Devo stare attento a non cadere nella birra o finir dentro ai tuoi occhi, se mi vieni più vicino

Egon x Bella | Sera | 12.04.2021

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    Egon Gibson
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    Per Egon quello era il suo habitat naturale: un pub pieno di gente che non badava minimamente a lui, quindi libero di bere quanto e cosa voleva senza temere che qualcuno lo guardasse male o pretendesse di toccare la sua coscienza, convincendolo che l’alcool non gli faceva affatto bene. Quella sera poteva essere simile a tante altre sere trascorse in un locale, rigorosamente in solitudine, con l’unica compagnia di un bicchiere sempre pieno e con quel senso di colpa, impresso con un pennarello indelebile sulla sua anima. Una sera come tante se non fosse stato per quella variante che stava quasi rendendo matto Egon. C’era Bellatrix lì con lui, seduta di fronte a lui, ignara di quel pugno nello stomaco che il poliziotto sentiva ogni qualvolta i loro sguardi s’incrociavano. Era per Bella se non si era messo ad ordinare un boccale di birra dopo l’altro, era per Bella se riusciva a tollerare un po' di compagnia per quella sera. Solo per quella sera. «Non ti facevo tipo da birra, pensavo preferissi il vino.» Guardò Bella e il suo boccale di birra con quello che, sul suo volto, sembrava il lontano ricordo di un sorriso. E lui di birre e vini se ne intendeva, non perché fosse un sommelier mancato ma perché altro non era che uno sporco ubriacone. Tutti, a turno, glielo stavano dicendo, magari con parole diverse, qualche volta dirette -si, Sybilla, sta pensando a te-, ma il punto era che il suo alcolismo stava oltrepassando il limite e, abituato a farsi i sensi di colpa, Egon si chiedeva cosa mai ci trovasse Bellatrix in lui di tanto affidabile dall’essere tranquilla nel fargli vestire i panni di guardia del corpo. Possibile che non si fosse accorta di nulla? Possibile che i suoi occhi riuscivano a vedere il lato meno marcio di Egon?
    Lui, dal canto suo, aveva intuito che qualcosa non andava nella donna, da quella maledetta festa fatta per l’eclissi. Fosse stato per lui non se ne sarebbero viste più di idiozie del genere. Il sole si oscurava per qualche minuto, bene, applausi, ora non rompete il cazzo. Così avrebbe fatto Egon che, però, non era il sindaco di Besaid. Lui era un semplice soldato traumatizzato e alcolizzato che adesso era stato relegato ad un lavoro di ufficio in una centrale di polizia di una cittadina norvegese con un nome che, per giunta, non era conosciuto a tutti. Avanti, prima di trasferirsi lì Besaid non l’aveva mai sentita nominare, non sapeva nemmeno che fosse in Norvegia, non sapeva un bel niente! A quella festa idiota, a parte tutto, Egon era preoccupato per Bella. Non lo dava a vedere in maniera palese, questo è ovvio. Un orso solitario come lui non esternerebbe mai in maniera plateale le sue preoccupazioni, soprattutto se rivolte ad una persona che, per qualche strana ragione, solleticava il suo animo ormai assopito da anni. Il poliziotto non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine della donna in spiaggia, ricoperta di sangue.

    «Chi è stato? Bella, dimmi chi è stato!» La serata, per quanto ridicola, era trascorsa senza intoppi almeno finché non aveva perso ogni contatto con Bellatrix. Lui era lì per proteggere lei, non per divertirsi, se avesse voluto divertirsi sarebbe rimasto da solo a casa, sul divano, intento a bere qualsiasi alcolico fosse rimasto nella credenza. Invece no, aveva ceduto perché si trattava di Bella, perché lui voleva veramente che non le accadesse nulla di male. Quel lasso di tempo in cui non era riuscito a comunicare con lei era stato un incubo. Per l’ennesima volta aveva dimostrato di non saper stare al mondo e, peggio ancora, aveva confermato la sua idea secondo cui tutte le persone che entravano in contatto con lui prima o poi facevano una brutta fine. Ancora una volta non aveva saputo proteggere qualcuno, Bella si aggiungeva alla lunga schiera di persone che erano entrate nella sua vita e poi se n’erano andate via nel peggiore dei modi. Egon era una persona pessima, un pericolo pubblico. Non aveva mai ucciso nessuno in vita sua, ma sentiva sempre quel senso di colpa sul petto, un peso che non riusciva a farlo respirare. Sentì tornare l’aria nei polmoni solo quando ritrovò Bella in spiaggia, corse verso di lei, con i piedi che affondavano nella sabbia, e la prese per le spalle senza strattonarla, ma per tenerla bene davanti a lui, in modo tale da vedere dove si fosse fatta male e da dove provenisse quel sangue. Non avrebbe esitato ad usare la sua abilità, in quel caso. Era pronto a guarire Bella da qualsiasi ferita, che si trattasse di un semplice graffio o di un male più grave, ma al di sotto del colore scarlatto non vi era nulla. «Dove ti fa male? Chiamo i soccorsi. Bella, mi senti?» Da bravo soldato sapeva come reagire in casi come questo, e passò una mano dinanzi al volto della donna che, in quel momento, sembrava quasi si fosse appena svegliata da un lungo sonno. Si guardò intorno e solo allora notò che altre persone, come Bella, avevano lo sguardo disorientato e i vestiti sporchi di sangue. Tornò a porre lo sguardo sulla donna: «Cosa diamine è successo qui?»

    Egon non ricevette alcuna risposta a quella domanda, pur sapendo che da quel misterioso incidente due persone erano rimaste in coma e rabbrividiva al solo pensiero che una di quelle avrebbe potuto essere Bella. Voleva capire cosa fosse successo, non perché fosse un poliziotto e voleva scoprire la verità, ma semplicemente perché aveva notato quello sguardo vuoto di Bella, il suo disorientamento in quella spiaggia e quel luccichio di tristezza negli occhi. In guerra ne aveva visti moltissimi sguardi come quelli, erano il frutto di esperienze spiacevoli e dolorose. Il poliziotto poteva sembrare freddo e distaccato, ma nel profondo aveva un lato umano anche lui, soprattutto se si trattava di persone a cui teneva, suo malgrado, per questo quel giorno era andato a casa di Bellatrix non appena aveva terminato il suo turno in centrale. Aveva bussato alla sua porta non nei panni di guardia del corpo mai nei panni di…persona. Non sapeva come definirsi, un amico, forse? Egon aveva dimenticato come ci si potesse sentire nel vestire i panni di un ‘amico’ e, dopotutto, qualcosa dentro di lui gli stava suggerendo che no, da Bella non voleva una semplice amicizia. Era andato a casa sua, tentando di riportare il discorso a quella mattina sulla spiaggia, in maniera un po' goffa in realtà. Lui, che era sempre abituato ad andare dritto al punto, non sapeva come toccare con delicatezza la questione. «Vieni, andiamo a mangiare qualcosa fuori.» La bionda, dopo un po', lo trascinò letteralmente fuori dall’abitazione, come se quel luogo fosse troppo stretto e non riuscisse a contenere a dovere tutte le cose che sarebbero uscite dalla sua bocca. «Ok, ma ti ricordo che non sono in servizio.» Egon brontolò, mentre seguiva Bella in direzione di quello che, poi, si rivelò il pub in cui erano seduti adesso, uno di fronte all’altra, una birra ciascuno e un discorso in sospeso. Il poliziotto si rigirò il boccale tra le mani, pensando che quell’affare di vetro rappresentava la sua salvezza e, al tempo stesso, la sua rovina. Quasi si sentiva a disagio nel portare il bicchiere alla bocca dinanzi a Bella, eppure lei non sapeva del suo problema, non capiva perché dovesse preoccuparsi tanti per ciò che lei avrebbe pensato. Buttò giù un sorso senza pensarci e poi si schiarì la voce, mentre attendevano che qualcuno portasse loro le ordinazioni che avevano scelto qualche minuto prima. Egon si schiarì la voce: «Quindi tu stai…come stai? Voglio dire…dalla festa sulla spiaggia. Come stai?» Una domanda notoriamente banale, quella. Si sa che talvolta si chiede per rompere il ghiaccio, senza voler sapere effettivamente la risposta, ma nel caso di Egon non era così. Lui veramente voleva sapere come stesse Bella, quale fosse il suo stato d’animo in quel momento e cosa mai le fosse capitato per essere ricoperta da tutto quel sangue. «Sai, non sono uno psicologo, non so quale sia il modo giusto per farti parlare. Se sono indiscreto basta che mi butti la birra in faccia.» Egon Gibson azzarda una mezza battuta e, aspettate, è forse un leggerissimo sorriso quello che appare sul suo volto? Incredibile. Un sorriso che dura solo pochi secondi, poi torna ad essere serio come suo solito, non vuole soffocare Bella con le sue continue domande, spera soltanto di poterle essere d’aiuto in qualche modo.
