Rainbows, unicorns and sweets

Candy e Beatrice | scuola| June 8, 2021

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    Candy Cane
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    Nell’ottica di Candy ogni giornata iniziava con il sole che splendeva nel cielo e gli uccellini che cinguettavano felici come nei cartoni animati della Disney. Non esiste il detto “alzarsi con il piede sbagliato”, per Candy sia il destro che il sinistro sono i piedi giusti per iniziare al meglio una nuova giornata che, a detta della ragazza, sarà sempre bella e piena di tante belle novità. Il momento in cui Candy apre gli occhi, al mattino, è l’esatto momento in cui pensa a quanto è stupenda avere l’occasione di poter insegnare un altro giorno a quelli che lei chiama affettuosamente “i miei marmocchi”. E’ la classica persona che di prima mattina, appena sveglia, è capace di parlare senza enunciare parole impastate dal sonno, quella che fa subito la colazione e canticchia allegra mentre si prepara per uscire da casa, quella che dalla gioia è capace di salutare qualsiasi sconosciuto le passi accanto sul marciapiede. Ecco, per questo, e per altri motivi meno consistenti, Candy talvolta è insopportabile, con questa sua personalità troppo ottimista è zuccherosa. A conoscere il suo passato qualcuno potrebbe stupirsi nel vederla sempre così piena di gioia, è pur sempre una ragazza che è stata esiliata dal luogo in cui è nata e cresciuta e che non vede suo fratello da almeno otto anni. Già solo questo basterebbe per renderla un po' meno ottimista e, infatti, ogni tanto Candy si adombra quando ci pensa. I suoi occhioni azzurri e luminosi diventano un po' più scuri, ma è questione di pochi secondi. E’ solo un velo di tristezza che sfiora leggero i suoi pensieri, niente di troppo pesante. La ragazza se l’è imposto: non vuole pensare troppo alle cose negative della sua vita. E’ un mantra, l’unico stabile, dal momento che è capace di cambiare tanti mantra in un giorno solo. I suoi amici ricordano ancora quando ha voluto dare ascolto per un giorno intero al detto “chi va piano va sano e va lontano” ostinandosi a fare tutto lentamente. Il giorno dopo era disperata perché aveva un mucchio di cose da recuperare, alcune delle quali non aveva terminato il giorno prima perché aveva deciso di fare tutto piano. Ecco, con Candy è un po' una scommessa, ogni giorno c’è un mood nuovo da seguire e, l’unica cosa positiva di questa perenne incognita, è che almeno non si tratta mai di un mood negativo. Sempre allegria, sorrisi, unicorni e arcobaleni che, a pensarci bene, non sono sempre le caratteristiche ideali per chi deve avere a che fare con lei. «Ciao!» Menta, il pappagallo dalle piume verdi che sta in casa con lei, è probabilmente l’unico che tollera la sua iperattività di prima mattina, lui stesso è iperattivo, mentre fischietta e dice ciao -l’unica parola che sa dire-. Candy lo adora, quando lo ha comprato il commerciante le aveva promesso che era un pappagallo in grado di imparare qualsiasi parola e invece, a distanza di tre anni, l’unica parola che sa dire è solo “ciao”. Niente di grave, dal momento che spesso e volentieri la maestra usa la sua particolarità per parlare col pennuto. In effetti bisogna ammettere che, da quando è andata via dalla Reservoir, Candy ha iniziato ad abusare un po' troppo della sua particolarità, tanto era stato il tempo che aveva trascorso a sopprimerlo per volere dell’intera comunità. Lo usava spesso, con leggerezza, ogni qualvolta ne aveva l’occasione, a poco le importava chi fosse accanto a lei per vedere o sentirla comunicare amabilmente con un gattino.
    Limpida come l’acqua cristallina, Candy è così come la si vede, non indossa maschere anzi, tutto ciò che pensa e sente glielo si può leggere in faccia. Sua madre le dice sempre che dovrebbe imparare a contenere quelle sue sopracciglia che si alzano quando e stupita, si corrugano quando è arrabbiata e si distendono quando è felice. Per non parlare poi di quegli occhioni in cui si può leggere qualsiasi cosa. Insomma, Candy è come un vetro trasparente ambulante ed il suo look colorato non aiuta a farla passare inosservata. A lei poco importa, prima di andare a lavoro trotterella felice fino al negozio dei genitori, sembra quasi cappuccetto rosso che va dalla nonna prima di incontrare il lupo. «Buongiorno!» Urla il suo saluto allargando le braccia e facendo cadere dalla cesta un paio di mele che erano lì vicino. «Per l’amor del cielo, sono qui e ti sento benissimo, non urlare! E guarda cosa hai combinato, mannaggia a te.» La madre la rimprovera bonariamente, mentre si china per raccogliere quelle mele che ha coltivato lei stessa, con suo marito, nell’albero di melo che hanno piantato nel loro giardino. Si sono reinventati, i Cane, dopo essere stati mandati via dalla Reservoir, e hanno messo in piedi quel piccolo negozietto di frutta e verdura che, con tutti quei fiori e frutta esposti alla porta, sembra quasi un angolino caratteristico della cittadina. «Sono passata per sapere se tu e papà avete bisogno d’aiuto, dopo scuola.» Candy schiocca un rumoroso bacio sulla guancia della madre, che è minuta come lei. Non si tira mai indietro per dare una mano ai suoi genitori, ora che lei è la loro unica figlia rimasta si sentirebbe troppo in colpa nel lasciarli soli. Qualche volta consegna la frutta e verdura al loro posto, la porta ai più anziani o, ancora, la porta in qualche locale che si rifornisce dai suoi genitori. «Tranquilla, per oggi siamo a posto. Vai a scuola e poi fai una bella paura, te la meriti. Ultimamente lavori troppo, figlia mia.» La donna ha sempre avuto un occhio di riguardo per la sua secondogenita, forse perché era tanto simile a lei. Ovviamente ha sempre voluto tanto bene anche a Noah, ma lui non ha mai dimostrato nei confronti dei genitori lo stesso affetto che dimostrava Candy.

    Arriva a scuola con la sua macchinina dal motore che borbotta, segno che cederà da un giorno all’altro, carica di cartelloni e cianfrusaglie varie con cui Candy inventa giochini per far divertire i suoi alunni. Certo, i marmocchi sono lì per imparare, ma la maestra vuole insegnare facendoli divertire, principalmente perché la prima a divertirsi, poi, è lei. Entra nella scuola ed è come se questa fosse inondata da un unicorno, fatto di colori ed un sorrisone enorme con cui saluta grandi e piccini. «Bea!» Urla entusiasta il nome della sua nuova collega nel mezzo del corridoio, dirigendosi verso di lei a passo veloce. Incredibile come non inciampi o incespichi nei suoi stessi piedi con tutti quei cartelloni più grandi di lei che le rendono i movimenti più goffi di quanto già non siano. «Oggi ho una pausa pranzo più lunga del solito, incredibile. Ti va se andiamo a mangiare qualcosa insieme?» Sembra quasi invadente con la nuova arrivata, in realtà è solo il suo solito entusiasmo e il suo modo per dimostrare che Beatrice le sta simpatica. Certo, è ancora troppo presto per dirlo, ma Candy segue molto il suo istinto e, istintivamente, sente già una certa sintonia con Bea e non capita di certo con tutti i colleghi, soprattutto quelli più avanti con gli anni che arricciano sempre il naso dinanzi i suoi metodi d’insegnamento. Attende che Beatrice le dia una risposta e poi spalanca gli occhi guardando il grande orologio appeso alla parete, «Oh cavolo, sono in ritardo, devo scappare. Ci vediamo dopo!».
