Don't pretend it's such a mystery

Matt Ft. Cat | Biblioteca | 13.06.2021

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    Si guardò intorno, captando ai margini del suo campo visivo i passi compiuti da due ragazzi lontani che si avvicinavano dalla direzione opposta. Ascoltò i suoni del rimbombo dell'eco che arrivavano distorti, le voci delle persone che si avvicinavano e si allontanavano al di là di un viadotto confinante. Non era una persona che non dava nell'occhio lui. Lo si poteva individuare presto sotto la luce del sole, ed era per questo che era rimasto nascosto a lungo sotto la visiera di un cappellino degli Yankees che lo rendesse anonimo come tutti gli altri, tuta da motociclista ancora indosso, dietro una delle più vecchie moto che aveva in quel momento al garage e che dovevano finire di sistemare, una Hercules w2000 nera, cromata, e strana, solo un occhio attento poteva notare che era una moto d'epoca e che un minimo quel vecchio catorcio potesse poi avere rilevanza. Strofinò con il pollice la fede che portava all'anulare della stessa mano, sfregandola fino a farla ruotare lievemente. La sua abitudine era portare la fede alla mano destra. Non era una cosa esattamente consona, questo lo sapeva, ma nessuno che sapeva quale fosse il suo status civile si preoccupava comunque di farglielo presente. Tanti anni prima quando era un ragazzo ed era appena sposato, Naavke si era accorto che alla mano destra aveva un lembo di pelle chiaro che metteva in risalto la sua mano, e che era meglio che prima che anche l'altra mano finisse per conservare un segno sulla sinistra decidesse di cambiare l'usanza di portare la fede alla mano sinistra con quella destra. Sarebbe stata una cosa solo sua, avrebbe detto. La mano sinistra sprovvista di particolarità era il segno della sua obbedienza ai suoi ideali, la destra, con un segno visibile, sarebbe stata quella che avrebbe dedicato alla sua retta via, la sua vita da sposato.
    A tutte le persone che non facevano parte della setta e non lo conoscevano sembrava che stesse portando un segno alla mano destra come di affetto e devozione ad una moglie che non aveva più. E per quanto fosse sbagliato e lui lo sapeva, perché doveva molte cose ad Anija, e voleva anche doverne così tante per sua scelta e volontà, era anche come se fosse vero. Però questo non lo sapeva praticamente nessuno.
    Matthew non si divertiva esattamente ad ingannare il tempo. Non nel vero senso del termine. Molto tempo prima aveva avuto bisogno di distrarsi quando non era in grado di controllare il suo potere, ed era stato quello il tempo in cui era cresciuto, e in cui aveva capito come poter rilasciare e ritirare a sé i momenti del non controllo sulla sua psiche. Adesso quando doveva svolgere un incarico era costante e meticoloso, l'irrazionalità era una non costante che poteva o non poteva manifestarsi a seconda di quello che doveva accadere. Su quello dove aveva in effetti controllo e decisione in capitolo allora riusciva a prevedere dove poteva arrivare. Non riusciva invece a coprire quel miglio in più delle cose che non conosceva. E le cose che non conosceva non poteva controllarle.
    Curioso come poi quel giorno la sua missione consistesse nel conoscere qualcosa di ignoto. Capitava raramente che Matthew e suo fratello, il maggiore, scambiassero parole fuori dall'ordinario in un contesto che era rigorosamente controllato come quello in cui si erano ritrovati quel giorno di due giorni prima, l'università. E quello sfuggire all'ordinario controllo per Matt era stato l'inizio di un cedimento che non aveva saputo controllare. Era l'inizio di un passo in un percorso che non conosceva dove l'avrebbe portato.
    Quando iniziava le cacce all'uomo era euforico, ma anche remissivo. Era come se portasse dietro di sé l'ombra di quello che sapeva potesse essere in grado di fare, ma volesse far capire agli altri che non era neanche esattamente tutto come sembrava, e che le cose potevano sempre risolversi in fretta e felicemente grazie ad un semplice sforzo. Un passo nella loro direzione. Potevano essere tante cose, poteva esser tutto come nulla. Poteva significare un passo significativo come restare nella Libra facendo ammenda ai propri errori. Poteva essere ripagare per un errore commesso portando un vantaggio qualsiasi inaspettato. Poteva significare, come spesso succedeva, aver perso un contatto, aver perso una grande quantità di denaro, e di quelle cose tra le altre era lui a fare le veci del braccio sinistro, come oramai piaceva a lui dire dopo aver regalato e coniato un vero senso alla sua mano priva di imperfezioni. Anche perché il braccio destro della squadra era Cassandra.
    Continuò a rimanere attento, a capo chino, mani nelle tasche. Finché la persona che aspettava non si manifestò di lì a pochi metri da lui, una figura esile e minuta, di altezza media. La osservò da lontano, senza però poter essere in grado di scorgere di più che una macchia di capelli corvini e un lampo di un profilo chiaro e vago che non fu abbastanza per rendere conto a lui di chi si trattasse, e se in effetti fosse lei la persona che aveva identificato ad una probabilità più alta del novanta percento. Quando fu certo di non essere visto perché la ragazza aveva camminato ancora e ricoperto la distanza di molti metri, ed aveva già varcato la soglia della biblioteca, rientrò dentro l'edificio, liberandosi della tuta a strati che andava a coprire un abbigliamento molto più comune, informale, ma non come era solito utilizzare lui. Entrò dentro la biblioteca riprendendo la postazione che aveva scelto prima, maglia azzurra e pantaloni scuri, su di un viso semi pulito con la barba rasata della mattina prima, salutando la segretaria all'ingresso con un cenno: l'aveva fatto passare poco prima e aveva detto che sarebbe andato a fumare per un pò. Gli piaceva mostrarsi esattamente a suo agio anche quando a suo agio non lo era per niente, in un contesto così strano rispetto a quello in cui solitamente si collocava. Non metteva un piede in biblioteca da decenni.
    Si sedette al suo posto, riprendendo i libri che aveva acciuffato prima dallo scaffale e riaprendolo alla pagina dove nella sua immaginazione aveva lasciato un segno.
    Quel giorno non aveva una caccia all'uomo, era una caccia sottile e diversa, quella dove doveva partire per affermare che nulla fosse trapelato e nulla fosse stato ascoltato. Ed era una situazione nuova per lui dover approcciare qualcuno facendo finta di non essere affatto quello che era. Aspettò di identificare nuovamente la ragazza una volta intercettata alla postazione che aveva occupato, pensando che si fosse avvicinato a lei abbastanza per essere in grado di anticipare i suoi movimenti. E così in effetti fu.
    Quando la ragazza lasciò le proprie cose al suo posto si alzò in direzione degli scaffali, con tutta l'aria di voler cominciare a cercare un tomo per i suoi studi. Camminò per un pò, dirigendosi verso una lettera precisa e mentre cominciava a cercare i tomi si perse nei volumi che aveva di fronte, e Matt non fece fatica a mettersi abbastanza vicino da poter intervenire esattamente come voleva.
    Studiare il luogo e il piano gli era stato necessario. Preparare gli schemi di azione era quello che faceva sempre, per quanto quella volta poteva essere stato paradossale come se stesse affrontando una prova regalatagli dal karma. Quell'uomo non aveva alcun motivo per approcciare una studentessa universitaria in piena sessione esami. L'unico modo in cui poteva farlo era assumere i connotati, le forme, l'apparenza, di una persona che non era. Una persona che probabilmente disprezzava.
    La ragazza si fermò, di fronte al volume che doveva prendere, e che invece mancava. La vide che era proprio lì, perplessa, mano a mezz'aria, attonita a fissare lo scaffale prescelto con un buco tra i tomi della fila, tutti ordinati e perfetti e messi esattamente come dovevano. Tutti tranne il suo. Ed era lì che entrava in gioco lui.
    « Stavi cercando questo? » Mormorò. Il tono di voce era difficile da modulare, e il suo era brusco e forte, e per quanto potesse provare a levigarlo, non uscì esattamente come una carezza. Sembrava una sfida. Il che andava bene comunque. Era quello l'effetto che voleva ottenere.
    Aveva dovuto chiedere il suo nome, e parlare con la segretaria di qualcosa che non era minimamente interessante, ma sapeva che avrebbe innescato un fiume in piena da parte della donna semplicemente chiedendole cosa facesse lei nella sua vita. E quando alla fine aveva pronunciato il nome della sua studentessa, di Catelyn Nørgaard, le chiese quale tomo stesse consultando per preparare il prossimo esame. E quello era lo stesso volume che aveva tra le mani. La pratica rende perfetti. Lui aveva solo bisogno di sembrare come se fosse uno di quelli che aveva sfogliato le pagine di quei volumi per tutta la vita.


    Era arrivato nell'aula professori come una furia. Aveva aperto frettolosamente la porta e l'aveva richiusa malamente alle sue spalle. Aveva incrociato lo sguardo del fratello, occhi chiari come lui, una massa di capelli folti e scuri sparati da tutte le parti, tipico ritratto del maggiore di quando, come era suo solito fare, si perdeva negli esami da correggere o in letture su cose di cui lui non sapeva assolutamente nulla e il minore non voleva saperne di più.
    « Matt, sei tu, mi hai spaventato. » Si spazientì, e rispose con un ruggito al maggiore.
    « Come ho fatto a spaventarti se ero atteso? Mi hai chiamato tu. »
    « Hai ragione. Ma mi hai preso alla sprovvista. »
    « Cosa significa che hai fatto saltare l'operazione? »
    « No va bene, non è esattamente questo. »
    « Mi hai detto che la mia identità può essere compromessa, sei andato a dire in giro cazzate. »
    « Allora, ti racconto. Ora.. » Si fermò. « Stai calmo un secondo. » Matt fece un respiro rumoroso che sapeva solo di rabbia e di prepotenza, e di un incredibile voglia di tirare uno schiaffo al fratello per le frasi che diceva e non pesava, come l'aveva fatto per tutta la vita. Suo fratello non aveva nulla a che vedere con il fardello che portava lui per Nero, e non aveva benché minima idea di quello che era in grado di fare. Ma la presenza ingombrante del fratello minore, e la lontananza che aveva poi manifestato verso la loro famiglia, per così dire a suo tempo, aveva illuminato e spinto anche il maggiore a capire e ad avvicinarsi ai dettami della Libra. Quello che faceva lui non aveva a che vedere con le faccende serie, ma li aiutava in molto altro. Tutto quello per cui poteva servire un eminente professore universitario in lettere, filosofia, e un dottorato di scienze umanistiche qualunque che a Matt non sembravano potesse poi essere rilevanti per cambiare il corso delle vicissitudini di nessuno.
    « Ho fatto da tramite come mi avevi detto per la faccenda Sputnik. » Fece una faccia strana, come se avesse sputato fuori qualcosa di blasfemo e se ne fosse reso conto tardi. La verità era che il nome di quella missione l'aveva scelta Matt, e a lui piaceva in un modo tutto suo utilizzare parole russe che sembravano esattamente l'opposto di quello che poi doveva significare fare. Avevano bisogno di un assistente per un tramite esterno per poter comunicare informazioni riservate sulla setta fuori dai confini di Besaid. Un corriere. Спутник significava in realtà un compagno di viaggio, un satellite, proprio come l'omonimo con cui condivideva il nome che aveva nettamente più rinomanza, o almeno l'aveva avuta. Più che un compagno era una missione in solitaria. Non aveva bisogno di altro che di qualcuno che fosse lanciato nell'ignoto per dettare informazioni altrove.