     
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    Aveva sognato di ingoiare un ragno. Da bambina ne era ossessionata. Sognava ricorrentemente di poter rimanere nella notte a bocca spalancata e di mangiare senza accorgersene un ragno caduto dal soffitto. O peggio ancora, di accorgersene mentre stava per accadere. Era la prima notte quella che non veniva catapultata in un incubo alimentato dai suoi ricordi della festa sulla spiaggia per l'anniversario della fondazione. Era passata una manciata di giorni soltanto da quando si era ritrovata a contatto con la stranezza più grande che le fosse capitata da quando risiedeva a Besaid. Doveva aspettarselo, continuava a dire a se stessa. Sciocca che non hai saputo stare allerta. Un posto come quello in cui avevano scoperto di avere poteri unici e inverosimili, ognuno completamente diverso dall'altro, lei e i suoi fratelli, assieme a tutti gli altri cittadini, era naturale che prima o poi rivelasse qualcosa di ancora più inaudito. Dunque, nei giusti tempi, era prevedibile che scatenasse qualcosa di inaspettato. Nei dieci anni e più che abitava lì non era mai capitato in nessuna delle ricorrenze delle feste degli anni passati, e da quello che sapeva, almeno, neanche mai a Vega e Sirius. Magari non glielo avevano detto, così come lei non l'aveva confessato a loro, e avevano subito vicende altrettanto terribili. Loro però non sapevano nulla di quello che lei aveva visto, quello che sapevano era quello che non aveva potuto nascondere, e cioé quello che era avvenuto al risveglio del gruppo dei prescelti sulla spiaggia.
    La notte dell'episodio era stato l'incubo più vivido che avesse mai vissuto. Quando Egon l'aveva ritrovata assieme agli altri si era riscossa dal torpore di qualcosa che aveva vissuto, visto, temuto, eppure non era mai accaduto. Era accaduto, ma non aveva sentito su di sé le conseguenze che si era aspettata. Aveva promesso a se stessa in punto di morte, una morte che non era avvenuta davvero, un sacco di cose. Che se avesse vissuto ancora non si sarebbe lasciata scappare i suoi obiettivi dalle mani. Che avrebbe respinto tutti gli ostacoli senza colpo ferire, se solo avesse potuto ricordare cosa era successo in quella vita che le era stata strappata e fatto suoi tutti i suoi desideri in quella successiva. Aveva immaginato, pianto, sofferto, di poter rinascere per poter portare a compimento quello che non era riuscita a vivere nei suoi trent'anni di vita sulla Terra nel corpo di Bellatrix J. Doyle.
    «Dove ti fa male? Chiamo i soccorsi. Bella, mi senti?» Quando Egon le aveva scosso le spalle la notte del primo di Aprile aveva riaperto gli occhi guardando nei suoi, e si rese conto che respirava ancora. Il coraggio che la contraddistingueva da sempre aveva vacillato. Non aveva fatto gesti eclatanti in risposta a quello che aveva vissuto, non in quel momento.
    Era stato proprio Egon a chiamare i soccorsi per primo, lui che era riuscito a trovare lei e tutti i ragazzi coinvolti nell'accaduto quando si era sentita persa, e si era ritrovata lungo la spiaggia in un posto in cui non si riconosceva più. Non poteva per forza essere la stessa di prima. «Cosa diamine è successo qui?» Non lo sapeva. Era una domanda che l'aveva tormentata per tanto tempo e tanti giorni. Ricordava adesso come in quel momento di essere tornata lucida e di aver riaperto gli occhi sul suo sangue grondante in petto sul vestito bianco ricamato a fiori, e di aver toccato gola e corpo in cerca di qualcosa che non fosse a posto, una testimonianza di quello che era avvenuto. Avrebbe dovuto accontentarsi solo del suo sangue sgorgato da una fonte che non era mai stata recisa. Aveva tremato molto, prima di rifugiarsi nelle braccia fidate di Egon, con lui si era sempre sentita al sicuro, ed era una sensazione che portava con se sulla sua pelle senza sapere a cosa fosse dovuta, o perché si potesse spiegare così. Aveva guardato a lungo Astrid prima di rendersi conto che entrambe stessero bene, non si era neanche accorta di essersi girata a fissarla tra le braccia di Egon.
    Non era successo lo stesso a tutti gli altri: Beat e una ragazza che non conosceva di cui avrebbe imparato il nome in seguito, Eira, erano stati portati d'urgenza in ospedale. Per tutti gli altri che erano apparentemente illesi i soccorsi sul posto avevano subito intercettato la polizia, e il fatto che la procedura fosse stata iniziata dallo stesso Egon aveva velocizzato immediatamente i movimenti del gruppo dopo. Quando erano stati portati in centrale per accertamenti in merito a cosa fosse successo aveva chiesto di non essere allontanata da Egon, raccontare la sua versione, perché sentiva di poter parlare con lui senza remore di cosa potesse trapelare fuori: con lui condivideva un legame che oramai da qualche mese andava oltre il vincolo di segretezza imposto dalla divisa. Ma quello che aveva subito era troppo grave perché fosse spiattellato, seppur ad Egon, in quella stessa serata, in un momento in cui si sentiva stanca, nauseata e tormentata. I pensieri sulla sua vita, su Astrid, su Beat che giaceva in coma, su Max che l'aveva salvata, su Vega e Sirius che aveva immaginato nella sua mente - o forse erano vere apparizioni? - erano stati troppi. Tutti gli altri così come lei erano stati condotti alle loro abitazioni. Bella aveva abbracciato Egon quella sera chiedendogli, il tempo per poterne parlare. «Sto bene. Te lo prometto. E ti racconterò tutto.» Gli aveva sussurrato, prima di lasciare Egon dietro la porta di casa ed essere tornata tra le coperte del suo letto, cancellando grazie all'aiuto di Holden il giorno dopo, tutti i suoi impegni per i giorni successivi. E così passarono quei giorni terribili con la consapevolezza che quello che era accaduto prima o poi sarebbe dovuto essere analizzato da lei a fondo, e avrebbe cambiato per sempre ciò che vedeva di quella vita che conosceva.


    Il tempo era misterioso per tutti, l'unica unità di misura che davvero potesse avere senso in una vita umana che non è immortale. Ma dopo quell'episodio per Bellatrix lo era diventato di più. Inacciuffabile. I giorni che erano volati l'avevano portata a dover riprendere il controllo della sua vita. Avevano parlato a lungo al telefono con Astrid, dicendosi di doversi vedere, di dover trovare il tempo di parlare di quello che era successo, ma fino a quel momento avevano entrambe temporeggiato. Bella aveva timore di aver detto troppo quando si erano abbracciate, e baciate, prima del sacrificio. Quando ci pensava doveva ancora scuotere le spalle e guardare all'insù, concentrarsi di pensare a qualcosa di felice. Quanto era dura dover pensare di andare avanti fingendo che non fosse successo niente. Ecco, proprio la presenza di Astrid avrebbe potuto aiutarla a sentirsi non del tutto sola, vicina a qualcuno che aveva vissuto la stessa bruttura. Ma proprio Astrid era la persona che non avrebbe voluto su quell'altare e con cui non avrebbe voluto rivivere l'avventura di una morte scampata.