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    Le lezioni di Candy non sono affatto noiose, per questo è tra le maestre che gli studenti amano di più. Ha la capacità di portare il colore, il sole e gli unicorni anche in classe, durante una normalissima lezione di norvegese. I suoi metodi un po' strambi per insegnare qualcosa di particolarmente difficile e complicato sono entrati nei cuori dei suoi alunni tanto che adesso, quelli più grandicelli che non sono più in classe con lei, quando la incontrano casualmente per strada si fiondano a salutarla perché conservano un ottimo ricordo della loro maestra che si veste stramba. Si dice che quando ci si diverte il tempo passa più velocemente e, infatti, per Candy il tempo fino alla pausa pranzo era trascorso troppo velocemente, lei che considerava l’insegnamento un divertimento e non un lavoro, vede quelle sue ore con i marmocchi non come un dovere finalizzato a portare la pagnotta a casa, ma come un momento di puro svago in cui può unire l’utile al dilettevole. Lo scoccare dell’ora di pranzo fu avvertita dalla maestra non solo per il vociare allegro dei bambini fuori dalla classe, ma anche per il suo stomaco che iniziava a borbottare e che reclamava cibo, tanto cibo. La fortuna di Candy era che, pur mangiando tantissimo, ingurgitava solo cose sane, abituata com’era ad essere cresciuta con due genitori con un orto tutto loro e che portavano in tavola frutta e verdura di ogni tipo con cui sua madre creava le ricette più strane. Nel caso qualcuno si stesse chiedendo da chi, la maestra, avesse ereditato quella stramba creatività. Sta di fatto che salutò i marmocchi e si riversò nei corridoi dove, con i grandi occhioni azzurri, cercò la figura di Beatrice, la sua collega. «Sono qui, sono qui!» Alza una mano per farsi vedere meglio da Bea, rischiando di confondersi tra i bambini per la sua altezza pressoché nulla. Non è altissima, Candy, e ogni volta che ci pensa le tornano anche alla mente tutte le volte in cui suo fratello Noah l’ha presa in giro per quanto fosse bassa. Ricordi tanto dolci quanto, allo stesso tempo, amari. Raggiunge Beatrice, facendosi largo tra l’orda di marmocchi, con un sorriso enorme e sincero stampato in faccia, la maestra è troppo spontanea per fingere una qualsivoglia emozione. «Non so tu, ma io ho tanta fame che mi mangerei una torta a sei piani. Intera. In un sol boccone.» Inizia a parlare senza nemmeno dare il tempo all’altra di dire qualcosa. «Hai provato la caffetteria qui, appena dietro l’angolo della scuola? Non fraintendermi, quella che abbiamo di fronte la scuola è ottima, MA non fa le torte salate buone quanto quella che sta fuori dietro l’angolo.» Che arrivata a questo punto, se Bea è riuscita a seguire il suo discorso è già un’eroina, per la parlantina in stile mitraglietta che sfoggia Candy, prenderà fiato poi? La zona scolastica è piena di strutture in cui poter fare anche rifornimento di cibo e Candy, da buona forchetta qual è, le ha provate tutte. Sa qual è la migliore nel fare il caffè, sa qual è la peggiore che sforna i muffin con le gocce di cioccolato. Sa tutto. «Sempre a patto che tu voglia qualcosa di salato, se vuoi qualcosa di dolce in quella caffetteria c’è anche il dolce…ovvio, è una caffetteria! Ho tanta fame che non so nemmeno più cosa sto dicendo.» Oh, eccola che prende fiato e, finalmente, si ricorda che quello non è un monologo e che dovrebbe sentire anche il parere della sua collega che, chissà perché, ancora non è scappata via a gambe levate. «Meglio andare a mangiare, magari con la bocca piena parlo di meno. Non posso assicurartelo con certezza, ma posso provarci.» Prende Bea a braccetto, mentre sorride, quel sorriso non sparisce mai dal volto, e si dirige verso il posto prestabilito, pronta a cambiare direzione nel caso la sua nuova collega esprima una preferenza diversa.
     
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    Era arrivata in città solo da pochi mesi e ancora le veniva difficile capire a pieno la lingua e le persone che parlavano in maniera un po’ troppo veloce. Si era recata a Besaid per incontrare il suo ex marito e una volta lì le era giunta la notizia di un lavoro presso una delle scuole della città. Era stata una grande sorpresa visto che aveva mandato le sue lettere di presentazione in Norvegia senza credere troppo in una buona riuscita. Ci aveva pensato per qualche ora prima di accettare, sapendo che non sarebbe stato semplice iniziare a lavorare in un luogo di cui non conosceva bene la cultura, la lingua e le usanze, ma sentiva la necessità di cambiare aria, di ricominciare, di provare a gettarsi a capofitto in una nuova avventura. Non poteva sapere come sarebbe andata a finire, se dopo qualche settimana o magari qualche mese si sarebbe pentita di quel salto nel vuoto, finendo con il cambiare idea, rassegnare le sue dimissioni e tornare in America, ma in quel momento sapeva di volerlo fare, di volersi dare una possibilità. Osservò il dizionario inglese-norvegese e i libri di grammatica che aveva acquistato circa due mesi prima per fare pratica con la lingua. Aveva chiesto aiuto ad An e Aleks per dialogare in quella lingua straniera che invece le amiche avevano appreso ormai da tempo e sperava quindi, facendo pratica con loro e altre persone, di poter raggiungere un buon livello il prima possibile. Era con An in particolare che aveva parlato, per quasi un’ora, prima di chiamare la scuola e fissare un incontro per discutere di persona di quanto le avevano offerto. Le era sembrato di tornare indietro di diversi anni, al suo primo lavoro, quando aveva provato quella stessa euforia nel mettere la sua firma su alcuni documenti e sapere che, da quel momento, avrebbe avuto una nuova routine e delle altre cose a cui pensare. Aveva rimandato la ricerca di un luogo stabile in cui trasferirsi, magari una stanza oppure un appartamento tutto suo, preferendo prima sistemare le faccende più importanti, come seguire dei corsi di norvegese e preparare tutti i documenti necessari per il contratto. Dopo i primi giorni in cui il suo cuore non aveva quasi mai smesso di battere in maniera agitata, era finalmente riuscita a trovare un equilibrio. L’euforia non era ancora scesa del tutto, ma iniziava a tranquillizzarsi, a sentirsi un po’ più a suo agio in quel luogo. Viaggiare le era sempre piaciuto, sognava di vedere tutti i luoghi del mondo almeno una volta nel corso della sua vita, ma trasferirsi in un altro Stato era una cosa ben diversa da un semplice viaggio. Si sentiva come i suoi avi, partiti dall’Italia alla ricerca di fortuna e poi stabilitisi in America, dove erano nati i suoi genitori. Non poteva ancora sapere se anche il suo sarebbe stato un trasferimento definitivo, se lì avrebbe trovato la sua strada, ma era comunque un parallelismo che si divertiva a fare. Di certo non era l’amore che cercava in quella cittadina, non dopo i trascorsi che l’avevano portata a un matrimonio del tutto fallimentare.