    « Ho evitato di proseguire oltre perché non volevo che ci rientrassi. Ho parlato con il mulo, e questa persona mi è sembrata falsa. Abbiamo bisogno di qualcun altro. Dobbiamo trovare un'altra persona. » Matt si sedette, rumorosamente, sul divano nella sala professori destinata a suo fratello.
    « Siamo ancora in tempo per cambiare soggetto, se così fosse. » Mormorò, e cercò di pensare oltre l'informazione che gli aveva passato il maggiore. Cambiare i piani così all'ultimo minuto non era una buona cosa ma poteva essere un problema aggirabile. « Fammi sapere quando dovresti incontrarlo. Ci penso io a capire che intenzioni ha. » Il professore annuì, con un'altra espressione delle sue a far capolino sul volto. Non era molto sicuro di come il minore ci avrebbe pensato a vedersela lui e non era molto felice di quella notizia.
    « Magari chiudi meglio la porta, poi ti dirò il resto. Dovrebbe venire una ragazza che mi ha chiesto udienza. » Continuò, rovistando tra le carte che aveva sulla sua scrivania, prima di inforcare gli occhiali sul naso e sedersi alla sedia di fronte, la sua postazione.
    « Udienza? » Biascicò Matt, mettendosi a ridere. Un rumore li sorprese, e prima che Matt potesse prenderlo in giro per la scelta di parole la porta si mosse e si richiuse velocemente su se stessa, provocando un salto del professore e un'imprecazione stretta in tedesco che fuoriuscì dalle labbra di Matt. Non fece in tempo a flettersi oltre la porta, per cercare di individuare una figura oltre la stessa che potesse aver sentito il loro discorso. Non disse nulla, e guardò con espressione eloquente il fratello, prima di incrociare le braccia al petto e attendere la sua risposta. Quando il fratello non rispose lo incalzò.
    « Il nome. Mi serve solo il nome. Chi aspettavi? » Il professore ci mise un pò ad elaborare il tutto. Si alzò, e si risedette sulla sedia. Storse le labbra e pronunciò il nome.
    « Catelyn Nørgaard. »


    Edited by wanderer. - 17/10/2022, 21:38
     
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    Era da poco che Catelyn stava ricominciando a frequentare l'Università: non era una studentessa a tempo pieno, dopotutto doveva occuparsi di mille altre faccende, ma stava a poco a poco cercando di seguire qualche corso, i più interessanti del semestre e quelli più utili alla comprensione di esami complicati. Per fortuna, le erano rimaste solo materie che studiava piuttosto volentieri, fra le quali un corso a scelta che l'aveva particolarmente intrigata, non per la materia in sé quanto per il docente che lo teneva. Più d'ogni altra cosa, Cat ricercava negli altri - e soprattutto nei suoi insegnanti - una buona dialettica ed una retorica adatta a chi insegnava a Giurisprudenza: era un parametro necessario, a suo dire, ed il professor Morgenstern aveva davvero tutte le carte in regola. L'idea iniziale della ragazza era stata di seguire una singola lezione di ognuno dei corsi disponibili per il modulo all'interno del quale era obbligata a scegliere un esame da sostenere: quello più facile, si era detta, sarà quello che farò. Il fato tuttavia aveva deciso per lei e alla fine si era ritrovata a seguire, e volentieri, ognuno degli sproloqui del suddetto professore. «Te l'avevo detto che era bravo.» le aveva sussurrato una sua collega, che al contrario, aveva seguito ogni singola lezione, non aggiungendosi alla fine e partendo già indietro. Recupererò. si era detta, come d'altra parte faceva ogni volta. Era sempre stata indietro nello studio, non seguita, ferma ad un livello pressoché elementare, ma la sua sana curiositas l'aveva portata lontano ed era ormai fiduciosa del fatto che la sua mente fosse davvero il suo tratto più bello. Purtroppo però, con tutti gli impegni che aveva, tra il giornale ed il lavoro, si era ritrovata a non avere il tempo materiale per poter recuperare da sola le lezioni perse, con non poca frustrazione. Le era stato consigliato di approfittare della disponibilità del docente e chiedere un colloquio, ma non l'aveva mai fatto e le sembrava piuttosto da lecchini, quasi come a dire "Le sue lezioni sono così interessanti che voglio approfondire" o, peggio, "Lei è così noioso che sono rimasta indietro di ore ed ore di spiegazione". Ad ogni modo, remore a parte, alla fine il raziocinio aveva trionfato ed aveva scritto un'email esemplare proprio chiedendo un incontro: aveva specificato di aver cominciato a seguire da poco e di volere alcuni chiarimenti su lezioni alle quali non aveva assistito, sperando che in quel modo fosse tutto il più limpido possibile, concludendo il tutto con un sempreverde "Cordiali saluti, Catelyn Nørgaard". La risposta non tardò ad arrivare e fu persino stranamente cortese: Sorprendente. C'era un luogo, un orario ed una dialettica gentile: era un vero professore? Meglio così. si disse ancora, chiudendo il laptop ed andando in cucina, rimandando al giorno dell'incontro altri eventuali pensieri.
    Quando arrivò, Cat uscì di casa in orario - non le piaceva essere in ritardo quando toccava a qualcuno aiutarla - e si diresse verso l'Università, che per fortuna poteva raggiungere a piedi: lei e Leo avevano preso casa in una zona ben collegata della città, preferendo la comodità ad un appartamento più grande. Potevano raggiungere il Banchan, l'Università, l'Egon... era un posticino piccolo ma piuttosto accogliente, nel quale i due avevano trovato un certo equilibrio. Cat quel mattino aveva portato con sé un quaderno, una matita, il libro di testo ed aveva riposto tutto all'interno della borsa che usava per andare a lezione: non era una tipa da zaini, li trovava frugali, preferiva vestirsi bene anche in occasioni come quella, di fatto, era veramente raro trovarla con un singolo capello fuoriposto. Era stata definita da molti vanitosa, ma alla fine probabilmente non era che ancora la ragazzina insicura che guardandosi allo specchio non sapeva se quel che guardava fosse o no abbastanza: il tutto, ovviamente, era celato da un ego e da una stima di sé che si ignorava quanto fosse reale.
    Giunta al luogo dell'appuntamento, la ragazza notò la porta socchiusa: c'era qualcun altro? Guardò il suo polso sinistro, sul quale c'era un orologio Daniel Wellington dalla forma sottile ed elegante. Era persino in anticipo. Dall'interno tuttavia sentiva un certo vociare e, curiosa com'era, non poté esimersi dall'ascoltare: ma facevano sul serio? I dialoghi del professore, del quale ricordava perfettamente la voce e l'intonazione, e dell'altra persona all'interno, sembravano presi direttamente da un film di spionaggio. Fidarsi, faccenda Sputnik, identità compromessa. Più se ne stava lì, con l'orecchio proteso sulla porta, più le parole si organizzavano in fila l'una dietro l'altra, più non riusciva a capire per quale ragione il professore fosse implicato in una faccenda che, ai suoi occhi, appariva piuttosto losca.
    Non è mai stata una persona che si spaventa facilmente, vittima forse di un passato non troppo facile e amante di compagnie non proprio raccomandabili, ma tutto quel vociare, in quel modo, molto alla "James Bond", come mentalmente l'aveva definito, la faceva sentire completamente fuori posto. Sapeva, sebbene non capisse bene il motivo, che lì non poteva starci, che era nel posto sbagliato al momento sbagliato, tuttavia non riusciva a muoversi: era curiosa, più di quanto fosse spaventata. Una parte di lei, le suggeriva che forse non si trattava realmente di una situazione rischiosa: dopotutto, il professore sapeva che lei stava arrivando e, di solito, gli studenti non fanno tardi a tali incontri. Perché dunque rischiare che una perfetta estranea potesse udire frasi compromettenti? Ma tutte quelle congetture, fatte di fretta, senza un vero filo logico, si infransero quanto la porta verso la quale era protesa si richiuse con un alito di vento.
    Doveva andarsene. Subito.
    Cat mosse veloce dei passi verso l'uscita dell'edificio, rapida, sperando di cuore che non avessero associato quel suono alla sua presenza: poteva non esser semplicemente venuta, tanti studenti danno buca ai professori - davvero? -. Poteva aver avuto un contrattempo. Sì, quella era una buona idea. Poteva aspettare ancora una ventina di minuti e poi scrivere al docente che, sfortunatamente, non riusciva ad esserci poiché era stata richiamata a lavoro.
    I suoi passi erano stati più lestidella sua mente, quasi come se non avesse realmente elaborato quanto aveva sentito: perché era scappata? Paura? Voglia di rimanere allo scuro? Di proteggersi? O forse di tutelare gli altri, quelli che conosceva, da una situazione che sembrava tutt'altro che rosea. Cat aveva preso a quasi a correre, ritornando a casa e guardando di continuo l'orologio sul suo polso in attesa che i minuti che la separavano dalla stesura della mail passassero. Se c'era una singola cosa che lei non voleva, quella erano i problemi.

    Erano passati diversi giorni da quell'evento: il professor Morgestern le aveva risposto educatamente alla sua email, anche in maniera piuttosto celere, offrendosi per un incontro successivo al fine di poter dissipare tutti i dubbi della ragazza. Cat, tuttavia, non aveva risposto a quella seconda email. Aveva pensato che rifiutare avrebbe significato ammettere di aver sentito qualcosa, in quel modo invece avrebbe potuto mentire - magari stesso a lezione - sul fatto che quella risposta non fosse mai arrivata: le piattaforme di posta istituzionale alle volte facevano scherzetti, poteva essere perfettamente in linea con la realtà. In ogni caso, problemi e Sputnik a parte, la sua priorità era e rimaneva l'Università in quel momento, e l'unica cosa che le veniva in mente era di consultare qualche libro di testo per rimettersi in pari, forse anche per distrarsi ed illudersi che in fondo era riuscita a scampare a dei problemi che sembravano ben più grandi di lei. Quel giorno infatti, com'era già accaduto in quelli precedenti, Cat si era vestita come suo solito di tutto punto, indossando dei pantaloni neri dal taglio squadrato abbinati a delle scarpe da ginnastica bianche e ad una maglietta dello stesso colore, con dei piccoli dettagli in pizzo. Le piaceva esser curata e questo, spesso, includeva anche indossare delle scarpe col tacco: si era svegliata stanca tuttavia e era per quella ragione che in quel frangente aveva preferito giocare di illusioni, approfittando della vita alta per illudere che, almeno da lontano, apparisse più alta di quanto in realtà non fosse nella realtà.
