva cambiare la natura di qualcuno. Tentare di insegnare a un pesce a volare era solo una perdita di tempo, risorse e pazienza. Una sciocchezza che solo un pazzo avrebbe provato a fare. Chiunque con un po’ di intelletto e razionalità avrebbe compreso immediatamente che non era una strada da seguire. Eppure lei non aveva voluto vederlo, si era impuntata ed era andata dritta in quella direzione pensando con la giusta testardaggine tutto sarebbe potuto cambiare. Non era accaduto e ora si ritrovava in Norvegia, molto lontana da casa, per incontrare qualcuno che, a modo suo, era stato determinante nella sua scoperta di se stessa. Provava per suo marito lo stesso affetto che aveva provato sin dal principio e vederlo quindi dentro quella libreria, a presentare il suo libro, la fece sorridere in maniera assolutamente sincera. Diventare uno scrittore era sempre stato il suo sogno e aveva lavorato duramente per arrivare sin lì. L’aria sicura, l’abbigliamento formale, i capelli appena tagliati. L’uomo faceva il possibile per mostrarsi sereno, perfettamente padrone della vicenda, del palcoscenico figurato in cui si trovava. Qualcosa però le diceva che non era tutto lì, sulla superficie. Aveva imparato a conoscerlo nei mesi che avevano trascorso insieme, a leggere i suoi gesti, le sue preoccupazioni. Poteva dire di sapere sul conto di lui più di quanto avesse mai imparato a comprendere su se stessa. Era più facile per lei osservare gli altri, perdersi tra le loro parole, nelle loro vicende, ascoltare storie che non le appartenevano, più difficile era invece immergersi in se stessa e guardare anche ciò da cui era sempre fuggita.
    Rimase ferma, in una posizione seminascosta, ad ascoltare la presentazione del libro. Un sorriso radioso le illuminò il volto per tutto il tempo. Non era semplice interpretare le emozioni di Xavier, non era un uomo che le lasciava fluire indisturbate e che mostrava apertamente tutto ciò che pensava, ma lei riusciva a percepire la sua felicità, anche se mascherata dietro una posa composta e un’espressione tranquilla. Appoggiata con la spalla a uno degli scaffali, chiuse gli occhi per qualche istante quando lui iniziò a leggere, cercando di materializzare all’interno della sua mente ciò che sentiva. Lo faceva, in alcune occasioni, quando ascoltava degli audiolibri e in quel momento pensò che sarebbe stato davvero bello avere una versione audio dl suo libro, letto da lui in prima persona. Aveva sempre amato la sua voce, quel tono roco e graffiante che dava un colore diverso alle cose. Pensava di aver dimenticato tutte quelle sensazioni, invece eccole di nuovo lì, come se non fossero trascorse che poche ore dall’ultima volta in cui si erano visti, come se quell’ultimo giorno a San Francisco non fosse mai esistito. Riaprì gli occhi soltanto quando la sua voce fece una lunga pausa, molto più lunga delle precedenti, e si unì all’applauso che riempì la sala. Lasciò fluire un po’ di persone prima di mettersi in fila anche lei, per avere un autografo dall’autore, o forse soltanto fargli sapere che era stata lì sin dal principio.
    Aveva trascorso ogni istante, lungo quella coda di persone, a cercare il volto di Xavier. Aveva notato qualche sporadico sorriso, forse persino più di quanti ne avesse visti negli anni in cui erano stati insieme, ma non percepì gelosia, né fastidio. Se c’erano qualcuno dei due che poteva provare risentimento per quanto era accaduto, quella non era di certo lei. Allungò il libro nella sua direzione, con un sorriso e qualche parola, attendendo poi immobile che lui la riconoscesse. C’era uno sguardo strano sul volto, forse un misto di emozione e di stupore. -Non me lo sarei persa per nulla al mondo. - rispose lei e il sorriso si fece ancora più radioso in tutta la sua sincerità. Sentì gli sguardi di alcune persone puntati su di loro, ma non se ne curò. Non potevano certo capire quegli estranei che cosa ci fosse nel loro passato, che cosa avevano vissuto, quanto tempo era trascorso dall’ultima volta in cui erano stati così vicini da potersi quasi sfiorare. Si spostò appena di lato, così da lasciargli osservare meglio la fila di persone che, con il fiato sospeso, stava a guardarli in attesa di capire che cosa stesse accadendo. -Ma certo, faccio un giro qui intorno. - rispose, lieta del sorriso che anche lui le aveva rivolto. Aveva temuto una reazione molto diversa da parte sua, ma forse il suo pubblico l’aveva salvata per un po’. Lui posò il libro accanto a sé per firmarlo più tardi e lei annuì, senza fare domande. -See you later. - continuò, rivolgendogli un leggero occhiolino, per poi sfuggire alla morsa della folla. Si immerse tra gli scaffali, sparendo dalla vista degli estranei e anche di Xavier. Non era quello il momento delle parole, potevano attendere.