    Buttò un’occhiata veloce verso lo specchio, controllando che i capelli fossero al loro posto mentre meditava sul tipo di trucco da applicare. Durante il lavoro ne indossava sempre uno molto leggero, ma ci teneva che ci stesse bene con il suo abbigliamento. In parte perché ci teneva a dare una buona impressione, in parte perché la faceva stare bene con se stessa sapere di aver sistemato i piccoli dettagli con cura, soprattutto in quel periodo della sua vita, quando aveva finalmente accettato il fatto di doversi ascoltare e capire di più. Prese la sua borsa e si incamminò verso la scuola. Aveva preso l’abitudine di muoversi a piedi per la città dopo i primi giorni, così da poterne osservare le strade, i piccoli negozi e potersi costruire dei punti fissi, degli elementi riconoscibili che le avrebbero permesso di non perdersi o di non controllare il navigatore ogni giorno, per accertarsi di non aver sbagliato strada. Finiva spesso per sbagliare percorso e allungare il suo tragitto, ma non se la prendeva mai. Anzi, aveva iniziato a uscire di casa sempre prima, quasi come se ricercasse quel tempo tutto suo per perdersi all’interno di quella cittadina sconosciuta a scoprirne tutte le segrete meraviglie, quelle che si notano soltanto quando si cerca qualcosa attentamente. Aveva memorizzato il percorso per arrivare sino alla scuola, ma a volte divagava comunque, attratta da un cornicione, da un albero, da un’insegna, qualunque cosa poteva risultare affascinante quando era sovrappensiero. Per fortuna tuttavia era sempre riuscita ad arrivare in orario e anche in quell’occasione si ritrovò a sorridere nell’osservare l’orologio che stava sulla parete di fronte all’ingresso della scuola e notare che era persino in anticipo di qualche minuto. Osservò quei corridoi che ogni giorno divenivano via via sempre più familiari e si mosse alla ricerca dell’aula dove avrebbe tenuto le lezioni quel giorno. A differenza di tante altre insegnanti che svolgevano tante ore con la stessa classe, lei trascorreva solo poche ore a settimana con gli stessi bambini, facendo solo qualche ora di potenziamento con la lingua inglese. L’anno successivo avrebbe avuto un ruolo un po’ diverso, ma per iniziare e farla ambientare avevano trovato quella soluzione congeniale per tutti.
    Una delle sue nuove colleghe le venne incontro, quasi nascosta in mezzo a tutti quei cartelloni con cui avanzava. -Candy! - la salutò a sua volta, con un largo sorriso sulle labbra. Un nome che le ricorda le tante caramelle sognate durante l’infanzia, che i suoi genitori solo in alcuni casi acconsentivano di comprarle. La ragazza era tra le più gentili e simpatiche tra le colleghe e i colleghi che aveva avuto modo di conoscere in quelle settimane. Un piccolo uragano di idee e di colore che portava l’allegria e la serenità ovunque passasse. Forse proprio per questo Bea l’aveva presa subito in simpatia. Sentiva di avere bisogno di qualcuno di così positivo nella sua vita, sebbene a volta non riuscisse ad afferrare del tutto quello che diceva, sempre così di fretta e presa dai suoi bimbi, come in quell’occasione, in cui Bea a malapena comprese l’invito a pranzo, senza avere neppure il tempo di offrirsi di aiutarla con tutti quei cartelloni. -Sì, sì certo. - fu quindi tutto ciò che riuscì a dire, velocemente, mentre l’altra guardava l’orologio, preoccupata di fare tardi e spariva per i corridoi. -See you later! - le fece da eco, utilizzando però la sua lingua madre, mentre sollevava in aria una mano e le rivolgeva un altro sorriso. Scosse appena il capo, rendendosi conto solo dopo che, ancora una volta, aveva sbagliato lingua nel rispondere. Tutto sarebbe divenuto più facile, ne era sicura. Doveva solo abituarsi e darsi il giusto tempo.

    Le ore trascorsero piuttosto velocemente, mentre passava da una classe all’altra, da un lato all’altro dei corridoi della scuola. Quasi neppure si rese conto dello scorrere dell’ultima ora che la campanella aveva già iniziato a suonare, segnandone la fine. Uscì un po’ stanca, ma sicuramente felice dei risultati che stava iniziando a ottenere. Continuava a sentirsi un po’ fuori posto con quel suo accento americano e con il norvegese ancora stentato, ma era convinta di migliorare giorno dopo giorno e che la pratica era l’unica cosa che l’avrebbe aiutata, esattamente come per i bambini che si approcciavano all’inglese. Si sentiva un po’ come loro, anche se con tanti anni in più e molta più esperienza alle spalle. Ancora una volta fu Candy a chiamarla, per farsi notare, che se temesse che potesse perdersi nei meandri di quelle poche mura e in effetti ne avrebbe avuto tutte le ragioni. Si mosse per andarle incontro, il libro di inglese ancora stretto tra le braccia e la borsa sulla spalla mentre cercava di divincolarsi in mezzo a tutti quei bambini che si erano riversati per il corridoio. -Anche io sento una certa fame. - rispose lei, serena, scegliendo sempre parole piuttosto semplici nel parlare per evitare di commettere troppe gaffe. Immaginava che Candy l’avrebbe comunque perdonata se avesse inserito qualche parola sbagliata qua e là, ma ci teneva a metterci tutto il suo impegno. Fece un po’ di fatica a seguire il suo discorso, portandosi però una mano davanti alle labbra alla fine del suo dialogo sul dolce e il salato, divertita da quel suo entusiasmo. -Conosco ancora pochi posti qui. - disse, sperando che con quelle parole sarebbe stato già abbastanza chiaro che non aveva mai messo piede nella caffetteria di cui l’altra aveva parlato. -Però per favore rallenta e capirò la metà di quello che dici. - ammise poi, con un sorriso leggermente malinconico per poi annuire in direzione di Cady quando la invitò a muoversi verso del cibo, così da farla parlare meno. -Mi aiuti molto a fare pratica però. Quando riuscirò a capire tutto senza pause vorrà dire che sto migliorando. - disse, sperando di non averla offesa con la richiesta di poco prima.
    Si mossero verso la caffetteria, superando il fiume di persone che si muoveva in direzione opposta rispetto alla loro e Bea prese profondo respiro quando finalmente si trovarono in una zona un po’ più tranquilla. -Certi giorni mi sembra ancora strano aver accettato davvero questo lavoro. - rivelò, mentre varcavano l’ingresso del locale, prendendo posto a uno dei tavolini vicino alle vetrate che offrivano un’ottima vista sulla strada. Preferiva guardare l’esterno piuttosto che sentirsi quasi intrappolata all’interno di edifici con pochi affacci sul resto del mondo. Per quanto fosse una persona timida e a tratti un po’ chiusa in se stessa le piaceva molto conoscere nuove persone e scoprire nuovi luoghi. Prese il menù tra le mani, leggendo con attenzione tutte le parole, aiutandosi con la traduzione in inglese che c’era nella riga più in basso per collegare ogni parola al suo significato. -Visto che sembri un’esperta, che cosa consigli di salato? - domandò, curiosa di conoscere meglio i gusti di Candy nel mangiare. Le sarebbe Piaciuto farle un piccolo regalo per la pazienza che le dedicava sempre e per l’aiuto che le stava dando nell’integrarsi e sembrava che il cibo potesse essere una buona idea per farle una piccola sorpresa. Ordinò subito dell’acqua quando uno dei camerieri si avvicinò, prendendo come prima cosa l’ordine della bevande e poi lasciò a Candy tutto il resto, aspettando di essere di nuove sole per parlare di nuovo. -Com’è andata la tua mattina? Ti ho vista con tanti cartelloni prima. - chiese, piuttosto interessata. La ragazza aveva dei metodi molto diversi da quelli a cui lei era abituata e per questo era sempre molto curiosa di sentire i suoi racconti. Si poteva apprendere molto dalle esperienze degli altri e arricchire il proprio bagaglio culturale e le proprie idee.