    I proprietari del Banchan, che ormai la conoscevano da moltissimi anni e si fidavano di lei, le avevano prestato il camioncino col quale andava a prendere le forniture per il ristorante - tovaglioli, bacchette monouso e così via - chiedendole se, quando aveva tempo, poteva portarlo in una buona officina per fargli cambiare l'olio e sistemare il motore: nonostante avesse molti anni era ancora utilizzabile ma che funzionasse bene questo era un altro paio di maniche. Le faceva comodo però: non aveva un'auto sua e sapere di potersi spostare senza dover per forza prendere il bus o andare a piedi era una manna dal cielo in giorni come quello, in cui era decisamente sotto tono. Parcheggiato in un angolo libero, Cat mise le chiavi in borsa e si avviò verso l'ingresso della biblioteca, salutando con un cenno del capo la donna che ormai aveva imparato a conoscere: le mostrò il badge che le permetteva di consultare e fotocopiare qualunque libro desiderasse e andò diretta verso i tavoli per la consultazione dove lasciò le sue cose. Sul quel tavolo, sistemò il quaderno, il portapenne, il cellulare e una bottiglietta d'acqua. Era molto meticolosa nello studio e sapeva che alzarsi, interrompendo la concentrazione, poteva esserle fatale: amava studiare in biblioteca proprio perché, al contrario di come poteva accadere a casa, tutti ricercavano ciò che ricercava lei in quelle belle sale in legno. Accostata la sedia, si diresse verso il reparto di suo interesse, dove c'era poggiato in uno degli scaffali intermedi il libro dal quale stava attingendo per aiutarsi a rimettersi in pari: fino a quel giorno, l'aveva sempre trovato disponibile, forse perché le lezioni del professore erano state così esaurienti da render inutile l'usare altre fonti. Fu diverso però quella mattina: là dove c'era di solito uno dei suoi alleati, vi era il semplice vuoto. E ora? Poteva andar via, rimandare al giorno seguente e magari arrivare prima in biblioteca: dopotutto aveva fatto tardi, di solito era più mattiniera quando si trattava di studiare. Era stanca però, molto stanca, non stava dormendo poi così bene ed il lavoro le toglieva tutte le energie, per questa ragione si era ritrovata a presentarsi in biblioteca più tardi del solito ed in macchina, ed il giorno seguente nessuno le avrebbe potuto assicurare che le cose sarebbero andate diversamente pur anticipandosi. Quindi, che fare? Cercare su LibGen? Aveva provato in passato ad usare quel sito che, sistematicamente, cambiava dominio per evitare di essere bannato da ogni singolo stato, ma libri di "nicchia" come quello che stava cercando non soltanto non erano presenti lì, ma spesso nemmeno Amazon dava soluzioni veloci. Quindi eccola lì, immobile, dinanzi ad uno spazio vuoto, che ponderava cosa fare della sua giornata ora che qualcuno l'aveva irrimediabilmente rovinata: fosse stato un libro d'altro genere, si ritrovò a pensare, avrebbe potuto chiederlo a Lars. « Stavi cercando questo? » fece tutto ad un tratto una voce che non le suonava completamente nuova ma nemmeno familiare. Si voltò, con ancora la mano a fendere l'aria, verso la provenienza di quel suono, ritrovandosi dinanzi un uomo più grande di lei che la guardava con in mano proprio il libro che stava cercando: «Sì.» rispose di getto, un po' confusa. Che l'avesse preso qualcun altro era ok, ma che stesse lì quasi ad attendere che arrivasse e non lo trovasse era strano, soprattutto perché non aveva alcuna idea di chi potesse essere quell'individuo e del perché stesse facendo - qualora fosse così almeno - una cosa simile. «Ci conosciamo?» chiese, facendo scivolare la mano lungo i fianchi, mentre con le iridi blu osservava quelle più chiare di lui che d'altro canto la stava osservando con lo stesso interesse. Aveva un bel volto, non canonicamente bello ma uno di quelli che non si dimentica, quasi screziato, a suo modo. In quella manciata di secondi, cercò di dare un contesto a quel viso, non trovando tuttavia alcunché che potesse combaciare: forse si era sbagliata e, semplicemente, aveva i connotati simili a qualcuno che già conosceva. Poteva esser possibile, Cat non era poi una che osservava molto la gente, tendeva a camminare a testa dritta dinanzi a sé, curandosi solo di chi ha realmente importanza per lei. «Serve anche a te?» domandò poi, passando direttamente al sodo. «Credo sia l'unica copia che ospitano qui di quel manuale per cui, se ti serve, ti spiacerebbe lasciarmelo qualche minuto? Il tempo di fotocopiare il capitolo che mi serve oggi.» Era una bella noia il fatto che non potesse prenderli in prestito ed ancor di più era una noia il fatto che dovesse chiedere un favore a qualcuno che aveva parlato quasi con aria di sfida, come se sapesse tutto di lei: detestava che la gente la inquadrasse, che gli altri sapessero per filo e per segno cosa le passasse per la testa. Era probabilmente qualcosa che mai era accaduta, se non quand'era una ragazzina che parlava e si comportava in maniera fin troppo eloquente - Darko, ad esempio, aveva visto più lati di Cat di quanti chiunque ne avesse mai potuti scorgere nel corso degli anni - ma quel periodo si era ormai chiuso da molto: qualche volta Hobi, con i suoi modi cortesi ed estroversi, tentava di sciogliere il groviglio di pensieri che le riempivano la testa, di dissipare ogni sua paura, facendosene carico, sebbene non dovesse. Lui, come chiunque, non aveva debiti nei suoi confronti: eppure lo faceva lo stesso, per lei c'era sempre, e l'apprezzava più di quanto mostrasse. Agli occhi di coloro che non rientravano nella sua ristretta cerchia di favoriti - quindi il 99,9999999999999% della gente sul globo, se non di più, Cat appariva fredda, scostante, a volte persino altezzosa, tutta ben vestita e curata con i suoi abiti perfettamente abbinati, qualche volta rubati, qualche volta comprati. Era tutta apparenza in fondo e lei lo sapeva, per questo odiava quando qualcuno, uno sconosciuto, le parlava in maniera tanto diretta: sciocchezze, certo, ma in fondo per certi versi si considerava poco più di una ragazzina che non era mai cresciuta del tutto. «La fotocopiatrice è di là, se vuoi accompagnarmi.» fece, indicando una stanza in fondo, sottintendendo implicitamente che avrebbe potuto farlo qualora non si fosse fidato di lei: per quanto ne sapeva lo sconosciuto, Cat avrebbe potuto mettersi il libro in borsa ed andar via, lasciando lui in bei guai.
    Fa un po' cachere però mi devo riabituare, luv iu. <3
     
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    La guardò, appoggiando il capo allo scaffale della libreria che aveva occupato con il suo peso, proprio di fronte a lei. Non riuscì a capire, come talvolta invece gli era più semplice, se sarebbe stato qualcosa che avrebbe potuto prevedere o no. Se il comportamento della ragazza sarebbe stato docile, se avrebbe compreso, se avrebbe dovuto faticare per carpire qualche informazione, se gli sarebbe toccato mentire spudoratamente anche solo per cominciare a parlarci, oppure avrebbe dovuto forzarsi di capirla. La guardò a lungo, con lo sguardo crucciato che aggrottava sempre a suo modo, a modo solo suo, come se fosse preoccupato e accigliato assieme, con l'espressione che Anija gli diceva sempre gli avrebbe fatto rimanere una ruga ben visibile sulla fronte, lì al centro tra i due occhi, permanente, ed aggiungeva, non era molto convinta che gli potesse donare fino alla fine dei suoi giorni. Difficile per lui interpretare se sembrasse minaccioso agli occhi che non lo conoscevano ancora di Catelyn.
    Era una ragazzina. Non avrebbe potuto immaginare di approcciare un'adulta, in fondo si aspettava per lei un profilo da studentessa, e tale si manifestava a lui. L'aveva osservata distrattamente, quel fatidico pomeriggio, guardando la foto che il fratello gli aveva passato, sul suo tesserino da profilo universitario, pensando razionalmente alle poche informazioni di cui aveva bisogno per poter agire, tempestivamente, dal giorno dopo per rintracciarla efficacemente. Ragazza di normale statura, capelli scuri e folti, corporatura lineare e occhi chiari - non aveva bisogno di sapere altro per cercarla, per avvicinarsi a lei, capire effettivamente cosa avesse visto. Si chiese, cosa avrebbe dovuto pensare altrimenti? Non era la prima volta che cercava un individuo, non sarebbe stata la prima volta che sbagliava a fare qualche previsione: non capitava spesso, ma sapeva che dietro ad ogni imprevisto i margini di errore potevano essere incalcolabili, e dipanarsi con risultati stravolgenti, come una tessera di domino che incrocia tutte le altre lungo il suo cammino facendole ribaltare, esagerando i suoi effetti fino alla fine della fila, fino a far cadere l'ultima. Sarebbe stato impossibile tornare indietro. Qualsiasi espressione avesse assunto per convincere la ragazza ad abbassare le difese, per quanto malleabile fosse, era risaputo, sarebbe stato più semplice giocare nel suo ruolo. E lui era diventato bravo ad ingannare, ma non così tanto da essere invincibile, non quando non aveva una maschera sul viso a coprire qualsiasi briciolo dell'uomo che era dall'Io più difficile con cui aveva a che fare tutti i giorni.
    Era più semplice per tutti distaccarsi quanto meno possibile dalla realtà dei fatti, e doveva essere bravo a rimanere allerta, attento ad esporsi appena, per rimanere solo lui, non Matt, non l'Ira, ma il fratello del professor Morgenstern, un'entità abbozzata eppure concreta. Restava quindi da chiedersi: quanto avrebbe potuto provare a parlare per farle ammettere cose che potevano non essere chiare neanche a lei?