    Non dovette attendere molto. Ebbe giusto il tempo di scorgere alcuni libri, di cui però non riuscì a tradurre in maniera del tutto corretta il titolo. Aveva iniziato a studiare il norvegese, ma non poteva dire di averlo appreso al meglio. C’era tanta strada da fare, soprattutto con le parole più complicate o con i giri di parole. Era quindi intenta a cercare di ripetere nella sua mente alcune parole, per memorizzarle e cercarne il senso, quando scorse il profilo di Xavier. Lo seguì all’esterno, stringendosi appena il cappotto sul davanti, perché il vento non la facesse tremare. Rimase in silenzio per qualche istante, mentre la cameriera scambiava qualche parola con l’uomo, che lei non riuscì a capire del tutto. Forse lo aveva riconosciuto? Sì, doveva essere proprio quello. Lei ordinò un cappuccino e un bicchiere d’acqua. Le parole successive le fecero abbassare appena il capo verso il tavolo, con un sorriso infelice sul volto. Aveva ragione, l’ultimo non era stato il loro incontro migliore e immaginava che lui dovesse soffrirne ancora. Aprì le labbra, alla ricerca di qualche parola da dire, ma venne interrotta dall’arrivo fortunato della cameriera, che li interruppe per qualche istante. Era complicato esprimere a parole che cosa provasse, che cosa fosse accaduto. Lui si scusò e lei scosse il capo, con un nuovo sorriso più sereno sul volto. -No, hai ragione. Non è stata la nostra giornata migliore. - disse, sporgendosi poi in avanti per prendere la tazza con il suo cappuccino e soffiarci appena, muovendo leggermente la schiuma sulla superficie. -Sto bene. - iniziò poi, risollevando lo sguardo dalle mani per riportarlo verso di lui. -La mia famiglia anche. Sono sempre gli stessi, cercano di decidere ogni cosa e di mettere il naso in faccende che non li riguardano. - mormorò, in maniera un po’ piccata, per poi scuotere il capo e sospirare appena. -Scusami. - disse, offrendo un sorriso di pace. Non era giunta sin lì per lamentarsi con lui, anche se doveva dire che era sempre semplice parlare con lui, continuava a sentirsi a casa, nonostante tutto. -Pare che rimarrò qui per un po’. Ho ricevuto risposta per un lavoro stamattina. - continuò, dandogli un’idea del motivo per cui i suoi erano stati così scontenti. Non avevano accolto di buon grado l’idea che lei potesse trovarsi dall’altra parte del mondo per qualche tempo, con il rischio che decidesse di non tornare più. -Lavorerò alla scuola di Besaid, come insegnante di inglese. Non l’ho ancora detto a nessuno. - aggiunse, con un sorriso radioso, per poi iniziare a sorseggiare il suo cappuccino. Era felice di quel nuovo inizio, di quel lavoro che l’avrebbe portata lontana dalla sua zona di comfort e che le avrebbe fatto scoprire tante cose nuove. Chissà che cosa ne avrebbe pensato lui, non avevano mai parlato dell’idea di avere dei bambini e ora lei si buttava in un luogo che ne aveva tantissimi. Sperava che per lui non fosse un problema averla lì per un po’. -Ma dimmi di te, come stai? - domandò, riferendo alla perdita del padre, senza tuttavia esprimere la cosa apertamente. Non voleva costringerlo a parlare, in caso lui avesse scelto di deviare l’argomento altrove. -Oh e.. un secondo libro! E’ meraviglioso! - aggiunse poi, lanciando una leggera occhiata alla sua copia, che ancora teneva Xavier. Non sapeva se avesse già avuto modo di metterci la sua firma e se davvero avesse intenzione di farlo. -Hai già in progetto qualcosa di nuovo? - continuò ancora. Parlare di lavoro, del mondo dell’editoria, era come un porto sicuro, qualcosa che le avrebbe permesso di rimandare altre domande, come: perché te ne sei andata? Perché è finita tra noi? Quelle, al contrario, avrebbero richiesto molta attenzione.