     
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    Bea era dotata di quella discrezione e grazia che a Candy mancavano. Non era invidiosa della sua nuova collega anzi, l’ammirava perché aveva avuto il coraggio di trasferirsi a Besaid, una città con una lingua a lei mediamente sconosciuta, e stava avendo la buona volontà di ambientarsi senza lamentele inutili. Candy non aveva mai messo il naso fuori dalla sua città natale, le sarebbe piaciuto molto viaggiare, vedere il mondo, ma per un motivo o per un altro non si è mai mossa di lì. Probabilmente, se si fosse trasferita, lei avrebbe reso l’esperienza molto più caotica, a differenza di Bea che, invece, da ogni sua parola e ogni suo gesto, lasciava trapelare una calma ed una dolcezza quasi disarmanti. Per quanto assurdo, a Candy piacevano le persone come Bea che, sotto certi aspetti, erano il suo completo opposto. Probabilmente una persona più calma era il giusto contrappeso alla perenne frenesia della maestra. In effetti pensare a due Candy nella stessa stanza faceva venire i brividi, pensando a quanti danni e a quanto caos avrebbero potuto creare e Menta, il pappagallo verde della maestra, ne sapeva qualcosa. L’animale stesso svolazzava da una parte all’altra dell’abitazione quando Candy era intenta a ‘riordinare’ casa quando, di fatto, non faceva altro che disordinare tutto, oltre alle volte in cui decideva di cambiare la posizione dei mobili, mettendo il divano una volta vicino la finestra e, altre volte, con la spalliera al muro. Quindi, di Candy ce n’era già una che bastava ed avanzava. Il motivo per cui Beatrice le piacesse così tanto era proprio per quelle sfumature diverse dalle sue che aveva potuto percepire quelle poche volte che erano riuscite a parlare. La maestra riesce a comprendere le persone o meglio, segue un po' quello che le comunicano come prima impressione e, con Bea, l’istinto le aveva detto che era una persona a posto nonché una collega come poche. Insomma, persona come Beatrice era meglio trovarle che perderle ed era meglio seguire il proprio istinto, dal momento che Candy non comunicava con le persone tanto bene come comunicava con gli animali, grazie alla sua particolarità che usava ogni qualvolta ne aveva l’occasione.
    Dopo questa digressione, Candy si concentra finalmente sul momento, sul fatto che le fa fame e che trascorrerà la pausa pranzo in compagnia di quella collega che non vedeva l’ora di conoscere meglio. Si era ripromessa di non farle domande troppo invadenti, ma si sa che spesso la giovane maestra lascia la sua lingua senza freni e dice cose che, in certi casi, sarebbe meglio non dire. Il sorriso di Candy si allarga ancora di più non appena Bea le rivela che anche lei sta morendo di fame e, grazie a Dio, magari anche lei è una buona forchetta. Candy non è che sia mangiona, ma le piace la buona cucina, quella cucina che lei, con le sue stesse mani, non sa fare. Molte sono le volte in cui si è ritrovata a bruciare qualcosa dovendo ripiegare su un’ordinazione da asporto, mica ha le mani d’oro in cucina come la sua mamma! Ormai chiamava per nome il fattorino che le portava la pizza a casa, giusto per capire quante volte ha rischiato di mandare a fuoco la sua cucina. Quel giorno, però, non c’era nessun fattorino che le avrebbe portato il pranzo bensì sarebbe andata con le sue gambe fino alla caffetteria-bistrot poco lontana dalla scuola. -Conosco ancora pochi posti qui. - Nel suo incosciente entusiasmo, Candy si era completamente dimenticata che Bea era nuova di quei luoghi e, di conseguenza, non poteva sapere quale fosse il posto migliore per trascorrere la pausa pranzo. Avrebbe potuto portarla in un posto pessimo senza che lei lo sapesse ma, per fortuna, Candy era troppo attenta al cibo per accontentarsi di mangiare cose appena passabili, senza contare che dava molta importanza al rapporto qualità prezzo non potendo permettersi il caviale a colazione, pranzo e cena. Mai in realtà, ma questo è un altro discorso. «Hai ragione, che sbadata che sono. Ma stai tranquilla, se c’è una cosa che faccio bene è scegliere i locali in cui si mangia bene.» Le strizzò l’occhio, sperando di apparire vagamente rassicurante e affidabile quando, in realtà, lei Besaid la conosceva, ma non del tutto. C’erano ancora molti posti in cui non aveva mai messo piede, un po' come quelle strade che, non essendo mai sul proprio passaggio, si ignorano completamente. Si sa che sono là ma non ci hai mai messo piede. E, ancora, una mancanza dettata dal suo entusiasmo: Candy parlava troppo veloce per Bea. La nuova arrivato lo aveva ammesso con cortesia ma, inevitabilmente, la maestra si sentì un po' in colpa perché mai avrebbe voluto rendere difficile per la sua collega la permanenza a Besaid. -Mi aiuti molto a fare pratica però. Quando riuscirò a capire tutto senza pause vorrà dire che sto migliorando. - A quel punto fece un sospiro di sollievo. Le parole di Bea la consolarono, facendole pensare che in fondo, non era una combina guai come credeva. «Ti assicuro che imparare il norvegese è meno difficile di quanto sembri.» Parlava da maestra che insegnava quella lingua a decine di marmocchi dai 5 anni in su e nessuno di loro aveva mai mostrato grandi difficoltà di apprendimento. Attraversarono la miriade di persone che, come loro, si stavano affrettando a pranzare, e si diressero verso la caffetteria prescelta da Candy. Pensò che, l’atmosfera accogliente del locale, avrebbe potuto rendere sempre più facile la conversazione anche fra loro due che, pur essendo già a proprio agio, dovevano comunque approfondire la conoscenza. Prese il menù, sapendo già cosa prendere ma non volendo apparire troppo frettolosa agli occhi di Bea fece finta di dargli un’occhiata. «Oh, c’è una vasta scelta di torte salate.» Rispose prontamente al consiglio richiesto dalla sua collega, tentando di parlare un po' più lentamente come le aveva chiesto. «Io personalmente adoro quella ripiena con le zucchine, prenderò una fetta di quella, ma è una mia deformazione d’infanzia. Sai, i miei hanno sempre prodotto frutta e verdura…» Anche se parlava a velocità media, le parole in eccesso arrivavano lo stesso. Dopotutto Bea non le aveva chiesto nulla di personale ma lei era lì pronta a raccontarle la sua intera vita. Tornò al quesito centrale: «Ma c’è anche quella con verdure e pancetta, quella al salmone che è allevato qui in Norvegia, sono entrambe buonissime e te lo dico perché le ho provate entrambe. Io provo sempre di tutto! Ma io ti sto consigliando senza sapere quali siano i tuoi gusti!» Parlava di nuovo, parlava tanto e, forse, per una frazione di secondo stava tornando a parlare velocemente. Era difficile, per Candy, tenere a mente di non mettere il turbo mentre comunicava con Bea, perché spesso la sua bocca seguiva la velocità dei suoi pensieri. Ordinarono da bere e le rispettive pietanze che avevano scelto, non appena arrivò il cameriere pronto a prendere i loro ordini e Candy sperava che portasse tutto immediatamente, tanta era la fame che aveva. -Com’è andata la tua mattina? Ti ho vista con tanti cartelloni prima. - A quella domanda le si illuminarono gli occhi. Adorava parlare del suo lavoro e adorava raccontare tutti i metodi colorati e spensierati che usava per insegnare ai suoi marmocchi. «La mia mattina è andata BENISSIMO. Prima ho fatto leggere ai bambini un racconto e poi ho fatto colorare con due colori i termini maschili e femminili. Poi, alla fine, li ho fatti anche cantare perché cantare fa sempre bene. Uno di loro aveva proposto una canzone di Billie Eilish che non conosco, tu sai chi è?» Bevve un sorso d’acqua, giusto per idratare le corde vocali dopo aver parlato così tanto, e poi tornò a prestare attenzione a Bea. «A te com’è andata? E, se posso chiedere, come mai ti sei trasferita proprio qui a Besaid?» Le sembrava una domanda legittima da porre, una di quelle domande che si pongono sempre per scoprire qualcosa in più su chi ci sta di fronte, tuttavia, considerata la discrezione di Bea, temeva di entrare in un terreno troppo intimo. Ma, siccome la sua linguaccia non si fermava mai, la domanda la pose lo stesso e, in realtà, aveva altre mille domande in testa che le avrebbe posto nel corso del pranzo, a patto che Bea non fosse fuggita via prima.