    Lo ripeté a sé stesso, quasi con scrupolo: Catelyn era giovane. Non aveva un vero e proprio codice di onore lui, quello era in possesso della Libra, dietro cui si nascondevano dettami imprescindibili, dove il senso dell'onore doveva sempre essere considerato improrogabile, prima di tutto il resto. C'erano cose che andavano al di là delle loro decisioni, dei membri della setta, della legge, dello stato del mondo, delle regole dette in senso lato, quelle che sono da sempre nello status quo e nessuno è riesce a sovvertire di buon grado. Nella Libra si erano fatte eccezioni alla regola comune del non toccare liberamente e non nuocere il sesso debole, parole che non avevano più senso visto che tra i ranghi, anche a livello altissimo, rientravano molte figure femminili che dovevano essere considerate di pari peso e ruolo degli uomini. Doveva egualmente guardarsi da loro ed esserne attento, perché erano oramai figure che poteva ritrovare come avversari - ed accadeva spesso - e non poteva sottovalutare. Erano figure ricorrenti nelle associazioni governative quanto in quelle che remavano loro contro. Uomo o donna che fosse andava bene, ma decidere del destino di una persona appena più adulta di quanto lui fosse appena entrato nella Libra maggiorenne, tanti anni prima, era un altro paio di maniche. Era quasi difficile per lui pensare di essere incappato ad affrontare una persona così piccola, per una questione così banale, così insignificante, da cui potevano nascere risvolti imprevedibili. Lui non aveva un'etica, ma non avrebbe potuto torcere un dito ad una ragazza della sua età, del suo status, che poteva anche non aver sentito davvero nulla. Ma tra il nulla e il qualcosa, anche minuscolo, c'era una differenza abissale. Era tutta colpa di suo fratello, e tanto per cambiare, l'avrebbe pagata. «Ci conosciamo?» Lo guardò come se stesse cercando di attribuire una somiglianza ai suoi contorni, con gli occhi confusi di chi cerca di trovare una verità ad un ricordo assopito, non riuscendoci. Matt pensò subito che la foto del tesserino universitario mostrasse una visione molto simile, molto vicina, alla Catelyn che aveva di fronte, come se non fosse passato molto tempo da allora. Si avvicinò di pochissimo, le porse il libro facendo attenzione a non lasciar cadere lo sguardo da nessuna parte, per non perdersi nessuna reazione di lei. Era forse una precauzione superflua, per tutte le premesse che aveva annoverato prima, eppure gli venne naturale, un'abitudine che non sarebbe andata via da lui facilmente. « No, non ci siamo mai incontrati. » Rispose. Non gli piaceva usare le parole inutilmente, era una persona diretta, non avrebbe cercato una via alternativa per dire qualcosa di diverso. Eppure, lo sapeva, non poteva essere irruento. Mostrarsi gentile era un altro paio di maniche, sarebbe stato necessario? « Conosci mio fratello. » Aggiunse. Le lasciò il libro tra le mani. Era come se gli stesse dando un'alternativa plausibile a fuggire con esso, e con quello, non avrebbe mai saputo più niente dei fratelli Morgenstern e della setta. Povero a chi si ritrovava sul suo cammino. « Sono Matthew Morgenstern. » Fece un sorriso, che nelle sue espressioni potevano sembrare mezzi ghigni, o un arricciarsi di labbra, oppure come in quel caso, un sorriso divertito per davvero. Qualche volta capitava, quella situazione lo richiedeva. Era divertente. Una qualsiasi caccia che gli competeva riusciva a renderlo attento, entusiasta, e quello era un avvenimento quanto più paradossale e di piccolo conto potesse pensare di trovare, ma era divertente. Gli sembrò passata una vita dall'ultima volta che si presentava a qualcuno come se fosse una cosa normale. Tutte le persone della sua fascia di età di Besaid lo conoscevano, ma lo conoscevano anche persone di una decina di anni meno. C'erano i dipendenti di Anija, i colleghi dell'editoria e del volontariato di Anija, gli amici del circolo di Anija, tutte le persone che avevano a che fare con la famiglia Zakharov - compresa sua sorella e la galleria d'arte. Di suo lui aveva tutti i suoi clienti dell'officina, che avevano finito per essere le stesse persone che avevano a che fare con la famiglia di sua moglie, e assieme, avevano reso la sua officina uno status, un angolo di Besaid dove si potevano trovare le uniche auto d'epoca messe davvero a nuovo della Scandinavia. Era diventato uno status quando non era mai stato così tanto di niente, non lui almeno. Ma lei non rientrava in nessuna di queste cerchie, ed aveva molti anni meno di sua moglie. «Serve anche a te?»«Credo sia l'unica copia che ospitano qui di quel manuale per cui, se ti serve, ti spiacerebbe lasciarmelo qualche minuto? Il tempo di fotocopiare il capitolo che mi serve oggi.» Guardò il dorso della copertina del libro mentre era nelle sue mani, e Catelyn aveva cominciato a soppesarlo tra le sue: 'Filosofia del diritto'. Non aveva fatto in tempo ad anticipare le sue parole, che la ragazza si era chiesta giustamente perché avesse rintracciato il suo stesso libro e fosse lì ad aspettarla. Matt non aveva voluto dal primo momento girarci intorno. «Sì. Ma sono venuto qui anche per incontrarti.» Strinse le labbra, tornò a guardare lei in viso. Lui era sempre stato un attento osservatore di natura, e li vide subito, avvicinatosi di più, che aveva degli occhi insoliti e particolari, chiari, ma nella penombra dietro gli scaffali della libreria non seppe dire come fossero davvero, e si accigliò, con lo sguardo interdetto. «La fotocopiatrice è di là, se vuoi accompagnarmi.» «Ti accompagno, ti spiegherò nel frattempo.» Rispose subito, senza darle il tempo di potergli chiedere perché. Era per questo che aveva scelto di incontrarla in un luogo pubblico, quando non aveva più risposto alla mail del fratello che le aveva chiesto di tornare da lui. Doveva approcciarla direttamente come se fosse qualcosa da cui poteva chiedere e non transigere un no in risposta, ma non poteva sembrare un agguato. Poteva essere un problema quanto poteva rivelarsi una sciocchezza, eppure non poteva lasciare nulla al caso.
    Cominciarono a camminare in direzione della sala che Catelyn aveva indicato. Non si era preoccupato di passare prima di quel giorno in biblioteca perché non l'aveva reputato necessario, perciò si mosse facendo attenzione a non andare troppo in avanti, seguendo i suoi passi al fianco senza superarla. La luce del giorno cominciava a disegnare degli archi d'ombra tra la zona illuminata dal sole e quella che veniva oscurata dietro gli scaffali delle librerie, disposte rigorosamente alla stessa distanza l'una dall'altra, disegnando corridoi lunghissimi da percorrere in una sola direzione. L'aria sembrava sospesa tra il pulviscolo che veniva illuminato e danzava in assenza di corrente, e i passi che si potevano udire delle loro scarpe contro il pavimento della biblioteca. «Quando si terrà l'esame? Non ricordo tutti gli appelli.» Aggiunse, arrivati alla soglia della sala. La vide avvicinarsi alla fotocopiatrice, nella stanza a sé oltre due file di scaffali, vicini alla lettera 'O'. La stanza era vuota e spoglia, bianca, con solo gli strumenti da supporto per gli studenti: le stampanti, le fotocopiatrici, uno scaffale contenente risme di fogli bianchi addossati alla parete sulla destra. A sinistra solo una macchina distributore di acqua e spuntini. Una sola finestra, piccola, che illuminava appena i contorni degli oggetti e prendeva poca luce rispetto alle vetrate della biblioteca da dove si erano spostati.
    Le aveva detto il suo nome, ma questo non voleva dire che le avrebbe detto chi fosse. Avrebbe potuto pensare che fosse un professore come suo fratello, che fosse in visita, che fosse un bibliotecario, un assistente, qualsiasi cosa purché pensasse che fosse soltanto un annesso, qualcuno che riguardava il suo mondo, che facesse parte del contesto universitario. Era un modo per far sembrare molto meno quell'incontro qualcosa di strano ai suoi occhi e più una banale semplice routine di controllo. «È colpa mia se ti ho fatto saltare l'appuntamento con lui l'altro giorno, l'ho trattenuto troppo.» Evitò di pronunciarsi in scuse, ma ammise una colpa. Pensò che fosse un buon modo per approcciare l'argomento per trovare qualcosa per relazionarsi con lei. Anzi, ne era convinto.
    Catelyn cominciò a cercare la pagina del capitolo che le interessava, e cominciò a mettere in funzione la macchina per fare la scansione delle prime pagine. Per un pò si sentì il rumore delle scansioni che copriva il resto, sovrastando appena le loro voci, e le intonazioni si fecero meno percepibili. La guardò in volto dopo aver osservato per qualche secondo assieme a lei le fotocopie che fuoriuscivano dal lato preposto.
    «Eri già arrivata e l'hai trovato impegnato, o sei passata più tardi? Forse non ci siamo incrociati.» Si appoggiò nuovamente allo stipite della porta, incrociando le braccia al petto. Non si sarebbe mai comportato in maniera pericolosa in un posto come quello, e questo doveva conferire al suo aspetto un briciolo di fiducia. Tuttavia si augurava, perché lui sapeva come sembrava la sua espressione allo specchio, che al di là dell'essere per bene o sembrare minaccioso Catelyn lo guardasse a sua volta e fosse molto sincera nel dire le cose come stavano, proprio come la ragazza che sembrava essere. Semplice, piccola, cauta, riservata ma onesta. E se così non fosse stato e avesse immaginato troppo ad indovinare, sperò vivamente per lei che non giocasse troppo con il suo tempo. La scelta era tutta sua.

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    Non aveva pensato che quel volto sconosciuto ma allo stesso tempo familiare potesse essere attribuito al fratello del professor Morgenstern: in effetti avevano gli stessi occhi, anche se forse quello di Matthew era più sgraziato, meno cordiale, nei tratti almeno, di quello che aveva iniziato a vedere a lezione. «Ah, ecco. Avete gli stessi occhi, ma nel complesso non vi somigliate poi molto.» disse, continuando a studiarne il suo viso. Era strano tuttavia: perché era lì? Sebbene infatti Cat avesse cercato di dimenticare la bizzarra conversazione udita diverso tempo prima, qualcosa in lei le aveva suggerito di stare allerta, di non sentirsi completamente al sicuro: era raro che avesse paura di qualcosa, oramai era piuttosto convinta di aver passato ciò che effettivamente poteva colpirla nel profondo. Dall'abbandono, alla violenza di un genitore - o presunto tale -, al desiderio di morire, un desiderio che per poco non si era fatto realtà: il passo l'aveva mosso, il coraggio di farsi in avanti all'interno di quel burrone che portava ad un paradiso d'acqua l'aveva avuto. "Cosa sarebbe successo se Darko non mi avesse fermata?" Se l'era chiesto spesso eppure, nonostante lo ringraziasse mentalmente per la premura avuta, non si era mai fermata a dirsi di aver sbagliato: l'errore più grande era stato portarlo con lei in quell'incubo, un posto in cui non meritava di stare. Tutte quelle esperienze comunque l'avevano resa, una persona piuttosto coraggiosa: dalla sua aveva il potere di fermare il tempo, di potersi divincolare in quel modo da situazioni troppo scomode o pericolose. Eppure, nonostante quel passo in avanti, non riusciva a non temere d'aver sentito troppo. Il fatto che Matthew stesso fosse lì ne costituiva la prova più incalzante. Solo un occhio attento avrebbe potuto notare la lieve preoccupazione che si era fatta largo nel suo volto, una leggerissima incrinatura nel suo sguardo che avrebbe suggerito allo stesso occhio attento ben più di quanto Catelyn intendesse fare.
    Si era comunque comportata con naturalezza, ipotizzando che il motivo per cui lui fosse lì fosse legato semplicemente al libro che lei voleva consultare, invano: «Sì. Ma sono venuto qui anche per incontrarti.» Proprio quello che non voleva sentirsi dire. «P---» provò a chiedere, lasciando al vento quel "perché" che si era immediatamente affacciato nei suoi pensieri. «Immagino dunque che dirti il mio nome sia inutile.» fece, più come un mormorio che altro, mentre si incamminavano verso la stanza con la fotocopiatrice. Non aveva provato a ripeter la domanda sia perché gli era parso che non volesse risponderle in quel momento sia perché - sperava - che i nodi sarebbero venuti al pettine da sé visto quanto le aveva anticipato. Era tutto strano, troppo strano: lei non era mai stata nessuno. Non aveva legami, non aveva famiglia, non c'era nessuno a parte i suoi amici che avesse a cuore che fine facesse, se vivesse o morisse, se sostenesse o meno gli esami: perché dunque un completo sconosciuto, fratello di un suo professore, avrebbe dovuto prendersi la briga di cercarla? Tra l'altro in quel modo! Non le aveva scritto una e-mail, era venuto direttamente ad incontrarla, come se sapesse che fosse lì ed avesse bisogno di quel libro per studiare, quasi come se fosse Catelyn stessa materia d'esame di Matthew.