     
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    Xavier M. Söderberg
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    La sua vita era una costellazione di rimpianti, piena zeppa di "come sarebbe andata se" che, a contarli, non sarebbero bastate le dieci dita delle mani. Era triste, lo sapeva, ma Xavier vi si era come adattato conscio che, ahimè, il passato era impossibile da rammendare. Guardandola sedere composta dall'altra parte del tavolino, l'uomo riusciva a scorgere le cuciture che la tenevano su e a riconoscersi in esse. Parte di quel sentiero di filo univa infatti anche le sue metà, saldando quei pezzi di spirito che la loro separazione aveva sparso un po' ovunque. Sul pavimento della casa che un tempo condividevano, sul selciato di pietra che la univa alla strada, al mondo esterno che Xavier aveva tentato di tenere lontano il più possibile dalla bolla che lì dentro li proteggeva. A pensarci a ritroso, forse non lo sapeva consciamente ma l'aveva avvertita, Xavier, la precarietà di quel rapporto che voleva a tutti i costi proteggere, una sensazione di imminenza l'aveva costellato per la sua integrità rendendo quasi doloroso, a posteriori, riviverne i passaggi, come se vi fosse sempre una nota sballata nella felice armonia di quella storia. Ci aveva provato, Dio solo sa quanto sforzo aveva fatto Xavier per evitare che quell'unica nota mandasse in crisi l'intera orchestra ma aveva sbagliato, aveva compiuto l'errore più grande che si possa fare in amore, e non. L'uomo aveva finto di non vedere.
    Non vedeva niente se non la bellezza di Beatrice, i suoi occhi acquosi come piccoli ruscelli senza capire, senza voler vedere, che quella sul fondale non era un'ombra passeggera ma l'indicazione, il segnale e la risposta alla domanda che lo tormentava. Sarà, Beatrice, felice con me? Per anni si era risposto di sì. Si era detto che bastasse farla sorridere, scriverle poesie o che quel weekend fuori porta tanto promesso sarebbe stato decisivo, avrebbe aggiustato tutto. Si era addossato la responsabilità di renderla completa perché era così che succedeva nelle più grandi storie di amore della letteratura: una volta che trovavi la tua metà era compito tuo renderla felice sotto ogni aspetto della vita. Ci si era ammalato, Xavier, della voglia di risolverla, come fosse da aggiustare e stesse a lui farlo. Si era ammalato e insieme aveva contribuito a rendere la vita di Bea un inferno, a distanza di anni ne era sicuro. Ancora non poteva essere sicuro di cosa avesse inceppato il loro incastro, si era convinto che semplicemente lui non fosse abbastanza, ma con il tempo aveva adagiato su carta tutti gli errori commessi e li aveva osservati attentamente. Non era stato il migliore dei compagni, no. L'insicurezza l'aveva spinto a metterla con le spalle al muro, a incastrarla aspettando che gli dimostrasse amore nel modo in cui lui si aspettava, nel modo che credeva di meritare. Questo era stato un errore fatale. Si morse l'interno guancia con forza. Dopo così tanto tempo era ancora lì a rimproverarla. Dannato egoista. Fortunatamente furono interrotti dal ritorno della cameriera, Xavier afferrò la tazzina di espresso e lasciò perdere la mucosa della propria bocca smettendo di distruggerla con i denti. Per il momento. «Già, ma la colpa è stata di entrambi.» Sorriso che trasudava tristezza e un po' di malinconia. Bastò un sorso e il caffè sparì nella gola, lasciando dietro un piacevole e caldo pizzicore. Prese a tastare le tasche della giacca per tenere