    Egon era tornato a bussare alla sua porta quei dieci giorni dopo la sera infausta. Aveva finalmente avuto il coraggio di rispondere al suo telefono e di parlargli di incontrarsi. Quando lui avrebbe avuto tempo al di là del suo lavoro allora sarebbe andato bene rivedersi per raccontarsi. Se l'era ritrovato lì, di fronte a lei, era corsa ad aprire la porta a piedi scalzi come aveva fatto il giorno del primo di Aprile. «Vieni, andiamo a mangiare qualcosa fuori.» Gli aveva detto, inclinando il capo di lato e sbirciando che Sirius non fosse in allerta, e potesse defilarsi senza farsi notare troppo. Vega era uscita di casa per recarsi al suo lavoro, ma sarebbe tornata per sbrigare commissioni in meno di un'ora. Quella casa per raccontarsi troppo era troppo stretta. Aveva lasciato Egon nel soggiorno, ed era tornata da lui dieci minuti dopo. La sua particolarità non risentiva da giorni di malessere, e più si spingeva in là più si rendeva conto che non le faceva venire dei gran mal di testa, ma era rinvigorita e piena di forza man mano che abusava del suo potere, e così le provocava una sensazione mai sentita di piacere vero e proprio. Aveva fatto vorticare nella stanza in un vento dal mulinello controllato tutte le cose di cui aveva bisogno, riposto tutto in una borsetta di cuoio e indossato un abito leggero dai toni chiari per il clima mite norvegese di quei giorni, con sopra un necessario trench beige lungo fino ai piedi. Aveva evitato di guardare gli occhi azzurri di Egon fin quando non si erano ritrovati faccia a faccia all'Egon pub, il locale con il suo stesso nome. Avevano ordinato qualcosa, lei sovrappensiero aveva ordinato una birra come Egon, un tipo diverso, come una scelta abituale e ricorrente di quelle che faceva spesso, di quelle che faceva prima che fosse successo tutto. Quando erano arrivate le ordinazioni erano proprio lì, lui e lei di fronte all'altra, pinta tra le mani. Nelle sue una Murphy's Irish Stout scura, con la spuma della birra che danzava sulla parte superiore del boccale. «Non ti facevo tipo da birra, pensavo preferissi il vino.» Gli sorrise, trovando il coraggio di riguardare gli occhi azzurri nei suoi altrettanto chiari, senza muovere un dito. «In effetti la bevo molto meno adesso. Ma sono pur sempre irlandese.» Si ritrovò a sussurrare, come se volesse che la conversazione fosse subito intima e precisa, limitata solo a loro due. La birra scorreva nel suo sangue che voleva ingentilire agli occhi degli altri. Lei sarebbe sempre stata una rosa irlandese nel bene e nel male, fin quando avesse deciso di vivere in Norvegia. «Sono felice di vederti.» Ammise, prendendo più volte fiato per poi interrompersi. Non era facile raccontare ad Egon le cose perché doveva metterle in fila anche lei. Non aveva dubbi che sarebbe stata in grado di farlo prima o poi, ma forse quello non era ancora il momento culmine della vicenda. «Quindi tu stai…come stai? Voglio dire…dalla festa sulla spiaggia. Come stai?» L'aveva capito anche lei che Egon non sapeva da che parte iniziare. « Sono stati giorni molto difficili per me. » Cominciò, in risposta alle sue parole. Bevve un sorso di birra, sporcandosi appena il lato delle labbra con la schiuma. Avvicinò le mani al mento ma non si accorse di non essersi pulita come si conveniva. Era proprio vero che non beveva birra da un sacco di tempo. « Ora sto meglio. Mi sento meglio. E' che è molto strano essere qui e far finta che non sia successo nulla. » Ammise. Non si accorse di aver fatto ondeggiare i capelli muovendosi sulla sedia al bancone, con i piedi che ballavano perché non toccavano la superficie del pavimento nonostante fosse sempre stata una ragazza molto alta, cresciuta in fretta. Un cameriere la superò arrivandole vicino alla spalla, e lei si sporse istintivamente verso Egon, forse non consapevole di quanto fosse strambo ricominciare a farsi circondare dalla sua amata gente e farsi guardare quando fino a quel momento non aveva desiderato altro e adesso si chiedeva dove fossero finiti tutti gli abitanti di Besaid quando avevano avuto bisogno d'aiuto. «Sai, non sono uno psicologo, non so quale sia il modo giusto per farti parlare. Se sono indiscreto basta che mi butti la birra in faccia.» Intervenne così, e ci volle un attimo perché Bellatrix cambiasse espressione e lo guardasse con occhi sorpresi, riprese a ridere con una mano sul viso, allargando il sorriso con i denti in mostra.
    « Io ho voglia di parlare con te. Davvero. E' difficile spiegarti cosa ho visto. Vorrei avere il potere di proiettarti le immagini che ho vissuto nella tua mente... » Sussurrò, tornando vicina a lui, con le braccia attorno alla pinta di birra. Bevve un altro sorso, stavolta più attenta a procedere a sorsi piccoli e misurati. « Dovrei cercare qualcuno con questa particolarità e portarlo da te. Solo che poi mi ci vorrebbe qualcuno che gli cancelli la memoria. Forse servirebbe qualcuno che la cancelli anche a te, Egon. » Sentenziò, riprendendo la scioltezza di una discussione senza eccedere nel racconto, anche se aveva promesso di farlo. Guardò di nuovo il viso di Egon, la sua espressione seria, il viso illuminato da un sorriso quando si era permesso di scherzare con lei. Era una persona piacevole, quello che Bella, per quanto lo conosceva lei almeno, avrebbe definito un finto burbero. Forse era lei che sapeva vedere sempre il bello delle persone, ma Egon era anche un uomo oggettivamente bello, di quelli che si incontrano poche volte nella vita di tutti i giorni. « Puoi essere indiscreto con me, comunque. » Sentenziò, avvicinandosi piano con il braccio fino a prendergli la mano nella sua. Era un gesto di una semplicità disarmante, eppure la fece fremere, come se fosse consapevole di quanto fosse al contempo un gesto molto privato. Cercò di parlare a voce bassa, guardandosi intorno per un attimo prima di proseguire. Le diede fastidio dover essere costretta a controllare prima di parlare, non avrebbe mai fatto una cosa del genere in passato. Però in quel momento era necessario, e così si giustificava la sua azione. « Ho paura di non poterlo fare io. Vorrei raccontarti le cose che ho visto. Mi odieresti poi, o andrebbe bene saper tutto per te? » Ammise, ponendogli di fronte l'ultima scelta di poter aspettare o sapere tutto, e confessarsi infine anche lei per la prima volta dopo undici lunghi giorni.