    «Quando si terrà l'esame? Non ricordo tutti gli appelli.» le chiese. «E perché dovresti dopotutto?» rispose a sua volta con un sorriso appena accennato, mentre premeva il tasto di accensione sulla grossa fotocopiatrice che sfigurava in mezzo alle pile di libri finemente sistemati in ordine alfabetico. La luce dalla finestra filtrava appena: era una bella giornata ma la finestra era piccola e questo permetteva all'ambiente di essere appena più riparato rispetto a quello in cui si trovavano in precedenza. «Nella maggior parte dei casi nemmeno i professori riescono a ricordarli tutti.» aggiunse, dando poi la data dell'appello. «Piuttosto vicina considerando che non ho neanche finito di leggere il programma per la prima volta.» mormorò poi, alzando appena le spalle. Non era mai stata una persona ansiosa, probabilmente perché vedeva lo studio come un arricchimento e non come un obbligo: nessuno l'aveva costretta a farlo, lei stessa aveva scelto come condurre la sua vita e cosa fare del suo tempo libero. Alle volte significava sacrificarsi, preferire il lavoro o la sottolineatura di questo o l'altro capitolo, ma era ciò che desiderava e ciò che l'appassionava. Giocare col tempo, tra l'altro, la faceva sentire come una novella Hermione Granger: le bastava fare un click nella sua testa e le due settimane di studio diventavano magicamente tre. Le costava fatica, ma era senza dubbio il metodo più efficace per gestire gli impegni.
    «È colpa mia se ti ho fatto saltare l'appuntamento con lui l'altro giorno, l'ho trattenuto troppo.» E con quella frase anche il più piccolo dubbio sull'aver sentito qualcosa di troppo fu fugato. Catelyn fece scorrere le dita tra le pagine del libro che le era stato dato poco prima, arrivando al capitolo interessato ed iniziando a fotocopiarne le prime pagine: cosa avrebbe dovuto rispondergli? "Non c'è problema?" o "Ho sentito fosse impegnato e sono andata via?" No, questo forse sarebbe stato troppo e l'avrebbe posta in una brutta situazione. Doveva pensare, tutelarsi, usare le parole giuste. Era tutto troppo strano e lei troppo impreparata: era proprio come sostenere un esame senza aver aperto nemmeno una pagina dell'argomento richiesto, solo che in quel caso non ci sarebbe stato nessun "Signorina Nørgaard torni al prossimo appello". «Eri già arrivata e l'hai trovato impegnato, o sei passata più tardi? Forse non ci siamo incrociati.» E a quelle parole scattò il click.
    Il leggero pulviscolo visibile si bloccò completamente e con esso anche il respiro di Matthew: fu un meccanismo di difesa probabilmente, nemmeno se ne sarebbe resa conto se non avesse sentito il blocco del fastidioso suono della fotocopiatrice. Cat sollevò lo sguardo a guardare Matthew, rimanendosene col corpo bloccato nella stessa posizione assunta in precedenza: per le persone era strano vederla d'un tratto con un altra posa, lo sapeva, per questo con gli anni era diventata sempre più brava a mimetizzare la sua particolarità, imparando ad usarla a piacimento senza che gli altri percepissero alcunché. In situazioni come quelle respirare e prender tempo era proprio ciò che serviva.
    Il fratello del professor Morgenstern si era poggiato sullo stipite della porta con le braccia incrociate al petto e gli occhi puntati su di lei: non sembrava una persona cattiva, nonostante i suoi tratti così duri. Certo, non le ispirava affetto e non emanava le stesse vibrazioni del suo consanguineo, però le sembrava affidabile nel complesso. Tuttavia in virtù di quello che lui e il professore si stavano dicendo - visto che a quanto pare era stato lui ad arrivare prima di lei quel giorno - non poteva essere qualcosa di "normale". Maledetta Cat che proprio quel giorno aveva deciso di arrivare in anticipo.
    Tutto quel macchinoso pensare alla fine la portò alla più ovvia delle soluzioni: dire quasi tutta la verità ma allo stesso tempo minimizzare ed omettere a seconda del caso. Piccole ed impercettibili bugie. Nessuno potevano sapere quanto avesse sentito né tantomeno poteva provare che stesse mentendo qualora avesse omesso qualche dettaglio. Era la soluzione più sicura. Se ci fosse stato davvero qualcosa sotto in questo modo avrebbe potuto tirarsene fuori.
    Riportò lo sguardo in basso e con un secondo click mentale lasciò che il tempo riprendesse a scorrere naturalmente. Sollevò a questo punto gli occhi ad incontrare quelli di Matthew: «Non c'è problema, alla fine ho avuto semplicemente modo di approfondire da me quello per cui volevo disturbare il professore.» iniziò. Era vero, anche se non era stato poi così facile come aveva lasciato intendere: quell'uomo era davvero uno dei suoi professori preferiti, uno di quelli che insegnano con passione e non lasciano nulla al caso. A ben pensarci, quella descrizione si accordava perfettamente con quella di un uomo con mille segreti. Ma non era il tempo di pensarci. «Non credo di averti incrociato in effetti. Quel giorno sono arrivata un po' prima dell'appuntamento ed ho visto la porta chiusa. Immaginando fosse impegnato quindi sono andata via.» Prima bugia, la porta non era chiusa, ma socchiusa, ed era per questo che era riuscita a sentire tutto: dirlo però significava essersi avvicinata a tal punto da poter sentire qualche dialogo e questo non lo voleva. Doveva essere allo scuro di ogni parola, come nei migliori film di spionaggio, unico riferimento che aveva su come comportarsi in situazioni come quella.
    Distolse lo sguardo da lui e tornò a soffermarsi sul libro, girando le pagine e riappoggiandolo sulla fotocopiatrice per permetterle di continuare il proprio lavoro. «Non c'era bisogno di fare mea culpa comunque.» aggiunse, sincera. «Il professore si è offerto di aiutarmi una seconda volta ma alla fine ho preferito fare da me. Sicuramente in futuro tornerò a disturbarlo.» Se questa storia si risolve per il meglio quantomeno. le fecero eco i suoi pensieri. «Tuo fratello è davvero disponibile con gli studenti, non mi dà nemmeno l'idea di una persona che viene "disturbata" da noi, a ben rifletterci.» ed era per questo che le piaceva tanto dopotutto.
    Quasi come se avesse voglia di aiutarla a trovare un modo di eludere l'argomento, la fotocopiatrice finì con l'incepparsi: c'era un pezzo di carta incastrato al suo interno. «Nemmeno si decidono a comprarne una nuova.» borbottò, aprendo il cassettino per cercare il problema e permetterle di funzionare ancora. Infilò la mano al suo interno, macchiandosi le dita dell'inchiostro in eccesso che si era depositato sul foglio incastrato. «Bene.» Sospirò, già sconfitta, togliendo la mano da lì e cercando di pulirsi alla meglio. «Sembra che tutto sia contro di me questa mattina.» Prima lui che le rubava il libro, poi la fotocopiatrice: forse doveva solo andare a casa a riposarsi. «A chi si chiede in questi casi...» Non credeva che la bibliotecaria fosse l'addetta a certi compiti. «Ah.» fece poi tutto ad un tratto. «Ti ho dato del tu senza pensarci. Se sei - o se è, a questo punto - un collega del professore posso passare alla forma più formale.» A dispetto della sua infanzia, Catelyn era piuttosto educata, ma riservava in automatico agli altri lo stesso trattamento a cui era sottoposta. «Quando mi danno del tu rispondo allo stesso modo inconsciamente.» Che poi fosse giusto o sbagliato, questo era un altro paio di maniche.

    Edited by Nana . - 7/2/2022, 20:02
     
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    Sorrise, e non disse nulla. Lasciò il sorriso stirato sulle sue labbra, senza pronunciarsi di fronte al commento della ragazza, a quanto avesse detto non somigliasse molto a suo fratello. No, non si somigliavano affatto. Si sentivano ripetere quella frase fin da bambini. Matt era il secondo figlio dei coniugi Morgenstern, aveva avuto capelli rossicci da quando era nato, era sempre stato irrequieto, agitato, solitario. Il fratello maggiore aveva preso a cuore la sua missione di fare di suo fratello un figlio migliore da presentare alla società, fin da quando lui aveva memoria, e lui l'aveva sempre odiato per questo, con l'odio rancoroso di chi vuole essere lasciato in pace, seppur possa riconoscere di avere un legame con lui più profondo ancora delle dimestichezze in cui l'animo umano poteva tergiversare, il legame di sangue che aveva con il maggiore non avrebbe potuto rescinderlo con l'aiuto di nessun giudice. Lui e i suoi genitori erano persone così comuni, così semplici, con le loro idee sul mondo e l'accontentarsi delle piccole cose, tutte cose che non erano mai riuscite a fare breccia nella corazza di Matthew, che lui aveva maturato la convinzione di essere completamente diverso da loro. Con l'avanzare dell'età così come si erano scuriti i suoi capelli ed aveva cominciato ad assomigliare vagamente ai lineamenti del fratello, così poi il fratello aveva cominciato a prendere consapevolezza di sé, fino poi a superarlo negli studi e a diventare il figlio modello di quella coppia che cominciava ad osare a sperare di poter volere, seppur poco, un poco di più di quello che avevano conosciuto fino ad allora. Matt non si accigliò, e si costrinse a non lasciar correre i pensieri su binari di ferite cicatrizzate da anni: Matt era un uomo adulto, aveva superato la fase tipica di gioventù in cui si poteva soffrire per il proprio retaggio, o per le vicende maturate quando non si aveva la capacità o il potere di poter opporsi contro il destino in cui ci si trovava. Matt adesso poteva fare molte cose, e il fratello per ironia della sorte l'aveva seguito in quel percorso pericoloso in cui correva da quando aveva scelto di aderire alla Libra. Lesse negli occhi di Catelyn la sorpresa di essere stata seguita ed incontrata per davvero, volutamente cercata da Matthew per parlare con lei, lo sconcerto per non sapere cosa l'attendesse, e sospirò Matthew, inebriato dalla sua incertezza che lo faceva sentire forte da poter incalzare con domande inattese la ragazza. Fu così che attraversarono il percorso a loro preposto, verso la sala dove si trovava la fotocopiatrice, e il piano di Matt poteva dispiegarsi come le pagine di un libro immacolato, piano piano, una pagina per volta, per poterle separare dopo essere state tanto tempo pressate tra loro racchiuse all'interno di una copertina rigida. «Io ho una memoria infallibile.» Disse, con una naturalezza della voce e il suo solito modo di sembrare così perfettamente convinto delle sue idee che avrebbe potuto chiaramente con lo stesso tono affermare che la terra fosse piatta e farsi credere perché stesse dicendo il vero. Però raramente diceva cose che fossero dissimili dalla realtà, e in quel caso, come già si era ripromesso, avrebbe detto parole distorte o usato bugie solo se non avesse potuto in altro modo spiegarsi con lei, perché in ogni sua affermazione fosse esattamente convinto di dir la sua e fosse impossibile poter notare in lui segni di cedimento.