     
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    Era felice dei legami che aveva iniziato a stringere in quella nuova città, della routine che stava sviluppando e delle cose che stava imparando, giorno dopo giorno. Non si trattava solo della lingua, ma anche di una cultura completamente diversa da quella a cui era abituata. Lei che amava viaggiare aveva sempre trovato interessante vedere il mondo, apprendere nuovi modi di vivere, di osservare quello stesso mondo che tutti avevano sotto gli occhi nello stesso momento. Anche semplici dettagli che per chi viveva da sempre in un luogo potevano risultare banali, per lei invece erano piccole luci di mille colori diversi. Cercava quindi di assorbire ogni nozione, ogni peculiarità. Il fatto che Candy si fosse offerta di aiutarla a conoscere alcuni locali ad esempio era per lei molto prezioso. Chi meglio delle persone che abitavano in un luogo da sempre sapeva indicarti i punti più caratteristici o nascosti. Certo, a volte capitava di imbattersi in locali bellissimi ma seminascosti per puro caso, ma era molto più raro che recarsi in quel luogo preciso con un preciso intento. Sorrise quindi in direzione della collega, che nei giorni per lei stava diventando un’amica, qualcuno a cui rivolgersi in caso di difficoltà. Era molto piacevole trascorrere del tempo in compagnia di Candy e della sua allegria. Bastavano pochi istanti perché la maestra riuscisse a trasmettere la vitalità che si portava dentro, come un sole che non smetteva mai di brillare e illuminava le persone attorno a lei. La seguì quindi verso il locale che le aveva proposto per il pranzo, cercando di non perdere il filo del discorso. Parlava tanto Candy e non sempre lei riusciva a cogliere ogni parola di ciò che diceva, ma ci provava. Non voleva restare indietro, né chiedere troppo spesso alle persone di ripetere ciò che avevano appena detto. Ci teneva a imparare la lingua anche in via autonoma, senza dover pesare troppo su qualcuno. -Se mai volessi vedere New York fammelo sapere. Lì sarò io a mostrarti tutti i luoghi migliori dove mangiare! - le disse, strizzando l’occhio a sua volta in direzione dell’altra. Ad essere onesta non ricordava neppure se le avesse mai detto da qualche punto preciso degli Stati Uniti proveniva, ma non ce n’era stato bisogno. A volte le mancava la sua città natale e il fiume si turisti che si riversava nelle strade, il chiasso, i grattacieli. Besaid era una città molto diversa, più quieta, un luogo perfetto dove recarsi se si aveva bisogno di ritrovare se stessi con un po’ di tranquillità.
    Vide il volto dell’altra oscurarsi appena quando le chiese di rallentare appena, ad un certo punto, così da permetterle di capire tutto. Lo faceva raramente, solo quando riscontrava delle difficoltà che sembravano insuperabili. Si sforzò comunque di ridarle il sorriso, trovando un lato positivo anche in quei loro dialoghi. -Tu fai sembrare tutto molto semplice. - le disse, con un sorriso sereno sul volto, osservandola per qualche istante, prima di ridacchiare appena, coprendosi le labbra con un gesto leggero della mano. -Per caso accetti studenti anche fuori età? - domandò, senza pensarci troppo. Dopotutto chi meglio delle persone che insegnavano le basi ai bambini avrebbe potuto aiutare nel capire la grammatica e la costruzione delle frasi? Ormai riteneva di riuscire a cogliere la maggior parte delle cose senza che qualcuno dovesse tradurle per lei dal norvegese all’inglese, quindi non avrebbero avuto neppure il problema della lingua, se mai ci fosse stato. -Credo che mi aiuterebbe molto fare qualche lezione con qualcuno. - aggiunse, assumendo un’aria pensierosa, per poi sorridere di nuovo. -Ovviamente non è un tentativo maldestro di chiederti delle ripetizioni gratuite. Ci metteremo d’accordo per tutti gli aspetti. - continuò, subito dopo. Non voleva passare per una persona che cercava di approfittare della bontà altrui, visto che quel genere di cose non aveva mai fatto parte del suo carattere.
    Notò le parole dell’altra farsi un po’ più lente nel raccontarle il menù, illustrando la varietà di torte salate che lei aveva assaggiato in prima persona. -Credo che proverò quella al salmone allora. Ne ho sempre sentito parlare molto bene. - mormorò, osservando quella pietanza sul menù, per leggerne tutti gli ingredienti e cercare quindi di memorizzarli, per poterli acquistare con tranquillità in una bottega o in un supermercato. -Oh io mangio quasi tutto, non ho allergie, né intolleranze. - iniziò, cercando di rispondere in maniera esaustiva alla domanda dell’altra. -In generale però preferisco il pesce alla carne, anche se mangio entrambe le cose.- continuò, cercando di spiegare in maniera diretta perché avesse optato per la torta salata al salmone. -Tu invece? - domandò, curiosa di conoscere i suoi cibi preferiti. Aveva capito che le piacevano molto le verdure, visto che i suoi genitori le producevano personalmente, ma era curiosa di sapere se ci fosse qualcos’altro per cui Candy andava matta. All’arrivo del cameriere ordinò quindi dell’acqua e una fetta di torta salata, per poi tornare a dedicare tutta la sua attenzione alla collega, domandandole qualcosa sulla sua giornata. La ascoltò con aria attenta, annuendo di tanto in tanto, per farle capire che stava ascoltando, anche se, come ogni volta che parlava dei suoi alunni, Candy ricominciò a parlare un po’ più veloce. -Sì, la conosco, è una cantante abbastanza nota. - rispose, quando l’altra le chiese se sapeva chi fosse Billie Eilish. -E’ molto giovane però, non ha neppure vent’anni ancora. - aggiunse, come a volerle dire che non era poi così strano che non la conoscesse, se non si interessava di “nuove proposte” in campo musicale. Lei l’aveva sentita alla radio così tante volte a New York che sarebbe stato impossibile non conoscerla, ma immaginava che lì ci fossero anche dei canali dedicati soltanto alla musica del luogo. -Che tipo di generi ti piacciono? O.. in generale, che cosa ascolti? - continuò quindi a chiedere, felice di quei momenti di conversazione che si stavano ritagliando, al di fuori dell’ambiente lavorativo. Fu quindi il turno di Candy di porre a lei delle domande, che rimasero in sospeso per qualche istante a causa dell’arrivo del cameriere con le loro ordinazioni. Bea si appiattì contro la sedia, nel tentativo di lasciare al ragazzo tutto lo spazio necessario per muoversi liberamente attorno al tavolo. Soltanto quando lui si allontanò di nuovo riportò il busto qualche centimetro più avanti, preparandosi a rispondere. -La mattina è stata abbastanza tranquilla. Non ho introdotto nuovi argomenti, ho chiesto ai bambini di provare a parlare in inglese di quello che gli passava per la testa, cercando di creare una situazione serena. - disse, cercando di spiegarsi al meglio, anche se aveva il timore di aver usato qualche parola in modo un po’ improprio, ma contava sul fatto che l’altra si sarebbe comunque sforzata di comprenderla o interpretare il suo discorso.