le mani occupate mentre l'ascoltava, cercando una sigaretta che fosse sopravvissuta al massacro nervoso delle ore prima della presentazione. Ne aveva contate venti, non poteva fargli bene ma era l'unico modo per calmarsi. Sorrise leggermente suo malgrado. Ricordava i genitori di Bea come li avesse visti ieri a un pranzo della Domenica. Sempre coscienziosi, sempre attenti a dire la loro su ogni questione e in ogni circostanza e a limitare la volontà della donna. O almeno ci provavano sempre. Con la sigaretta fra le dita pensò a suo padre ormai defunto e a quanto somigliava loro. Sempre lì a voler decidere di tutto e di tutti. La madre no, lei era completamente diversa. Incastrò il filtro fra le labbra, ricordandosi solo in quel momento che da anni era vietato fumare all'interno dei locali pubblici. Gli passava sempre di mente. Sfilò la cicca, la ripose nel pacchetto nuovo e quasi vuoto che lasciò sul tavolo. La scritta IL FUMO UCCIDE lo fissava come un lampeggiante sull'autostrada buia. Stava per rispondere quando Beatrice tirò fuori quella grande novità. Per poco Xavier non si strozzò con la sua stessa saliva. Le sopracciglia si alzarono fino quasi a scomparire sotto quello strambo taglio di capelli. «Sono il primo a cui lo dici?» Ci volle qualcosa come un paio di secondi per riprendersi dalla sorpresa, non se lo aspettava proprio. Cosa significava quello per lui? Per loro? «Ma è fantastico! Un passo bello grande...Congratulazioni, Bea.» Soppesò l'idea di aggiungere che si sarebbero potuti vedere molto più spesso ora. Era troppo e troppo presto. Si ricordò del periodo universitario, quando lui passava le giornate a scrivere e a studiare e lei dava ripetizioni agli studenti. Era stato un bel periodo, quello, un lasso di tempo per lui rinchiuso tutto nei lineamenti dolci di quel viso tondo, nella linea morbida di quel sorriso. Quel tempo pareva essersi solidificato e fermato in Beatrice. «Elementari, medie o liceo? » Chiese. Poi voltò con le dita il pacchetto di sigarette. Si chiese se vi fossero tutte e tre o se i ragazzi di Besaid dovessero andare a completare gli studi altrove. Poi pensò che, essendoci un'università, era probabile che la città prevedesse anche un liceo. In fondo non era poi così piccola, pensò, rendendosene conto solamente in quel momento. Da quando era arrivato non aveva proprio gatto granché. Non aveva visitato la città, non le avrebbe saputo indicare un monumento di interesse ma le avrebbe potuto elencare la maggior parte dei bar e dei negozi di liquori off licence. Improvvisamente si vergognò di sé stesso. Deglutì tanto forte che il pomo d'Adamo sembrò far fatica a tornare su. «Io?» Sollevò le spalle e lo sguardo deviò verso destra come a cercare una risposta che non lo facesse passare per un disperato ma che non fosse neanche una completa bugia. «...Il libro, il firma copie, rivederti: oggi è una bella giornata. Strana, ma bella.» Annuì due volte con un sorriso rivolto solo e soltanto a Beatrice. «A proposito.» Aveva seguito il suo sguardo sul libro, ricordandosi solo in quel momento della promessa fatta che, ovviamente, aveva mantenuto. Lo fece scivolare allora verso il centro del tavolo verso di lei. «Te l'ho firmato.» Specificò anche se non era necessario. In realtà vi aveva lasciato una dedica ma non lo disse, sperando che decidesse di leggerla solo in un secondo momento.
    Spero che leggendo questo libro tu possa emozionarti, sorridere, piangere, consolarti, turbarti, ridere e sperimentare tutto lo spettro delle emozioni umane.