    Edited by wanderer. - 11/9/2022, 17:10
     
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    «Sto bene. Te lo prometto. E ti racconterò tutto.» Quella promessa che gli era stata fatta da Bellatrix la mattina in cui l’aveva trovata sulla spiaggia sporca di sangue, era rimasta nella testa di Egon, in attesa che si schiudesse come un bocciolo i cui petali avrebbero portato i colori della chiarezza e della verità. Non aveva pensato ad altro, con grande sorpresa del poliziotto convinto che ormai tutto non fosse degno del suo interesse. E invece Egon aveva trascorso ore ed ore a tentare di capire com’era meglio approcciarsi a Bella dopo l’esperienza avuta, qualsiasi cosa fosse successa l’uomo aveva inteso che non doveva essere stato piacevole viverla. Forse, per la prima volta da quando aveva messo piede nella centrale di polizia di Besaid, aveva veramente reso giustizia alla divisa che portava, allertando i soccorsi non appena aveva inteso che qualcosa su quella spiaggia era andata storta. Il poliziotto non sa se avesse dimostrato la stessa solerzia se tra i coinvolti non ci fosse stata Bellatrix, probabilmente si sarebbe lasciato scivolare tutto addosso, come ormai faceva da troppi anni. Ma in quel caso lei era coinvolta e in lui si era smosso qualcosa di antico, qualcosa che non sentiva da tempo e che era lontanamente riconducibile alla stessa preoccupazione provata quando uno dei suoi fratelli ancora non era tornato a casa, nella loro abitazione di Boston, dopo l’orario prestabilito per il coprifuoco. Era tornato indietro nel tempo, Egon, e non era sicuro che la cosa gli facesse piacere. Voleva mettere una pietra sul suo passato e ci aveva anche provato, ma l’unico risultato era che adesso quella stessa pietra lo stava schiacciando, pesante sulle sue spalle talvolta non lo lasciava nemmeno respirare. Di quella sensazione, ancora, non era riuscito nemmeno a parlarne alla sua terapista, dopotutto non andava con piacere ai loro appuntamenti e per la maggior parte del tempo Egon decideva di stare zitto finché la dottoressa non gli tirava fuori le parole di bocca. Ma il pensiero dei suoi pessimi incontri con la terapista adesso passavano in secondo piano, Egon aveva pensato per giorni a quelle parole pronunciate da Bellatrix e aveva deciso che era giunto il momento di capirci qualcosa in più, non per le investigazioni in corso, ma perché voleva veramente sapere cosa avesse dovuto affrontare la donna mentre lui non le era accanto per proteggerla. Questo era, ormai, il segno distintivo di Egon: sentirsi in colpa per qualsiasi cosa accadesse attorno a lui. Si sentiva in colpa per aver perso di vista Bella e per non essere intervenuto difendendola da qualsiasi cosa maledetta fosse successa su quella spiaggia. Si era rifugiata tra le sue braccia, quella mattina, mentre lui non era stato in grado di starle dietro e in cuor suo il poliziotto sperava che Bella la smettesse di essere tanto gentile con lui e gli urlasse contro dicendogli che era stato uno stronzo per averla abbandonata in quella maniera.
    Ma Bellatrix non sembrava avercela con lui, probabilmente era uno dei pochi esseri viventi che trattava Egon come un uomo, un essere umano, fatto di pregi ma anche di tanti difetti. Egon si aspettava sempre qualcuno che gli rinfacciasse quanto era stato pessimo nel corso della sua vita, così come si aspettava che di punto in bianco arrivassero i suoi fratelli a rinfacciargli quanto era stato codardo ad abbandonarli a Boston e a non farsi più vivo. A tutti loro, Egon, avrebbe detto che si, che era un codardo, un egoista, una compagnia da tenere alla larga, e l’avrebbe detto anche a Bella se solo non ci fosse stata quell’inspiegabile forza che lo attirava verso di lei come il miele fa con le api. E per quella stessa inspiegabile forza, adesso erano seduti uno di fronte all’altra in quel pub che portava lo stesso nome di Egon, il che sembrava sempre una barzelletta di cui lui stesso avrebbe riso, se solo non fosse stato un uomo con un perenne muso lungo dipinto in volto. A dir la verità, adesso che era lì con Bella, un minuscolo sorriso aveva increspato le labbra, non appena sentì che la donna era felice di vederlo. Abbassò gli occhi, impreparato a quelle parole gentili e amiche a cui ormai non era più abituato. Si ricompose, alzando i suoi occhi azzurri su quelli di Bella e andando dritto al punto, nessuno dei due era tanto stupido da non capire il motivo di quell’incontro, quindi tanto valeva smetterla di girarci intorno. « Sono stati giorni molto difficili per me. Ora sto meglio. Mi sento meglio. E' che è molto strano essere qui e far finta che non sia successo nulla. » Ascoltò le sue parole, percependo come potesse essere difficile parlare di qualcosa di tanto delicato e personale, Egon lo sapeva bene perché ogni volta si sentiva nella stessa maniera con la sua terapista. Le porse un tovagliolino di carta, preso dal portatovaglioli vicino a loro, e le indicò l’angolo della bocca su cui era rimasta un po' di schiuma della birra. «Un’irlandese che non sa bere la birra…» Come aveva fatto a ritrovare quel senso dell’umorismo, poi, non lo sapeva neanche lui. Si ricompose. «Non devi far finta che non sia successo nulla, non con me almeno.» Abbassò nuovamente lo sguardo, dando a quel suo gesto un nome: imbarazzo. Egon sentiva di non aver alcun diritto di entrare nelle paghe più intime dell’animo di Bella e né sentiva di potersi ergere a suo confidente esclusivo, per cui ogni parola che tentava di rassicurarla lo faceva sentire inadatto.
    Bellatrix, talvolta, lo lasciava muto, impegnato ad ammirarla in ogni suo lineamento o gesti involontari, come quel suo fare ondeggiare i capelli mentre si muoveva. C’era qualcosa in lei che impediva ad Egon di considerarla un semplice lavoro da portare a termine entro fine giornata. Bella era umana e rendeva umano anche lui. Egon sentiva di camminare scalzo su dei frammenti di vetro, doveva e voleva essere prudente, ma a lui veniva difficile, lui che non era abituato ai rapporti umani e non si interfacciava con le persone almeno da cinque anni buoni. Questa volta quasi ebbe difficoltà ad ascoltarla, avendola troppo vicina a lui, vicina quasi come quella mattina sulla spiaggia, quando l’aveva stretta tra le sue braccia per rassicurarla che, qualsiasi cosa avesse vissuto, adesso era finita. Con lo stesso intento, in quel momento, le mise una mano sulla spalla per tranquillizzarla, mentre iniziava a parlare a ruota libera di quanto dovesse trovare qualcuno che avesse il potere di cancellare la memoria ad entrambi. «Questo potere lo userei per cancellare ben altro dalla mia memoria…» Disse con tono amaro, più a se stesso che a Bella, immaginando quanto potesse migliorare la sua vita con la mente libera da tutti i tristi ricordi che continuava a conservare nel suo cervello, e che non stava lì a raccontare alla donna perché non aveva alcuna intenzione di rattristarla più del dovuto. Il gesto che fece successivamente lo spiazzò. Come si reagiva a qualcosa di semplice e affettuoso come lo stringere una mano? Cosa doveva fare? Per sicurezza decise di rimanere immobile, nemmeno sul campo di battaglia aveva mai affrontato qualcosa che lo immobilizzasse come l’affetto e il contatto fisico. « Ho paura di non poterlo fare io. Vorrei raccontarti le cose che ho visto. Mi odieresti poi, o andrebbe bene saper tutto per te? » Egon deglutì, fissando ora le due mani strette, la sua che aveva finalmente risposto al gesto di Bella, stringendole il palmo a sua volta. Si ritrovò a pensare da quanto tempo era che non stringeva la mano a qualcuno, in un gesto che era veramente il più semplice del mondo, come abbracciare. Aveva perso il conto, Egon non sapeva più da quanto tempo l’affetto non faceva più parte della sua vita. «Non penso che potrei mai riuscire ad odiarti, Bella. In verità di solito sono gli altri che iniziano ad odiare me, quando mi conoscono meglio.» Quella non era una gran confessione, era semplicemente la realtà o, almeno, era la realtà vista dagli occhi di Egon. Non volendo spostare l’attenzione di un discorso tanto serio su di lui, continuò: «Raccontami tutto. Raccontamelo perché vuoi tu, perché ti senti abbastanza a tuo agio da parlare con me. Se non vuoi non insisto, ma non farti bloccare dal timore che io possa giudicarti perché ti assicuro che sono l’ultima persona che può permettersi di giudicare gli altri.» Forse Bella stessa non aveva mai sentito parlare così tanto la sua guardia del corpo. La loro conoscenza si basava si, sulle parole, ma era per lo più fatta di sguardi che avevano rafforzato la fiducia riposta l’una nell’altro. Parlare così tanto era qualcosa di più unico che raro. «Dopotutto sono la tua guardia del corpo, il mio compito non è giudicarti, ma aiutarti ad occultare un cadavere nel caso avessi ucciso qualcuno.» Lo disse a voce un po' più bassa perché, nonostante a Bella potesse essere chiaro che stesse scherzando, non era sicuro che le persone intorno a loro l’avrebbero inteso alla stessa maniera.
