Do you feel safe out in the light? Or is this the place where monsters hide?

Eyr x Elise

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    Non fare niente era un problema, lo spingeva a fare quello di cui al momento non aveva voglia, ossia vedere la gente morire. Per questo le lenti scure alle undici e mezza di notte, per questo il malumore. Non solo, ma anche per questo. Se ne capiva la profondità dall'altezza che occupavano gli occhiali da sole sul naso, ora ad esempio tanto premuti contro il ponte fra le sopracciglia da sentire le pupille sul punto d'esser toccate dal vetro respingi raggi ultravioletti, inutile a quell'ora. Per tutti, la quiete era sinonimo di pace, per lui, garanzia di tormento; per una pausa dai propri poteri gli altri facevano yoga e lui distruggeva, se non ancora il mondo, una delle sue tante preziose creature. Tic tic tic, a quel ritmo incendiario dava fuoco a dei fiori un petalo alla volta, fingendo che fossero persone e che lo stessero pregando di risparmiarle e lui, nella sua mente, non li graziava affatto.
    Questo faceva Eyr, al buio sul grosso ramo di un albero, sfogava la rabbia con la fiamma dell'accendino usato a mo' di piccolo caos nella tranquillità mortale del cimitero, di cui aveva saltato il grande cancello per entrare illegalmente. A gambe penzoloni uccideva lo stelo di una foglia o dell'ennesimo fiore, gli dava fuoco e dopo un po' ci soffiava sopra senza dolcezza. Intanto pensava a Eld, a Elise, a Eld ed Elise insieme, ad Eld ed Elise che non l'avevano invitato. Non gli aveva dato fastidio, l'aveva fatto incazzare e non l'aveva nascosto a Dean, quando egli aveva svelato il motivo per cui nessuno dei due rispondeva alle sue chiamate. Sono andati al insimdncefvf, dopo le prime due parole Eyr non aveva più sentito niente, solo la voce dell'amico uscire come da una stazione radio sintonizzata male. Gli fregava moltissimo sapere tutti i dettagli solo che, di primo acchito, la rabbia aveva surclassato ogni altra cosa e l'immaginazione aveva preso possesso di tutto. Magari, dopo sono andati Dean aveva detto ospedale, magari qualcuno stava male ma, d'istinto, a Eyr non poteva importare altro che quello: non l'avevano invitato e faceva un male boia. Se ne era andato da casa loro sbattendo la porta e quella era la storia, il motivo per cui era lì, da solo su quell'albero con le gambe a mollo nel vuoto, gli occhiali da sole pigiati sulle fronte e una dozzina di steli, petali e rametti sull'erba come cadaveri sotto di lui, ai piedi di una pala conficcata nel terreno. Un parte della storia. Tra la delusione del non averli trovati dove lui aveva deciso che sarebbero dovuti essere e l'ascesa del suo culo su quel ramo diritto c'era stata una bella dose di distruzione, parecchie maledizioni gridate forte al vento che stava a sentire e una camminata rischiarante, per usare il gergo di uno dei tanti specialisti conosciuti nella sua vita.
    Per rischiarare cosa?
    I tuoi pensieri.
    A quel punto aveva riso.
    Neanche una torcia funzionerebbe, mi creda.
    Puoi provarci?
    Ah! Una cosa c'è.
    Cosa, Eyr?
    Il fuoco.