    Matt aveva una memoria infallibile, ma non avrebbe potuto sapere per nessun motivo al mondo la data del prossimo esame della ragazza - che dal volume di studio che aveva preso in mano e dai racconti di suo fratello aveva scoperto essere quello di "Filosofia del diritto". Il pensiero che dominava tutti gli altri allora era lo scherno in cui Catelyn aveva opposto lui il perché fosse intitolato a saper tutto, e qualcosa lì nelle sue convinzioni cominciò a fargli pensare che forse non sarebbe andato tutto totalmente lineare come avrebbe voluto. Eppure aveva liquidato con una scrollata di spalle il fatto che poi sarebbe stato difficile per i professori davvero ricordarsi qualsiasi appello. «Eppure non così tanto da essermi dimenticato questo.» Aggiunse, proprio lui, prima che potesse rispondere lei a tono alla sua battuta, servita su di un piatto d'argento come il migliore dei servizi in termini di dialettica. Si era appoggiato allo stipite, incrociando le braccia, dopo aver continuato a parlare per esporle, sempre come previsto, le parole che avrebbe dovuto dirle, avvicinandosi all'argomento per cui aveva dovuto prendere una intera giornata a sua disposizione per investigare nel misfatto. Aveva una corporatura minuta, ma non minuta come quella di Anija, spigolosa dove sua moglie aveva linee più rotonde, più alta dove la sua donna mancava di appena qualche centimetro, e capelli corvini come quelli che aveva avuto Kirilla tanti anni prima, nei suoi ricordi, ancora più giovane dell'età di Catelyn. La vide stringere le labbra, chiudere la mandibola in un perfetto controllo della propria postura mentre continuava a fotocopiare le pagine una dopo l'altra, dell'infausto capitolo di cui gli aveva parlato. Matt sfiorò la sua maglia azzurra in cotone, al bordo della cucitura che toccava il jeans, stringendo il tessuto man mano che le sue parole arrivavano a lei, esattamente dove voleva che il discorso andasse a parare. E poi.
    Sbatté le palpebre, guardando la ragazza alzare lo sguardo in sua direzione, forse la prima volta dopo averlo messo a fuoco quando lui si era mostrato alle sue spalle con il volume che lei cercava tra le mani. La osservò attentamente, concentrando la sua attenzione sulle sue parole e anche sulla sua figura. Gli sembrò, e si sentì piacevolmente stupito dalla sua impressione, che si fosse mossa senza che lui se ne fosse accorto, o forse, qualcosa nei suoi movimenti veloci erano stati disattesi dall'occhio attento e vigile di Matt, che era rimasto sulla soglia della porta in una posizione perfetta per studiare il suo comportamento e muoversi di conseguenza. Eppure, a lui non tornava, ma non poteva essere altrimenti che doveva essersi sbagliato. Sorrise appena, rendendosi conto che se la cosa non gli tornava non poteva essere lui ad essersi distratto. Avrebbe voluto chiederglielo, cosa si fosse perduto, ma non poté farlo, non poteva ancora. Più che per paura di poter confermare di essere stato non attento come avrebbe dovuto, voleva avere una confidenza tale da poter permettersi di dirle qualcosa di più, cosa che in quel momento era impossibile da assumere. Catelyn sembrava parlare sicura delle sue affermazioni, come se, come aveva fatto poco prima, potesse scrollare le spalle assieme a quello che aveva mormorato non lasciando intendere nulla di più con assoluta nonchalance. Matt sapeva però che non poteva essere tutto esattamente come avesse detto. La porta dell'ufficio di quella sciagura vivente di suo fratello era socchiusa, e perciò significava che le voci potevano trapelare al di qua della porta, e che Catelyn avrebbe potuto anche davvero passare oltre, e andare via, e non avere niente a che fare con loro e le tribolazioni della Libra. Era però vero che la porta si era mossa, e lui l'aveva visto, e perciò se non era stata lei a muoversi vicino era stato comunque qualcun altro a muoversi nei corridoi, più velocemente di quanto Matt avesse impiegato a spostarsi dalla sua sedia per raggiungere l'arco della porta e far capolino da dietro di essa. In quel momento si sforzò di rimanere rigido, con quel sorriso vago dipinto sulle sue labbra, sapeva che la sua fronte appariva distesa in pochissime situazioni, e quella in cui si trovava non sembrava proprio essere il caso. Catelyn andò oltre, piazzando la conversazione sulla figura di suo fratello e distogliendo infine lo sguardo da lui.
    Dovette guardarla di nuovo, nella sua maglietta bianca in pizzo e i pantaloni scuri squadrati, ricordarsi della sua giovane età e della sua situazione, e del fatto che le coincidenze potessero distorcere le informazioni in suo possesso. Tutto gli sembrava piuttosto che fosse possibile dipingerla per innocua. Era così facile per lui pensare che potesse causargli problemi, così difficile da crederlo possibile. «Sì, è vero, il professore è sempre stato così.» Lo chiamava spesso così anche nella loro intimità, il professore. Con il tempo e l'età, e gli anni, e le storie trascorse, e il fatto che gli avesse regalato la sua Anija, aveva cominciato a tollerarlo, e a trovare in lui più di quanto avesse trovato nella sua persona negli anni precedenti. Da quando aveva avuto la sua rivincita morale nel vincere la mano di sua moglie lo tollerava più di quanto volesse ammettere, associando lui una figura mansueta e di straordinaria utilità.
    Al di là della loro storia, quello che aveva detto Catelyn era vero. Sapeva che suo fratello aveva in lui il dono della benevolenza e di un acume per tante cose diverse da quelle che poteva attribuire a sé. «Ama il suo lavoro, e si fa benvolere da tutti.» Aggiunse, come se volesse darle ragione, prima di poter proseguire, ponderando le sue parole. Ma prima che potesse tornare sull'argomento voluto, la fotocopiatrice decise di incepparsi mentre copiava le pagine segnate da Catelyn. La guardò spazientirsi, cercare di rimediare, sporcarsi con l'inchiostro, e gli sembrò così buffa che rise, in barba alle buone maniere, lasciandosi andare ad una risata così vera e così altrettanto buffa per un uomo della sua età che gli sembrò, anche ai suoi stessi occhi, ancora più ridicolo. «Ti do una mano.» Le disse, prendendo il fazzoletto bianco che portava sempre piegato nei suoi pantaloni, senza neanche che potesse opporvisi, erano tutti fazzoletti che Anija aveva ricamato con le iniziali di uno e dell'altro in tutto il suo corredo, quando aveva recuperato la vista provando nuova gioia nel poter toccare e lasciare il segno in tutto ciò che il destino le aveva prima tolto e poi ridato. Si avvicinò veloce con il suo passo morbido e silenzioso quanto quello di una lince, per porgere le mani con il fazzoletto alla ragazza. La guardò per qualche secondo, prima di permettersi di sfiorarla, stando bene attento a non sembrare invadente e a toccarla appena gli sembrò che si fosse abituata a vederlo comparire così vicino al suo fianco, quasi come se potesse anche aver acconsentito al permesso di poterlo fare, quando in realtà come al solito, Matt faceva quello che voleva senza chiedere il permesso a nessuno. Strofinò il fazzoletto con le iniziali rosse scarlatte di M. M. che gli appartenevano, che andava a tingere di nero il lino bianco di Anastasija, sfiorò appena con la seconda mano le dita della sua in un contatto diretto, e poi quella con la mano intrisa di inchiostro di Catelyn attraverso il fazzoletto, il tessuto sulla pelle, in un gesto molto semplice eppure di una intimità che non apparteneva loro in nessun modo. «Non dubito che tornerai da mio fratello, è di piacevole conversazione. » Ritornò al professore, sentenziando il destino di Catelyn come se volesse sancire il corso degli eventi. «Puoi darmi del tu. Lo preferisco.» Disse soltanto, senza colorare la sua espressione in altro modo, secco, perché non avrebbe saputo che altro aggiungere del perché non ritenesse il formalismo necessario. Non aggiunse nulla sul suo lavoro, sulla sua carica, su chi fosse lui in effetti, si era preparato a poter raccontare molte cose ma preferì non aggiungere informazioni su se stesso finché non fosse stata la ragazza stessa ad esprimersi in merito.
    Era chiaro però che non avrebbe potuto indugiare sulle sue parole, e aveva sperato che Catelyn raccontasse di più ammettendo di aver sentito qualcosa, ma per quello che aveva raccontato lei, il negare la sua presenza lì non lo poneva di certo in una posizione di vantaggio dal poter insistere ancora. Abbassò lo sguardo su di lei, oramai era vicino tanto da sovrastarla con la sua altezza, incrociando i suoi occhi. «Vedrò di sistemarlo io, tanto che siamo qui, e abbiamo bisogno di questo libro entrambi. Dovrebbe essere semplice.» Aggiunse, lasciando andare le mani di Catelyn e il fazzoletto, e lasciandole il tempo di riabituarsi finché non avesse temporeggiato per risolvere il meccanismo che imbrogliava la fotocopiatrice, e doveva ammetterlo, per pensare a come gestire la faccenda. Data la sua esperienza non dubitava affatto che per lui sistemare lo strumento sarebbe stato più facile di qualsiasi meccanismo avesse dovuto sbloccare nella mente di Catelyn.

    Edited by wanderer. - 2/5/2022, 07:44
     
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    Se avesse avuto il tempo si schiudere le labbra, Catelyn gli avrebbe risposto con un "Buon per te" pregno di sarcasmo: una memoria infallibile, aveva detto. Non era forse un po' arrogante da parte sua? Non aveva detto "ottima" o semplicemente "buona", aveva scelto con cura l'aggettivo "infallibile", come se appunto non fosse nelle sue corde dimenticare qualche dettaglio, per quanto irrilevante. Eppure era proprio ciò che aveva appena fatto, come un qualunque altro essere umano. Ad ogni modo, quell'arroganza - ammesso che lo fosse - non faceva altro che acuire la superficiale idea che la ragazza si era già fatta di lui dopo quel brevissimo scambio di parole: di fatti, tutto di quell'uomo le dava l'idea di una persona completamente diversa dal Professor Morgerstern, quasi opposta.
    Non si trattava di semplice estetica, a colpirla infatti era stato il suo atteggiamento ed il suo modo di parlare, nettamente più scarno dai modi gentili che il Morgerstern che conosceva soleva utilizzare: quest'ultimo infatti era gentile, posato, sempre disponibile ad aiutare, un uomo che sembrava davvero impossibile non stimare ed apprezzare, per quanto l'ambito accademico non lasciasse poi molto spazio ad opinioni personali di quel tipo. Nonostante ciò però, Catelyn era stata sedotta dalla sua dialettica e in particolare dall'eleganza con cui spiegava concetti, anche molto complessi, utilizzando un linguaggio comprensibile ma allo stesso tempo corretto ed adatto all'ambito giuridico.