     
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    «Un’irlandese che non sa bere la birra…» Bella strabuzzò gli occhi, affrettandosi a prendere tra le mani il fazzoletto che le aveva passato Egon. Strinse lo sguardo, concentrandosi sulla sensazione del fazzoletto che le accarezzava la pelle, tamponandolo lievemente sul viso. « Oh. » Disse. Corse a guardare Egon, con un'espressione che le sembrò essere buffa, ma non avrebbe potuto vedere se stessa in alcun modo perciò non poteva saperlo. « Pff. » Le scappò un verso, un principio di risata, uno sbuffo sonoro. Le sembrò che qualcosa nelle vecchie abitudini avesse calciato il suo lato vanesio, e la stesse spingendo a mostrare proprio quel decoro a cui era sempre stata improntata la sua vita. Forse era la prima volta in quei giorni che era successo qualcosa di straordinario: aveva sottratto la sua mente al dolore e una stupidaggine qualsiasi l'aveva portata indietro, ma anche alla realtà quotidiana di un gesto semplicissimo. « Ci voleva un evento impossibile per farti fare una battuta. » Fece un gesto molto semplice, sollevò la mano come a dirgli et voilà, per accompagnare l'impresa di Egon, un modo per terminare la sua battuta. Era bello sentire che si stesse sforzando per lei. Lo capiva, che Egon le volesse bene. Non aveva ancora capito quanto in là fosse arrivato il bene che riservava a lei, chissà quando sarebbe arrivato il giorno in cui se ne sarebbe accorta. Però capiva che tutto quello che l'uomo le stesse dicendo arrivava da un sentimento di affetto disinteressato. Ecco perché se proprio avesse dovuto pensare di dire quello che era successo a qualcuno oltre Nora, non avrebbe potuto che essere Egon: il suo fedele guardiano, uno scudo per la sua pelle, e spesso, un balsamo per il cuore. Di Egon non aveva nessun dubbio che avrebbe potuto solo fidarsi. Eppure lasciare andare tutta la sua armatura, quella che aveva custodito per anni per mascherare il suo buon nome, il suo retaggio, e costruire il suo futuro, sembrava quasi fosse un salto nel vuoto per se stessa. Non era Egon il problema, era lei che non voleva ammettere di non essere perfetta. «Non devi far finta che non sia successo nulla, non con me almeno.» Far finta che non fosse successo quello che era successo significava tanto, e sarebbe stato forse più semplice per tutti. Agli occhi di tutti, almeno, quello che era capitato non doveva essere mai successo, che era un'altra cosa. Il problema di svelare tutto il resto ad Egon, oltre che a rendere chiaro a Bella stessa che anche lei fosse umana, significava ammettere un suo grande, grandissimo sbaglio. In entrambi i lati, dritto e rovescio della medaglia, Bellatrix aveva commesso un qualche tipo di errore, e non riusciva a raccapezzarsene attorno. Guardò Egon fisso, cercava di trovare il suo sguardo eppure lui in parte vacillava e ne rifuggiva, e lei cercava di tornare alla sua attenzione. Bella non aveva capito perché, ma guardare lui significava sostenere il suo pensiero, e non sapeva che l'imbarazzo di Egon si celava dietro ad una natura molto diversa da quella intuita. Gli occhi azzurri dell'uomo vacillarono e tornarono sulle sue mani. «Questo potere lo userei per cancellare ben altro dalla mia memoria…» Non voleva pensare di essere l'unica di aver subito un problema, e di certo non si era mai sentita fragile. In quel momento lo era, ma c'era qualcosa nei ricordi di Egon che doveva essere altrettanto raggelante. E chissà cosa aveva sentito nel pensare tra le sue parole, quelle della donna, che fosse in effetti possibile poter provare a dimenticare. Sarebbe stato meraviglioso, in effetti. Non si sarebbe fatta scrupolo di conservare quel ricordo, sapeva che avrebbe pagato per poter cancellare quella notte e i suoi ripensamenti in un secondo dalla sua testa - come se non fossero mai esistiti. Per Egon doveva essere lo stesso, qualsiasi dolore celasse al di là dei suoi occhi pensosi. Perciò non indugiò in altre parole prima di arrivare al dunque. Gli aveva preso la mano, era un gesto di una semplicità disarmante, ma sapeva essere spaventosamente intimo, e l'uomo doveva aver pensato lo stesso. Si guardò appena intorno, nel pub con lo stesso nome della sua guardia del corpo, si rese conto che conosceva qualche figura ma nessuno al punto da poter pensare che qualcuno potesse osservarli. Non ci sarebbero stati problemi a stringere la sua mano, Bella era solo preoccupata della reazione di Egon al suo racconto, e a quello che in effetti avrebbe provato se qualcuno avesse sentito le sue parole. La pinta di birra tremò, e così anche il resto dei boccali e bicchieri sistemati sul bancone. Si voltò di nuovo rabbrividendo nelle spalle, prima di accorgersi che era stata lei. I bicchieri disposti nella dispensa tintinnarono per qualche secondo, prima di tornare silenti. Solo qualcuno dei presenti sembrò pensare che il movimento fosse strano: gli altri erano troppo impegnati a perdersi negli occhi di qualcun altro, o nei propri pensieri dietro un bicchiere colmo di alcol ancora da vuotare. Cosa poteva dire ad Egon? Sì, la vocina responsabile nella sua mente sapeva bene che non ci fosse altra via che la verità, e questo era fuori discussione, nessun ripensamento in merito. Ma quanto sarebbe stato bello omettere dal suo racconto, e come avrebbe potuto provare a farlo, se le era impossibile allora discernere la bruttura che aveva provato, dal modo in cui aveva ritrovato Astrid? «Non penso che potrei mai riuscire ad odiarti, Bella. In verità di solito sono gli altri che iniziano ad odiare me, quando mi conoscono meglio.» Si distrasse, accantonando il suo pensiero, per guardare Egon. Gli diede un colpo sul braccio, che voleva essere una piccola pacca di incoraggiamento, ma non si sforzò di essere leggera, perché era un argomento importante, e seppur ancora sapesse poco del passato di Egon, era arrivato il momento per parlare per entrambi, e di conoscere qualcosa di più anche di lui. «Potrei dirti la stessa cosa, non penso che qualcuno sia in grado di odiarti. Sei una persona gentile.» Si raddrizzò, ferma della sua opinione, proprio come quando ammetteva una sua ideologia, e più provava a parlarne e più sembrava capacitarsi della sua idea. Egon era davvero una persona buona, e punto. Un'altra persona al suo posto si sarebbe imbarazzata, forse poteva sembrare una frase sdolcinata o troppo prepotente da confessare a qualcuno che conosceva fino ad una certa soglia di confidenza, ma lei era fatta così. La convinzione doveva aver ripreso il controllo su di lei, e anche del suo potere, perché il suo boccale si mosse di nuovo, facendo ondeggiare la birra e la sua spuma. Protese la mano in avanti, fermando il boccale con decisione e studiata lentezza. Incrociò subito lo sguardo perplesso di Egon e si scontrò nelle sue iridi curiose. «Purtroppo anche questo ha a che fare con la nostra storia.» Sorrise di un sorriso a metà, i suoi sorrisi tipici con le labbra storte e appena socchiuse, senza mostrare i denti. Era uscita da casa per una ragione ed era giusto portarla a termine per tutto ciò che l'aveva portata e condotta fino a lì. «Raccontami tutto. Raccontamelo perché vuoi tu, perché ti senti abbastanza a tuo agio da parlare con me. Se non vuoi non insisto, ma non farti bloccare dal timore che io possa giudicarti perché ti assicuro che sono l’ultima persona che può permettersi di giudicare gli altri.» E poi, come se in realtà avesse letto tutto quello che aveva pensato fino a quel momento dalla sua mente, sentì che era arrivato il momento di cominciare. E tornò a quel ricordo. L'odore acre del falò, e il profumo dei fiori. La scia di sabbia e dei passi prima di lei, e dei corpi ammucchiati. Le figure ancestrali, e il sangue viscoso che correva lungo i corpi dei sacrificati. Le sue mani strette e segnate da corde che non avevano lasciato alcuna cicatrice su di lei. Guardò le sue mani, e per farlo tolse la mano dalla stretta di Egon, e le guardò entrambe. «Dopotutto sono la tua guardia del corpo, il mio compito non è giudicarti, ma aiutarti ad occultare un cadavere nel caso avessi ucciso qualcuno.» Annuì stavolta Bella, e poi si lasciò andare ad una espressione più dolce, pensando che aveva ragione. Aveva pensato di dover avere una qualsiasi impressione anche da Nora, anche se era una sorella per lei, aveva avuto paura di raccontarle qualcosa di terribile. Nora non aveva detto nulla che non fosse di conforto, e sapeva che anche Egon avrebbe fatto del suo meglio per farla sentire al sicuro, in una maniera diversa da come aveva fatto Nora, ma alla fine lo scopo sarebbe stato lo stesso.