    Le "classiche" fasi di ogni meltdown di Eyr, insomma, culminanti con il dare fuoco a qualcosa. La verità è che era andato a cercare Elise per un motivo preciso e molto importante, che tuttavia era passato in secondo piano con tutto quel trambusto emotivo. La punta della lingua inumidì le labbra secche striate da qualche piccolo taglio che, invece di lasciargli il tempo di guarire, Eyr si tormentava spingendovi su con i canini affilati. Quando da qualche parte in quel silenzio un rametto venne spezzato, il ragazzo fermò finalmente le mani e la carneficina di fiori, immobilizzando momentaneamente il corpo per dare via libera agli altri sensi di lavorare. L'illuminazione giungeva a fatica dalla strada adiacente, e le uniche fonti di luce in quel dedalo di morte erano le candele finte e i santini elettrici che lampeggiavano fiochi su alcune tombe. In penombra, Eyr seguiva con le orecchie il rumore dei passi sul sentiero acciottolato, leggeri e forse un po' titubanti ma non per timore di quel luogo, piuttosto per paura di non riuscire a trovarlo. Così piaceva pensare al biondo megalomane, che rimase nascosto anche dopo essersi sentito chiamare. Eyr? Era bella la voce di Elise, se fosse stata un oggetto l'avrebbe descritta al contrario di tutte le altre, le avrebbe dato i contorni morbidamente arrotondati e l'acciaio dentro. Un po' come lei, o piuttosto quello che a lui piaceva vedere e credere di lei, come di tutti quelli che contavano. Con quei lunghi capelli biondi e morbidi, con quel faccino allungato, gli occhi alla Bambi, le erre che mentre parlava arrotondava a quel modo intorno alla lingua come per accarezzarle, con i polsi fragili e le dita sottili, di Elise si sarebbe potuto pensare che fosse un fiorellino dallo stelo gracile tutto da difendere. E fin qui, esattamente come tutte le altre stupide oche starnazzanti del mondo. Ma come ti fregava invece Elise! Un'oscurità come quella che lei si tratteneva dentro Eyr l'aveva vista solamente dietro i propri occhi e nei propri pensieri e, quando aveva capito di aver trovato qualcuno di simile, la sua vita era cambiata da così a così. Con gli anni aveva cominciato a fare come faceva sempre con persone dal gran potenziale, proiettava su Elise il suo mondo, le sue ossessioni, le sue aspirazioni e i suoi tormenti, finendo con il convincersi di condividere ognuno di essi con lei. Di non essere più solo. Puntava molto su di lei, l'aveva spinta e spremuta per tirare fuori quello che lui ci vedeva, la fiamma che avrebbe tirato fuori senza più timore grazie a lui. Come molti, Elise era un progetto bellissimo, qualcosa che avrebbe voluto aprire e osservare dall'interno per capirne il funzionamento. Cosa la faceva scattare? Cosa la spaventava? Qual era la sua più grande paura? Quando le cose a cui tieni di più falliscono, però, il rischio di rimanere delusi accresce esponenzialmente. E così la ignorò per qualche tempo, per punirla per averlo messo da parte anche solo per una sera anzi, proprio quella sera in cui lui aveva bisogno di lei. Ne aveva sentito la voce e non voleva risponderle, non voleva ancora farsi scoprire. Aspettò che ripetesse di nuovo il suo nome, la erre tra le sue labbra gli dava la pelle d'oca ogni volta, voleva sentire nella sua voce il bisogno che aveva di trovarlo. Acqua. Quando lo disse, Elise stava per imboccare il sentiero tra la fila di tombe sbagliata che l'avrebbe portata ancora più lontano. La vide ricorrere alla luce del telefono per illuminare intorno, tornare sui suoi passi per inseguire quel che di Eyr al momento possedeva: un suono. Lo cercava senza trovarlo. Fuochino. Il pollice sulla molla fremeva per schiacciarla e accendere l'accendino. Si trattenne. Quel giochino lo divertiva, e per un secondo dimenticò di avercela a morte con lei e con Eld. Quando i contorni della ragazza furono abbastanza vicini all'albero su cui stazionava, Eyr cominciò a distinguere qualcuno dei suoi lineamenti che, accarezzati dal vento crescente e dal riverbero della poca luce, la facevano somigliare a un pallido fantasma. Quando fu quasi sotto di lui, da qualche parte sulla cima dell'albero Eyr disse con una punta di stupido divertimento nella voce: fuoco. Tic. Per un attimo, la fiammella si accese e un guizzo del suo viso apparve tra i rami, mento, bocca e punta del naso come fluttuanti nel buio senza un corpo a cui appartenere. Lo sguardo di Eyr la colpì, obliquo e invisibile dietro gli occhiali, dietro le fronde dell'albero e la notte. Nonostante tutte quelle schermaglie, riusciva Elise a sentirne il peso ferito rabbioso? Quando la fiammella si dissolse, Eyr si lasciò cadere atterrando sui piedi proprio a pochi passi da lei. A dividerli solo l'inquietante asse di legno della pala, conficcata a fondo nel terreno. Ce ne hai messo di tempo a venire, El. Cliente impegnativo stasera? Aveva parlato con serietà, accendendo una piccola torcia e puntandogliela in faccia, infastidendola. Allo stage finale della sua crisi rabbiosa, Eyr si era schiarito le idee e aveva deciso di mandarle un messaggio in cui, senza troppi giri di parole, le dava appuntamento lì. È urgente. Aveva scritto proprio così, per metterla alla prova. Sarebbe accorsa o si sarebbe presa il suo tempo con Eld, entrambi lontani da lui?