    Con affetto e in qualche modo sempre un po' tuo,
    Xavier M. Söderberg

    Non era niente di scandaloso ma Xavier non era un'esibizionista, non in quel senso. Scosse la testa, lasciò la presa sulla copertina del libro per tornare a tormentare il lembo del tovagliolo. «Poco e niente, ma qualcosa verrà fuori. Succede sempre.» Iniziò, poi aggiunse con un sorriso divertito. «Che sia decente o meno sta al mio editore dirlo.» Era strano ritrovarsi a parlare con lei così, come due vecchi amici che non si vedono da tanto e che vogliono evitare discorsi scomodi per non intaccare la tranquilla e in qualche modo benedetta superficialità dell'incontro. «Sei venuta qui da sola o...?» Istintivamente, gli occhi azzurrissimi di Xavier cercarono tracce di una fede al dito affusolato di Beatrice. Non ne vide, ma non potè evitarsi di pensare che un tempo c'era stata la sua intorno all'anulare sinistro della donna. Poi, come svegliato all'improvviso, si ricordò che, pur volendo, Beatrice non avrebbe potuto essersi risposata. Non le aveva ancora concesso il divorzio. Si schiarì la voce, in evidente imbarazzo. «È proprio strana la vita.» Disse semplicemente. Non sapeva cosa dire o come intavolare il discorso. Decise di farlo per lei, per toglierle quello scomodo fardello dalle spalle. «Abbiamo qualche cosa da sistemare, mi sa.» Alludeva al divorzio, ovviamente. Al fatto che, nonostante gli anni, non era ancora riuscito a firmare le carte. La guardò con la nostalgia delle cose che, pur stando di fronte a noi, appartengono al passato.

    38 - nostalgic - sheet - Music
    Did I disappoint you or let you down? Should I be feeling guilty or let the judges frown?
    'Cause I saw the end, before we'd begun
    I enjoy killing trasgressors. Be WARNED. | CODICE ROLE © dominionpf
     
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    Era difficile osservarlo dopo tutto quel tempo. Lo aveva immaginato sin dal primo momento in cui si era mossa verso di lui, ma ora che lui riportava a galla quanto era accaduto tra di loro, sopportare quella vicinanza era ancora più complicato. Non provava più dell’attrazione per lui. Ad essere onesta non era neppure del tutto sicura di averla provata, se non per quella mente brillante che continuava a ritrovare nei suoi libri. Non era quindi la chimica a turbarla, quel brivido lungo la schiena che si alzava quando si stava nella stessa stanza con qualcuno per cui si provava una forte attrazione. No, era senso di colpa il suo. Era la consapevolezza di aver sbagliato tutto, sin dal principio. Aveva sbagliato a dare vita a quella relazione, se ne era resa conto solo dopo tanto tempo, quando aveva accettato la vera se stessa. Ci aveva creduto in un primo momento, non era stato tutto uno scherzo o uno strano gioco. Aveva pensato che potesse essere possibile, con uno come lui. Invece aveva finito soltanto con il ferire entrambi, creando una rete di sofferenza e distacco che aveva fatto fatica a districare. Aveva desiderato una vita come quelle che si leggono nei libri, dove tutto alla fine va esattamente come dovrebbe, mostrando il quadro completo e perfettamente ordinato. Purtroppo però la vita reale era molto più complessa di così e non si poteva avere tutto sotto controllo, come quando editava un testo già scritto, aiutando gli autori a ricomporre il quadro, a decidere come limare alcune cose o riscriverne delle altre. La realtà non si poteva riscrivere, né limare. Il passato restava scolpito nella propria storia senza alcuna possibilità di essere cancellato. E ora, mentre lo guardava dritto in volto, notava che quel passato per lui sembrava ancora piuttosto fresco, una ferita aperta che non si era ancora rimarginata. Avrebbe mai potuto perdonarla?
    Serrò appena le labbra, abbassando lo sguardo con aria colpevole davanti al suo commento un po’ piccato, che sembrò però rimangiarsi abbastanza in fretta, per poi ammettere che la colpa era stata di entrambi. Lei rimase in silenzio per un istante, fissando il tavolo di fronte a sé, per poi scuotere appena il capo. -Non ne sono così sicura. - affermò quindi. Il tono della sua voce suonò basso, come se una parte di lei non volesse ammetterlo. -Credo che buona parte della colpa sia stata mia. - aggiunse quindi, stringendo appena le labbra in un sorriso mesto mentre risollevava di nuovo lo sguardo su quello di lui. Tu ci hai provato, ma io non mi sentivo più in grado di fare altrettanto. - disse ancora, anche se quelle parole non sarebbero bastate a mettere un punto a tutta quella faccenda. Ci sarebbero state molte cose da aggiungere, spiegazioni da dare, invece lasciò che quella frase chiudesse il discorso, almeno in un primo momento, preferendo concentrarsi su qualcosa di diverso. Gli raccontò quindi delle ultime novità, parlando di quel nuovo lavoro con il sorriso sulle labbra. Lo vide cambiare espressione, mostrandone una decisamente più sorpresa, quando lei gli rivelò di essere il primo a sapere quelle novità. Annuì alla sua domanda. -Già, sembra quasi stupido da parte mia ma.. non lo so, una parte di me credeva che fosse giusto così. - ammise, ben sapendo che era un pensiero del tutto insensato visti i loro trascorsi. Era stata lei ad andare via e ora cercava in qualche modo di coinvolgerlo di nuovo nella sua vita? Probabilmente avrebbe dato l’impressione di essere un po’ folle. Sorrise in maniera più felice però quando lo sentì farle le congratulazioni. Anche lui sembrava felice, a modo suo e la cosa le fece piacere. -Elementari. Avrò a che fare con una squadra di piccoletti indisciplinati. - mormorò, lasciandosi andare ad una leggera risata, come se avesse bisogno di scaricare la tensione che era aleggiata tra di loro sino a quel momento e che ora pareva lentamente affievolirsi.