    «Vedi, in realtà sei un abile oratore, è solo che riservi le tue frasi migliori al momento più adatto.» Fece scivolare la giacca sulla sedia, e fece un lungo sospiro. Stavolta Bella si sforzò di guardarlo, perché non voleva chiudere gli occhi per rivivere il momento, ma saperlo raccontare con la cura di chi l'aveva vissuto senza sentirsene direttamente toccato. Non era semplice ovviamente. «Sulla spiaggia in realtà non è successo nulla. E' questo il problema.» Si fermò. Guardò Egon aspettando di avere tutta la sua attenzione per continuare. «Hai visto il mio abito vero? Il mio abito bianco con i fiori ricamati in un'unica trama lunga fino allo strascico. Era pieno di sangue e strappato come se avessi combattuto una battaglia mortale. Ecco, tutto quello che quell'abito ha vissuto per mostrarlo l'ho vissuto anche io, solo che non ne avevo più le tracce addosso.» Fece una pausa. Egon aveva visto il sangue addosso a tutti, anche su Bella, quel giorno sulla spiaggia, e sapeva che ne era rimasto terrorizzato. «Tutti gli uomini e le donne che hai visto sulla spiaggia hanno vissuto cose diverse, finché non ci siamo ritrovati sulla spiaggia, e allora abbiamo tutti subito la stessa sorte.» Non ebbe il coraggio di sfiorare nuovamente Egon, e non perché avesse paura di essere giudicata. Stavolta dirlo nuovamente ad alta voce sembrava un racconto ancora più vivido di quello che aveva pensato di fare. Un turbine di emozioni che pareva ricondurla, anche se non avrebbe voluto, ancora lì da dove ne usciva, da un luogo bello come la spiaggia da cui adesso sapeva avrebbe dovuto rifuggire l'idea di guardare il mare, anche solo da una foto. «Tu sai che questo posto ha qualcosa di inspiegabile. Io so che se ti racconto questa cosa potrai immaginare che il tutto non si ferma solo a farci avere dei superpoteri, ma può arrivare molto più in là. Quello che è successo lì può sembrare essere uscito dalla nostra testa invece abbiamo vissuto una battaglia per la nostra sopravvivenza. E..» Voleva dirgli se aveva vissuto mai qualcosa di così assurdo, così come Nora invece aveva confermato lei di aver vissuto esperienze oltre l'immaginazione che avevano avuto ripercussioni su di lei e altri a Besaid anche per molto tempo sul loro corpo, oltre che sulla psiche. Sperò per lui che così non fosse. «Ho visto qualcosa che si è verificato davvero, ma si è tramutato in un sogno al nostro risveglio. Siamo stati tirati fuori da questa esperienza e siamo tornati alla spiaggia. » Stavolta fu più dura, ma sapeva di dover arrivare ad una conclusione. Si rannicchiò di più su se stessa, nascondendo il viso con una mano e appoggiandosi al bancone, per guardare Egon di sbieco. «Beh non ho altro modo di dirlo Egon, non posso usare altre parole. In quella realtà, in quell'incubo, io ho vissuto la mia morte, e così tutti gli altri. » Rabbrividì ancora, e stavolta controllò la sua mente per evitare che venisse giù il locale con un trillo impazzito del suo potere incontrollato. Aspettò una sua qualsiasi reazione per capire se proseguire nel suo racconto, e per spiegargli quello che ancora lui non aveva osato chiedere. Ripensò all'idea di qualcuno che potesse cancellare i suoi ricordi e si rese conto che aveva davvero un altro buon motivo per cercare qualcuno che potesse farlo, perché vivere con una concezione di terrore assoluto che aveva potenzialmente potuto lasciare ad Egon doveva essere terribile. E lui non lo meritava affatto.

    Edited by wanderer. - 11/9/2022, 17:10
     
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    Egon sapeva che in questa vita non vi era nulla di prevedibile. Per quanto si sforzasse di immaginare cosa fosse successo a Bellatrix in quella famigerata notte sulla spiaggia, sapeva che alla fine la realtà sarebbe stata ben diversa da quello che la sua mente era riuscita ad ipotizzare. L’augurio, però, era che non fosse accaduto nulla di tanto tragico dallo spingere Egon a voler in qualche modo difendere Bella da qualsiasi minaccia si sia palesata tra la sabbia. L’istinto protettivo che nutriva nei confronti della donna andava oltre quello convenevole ad una guardia del corpo. Avrebbe dato la sua vita, se solo fosse stato necessario, perché era sicuro di essere più utile come essere sacrificabile che come essere vivente. Ma questo andava a ricollegarsi alla sua insita rassegnazione e poca voglia di vivere su cui aveva iniziato a lavora di malavoglia con la sua psicologa, non quella che gli aveva suggerito la rompipalle di Sibylla, un’altra. Questo per dire, però, che nonostante il suo pessimismo cosmico, Egon riesce a limare quel suo lato più oscuro con la compagnia di Bellatrix, come se volesse preservare l’unica fonte di luce presente nella sua vita. Quasi gli sembrò strano mantenere il sorriso sulle labbra quando la donna gli fece notare che anche lui poteva fare delle battute, peccato che Bella non l’avesse conosciuto prima, quando non era così, magari le cose tra loro sarebbero state differenti. Ed Egon fermò qui i suoi pensieri per non immergersi in ipotesi o in verità sentimentali che lo avrebbero fatto sentire scomodo. Se era lì con Bella, la ragione era una soltanto: voleva sapere cosa le fosse accaduto sulla spiaggia. Il suo lavoro e il suo carattere non gli permettevano di poter pensare altro e non poteva neanche sfiorare l’idea di provare un minimo di affetto per quella donna. Non era da Egon, non più. La consapevolezza che con lei riuscisse ad essere meno rigido, lo allarmava. Il poliziotto stava così bene nella sua trincea che non aveva alcuna intenzione di uscirne fuori, nonostante la sua terapista si impegnasse a fargli intendere che quello non era esattamente un giusto modo di fare. Fece appello al suo lato più tenero per convincere Bella a narrargli cosa mai l’avesse scossa quella sera, quasi gli sembrò di tornare ai bei vecchi tempi, quando Egon doveva convincere i suoi fratelli più piccoli a fare i compiti. Un tempo talmente lontano che quasi faticava a credere che fosse realmente esistito.