    Con la torcia puntata in faccia poté vederla per bene. Il blu delle iridi filtrava tra le palpebre strizzate a causa della forte luce, e i capelli erano leggermente frizionati dall'aria che, elettrostatica, e minacciava pioggia temporalesca.
    Era bellissima.
    E lui era incazzato a morte con lei.
     
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    Il freddo pungente della notte norvegese sembrava volerle entrare nelle ossa quella sera, mentre avanzava senza sosta verso il cimitero. Continuava a mettere un passo dietro l’altro, accelerando a ogni metro, sempre con quella strana sensazione di dover fuggire da qualcosa o da qualcuno. Non si sentiva serena mentre percorreva il tragitto che dall’ospedale l’avrebbe condotta al cimitero e in quel lasso di tempo non faceva che chiedersi quanto tempo mancasse ancora prima che sua madre compisse quello stesso percorso, ma in un modo completamente diverso. Era lì che voleva che il suo corpo riposasse? Non si era mai preoccupata di conoscere le sue volontà e neppure in quel momento era convinta di volerlo sapere. Il rapporto tra lei e Karen non era mai stato molto stretto e gli anni non avevano fatto che allontanarle, mettendole su due binari diversi, impossibili da riallineare. Vederla su quel letto d’ospedale, ricevere senza preavviso telefonate da parte dei suoi medici, era qualcosa che la lasciava del tutto disorientata. Sapeva che cosa le persone si aspettavano che lei dovesse provare, eppure non riusciva a vivere davvero quelle emozioni sulla sua pelle, a sentirle davvero sue. Doveva davvero provare affetto e compassione per una donna che non ne aveva mai mostrato a lei? Quello che sapeva però era che lei non era sua madre e che in nessun modo voleva sentirsi simile a lei e per questo si sforzava di darle almeno un minimo di attenzioni, come se quello potesse lavare completamente la sua coscienza da tutte le colpe che aveva accumulato negli anni. Quella sera aveva comprato due porzioni di patatine e aveva aspettato Eld alla fine del suo turno per mangiarle insieme, senza particolari progetti. Era proprio quando aveva quasi finito la sua cena, composta da più maionese e ketchup che patatine, che il suo telefono aveva squillato. Era salita di qualche piano, con Eld al suo fianco, pallida in volto e seria come poche volte era stata. Non riusciva davvero a trovare un equilibrio alle sue emozioni e la cosa la mandava in bestia. Non riusciva a togliersi quel fastidio all’altezza dello stomaco, la voglia di prendere a pugni qualcosa, di rompere dei piatti o magari dei vasi. Invece aveva camminato in maniera lenta e controllata verso l’ascensore, con un silenzioso Eld al suo fianco e aveva raggiunto il reparto. Era peggiorata, di nuovo, e i medici avevano iniziato a fare a Elise una serie di domande a cui lei non sapeva dare risposta. Neppure sentirli elencare i vari problemi che quella malattia le stava causando l’aveva scossa più di tanto. La morsa sullo stomaco si era come allentata, come se nessuna emozione negativa si fosse impossessata del suo corpo in quel momento.
    Eld le aveva stretto la mano e lei aveva fatto altrettanto. Non aveva mai chiesto a Eyr di accompagnarla in quei momenti. Aveva sempre pensato, senza chiederglielo, che gli ospedali non fossero posti per lui, luoghi troppo pieni di persone in fin di vita, dove i suoi occhiali gli sarebbero serviti davvero. Non gli aveva domandato se i suoi pensieri fossero giusti, lo aveva deciso e basta, come faceva sempre, senza dare agli altri alcuna possibilità di replica. Era testarda e con gli anni quella caratteristica di lei si era rafforzata piuttosto che scemare in un temperamento più docile. Aveva notato le chiamate del ragazzo soltanto quando era uscita di nuovo all’ospedale, così come il suo messaggio che le diceva di raggiungerlo al cimitero con una certa urgenza. Aveva salutato Eld senza fare parola di quella richiesta da parte dell’altro, gelosa dei rari momenti che riuscivano a trascorrere insieme e poi aveva iniziato a camminare. Prendere un taxi sarebbe stata una scelta migliore ma lei aveva bisogno di camminare, schiarirsi le idee. -Faccio il prima possibile. - gli aveva risposto, soltanto, con un breve messaggio scritto di fretta, per poi rimettere il cellulare in tasca e affrettare il passo. Ci aveva messo una buona ventina di minuti a giungere davanti al cancello del cimitero. Lì si era voltata a destra e a sinistra più volte, alla ricerca del punto cieco nel sistema di telecamere che usavano sempre per entrare al di fuori dell’orario consentito. Non si era chiesta perché Eyr le avesse chiesto di vedersi proprio lì, raramente si poneva delle domande quando si trattava di lui e ancora più raramente rifiutava le sue proposte. Lo faceva soltanto quando davvero non poteva farne a meno, ma anche in quel caso era più un chiedergli di anticipare o posticipare, piuttosto che un vero e proprio no.