    Lei non aveva mai amato i fronzoli, soprattutto quando si trattava di didattica: abituata a studiare da sola, da autodidatta, aveva sempre preferito testi semplici ma utili allo scopo, in grado di trasmetterle i messaggi di cui aveva realmente bisogno, senza ornarli di avverbi e aggettivi completamente fuori luogo, atti solo a render più felice l'autore del libro e a farlo sentire, probabilmente, più colto. Era quello lo scopo dei virtuosismo dopotutto: mettersi in mostra e sentirsi "migliori" di ciò che si è davvero.
    Giorno dopo giorno comunque anch'era era migliorata e quello stesso linguaggio che le era apparso come astruso ed antico, aveva iniziato a piacerle e a diventare molto più d'uso comune, ma dalla sua mente mai era svanita l'idea che la didattica dovesse rimanere accessibile a tutti e che, soprattutto, parole semplici fossero il modo più corretto di insegnare.
    Il "professore", così come il suo stesso fratello l'aveva definito - forse come affettuoso sfottò - era ciò che per lei poteva esser considerato un ottimo insegnante per quello e per tante altre ragioni, che parzialmente erano già state elencate. «Ama il suo lavoro, e si fa benvolere da tutti.» «Mi chiedo che tipo di correlazione ci sia fra le due variabili.» mormorò in risposta, sottintendendo che l'uomo poteva amare il suo lavoro perché si faceva benvolere da tutti, o che il motivo del suo farsi benvolere fosse l'amore per il suo lavoro. Non era una frase molto cortese da dire in effetti, soprattutto a qualcuno che si trovava così coinvolto nel soggetto del discorso. «A volte le persone amano semplicemente sentirsi amate.» concluse, alzando lievemente le spalle mentre imperterrita continuava ad utilizzare la fotocopiatrice, giusto un attimo prima che quest'ultima decidesse di dare forfait e di macchiarle d'inchiostro le dita.
    Non era un evento raro, quell'aggeggio non era mai stato dei migliori e si vedeva che ormai aveva passato l'età giovanile da un pezzo: avrebbero davvero dovuto comprarne una nuova, sarebbe stato un bel modo di spendere i soldi che l'Università aveva ricevuto nel corso degli anni. Ma a quanto pare non è questo il giorno. le fecero eco infastiditi i suoi pensieri, mentre alla meglio cercava di ripulirsi, non facendo altro che macchiarsi ancora di più. Quello, infatti, era invece il giorno in cui uno sconosciuto rideva - e di gusto - delle sue disavventure, senza nemmeno preoccuparsi di trattenere quella risata che gli sembrava davvero genuina... anche troppo.
    Se non fosse stata un po' su di giri per la questione "Sputnik", probabilmente Cat non avrebbe avuto da ridire, nemmeno mentalmente, dinanzi a quella reazione: complice un po' la paura e forse qualche altro sentimento non meglio specificato, finì col sentirsi un po' infastidita. Non tanto per lui, quanto per la situazione. O forse per entrambi, non lo sapeva.
    Cat in generale non amava essere colta in fallo, che si trattasse di sciocchezze come quella o di cose più serie. Nessuno lo amava, è chiaro, ma per lei aveva un sapore un po' diverso: era stata così abituata nel tempo ad usare la propria particolarità per la più piccola delle sciocchezze che vedersi così, immobile, dinanzi ad una macchina infernale, con i polpastrelli neri ed uno sconosciuto che rideva in quel modo, l'aveva fatta sentire un po' toccata, per quanto comprendesse perfettamente - ed era questo il tasto più dolente - l'ilarità della situazione, che sembrava ancora più divertente condita dalla suono della risata di Matthew, che aveva un che di contagioso, tanto da farla sorridere appena, nonostante il latente fastidio che continuava a provare.
    «Ti do una mano.» le disse, avvicinandosi a lei per un momento e guardandola ancora con gli occhi lievemente rivolti verso l'alto. Tra le mani aveva un fazzoletto in lino bianco tinto da piccole macchie rosse che, dopo poco, presero la forma di due "M" finemente ricamate: quello era un dettaglio che non si era aspettata di vedere. Matthew infatti non le dava l'idea del professore né in generale di un particolarmente uomo raffinato, come invece quelle due iniziali in corsivo suggerivano. Anche il suo tutore aveva l'abitudine di portar con sé dei fazzoletti in stoffa con le iniziali, ma quell'uomo era molto diverso da quello che le stava dinanzi e al quale stava ormai porgendo la mano macchiata di inchiostro. C'era in lui infatti un qualcosa di magnetico, nonostante tutto quello che gli aveva detto mentalmente e tutte le comparazioni che aveva fatto con il fratello: c'erano state in effetti ben pochi compliementi nella sua testa, forse quello era il primo. Era un complimento definirlo "magnetico"? Forse. Era forse il timore che sentiva nei confronti di quell'uomo a parlare per lei? Era stato così diretto nel dirle che era venuto lì per incontrare proprio lei, tanto da lasciarla basita. Non aveva nemmeno avuto modo di replicare come si conveniva a quella frase che tutto sembrava fuorché "normale". Come sapeva fosse lì? Era probabile ma non sicuro... E poi perché gli serviva proprio il libro che stava consultando? Dopotutto il Professor Morgernstern era suo fratello, non poteva chiederglielo in prestito? Più la sua mente macinava pensieri, più si sentiva spaventata ed allo stesso tempo attratta. Cosa cazzo c'è di sbagliato in me? si chiese.
    «Non dubito che tornerai da mio fratello, è di piacevole conversazione.» continuò invece lui. «Puoi darmi del tu. Lo preferisco.» «Deduco tu non sia nell'ambito accademico.» mormorò in risposta, senza sollevare lo sguardo dalle loro mani. «Non ho mai visto un professore farsi dare del "tu".» motivò, pensando che anche lei probabilmente al loro posto si sarebbe un po' beata di quegli stupidi formalismi: da "Piccola Cat", come affettuosamente la chiamava Darko, a "Avvocato Nørgaard" con deferenza c'era un grande abisso che non le sarebbe davvero dispiaciuto attraversare.
    Non appena le mani di Cat ebbero assunto un aspetto decisamente più decente, Matthew lasciò la presa: «Vedrò di sistemarlo io, tanto che siamo qui, e abbiamo bisogno di questo libro entrambi. Dovrebbe essere semplice.» «E' una perdita di tempo, di tanto in tanto si inceppa, viene riparato e dopo un po' ritorna sui suoi passi.» rispose, passandosi ancora il fazzoletto fra le dita ed indugiando appena sulle iniziali. Quantomeno Matthew è davvero il suo nome. pensò, sollevando lo sguardo verso l'uomo e la fotocopiatrice. Strinse fra le dita quel pezzo si stoffa e si avvicinò per prendere il libro, dandogli maggiore spazio per cercare di riparare quell'arnese.
    Chiuse il volume, portandoselo al petto. «Come mai comunque hai bisogno di questo libro?» chiese infine, con tranquillità, mascherando il suo reale sentire. «Non credo di averti visto a lezione o qui in biblioteca, anche se forse sono stata io poco attenta.» Si stava scavando la fossa? Era una reale possibilità, ma era curiosa, voleva sapere, e soprattutto non voleva esser zittita: per quanto con cortesia, Cat aveva proprio l'impressione che la conversazione fosse andata là dove lui desiderava che andasse. Non aveva avuto né modo né tempo di pronunciare tante domande e, a pensarci con mente fredda, lo stesso non chiedere chi diavolo fosse poteva essere strano: o forse stava pensando troppo? Tutti quei pensieri stavano iniziando a farle venire il mal di testa. Stava per gettare l'ennesima giornata di studio al vento? Quella era una possibilità da tenere decisamente in conto.
     
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    Le cose sarebbero cambiate per Matt, che lui fosse pronto o meno. Però era un cambiamento che voleva, non si poteva affermarne il contrario. C'erano moltissime idee che si avvicendavano nella sua mente, una più confusa dell'altra, e questo, considerata la sua inclinazione a guardare ogni possibilità per volta e a concentrarsi su un solo incarico per momento, senza lasciarsi distrarre da possibili complicazioni, era difficile da sopportare. Perciò si sentiva come se ad ogni occhiata della ragazza, ad ogni sfida, di gesti, di sguardi, di parole che gli aveva rivolto, doveva ben guardarsi dal lasciarsi travolgere dal fiume in piena e ritornare alla sua naturale contrastatissima calma apparente. Il cuore e la mente in subbuglio, l'ira come sempre a dominarlo, Matt sapeva di dover correre, perché se quella persona non era dalla sua parte non poteva immaginare altro che considerarla contro. E pensare che in qualsiasi altra circostanza, gli sarebbe stata una ragazza che poteva andargli a genio, con una personalità imprevedibile, e una battuta sempre pronta. Chiuse gli occhi, passandosi una mano alla tempia, prendendo quella frazione di secondo per decidere davvero come risponderle. Era una bambina, doveva rammentarlo, e rappresentava una minaccia lontanissima, ma veritiera, alla sua famiglia. Adesso c'erano troppe faccende in ballo per Matt, e la famiglia aveva assunto un significato molto più ampio, eppure, finalmente, molto più concreto. Figlia di qualcuno, figlia di nessuno che dovesse tenere in riguardo, figlia del fato e del destino che l'aveva portata dritta nell'ufficio di suo fratello quel maledetto giorno, e lui come adulto, con discutibile senso dell'onore e dell'ordine, teneva a che gli intrighi di cui si occupava potessero essere salvaguardati, che le sue azioni fossero giustificate dall'atto e dal bene superiore che impersonava la sua mano, il Dio temibile che si celava nel suo potere.
    Ignorò, inizialmente, la prima risposta di Catelyn. Odiava dover spiegare le sue frasi quando non veniva compreso, ma evitò di fare alcun gesto che potesse dimostrare la sua avversione, che potesse raccontare anche senza che usasse la parola quanto fosse seccato. Il suo rapporto con il fratello era ovviamente impossibile da raccontare per chi non li conoscesse, e per chi non sapesse la loro storia. Qualche volta quando parlava di lui di rendeva conto di essere criptico, o di utilizzare termini, appellativi, che sembravano quasi fossero studiati per sminuirlo. Ma non intendeva ovviamente farlo. In quel momento aveva pensato di non dire nulla per davvero, prima di rendersi conto di non poterlo fare. Sarebbe sembrato più sospetto invece farlo? Forse voleva soltanto non perdere il brio di quella sfida. «Non sono correlate infatti. È solo una congiunzione.» Sorrise. Non era la sua materia discutere sull'uso delle parole, non gli era mai interessato. Le parole lo disturbavano da quando aveva memoria, per via della sua dislessia non poteva certo definirsi sostenitore di frasi, saggi, connessioni di alcun tipo. Era una persona particolare Matthew, ma non era uno sciocco. Aveva agitato Catelyn scuotendo in lei una reazione complessa, tutto in lei, dalle parole che utilizzava per rispondergli allo sguardo assottigliato, alla posa che assumeva, forse perfino consapevolmente, sembrava fosse pronta a scattare, per tenersi stretto lo spazio che aveva attorno, lo spazio che fosse suo, e che fosse anche il più lontano possibile da lui. Forse Catelyn aveva capito e compreso di essere una preda, e di non avere scelta che di tenere a bada l'uomo perché non rappresentasse una minaccia per lei.