    Lavorava per Bella da parecchio tempo, ma in quel momento, seduto l’uno di fronte all’altra, sembrava quasi che si stessero conoscendo veramente per la prima volta. Attraverso i loro sguardi, attraverso il semplice e minimo contatto fisico di prendersi le mani. Per Egon era come se il calore proveniente dalla mano di Bellatrix gli comunicasse più di quanto lei stessa potesse rivelargli a voce. Sentì il tavolo tremare, di quelle scosse che ultimamente erano sempre più frequenti a Besaid e nessuno riusciva a capire da dove provenissero. D’istinto strinse di più la mano di Bella, come a volerla proteggere adempiendo al suo ruolo di guardia del corpo, ma fortunatamente il tremore durò solo qualche secondo, quanto bastava per farli tornare nella loro bolla sicura. «Purtroppo anche questo ha a che fare con la nostra storia.» Guardò Bella sempre più curioso e preoccupato, mentre la donna teneva fermo il boccale di birra che pochi secondi prima aveva tremato. Più Bellatrix gli rivelava altro e più lui ci capiva sempre meno. «Sulla spiaggia in realtà non è successo nulla. E' questo il problema.» Si, decisamente Egon capiva sempre meno. L’impetuosità lo spingeva a chiederle come diamine i suoi vestiti si erano sporcati di sangue allora, ma il buon senso lo trattenne, invitandolo a lasciarla finire di parlare. Dopotutto riusciva a ragionare ancora, si era limitato ad un solo boccale di birra. Guardò gli occhi della sua interlocutrice, che tanto lo attiravano come se volesse sapere cosa avessero visto non solo quella sera sulla spiaggia ma in tutta la loro vita. Egon poteva percepire che per Bella non era affatto facile affrontare quell’argomento e, come se gli avesse letto nel pensiero, iniziò a parlare proprio di quel suo vestito macchiato di sangue. Lo sguardo di Egon si fece più concentrato, tentando di trovare un filo logico in tutto quello. «Non so cosa dire.» Scosse la testa, tentando di trovare un senso a ciò che aveva appena detto Bella. L’aveva ascoltata in silenzio, nonostante le sue parole facessero nascere in Egon nuove domande. Stupido lui che aveva pensato di poter comprendere tutto non appena Bella gli aveva narrato per filo e per segno cosa fosse successo. Ovviamente questo non precludeva il fatto che credesse alle parole della donna, tanto che si affrettò a specificarlo: «È ovvio che credo a ciò che dici, trovo solo assurdo che non sia rimasto neanche un indizio per capire cosa diamine sia successo.» Rimase nuovamente in silenzio, il che non era una novità. Egon era il taciturno per eccellenza, Bella lo sapeva bene, eppure dopo che lei gli aveva rivelato di aver vissuto la sua stessa morte, il minimo era far uscire dalla sua bocca qualcosa di sensato che non rovinasse tutto.
    Sospirò e riprese la parola: «Lo avete raccontato alla polizia? E se lo avete fatto, qualcuno di loro vi ha creduto? Anche se a questo punto penso che un distintivo e una pistola servano a ben poco.» Prima ancora che poliziotto e guardia del corpo, Egon era stato un soldato. La sua mente pensava ad una soluzione e ad una via di fuga quando si trovava in situazioni pericolose o apparentemente senza via d’uscita. Era una sua deformazione professionale che, in quel caso, lo aveva fatto immediatamente preoccupare su come e quanto velocemente si poteva trovare la parola fine a quella vicenda. Certo, il poliziotto era lui, ma l’uomo seduto accanto a Bella aveva dismesso la divisa ed era semplicemente un suo confidente. Guardò Bella, ai suoi occhi era sempre stata minuta, ma adesso che era chiusa nelle sue spalle, gli sembrava quasi più fragile del solito. «Non ho mai vissuto una cosa del genere, non so come consolarti. Non sono una guardia del corpo completa, a quanto pare.» Esitò un po’ prima di decidersi a riprendere una mano di Bella tra le sue, sperando che in quel gesto potesse infonderle almeno la metà della consolazione che sperava di darle, se non a parole almeno a gesti. Era difficile per lui da razionalizzare, figurarsi quanto poteva essere difficile per Bella. Cosa poteva fare per renderle tutto più facile? Egon si sentiva impotente perché non vi era soluzione. Per quanto il suo animo da soldato si stesse sforzando per risolvere un problema da campo di battaglia, non riusciva a trovare un bel niente. Tutto era immateriale, seppur per qualche ora fosse stato reale. Questo aveva compreso dalle parole di Bella. «Sembra terribile da dire, ma finché non c’è nulla di reale, di materiale, né tu e né gli altri potrete venirne a capo. Solo la città di Besaid potrà darvi una risposta. E mi sembra quasi assurdo parlare di questo luogo come se fosse un essere vivente.» Egon sapeva di non essere bravo a consolare o incoraggiare le persone. Forse un tempo lo era stato, ma adesso sentiva che le sue doti sociali erano sensibilmente calate. Qualsiasi cosa uscisse dalla sua bocca, quindi, gli sembrava terribilmente inadatta, temeva che Bella di punto in bianco si alzasse dal suo posto e andasse via, perché lui l’aveva offesa senza rendersene conto, perché non era riuscito a dirle nulla che potesse sollevarle il molare. Rimaneva il fatto che nemmeno riusciva a dire qualcosa di positivo, perché immediatamente si fece strada in lui una domanda scomoda, cruda, quasi cattiva. Non che fosse capace di provare cattiveria nei confronti di Bella, il suo animo per lei provavo tutto tranne che quello, eppure quella domanda era talmente insistente, talmente ingombrante, che doveva farla, a costo di prendersi un boccale di birra in faccia: «Com’è successo? Come siete morti? Perché, poi?» Sapeva di sfondare una porta aperta. Immaginava che Bella, come tutti gli altri che avevano vissuto quell’esperienza assurda, si fosse posta le stesse domande e non aveva bisogno di lui che gliele ribadiva. Si rimangiò tutto poco dopo: «Scusa, so che le mie sono domande inutili.» Fu ermetico, lasciando delicatamente la mano di Bella per prendere il boccale di birra. Non era stato in grado di difendere Bella e, con quelle premesse, nemmeno avrebbe potuto, dal momento che il nemico era qualcosa di immateriale che si palesava solo quando voleva lui. Bevve un sorso, ne aveva bisogno poiché sapeva bene quanto ormai l’alcool fosse parte integrante del suo sangue. «Mi dispiace solo non essere riuscito ad immaginare nulla di tutto questo. E non oso immaginare come tu possa sentirti.» Era ermetico, sì, ma era anche sincero. Gli strumenti a sua disposizione erano ben pochi, non era un mago, non poteva viaggiare tra le dimensioni, aveva solo una manciata di parole e pensieri da mettere in ordine per tentare di far si che Bella si riprendesse al più presto da quella vicenda.
     
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    Lei lo sapeva che era difficile credere a quanto fosse successo sulla spiaggia. Non aveva motivo di dubitare di Egon, non aveva modo di pensare che per lui sarebbe stato complicato seguire il filo dei suoi pensieri, sentiva che per quanto poco banale fosse l'evento, lui l'avrebbe accettato, avrebbe compreso le sue parole. Era comunque difficile pensare di essere arrivata al dunque. Perse il suo sguardo nel colore della birra scura che aveva di fronte, perse il fuoco della vista lasciandolo annegare nel buio al di sotto della schiuma che faceva capolino dal boccale. Le scosse di movimento attorno a loro si frenarono, piano piano, andando ad assestarsi ad un subbuglio quieto. Era come se si stesse avvicinando alla strofa cardine di un componimento, in un crescendo veloce si avvicinava al punto da essere oramai prossima a fare il balzo nel momento centrale e punto focale della musica. Così in quel momento lasciò andare lo sguardo lì dopo aver guardato la sua bevanda e chiuse gli occhi, riemergendo nel ricordo per non lasciarlo andare via ancora così presto, per spiegare ad Egon e per spiegare a se stessa che quello che aveva vissuto non era affatto un incubo. Bellatrix Doyle sapeva argomentare parole e vissuti e decisioni e prese di coscienza, e avvenimenti insoliti e buffi, incresciosi e macabri. Quello che le era capitato andava al di là della comprensione delle umane genti, poteva solo lasciare attoniti. Per quanto volesse sarebbe stato difficile ritrovarcisi e trovare una ragione. Ascoltò Egon, le sue parole, il suo modo di fare gentile, eppure, da poliziotto quale era, cercare di argomentare e dare un senso al tutto. Non aveva comunque, nulla di quello, un filo logico su cui salire su ed appendersi per non perdere la ragione, poteva rimanere solo da diventare matti. «Sì, abbiamo provato a parlarne, appena hai portato in centrale me e gli altri, tu. E con l'ambulanza hanno portato via i due ragazzi...» Non pronunciò i nomi dei ragazzi che non si erano svegliati assieme a lei. Si era fermata ed era andata oltre, non voleva soffermare il volto attorno alle loro fattezze. Bellatrix era una donna forte e caparbia, qualche volta poteva essere consiederata odiosa, ma era buona nel profondo, di quelle persone da rimanere impresse nella memoria per sempre, che sanno brillare di una luce più forte degli altri, anche inconsapevolmente. Perciò per quanto fosse forte, anche lei era rimasta scossa, affranta di fronte al pensiero di non poter più vedere gli occhi illuminati di due persone della sua età. Era tragico di fronte a tutte le coincidenze della vita, in quel caso era ancora più doloroso, c'era solo da diventar matti. Anche Egon sembrò tornare su e disquisire di fronte all'incredulità di quel caos. E cosa avrebbe potuto dire lei? Che aveva ragione.