    -In realtà la scelta della città è stata in qualche modo casuale. - ammise poi, lasciandosi andare ad una leggera risata nel ripensare a come fosse finita proprio lì, tra mille altri luoghi nel mondo. -Avevo bisogno di dare una scossa alla mia vita, di apportare qualche cambiamento, così ho preparato un curriculum e l’ho mandato un po’ in giro per il mondo, senza neppure sapere se qualcuno avrebbe risposto. - spiegò, con aria tranquilla, mentre sorseggiava un po’ d’acqua, per poi iniziare a tagliare a quadretti la sua crostata salata. -Avevo già delle conoscenze in Norvegia. Il mio ex marito ha origini norvegesi e una delle autrici che seguo per la casa editrice per cui lavoro vive proprio qui. - aggiunse, per poi fare una piccola pausa e assaggiare le pietanze, per poi sorridere piuttosto soddisfatta. -E’ davvero ottima! - le disse, dopo aver mandato giù il boccone, prima di proseguire. -Mi trovavo qui per delle questioni personali quindi, quando ho ricevuto un’email da parte della scuola, che mi ha offerto un colloquio. E’ andato bene, quindi ho deciso di restare. - spiegò ancora, alternando le parole a qualche boccone, visto che aveva davvero una gran fame e quella crostata era così buona che era impossibile resisterle. -Non era pianificato, infatti ancora non ho trovato un posto stabile dove stare. Continuo ad alloggiare in albergo da qualche mese perchè non riesco a decidermi. - ammise, scuotendo appena il capo. Si rendeva conto che fosse una cosa un po’ assurda, ma le capitava di vivere un po’ all’avventura, senza troppi progetti. -Tu invece? Come mai hai scelto di insegnare? - chiese, curiosa di sapere qualcosa in più su Candy. Sapeva essere una persona molto discreta Beatrice, ma davanti a interlocutori con cui si trovava bene poteva sfoderare la parte più chiacchierona di lei.
     
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    Candy è spensierata per natura, la sua mente è leggera e, spesso, riesce a trasformare le sue preoccupazioni in qualcosa di positivo. Non ha neanche troppi rimpianti, forse solo uno: quello di non aver mai messo il naso fuori Besaid. Non c’è un motivo preciso per cui non abbia mai fatto le valigie e sia partita alla volta di una città europea o di un luogo sconosciuto, forse ha sempre avuto troppe cose da fare qui e poco tempo per organizzarsi, forse deve trovare una meta che la convinca veramente a lasciare per un po' il nido. Nella sua ottica non ha nemmeno una meta dei sogni, Candy sa che le piacerebbe viaggiare e scoprire nuove cose, ma non sa esattamente dove andare e dove partire per soddisfare questa sua curiosità. Con Beatrice quel piccolo rimpianto sembra poter essere risolto non appena la nuova collega le assicura che, nel caso volesse andare a New York, lei sarebbe disposta a farle da cicerone ed indicarle quali siano i luoghi migliori in cui mangiare. A quell’osservazione Candy fa un sorriso ancora più grande e batte le mani entusiasta, come fosse una bimba. New York potrebbe essere una delle sue mete da sogno, la Grande Mela, la città in cui sono ambientati gran parte dei film romantici che lei adora tanto guardare tristemente da sola. Certo, sicuramente ci sono tantissimi luoghi da visitare in quella città, ma una delle prime cose che le venne in mente fu l’Empire State Building solo per la scena vista mille volte del film Sleepless in Seattle. Nonostante non avesse una dolce metà al suo fianco, Candy pensò che niente e nessuno le avrebbe impedito di salire fin lassù in cima per far finta di essere la romantica protagonista di uno dei suoi tanti film preferiti. Ma era meglio tornare alla realtà, quindi, pose di nuovo la sua attenzione su Beatrice e sulla caffetteria da loro prescelta per trascorrere una pausa pranzo in santa pace, che si stava rivelando più piacevole di quanto avesse immaginato, dal momento che quel tempo trascorso con Beatrice fuori dalle mura scolastiche le stava permettendo di conoscerla ancora meglio. Mentre parlava, Candy tentò di rallentare le sue parole che solitamente si susseguivano fuori dalla sua bocca a ritmo accelerato, avendo il vizio di parlare sempre a ruota libera, talvolta nemmeno si rendeva conto di dover prendere fiato per continuare a parlare. -Per caso accetti studenti anche fuori età? - Oh, quella ragazza le stava dando solo gioie, sapeva che Beatrice sarebbe divenuta un’ottima amicizia per lei. Nonostante avesse un pessimo sesto senso, anche Candy riusciva a comprendere le cose più evidente, e cioè che lei e Bea stavano per divenire grandi amiche. «Vuoi scherzare? Certo che ti insegno un po' di norvegese! E non voglio pagata, non dire sciocchezze!» Candy adorava rendersi utile insegnando. Certo, l’insegnamento ai bambini era la sua professione prediletta, ma se tra gli ‘allievi’ ci fosse stata anche Bea non faceva altro che farla sentire sempre più utile. Sapeva che, lì a Besaid, non avrebbe mai lasciato un’impronta nel mondo ma, almeno nel suo piccolo, Candy era convinta di poter lasciare un’impronta positiva nelle persone che incontrava. Ancora ricorda come Noah, suo fratello, non sopportasse quella sua vitalità o quel suo sperare di fare sempre una buona impressione in quelli che incontrava. Per fortuna il muso lungo del fratello non l’aveva mai influenzata a tal punto dal perdere le speranze in quel suo intento. E poi il sorriso di Candy si fece ancora più grande, se ancora fosse possibile una cosa del genere, quando Beatrice disse che mangiava di tutto: la sua compagna culinaria ideale! «Vuoi dirmi che, se casomai aprissero un nuovo ristorante di cucina strana in città tu verresti con me a provarlo? Provo sempre dei piatti nuovi, sono curiosa. Ammetto che la cucina messicana per me è stata una svolta, anche se tendo a non mangiarla tanto perché, sai, c’è quel piccolo problemino del piccante…» Una risposta che, per quanto fu lunga e articolata -al solito di Candy- fece intendere anche quali fossero le sue preferenze in cucina. Anche se la realtà dei fatti era una: Candy mangiava di tutto e amava quel tutto. Era un po' la versione femminile dei pozzi senza fondo con cui solitamente vengono additati gli uomini. Iniziava ad avere seriamente l’acquolina in bocca, con tutto quel parlare di cibo, per questo fu addirittura contenta quando il loro discorso si spostò sulla musica e su quella cantante che lei ancora non conosceva. Billie Eilish. «Stasera quando tornò a casa ascolterò qualcosa di suo.» Sentenziò seria per poi assumere un’espressione pensierosa per rispondere alla domanda di Beatrice. -Che tipo di generi ti piacciono? O.. in generale, che cosa ascolti? - Bella domanda. Non ci aveva mai fatto caso a quale fosse il suo genere musicale preferito. Di solito Candy si ritrovava a muovere la testa a ritmo di una melodia casuale, che sentiva di sfuggita alla radio o in sottofondo mentre era in qualche luogo pubblico, tipo il supermercato. Sotto la doccia spesso cantava a squarciagola vecchie canzoni che aveva imparato a memoria da ragazzina, quelle che andavano di moda all’epoca. «Penso che mi piaccia la musica in generale, da ragazzina mi ritrovavo a fare coreografie idiote sulla musica di Britney Spears. A pensarci adesso mi vien da ridere perché, credimi, erano veramente ridicole.» Ridacchia ripensando ai tempi andati alla Reservoir, dove ormai non metteva piede da almeno cinque anni. Il lato positivo, però, era che aveva solo bei ricordi legati a quel posto, nonostante poi fosse stata cacciata via. Incredibile ma vero, quando Candy pensava alla Reservoir o ne parlava non trapelava alcun odio dalla sua persona, sarebbe stato sciocco descriverlo come un brutto posto quando in realtà per lei non lo era stato affatto.