    La sua seconda frase invece era un'espressione di una retorica che non fu chiara a lui, al contrario. Però nel caso di suo fratello era vero. Lui amava essere amato. Amava essere benvoluto. Era cresciuto così, doveva compensare l'amore che Matthew non dispensava, né alla sua famiglia né a nessuno. I suoi genitori erano stati un capolavoro di incomprensibilità, di irrisolutezza nella vita, che prendeva risvolti in qualsiasi ambito ed intaccava tutto quello che era a loro portata di mano. Suo fratello era l'unica cosa che a loro era riuscita bene. «A te piace sentirti amata?» Aveva annuito, prima di porle la domanda. Si era messo lì di fronte a lei a guardarla, con gli occhi assottigliati a scrutarla. Amore. Per Matt l'amore era molto contorto, non aveva nulla di lineare e pulito, era sempre un'aggrovigliatissima matassa di pensieri, ed era infatti un tema che raramente toccava con parole e ancora più poco di frequente accedeva a quel cassetto di informazioni nella sua mente. Matt provava amore per Anastasija? Lui era convinto di sì, se lo sentiva come se fosse scritto sulla pelle. Per quello che sapeva lui dell'amore lui capiva che quello che provava non poteva essere che quello. E adesso, avrebbero costruito insieme una famiglia. La famiglia che sarebbe nata da quell'unione era qualcosa che lui doveva proteggere a tutti i costi. Non poteva perdere Anija o quel bambino che sarebbe potuto nascere da lui e lei come aveva perso Kirilla, tanti anni prima, per cui aveva immaginato di essere pronto a tutto, e da lì la correlazione che aveva fatto: sarebbe stato pronto ad uccidere. Anche senza farsi altri scrupoli. Chiunque, anche donne e bambini, pur di salvare la sua famiglia. Ma la Libra poteva essere davvero minacciata da quella ragazza solo per qualche frase detta nel posto sbagliato al momento più incoerente di tutti?
    In ogni caso, tutti quei passi che avevano compiuto li avevano portati lì. Matt aveva risposto, Matt aveva chiesto, e analizzava Catelyn chiedendosi non solo con molta ritorsione cosa ne doveva fare di lei, ma anche, stranamente, chiedendosi chi fosse Catelyn come persona. Quello sguardo gli ricordava il suo, sospettoso verso tutti, la fronte crucciata come la sua, come le tante minuscole pieghe di rughe che oramai aveva impresse sul volto. Matt doveva essere stato come lei, in passato, e magari non se lo ricordava. Ma lei sembrava molto simile a quell'io che rappresentava allora in quel momento, nel presente, Matthew. Che strana considerazione. Si rese conto, molto più semplicemente, che era genuinamente incuriosito da lei. E non avrebbe ceduto dal saperne di più, esattamente come faceva con tutto ciò che accendeva una scintilla nella sua mente. Catelyn Nørgaard inconsapevolmente aveva scatenato una reazione. Non l'avrebbe più lasciata andare incolume, ma, anche curiosamente per lui, non per i motivi che aveva pensato.
    La situazione si capovolse ancora, e l'atmosfera cupa e temibile che si era creata e che aveva preso piede in quella saletta, volutamente studiata da Matt, era passata ad un confronto posto su un altro piano, totalmente diverso. La sua risata aveva riempito di un calore sbagliato quel luogo, perché non era stata una risata fredda e terribile, era qualcosa che aveva tirato fuori da lui una reazione istintiva di umano, di quella parte di Matt che gelosamente custodiva per le persone attorno, i suoi figliocci soprattutto, che lo rendevano più un burbero zio che un vicecapo degno di tal nome di una organizzazione illegale e criminale. E a Matt, avrebbe fatto mai piacere sentire di essere amato? Lui sentiva di provar piacere ad avere amore in ricambio, oppure non gliene importava nulla? Le porse il fazzoletto e creò quel legame, la ricerca delle sue mani come solo chi aveva un istinto e un atteggiamento come il suo poteva poi riuscire nell'impresa di farlo sembrare un momento così poco banale e pieno di significato. Catelyn mantenne il contatto, come aveva immaginato, lasciando lo sguardo corrucciato nell'impresa di sostenere una conversazione con l'uomo e chiaramente di doverlo continuare a sfidare, continuando a porgli una domanda sottile e poco nascosta tra loro. Chi era davvero Matthew? Nessuno poteva essere tratto in inganno, Catelyn sapeva bene cosa era andato a fare in quel luogo e perché la stesse cercando. Catelyn sapeva di aver sentito qualcosa che non doveva, e lui glielo aveva fatto presente. Lo so anche io, e so come cercarti. Ecco cosa volevano dire i suoi occhi, ecco cosa mostrava con la sua presenza lì. Sarebbe stato un gioco molto difficile se nessuno dei due voleva giocare a carte scoperte, ma nessuno di loro era riuscito a bluffare come si deve. «Chissà. Magari questo è un preconcetto sbagliato.» Si sentì rispondere. Il fazzoletto bianco cominciò a tingersi di macchie scure, probabilmente sarebbe stato inutilizzabile dopo, ma capì subito che non l'avrebbe gettato via, né avrebbe provato a farlo smacchiare da Anija. C'erano cose che sua moglie non doveva sapere, e cose che lei non voleva neanche immaginare di quello che facesse il marito in quel suo lavoro particolare, nella grande famiglia che avevano costruito, tutto seguiva l'ordine delle cose, e le cose belle continuavano a restare le uniche che potevano essere viste ed ammirate alla luce del sole, la punta dell'iceberg. Niente di più e niente di meno. Matt avrebbe conservato quel fazzoletto e l'avrebbe tenuto per sé.
    La frase che aveva detto a Catelyn invece voleva dire proprio quello che raccontava, celando ancora una volta la sua identità ma facendole presente che non doveva giocare troppo con il fuoco. Matt aveva rivelato nulla di sé, ma la ragazza aveva capito che non era un professore, che non c'entrava nulla in quel luogo, che era tutto tremendamente sbagliato e perfettamente calcolato. Eppure esistevano davvero professori che non volevano farsi dare del tu, e questo non si poteva negare. Che lei avesse incontrato persone con un ego pieno di rigore e con il senso delle parti e di distinguere il tu e il lei, non era cosa che riguardava Matt. Ma lasciarle una briciola di dubbio era pur sempre appropriato al teatrino che aveva messo in scena.
    Lasciò andare le sue mani e la ragazza si stropicciò il fazzoletto tra le dita per continuare a pulirsi. Diede davvero un'occhiata alla fotocopiatrice, la guardò da tutti i lati prima di aprirla dal lato della stampa, e smontare la parte che conteneva il filtro per posare i fogli puliti lontano e guardare la sezione contenente l'inchiostro. Matt aveva a che fare con ingranaggi e sistemi ben più complessi di quello e certamente una fotocopiatrice non poteva essere un mistero per lui. Ma se c'era una parte di quel meccanismo che era inutilizzabile non si poteva far nulla, bisognava modificarla, smontarla, rimuoverla e poi sostituirla con una parte funzionante. E quello sembrava essere il caso.
    Mentre rimuoveva la cartuccia dell'inchiostro nero, attento a non macchiarsi anche lui, Catelyn azzardò delle domande, con tono curioso e appena indagatorio, come se volesse portare lei ordine alla confusione che aveva creato, alla soggezione che poteva incutere Matt e a tutta quella scena, troppo surreale perché si potesse pensare che non fosse così. «Dovrebbe essere sostituito solo un pezzo, ma probabilmente ha più senso comprarne una nuova. Lo farò presente in segreteria.» Continuò. Non aveva bisogno di essere un professore per fare una donazione di una piccola entità alla biblioteca, probabilmente fatta con il nome di sua moglie sarebbe stato più appropriato visto l'ambito dell'editoria in cui lei spiccava. Forse sarebbe stata un'ottima pubblicità per Anija in quanto già benefattrice locale, e un'ottima via di fuga in molti sensi ad avere accesso libero alla biblioteca se avessero compiuto un pò di più che qualche minima donazione, anche rinnovando gli ambienti e compiendo ristrutturazioni. Ma la mente di Matt stava viaggiando troppo, doveva tornare a Catelyn e alle sue domande. «Non seguo la stessa materia di mio fratello, non ci siamo mai incontrati.» Confermò la sua teoria, lasciandosi andare ad una frase in più. Non aveva detto una bugia, era la pura verità, perciò il suo tono di voce restò calmo mentre Matt pensava a quanto il dipartimento di meccanica fosse una banale copia di quello che faceva in officina, e al fatto che contava molto più avere le mani in pasta in quel campo che parlare di qualcosa di immateriale seguendo un corso universitario se uno studente poi non sapeva nulla di cosa fosse un cuscinetto e una valvola a farfalla in un motore. D'altronde lo diceva spesso al fratello, tante parole e poi i ragazzi sapevano poco di cosa fosse davvero l'ingegneria. Anche quindi il fatto che non fosse un professore davvero lo rendeva al sicuro con quelle parole. Andava bene così. «Volevo prenderlo in prestito per puro piacere Sorrise, voltandosi verso di lei, con un sorriso con i denti in mostra, temibile e seducente. No, non serviva che quel libro fosse da prelevare per lui perché servisse per lavoro. Filosofia del diritto poteva pur sempre essere una materia di lettura per i non adepti, semplicemente utile ad un lettore che voleva saperne di più degli argomenti più disparati. Che ovviamente fosse anche l'esame di cui doveva occuparsi Cat non era una casualità, e come lui aveva detto sapeva che le sarebbe servito, senza maschere da porle; ma a quel punto non poteva mostrarsi come un abietto senza fine, e non aggiunse altro. Lasciò andare la fotocopiatrice, e si avvicinò a lei. «Facciamo così, non ti faccio perdere altro tempo.» Commentò. Prese il libro vicino alla macchina, lo soppesò tra le mani e lo porse a lei dal dorso, esattamente come era successo poco prima. «Prendi il libro, serve più a te che a me. Quando lo riporti lascialo a mio nome, verrò a riprenderlo.» Mantenne un'espressione divertita, sincera, nel momento di quell'improvviso cambio di scenario, nella possibilità che stava lasciando a Catelyn di scappare, semplicemente allontanandosi un pò senza andare troppo lontano, come se potesse tenerla legata lì. «Quando ci incontreremo me ne parlerai tu.» Presupponeva che si sarebbero rivisti. Che non sarebbe potuta andare lontano. Che sarebbe rimasto proprio là, vicino, pronto ad intervenire. E che per quando avesse potuto le sarebbe stato difficile correre davvero.
    Si era convinto a quel punto che non rappresentava una minaccia per la Libra, e se così non fosse stato allora la sua conoscenza quel giorno doveva averle fatto capire che sarebbe stato lì ad un passo da lei a ricordarglielo. Ma allo stesso modo, Matt sapeva, non sarebbe stata l'ultima volta comunque in cui l'avrebbe cercata: qualcosa era accaduto, e ci sarebbe stata una prossima occasione per incontrarla.
     
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