    Alzò lo sguardo su di lui per un pò, ritornando a fissarne gli occhi cristallini. Le aveva preso la mano, dopo che lei aveva abbandonato la sua, si era sentita troppo vulnerabile in quella mano stretta nella sua, e aveva avuto bisogno di stringere il boccale prima che si versasse l'intero contenuto di birra perché non sapeva più controllare il suo potere. «Hai mai pensato.. se non avessi fatto quell'azione, se non avessi deciso quella scelta, che tutto questo non sarebbe successo?» Si ritrovò a dire, riprendendo il contatto della mano sulla sua, i polpastrelli delicati di Bella contro la mano grande di Egon. «Non l'avevo mai pensato prima di Besaid, ero così sicura che seguire Sirius avrebbe portato solo del bene alla mia famiglia sgangherata, ed invece...» Non era mistero che la decisione di Bella di giungere a Besaid era stata portata dalla via di Sirius che aveva tracciato quella delle sorelle. Eppure era fastidioso rimettere in discussione qualcosa quando aveva sempre pensato che una volta prese le decisioni non c'era modo di ripensarci, come se non servisse a nulla, perché in quel momento sapeva che la decisione presa era giusta e sensata. Besaid aveva fatto anche quello, e proprio come aveva detto Egon, era come se fosse un posto che avesse una vita propria, e decidesse dei fati degli altri per un motivo, in quel momento, come se fosse un essere umano, o un Dio superiore.
    Ma il motivo lei non lo sapeva. Fu Egon stesso a chiederlo, la domanda che era rimasta tra loro ad aleggiare invadente, e quella domanda era tutto fuorché cattiva, era solo la dura verità. Aspettò un pò Bella, aspettò che lui ammettesse l'inutilità delle sue domande, che però riscontrò un sorriso immediato come risposta in Bella, che non credeva affatto che le domande fossero vane o inutili, e invece erano solo naturali, ovvie. Egon le lasciò andare la mano per continuare a bere la sua birra. Nel frattempo al loro tavolo arrivarono le ordinazioni offerte dalla casa che accompagnavano l'alcool che i commensali ordinavano, dei nachos fatti nel locale con un piattino di guacamole che lei adorava. Meno male che all'Egon pub sapevano essere discreti e insistenti a seconda delle occasioni, probabilmente le facce che facevano i due, Egon e Bella, potevano sembrare così tetre da dare l'impressione che uno dei due stesse lasciando l'altro da una breve storia d'amore, senza però dare veramente prova di chi lo stesse facendo come torto all'altro. Bellatrix sospirò, prese prima un paio di nachos avvolti nella loro salsa verde, e poi inforcò il boccale tra le sue mani, tirò un lungo sorso che le rinfrescò la gola, e rimase attenta a prendere il viso tra le mani subito dopo per accompagnarsi sopra di esse, viaggiare nei suoi pensieri per trovare un senso all'insensato. Si appoggiò come ad accoccolarsi tra le sue mani, prendendosi il viso tra di esse e poggiando i gomiti nudi sul bancone. «Non so dirti perché. » Aspettò, lasciando andare la prima frase a casaccio, nel silenzio tra loro e nel vociare indistinto del locale. Altro silenzio fece eco subito dopo, e poi Bella rispose, continuando ad articolare le parole nella sua mente prima, e poi ad Egon. «Dopo una serie di avvenimenti avvenuti come in un sogno, come in una prova di coraggio, con degli scontri da superare, siamo stati tutti, tutti noi che hai incontrato sulla spiaggia, condotti di fronte ad un falò... abbiamo visto esseri umani come noi, di quelli che potresti immaginare abbiano abitato questa terra secoli fa, il volto dipinto e gli abiti minimali, coperti di tatuaggi e di chiara appartenenza tribale... » Bella raccontò ad occhi chiusi, con le mani sul suo volto a ricordarle di essere viva, il sangue che le batteva nelle tempie, il cuore a farsi sentire titubante, quasi avesse paura a dirle di non temere, perché era ancora viva. «Queste persone ci hanno immobilizzato, legato, condotti su altari, uno per uno... altari sacrificali, come puoi avere immaginato. Le tribù sono apparse intorno a noi, non abbiamo potuto fare niente per scappare. Ci hanno legato ognuno ad una colonna. Quello che ti posso dire è che io sono stata una delle ultime, e ho visto prima di me tutto quello che è successo agli altri. » Lo disse come se stesse raccontando quello che era successo ad altri e non a lei. Cercò di focalizzarsi su qualcosa di completo e definitivo. Lei voleva raccontare ad Egon cosa era accaduto cercando di carpire qualcosa da quei suoi ricordi, perché lui non aveva nessuna idea di cosa era avvenuto nelle loro menti, ma lei sì. E quel suo ricordo doveva almeno servire da monito. Si fece coraggio, forte come era sempre stata nella sua vita. Bellatrix non era una donna qualsiasi, se non ci fosse riuscita lei allora tanto valeva abbandonare quell'ostacolo e vivere come se non fosse mai successo nulla di niente. «Puoi immaginare le storie che si raccontano, come un film del genere, è stato un sacrificio umano in piena regola. Ho visto uccidere...» Si fermò, riemergendo dall'oblio per guardarsi improvvisamente intorno velocemente, e richiudere gli occhi rabbrividendo quando poté confermare di essere sola con Egon, nessuno troppo vicino da sentire le sue parole. «...Sacrificare le persone prima.. sono state bagnate con il sangue del precedente e sgozzate.» Si fermò, rendendosi conto di aver ricominciato a far muovere il locale, le stoviglie, i bicchieri, i mobili e il bancone. Un paio dei camerieri cominciò a tranquillizzare i commensali del fatto che probabilmente era un terremoto vicino, qualcosa di momentaneo, che si sarebbe assestato, ma alcuni dei clienti avevano preferito farsi versare il contenuto dei propri bicchieri in modo da uscir fuori dalla porta del locale e consumarlo all'aperto, in sostituti di plastica. Lei mise la mano sul braccio di Egon per tranquillizzarlo, ancora con gli occhi chiusi, l'altra mano l'aveva posata attorno alla fronte come se potesse aiutarla a pensare. «...Ho subito questo destino anche io. Il tempo di chiudere gli occhi e ricordarlo, e mi sono ritrovata sulla spiaggia, come se avessimo tutti vissuto lo stesso incubo. Avevo ancora il sangue addosso, ma non avevo neanche una cicatrice a dimostrazione. Due persone come sai non ce l'hanno fatta, non si sono risvegliate, e non sappiamo ancora perché.» Ammise, dopo aver finito di parlare. Sarebbe stato di conforto poter davvero trasferire la sua memoria in Egon per renderlo testimone dell'accaduto, ma non era quella la sua particolarità. Poi si riscosse, aprì gli occhi e lo guardò con il viso vicinissimo al suo, entrambe le mani sul suo braccio. Egon si stava cominciando ad alzare, allarmato dal fatto che tutti gli oggetti nel locale sembrassero tremare, ma la terra era ben salda, e lei sapeva, almeno quello, da cosa fosse dovuto.
    «...Per quanto riguarda il tremore, non è un terremoto, sono io. Riesco a far muovere gli oggetti attorno a me, e dopo questa tragedia riesco a muovere tutto senza sentirmi affaticata. E come mi chiedi tu, non so proprio quale sia il motivo.» Ci pensò in quel momento. Di tante cose che si erano raccontati, del suo passato, dei suoi fratelli, delle storie sull'Irlanda e dei suoi ideali politici, non gli aveva mai detto quale fosse il suo potere da quando era arrivata a Besaid. Un potere magnifico e leggendario che in quel momento stava dando parecchio filo da torcere a tutti, a dirla proprio come stavano i fatti.

    Edited by wanderer. - 11/9/2022, 17:10
     
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