    Finalmente arrivarono le ordinazioni. Cibo, vita, pensò Candy, i cui borbottii dello stomaco erano diventati insistenti fino a quasi essere imbarazzanti. Ascoltò il racconto di Beatrice, addentando senza pietà la sua fetta di torta salata. «Brava, anch’io tento sempre di creare una situazione serena. Non penso che i bambini possano imparare quando gli punti una pistola contro…in senso figurato, ovviamente.» Candy ebbe la decenza di mandare giù il boccone prima di parlare, mentre annuiva con la testa a tutto ciò che diceva Bea. Erano sulla stessa linea d’onda, ed era incredibile pensare che una persona tanto affine a lei, fino a quel momento, era stata dall’altro capo del mondo. Per quanto possa sembrare assurdo, con gli altri suoi colleghi Candy non aveva mai avuto l’occasione di sedersi e parlare così, con semplicità, conoscendosi oltre le mura lavorative. Ascoltò con attenzione il racconto di Bea, di come fosse giunta a Besaid quasi per caso, senza aver programmato nulla e, tanto che fu interessata al racconto, si dimentico di mangiare la sua torta, rimanendo con la forchetta sospesa in aria, mentre la stringeva nella mano. -Non era pianificato, infatti ancora non ho trovato un posto stabile dove stare. Continuo ad alloggiare in albergo da qualche mese perchè non riesco a decidermi. - A quel punto le si illuminarono gli occhi, spinta dalla sua solita impulsività che però in quel caso assumeva una connotazione positiva. «Puoi venire a stare da me, se vuoi.» Si sentì quasi una pazza per aver fatto una proposta del genere senza nulla di premeditato. Quando aveva comprato l’appartamento non aveva mai pensato di condividerlo con qualcuno se non con Menta, il suo pappagallo. «Sentiti libera di rifiutare la mia proposta, ovviamente. Non voglio vincolarti in nessun caso! Anche perché sappi che in casa con me c’è Menta, il mio pappagallo. È discreto…cioè discreto per quanto possa esserlo un pappagallo! Ma non so se a te piacciono gli animali.» Aveva ricominciato a parlare veloce, solo che in quel caso si sentiva un po' agitata perché non voleva che Beatrice intendesse male le sue parole, in qualche modo. Non sapeva come potesse prenderla, la sua proposta le era venuta fuori dal cuore e sperava che la sua collega potesse notare le sue buone intenzioni. -Tu invece? Come mai hai scelto di insegnare? - La proposta fatta a Beatrice di divenire sua coinquilina, la distrasse tanto da farle quasi dimenticare di rispondere alla domanda che le aveva posto. Si ricordò anche di mangiare, finalmente, e prima di rispondere diede un altro morso alla sua torta. Diamine era tanto buona e già stava finendo! «Volevo insegnare sin da bambina. Si potrebbe dire che era la mia vocazione, non ho mai avuto un piano B. Ho voluto fare sempre e solo l’insegnante.» Lo spiegò con semplicità, bevendo un altro sorso d’acqua.
     
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    Notò un’espressione raggiante sul volto della collega quando le propose di visitare New York insieme a lei e ne fu felice. Candy la stava aiutando molto a integrarsi e a sentirsi meno sperduta in quella cittadina, le sarebbe piaciuto poter ricambiare almeno un minimo il favore. Sarebbe stata persa senza le sue parole gentili e i suoi sorrisi, in mezzo ai corridoi della scuola. Le aveva fatto una buona impressione sin dal primo momento ed era quindi lieta che la cosa fosse stata reciproca. Il fatto poi che Candy avesse appena accettato di aiutarla con il norvegese contribuiva a renderla la sua personalissima eroina. -Ehi ma così non posso accettare! - si lamentò, quando l’altra sostenne di non voler essere pagata, per poi lasciarsi andare a un leggero sbuffo. -E va bene, vorrà dire che cercherò di sdebitarmi in qualche altro modo. - mormorò alla fine, con un dolce sorriso sul volto. Candy era una persona buona, era evidente che non volesse far altro che aiutare quindi non se la sentì di insistere troppo. Si sarebbe sentita un po’ a disagio nell’abusare del suo tempo, portandola a svolgere il ruolo di insegnante anche nel tempo libero, ma si sarebbe fatta venire un’idea in mente per ripagarla, in qualche modo. A volte la compagnia di una persona amica poteva fare una grande differenza in una vita piena di questioni irrisolte e di dubbi. Lei lo sapeva bene, visto che si era sentita incredibilmente sola per tanti anni della sua vita, anche se circondata da persone. La storia con Xavier e il matrimonio fallito non erano che la punta di un iceberg fatto di occasioni non colte e di questioni che non aveva voluto affrontare quando era stato il momento. Non era brava a imporsi, a mettere se stessa al primo posto, ma stava cercando di imparare. Aveva capito ormai chiaramente che se non stava bene con se stessa non avrebbe potuto farlo con nessun altro. -Oh, sì, assolutamente! Considerami.. prenotata? Si dice così? - chiese, cercando di trovare le parole più adatte per comunicare a Candy che sarebbe sempre stata disponibile per accompagnarla in qualche nuovo locale a provare del cibo nuovo. -Io invece sono stata conquistata dalla cucina giapponese di recente, ma devo ammettere che sono davvero poche le cose che proprio non riesco a mangiare. - spiegò, in risposta alla confessione sul cibo messicano dell’altra. Sorrise quindi, lieta di poter condividere almeno qualcosa di così semplice con l’altra. -Quindi sì, sono a disposizione per assaggiare qualunque cucina, e persino per provare a cucinarla, se ti va! - aggiunse, annuendo in maniera energica tra sé e sé, mentre continuava a guardare Candy in volto. Aveva imparato a cucinare già da quando era una ragazzina ma era divenuta più brava da quando aveva iniziato a vivere a sola. Non si poteva definire un asso della cucina ma sapeva seguire le ricette in maniera abbastanza attenta.
    Cambiarono presto discorso, lasciando perdere il cibo almeno per un po’. -Anche io non sono una grande esperta a dire il vero e anche io ho ascoltato Britney quando ero una ragazzina. Oh e anche le Spice Girls! - aggiunse, per poi iniziare a canticchiare a labbra chiuse Wannabe, lasciandosi poi andare ad un’altra leggera risata. Era bello trascorrere del tempo con qualcuno che non la faceva sentire giudicata per ogni cosa facesse. -E in ogni caso, potevano anche essere ridicole le coreografie, ma se ti facevano sentire felice, allora erano meravigliose. - disse ancora, spostando poi appena la schiena contro la sedia quando uno dei camerieri giunse a portare le loro ordinazioni. Iniziò a sbocconcellare il suo cibo prima di procedere con la conversazione. Aveva quasi dimenticato di avere fame fino a quel momento ma davanti a quell’ottimo profumo non riusciva più a pensare ad altro. Le raccontò del suo arrivo quasi casuale in città, di aver mandato a delle lettere a tante scuole in giro per il mondo e che quella era stata la prima a rispondere. La fortuna, con l’inglese, era che la lingua veniva insegnata in molti luoghi e aveva quindi tante possibilità davanti a sé se voleva girare un po’ il mondo. Besaid era stato un inizio, ma non poteva sapere quanto a lungo si sarebbe trattenuta lì. Molto dipendeva anche dall’evoluzione del suo rapporto con Xavier e dal contratto con la scuola. In entrambi i casi per ora cercava di procedere a piccoli passi, senza affrettare nulla.