    Poi cercò di avere qualche aggiornamento sul suo conto. Anche per lei era stato bello e strano rivederlo. Non avrebbe saputo spiegarlo con parole diverse dalle sue. -Ti ringraziò. - mormorò quindi, prendendo il libro e portandolo dal suo lato del tavolo, pronto per essere portato in albergo per leggerlo al suo ritorno. Non lo aprì, anche se era molto curiosa di sapere che tipo di storia avesse scritto, di vedere se anche qualche parte di lui era stata impressa nero su bianco in quelle pagine, come capitava spesso agli scrittori. Domandò anche del suo secondo libro, non riuscendo a tenere a freno la curiosità. Dopotutto negli anni precedenti anche lei si era occupata di editoria, e ancora lo faceva, anche se solo part time. -Se il tuo editore non ti convince puoi sempre provare a cambiarlo. - mormorò, con un sorriso irriverente sul volto, riportando a galla alcune tracce della ragazza che era stata, qualche tempo prima, durante il periodo universitario. Le sembrava che si trattasse di una vita completamente diversa, invece in fin dei conti era passato solo qualche anno. -Sono venuta da sola, sì. - ammise, senza neppure il bisogno di pensarci. In quel momento stava bene da sola, non sentiva la necessità di avere qualcuno al suo bianco. Aveva prima bisogno di capirsi, accettarsi e solo poi imparare a dividere il suo tempo con qualcuno. -Tu invece? - domandò, con una certa tranquillità. Era onestamente curiosa di sapere se la sua vita sentimentale era andata meglio della sua, se ci fosse qualcuno di nuovo accanto a lui. Meritava di essere felice, entrambi lo meritavano.
    Quando quindi lui portò apertamente il discorso sulla questione del divorzio lei si ritrovò di nuovo fissare il tavolo per qualche momento. Aveva sperato che la conversazione si mantenesse su altri temi ancora per un po’, ma in fin dei conti era vero, avevano delle questioni da risolvere e non aveva senso continuare a tirare la faccenda per le lunghe. Annuì quindi. Era difficile parlarne di persona, fino a quel momento lo avevano sempre fatto per telefono e tutto era suonato molto più distaccato, quasi un automatismo. Trovarsi invece lì, faccia a faccia, rendeva tutto molto più personale. Erano stati i loro avvocati a definire l’accordo, a stabilire come dividere quel poco che avevano in comune. Lei non si era neppure preoccupata troppo della faccenda. Non le interessava ottenere qualcosa da quella rottura, ma solo sentirsi di nuovo finalmente libera. -Ci sono dei problemi riguardo i termini? Qualcosa non ti convince? - domandò, pensando che potesse essere stato quello a frenarlo per tutto quel tempo e che non ci fosse invece soltanto l’aspetto sentimentale che ancora lo legava a lui. -Io penso di doverti delle spiegazioni. Ma prima vorrei sapere se tu hai delle domande o se ci sono delle cose che vuoi dirmi. - chiese, lasciando a lui la possibilità di parlare per primo. Il suo discorso sarebbe stato lungo e probabilmente avrebbe creato nuove fratture, quindi preferiva che, qualunque cosa avesse da dire, lo facesse per primo e senza alcun condizionamento da parte sua.
     
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