    Rimase abbastanza di stucco quando Candy, scoperto che cercava un posto dove stare, le propose di andare a stare da lei per un po’. Non era quello che si era aspettata quando avevano deciso di andare a mangiare un boccone insieme dopo il lavoro, quindi dovette prendersi qualche momento per riflettersi. Sorrise, nel sentire l’altra continuare a parlare di fretta, come se si fosse sentita troppo invadente nel proporre una cosa come quella, informandola anche della presenza di un pappagallo all’interno dell’appartamento, forse persino per darle un modo più semplice di declinare. -Mi piacciono gli animali, anche se non ne ho mai avuto uno. - rispose, iniziando da quella che era la parte più semplice e tranquillizzando quindi l’altra su quel piccolo aspetto. -Mi faresti un grande favore se mi ospitassi per un po’, l’albergo inizia a starmi un po’ stretto, ma non vorrei essere di disturbo. - continuò poi, con un sorriso sincero. Avere qualcuno con cui condividere le giornate sarebbe stato senza dubbio un grosso passo avanti, ma si rendeva conto che lei e Candy si conoscevano ancora poco e sarebbe stato un bel salto nel vuoto per l’altra ospitarla in casa sua. -Se vuoi però possiamo tentare. Con la promessa che, se dovessi pentirtene, me lo dirai immediatamente. - propose, allungando poi la mano con il dito mignolo sollevato, nella sua direzione, come a chiederle di farle davvero quella piccola promessa. Forse era un po’ infantile la questione del dito per stringere degli accordi, ma non ci badò. Era una cosa che le piaceva da quanto era bambina. Contava comunque di non restare a lungo, giusto il tempo di organizzarsi e trovare un posto suo, per non abusare troppo a lungo della pazienza di Candy. Per come la conosceva era abbastanza sicura che non le avrebbe mai fatto notare le cose che le avrebbero potuto creare dei problemi. Per fortuna non aveva molti bagagli con sé, anche se la sua passione per lo shopping l’aveva già portata a fare qualche nuovo acquisto in città e necessitava quindi di una borsa aggiuntiva rispetto a quella con cui era partita.
    -Ah davvero? Invidio molto la tua decisione. - rispose poi, quando l’altra affermò di essere sempre stata molto decisa sul voler insegnare e di non avere avuto altri piani nella sua vita. -Io invece ho cambiato idea davvero tante volte nel corso della mia vita e anzi, ancora non sono sicura di cosa voglio fare. - mormorò, per poi ridacchiare, coprendosi appena le labbra con la mano. -Temo di avere troppe passioni e di non riuscire a incanalarne nella maniera più corretta. - disse ancora, tentando di spiegare i motivi che l’avevano portata a cercare di diversi lavori e a svolgerne almeno due contemporaneamente, ogni volta.-Da piccola volevo diventare una ballerina. Buffo, visto che la coordinazione non è mai stata il mio forte.- raccontò, continuando a ridacchiare, riportando alla mente momenti sereni in cui era stata davvero felice. -Ho scoperto che mi piaceva insegnare quando ho iniziato a dare qualche ripetizione, anche se questa è la mia prima vera esperienza in questo senso. Da qualche anno collaboro con una casa editrice. Ho pensato di dedicarmi interamente a quello ma non sono mai riuscita a fare neppure quello.-Ma ora veniamo alle cose davvero serie. - sentenziò poi, sistemandosi un po’ meglio contro la sedia, come a darsi un’aria più attenta e seria. -Prendiamo anche il dolce? - domandò poi, lasciando che l’espressione seria si mutasse in un sorriso, facendo intendere all’altra che in realtà di importante la sua domanda non aveva davvero molto. Avevano tuttavia terminato la loro ordinazione principale, quindi le sembrava il momento adatto per proporre di proseguire con qualcosa di un po’ più sfizioso.
     
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    Si, Candy si affezionava facilmente alle persone, ma bisognava ammettere che Bea le stava facilitando ancora di più quel compito. Non che faticasse a fare amicizia, questo bisognava metterlo in chiaro, ma talvolta accadeva che le persone con cui incrociava il suo cammino le risultavano particolarmente in sintonia con lei. Era anche vero che Candy riuscisse a sentirsi in sintonia un po’ con tutti e poi doveva ricredersi perché non era altro che una credulona fiduciosa nelle buone intenzioni delle persone. Poteva elencare per una buona mezz’ora tutte le persone da cui era stata delusa perché le avevano fatto credere di volerle bene e poi l’avevano abbandonata quando non era più di nessuna utilità per loro. Il lato positivo è che nessuna di queste persone è riuscita a scalfire l’ottimismo strabordante di Candy, nemmeno quando si profilò la possibilità di fare un viaggio a New York, un giorno, o di dare lezioni di norvegese a Bea senza pretendere nulla in cambio. Troppo buona per non dare una mano, Candy era già abbastanza soddisfatta di potersi rendere utile a qualcuno che aveva bisogno di un piccolo aiuto, la faceva sentire felice. La conversazione tra lei e la sua collega procedeva in maniera frizzante, spensierata, sembravano due vecchie amiche che dovevano aggiornarsi sui rispettivi cambiamenti avvenuti nelle loro vite. Naturalmente Candy sapeva ancora ben poco della vita personale di Beatrice, ma non era tanto ingenua da essere convinta che ogni persona sulla faccia della Terra avesse avuto una vita semplice e priva di dispiaceri. Annuì con vigore quando la collega si considerò prenotata per quelle ripetizioni e i suoi occhi si illuminarono di gioia quando scoprirono di condividere la stessa passione per il cibo: «La cucina giapponese! Mi piace un sacco. Avrai intuito che mangio di tutto e lo faccio anche con tanta gioia.» Candy era golosa, spesso quando era bambina, sua madre doveva toglierle di mano le troppe caramelle che mangiava o doveva impedirle di fare il bis con un dolce. «Io sono una frana nel cucinare, ma se lo facessi con qualcuno sono sicura che i danni sarebbero limitati. Quindi tu considerami prenotata per una sessione collettiva di cucina.» Scherzò, ma nemmeno tanto perché era veramente una frana in cucina anche se questo non era abbastanza per farla allontanare dai fornelli di casa sua.
    Rise di gusto e mosse la testa a ritmo della canzone che stava cantando Bea, riportando alla mente vecchi ricordi di Candy alla Reservoir, quando ancora lei e la sua famiglia erano bene accetti e la sua vita era decisamente più spensierata di adesso. I risvolti negativi del divenire adulti! Continuarono il loro pranzo, parlando veramente di qualsiasi cosa, finché Bea non disse che stava in albergo, lì a Besaid, e che quindi era in cerca di un’abitazione che fosse più sua. Ancora una volta Candy non riuscì ad esimersi dal dare un aiuto ad una persona che le stava tanto simpatica. Propose a Bea di divenire la sua coinquilina e sapeva bene che era una proposta prematura, un po’ come sposarsi con qualcuno che si conosce da appena tre mesi, ma aveva deciso di seguire il suo istinto, come sempre. Dopotutto non poteva essere negativo tutto quello che faceva prendendo decisioni di pancia, no? E ogni dubbio svanì non appena Bea accettò la proposta. Candy battè le mani felice, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. «Sono così felice e non pensiamo al fatto che potremmo pentirci, pensiamo solo al fatto che potremmo anche stare bene! Io, tu e Menta, ci sarà da divertirsi, sempre che tu non scappi via prima.» La prospettiva di condividere la casa con qualcuno la entusiasmava. Candy non era fatta per rimanere da sola per lungo tempo durante la giornata, a lei piaceva scambiare qualche parola a sera, raccontare a qualcuno la sua giornata, e Beatrice magari poteva rivelarsi la coinquilina ideale. Lei ci sperava davvero! Sancì quella promessa intrecciando il suo dito mignolo a quello di Bea, proprio come se fossero due bambine di quelle a cui loro stesse facevano lezione. Un gesto tanto semplice quanto intriso di mille speranze da parte di Candy: sarebbero divenute amiche veramente con Bea? Di quell’amicizia forte e sincera che era tanto rara da trovare? Avevano appena finito le loro torte salate e Candy spalancò gli occhi dando un’occhiata alla schermata del telefono su cui era segnato l’orario. «Il tempo corre veloce, la nostra pausa è quasi finita.» Per quanto la riguardava e per quanto amasse il suo lavoro, Candy sarebbe rimasta con Bea volentieri, i suoi racconti la incuriosivano e nelle parole dell’amica poteva percepire similitudini e differenze con la vita che lei stessa aveva condotto sino a quel momento. -Prendiamo anche il dolce? - E a quella domanda, Candy fu definitivamente sicura che Beatrice fosse la coinquilina fatta per lei: «C’è sempre un po’ di tempo e spazio per il dolce!»
     
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