    Scavalcò l’ingresso e seguì uno dei sentieri, guardandosi attorno in maniera più attenta, cercando di fare il minor rumore possibile, così da riuscire a individuarlo. -Eyr? - domandò, a un certo punto, nella speranza di trovarsi abbastanza vicina e che lui le desse dei segnali per farsi trovare. Nessuna risposta giunse tuttavia alle sue orecchie e allora un respiro un po’ più esente fuoriuscì dalle sue labbra, quasi uno sbuffo seccato. Continuò a muoversi, con sempre maggiore attenzione, chiamandolo di nuovo, questa volta a voce un po’ più alta e un’urgenza nel tono che non avrebbe voluto lasciare trapelare e che invece suonò ben chiara alle sue orecchie. Un sospiro più sereno poi accompagnò un sorriso, quando lo sentì pronunciare almeno una parola, per darle un’indicazione. Voleva giocare, si divertiva a non farsi trovare subito, ma almeno aveva intenzione di farsi scoprire, presto o tardi, questo era l’importante. Si sentì rasserenata e riprese a muoversi facendo una mezza piroetta su se stessa, per poi tornare sui suoi passi e riavvicinarsi alla posizione precedente, seguendo le parole di lui che giungevano piano piano sempre più chiare e usando la luce emessa dallo schermo del telefono per osservava dove metteva i piedi e trovare magari delle tracce del suo passaggio. Non impronte, quelle Elise non era mai riuscita a seguirle, Eyr si lasciava dietro molliche differenti, dai contorni bruciacchiati. Dopo qualche minuto ecco un guizzò del suo accendino che illuminò appena il suo volto, un’espressione corrucciata, sin troppo seria. Nonostante non potesse cogliere il cipiglio del suo sguardo, la voce, la fronte e le labbra le facevano pensare che ci fosse qualcosa che non andava, insieme alla sensazione che aveva ripreso ad agitarsi dentro di lei e che per un momento le aveva fatto pensare di arretrate, di allontanarsi da quelle emozioni negative. Ma si trattenne, mantenendo lo sguardo verso l’alto. -Eccoti finalmente. - mormorò, con un leggero sorriso, osservandolo cadere proprio a pochi passi da lei, scuotendo il capo, con aria divertita, davanti alla sua protesta. Il sorriso si smorzò in fretta però, quando le chiese velatamente dove si trovasse.
    Chiuse appena gli occhi quando lui le puntò la torcia verso il volto, approfittando si quei pochi istanti per ragionare sulla maniera migliore di rispondere. Non le piaceva parlare di sua madre, ma neppure nascondere le cose a Eyr. -Ero da Karen, in ospedale. - borbottò, con aria un po’ contrariata. Metteva sempre una certa attenzione nel chiamarla per nome, e mai mamma. Era sempre stato così. -Quei maledetti medici non fanno che chiamarmi ogni volta che qualcosa non va. - continuò, permettendosi di buttare fuori un po’ della rabbia e del fastidio che provava, ora che sapeva di essere al sicuro, da sola, insieme a lui. -Che cosa si aspettano che sia io a curarla? - terminò, con un sonoro sbuffo, incrociando per un istante le braccia al petto e mettendo su un broncio infantile. Poi, come se il solo lamentarsi per qualche momento fosse bastato a farla stare meglio, l’espressione sul suo volto mutò di nuovo in un sorriso. Sciolse le braccia, muovendo un passo verso di lui, sollevando una mano ad accarezzargli una guancia fredda. -Perché sei arrabbiato? Che cosa è successo?- domandò, prima di ogni altra cosa. Percepiva qualcosa di negativo provenire da lui. Sapeva che poteva essere un qualunque tipo di emozione, ma quando si trattava di Eyr il più delle volte era la rabbia a impadronirsi di lui. Non sempre capiva che cosa lo facesse scattare, ma era spesso evidente per lei quando questo accadeva. -Ma soprattutto, perché mi hai invitata a tarda notte in questo posto così romantico? - domandò ancora, inclinando appena il capo e schiudendo appena le labbra in un sorriso più aperto, quasi divertito. Non sapeva che cosa lo avesse fatto arrabbiare, né se lui volesse parlarne, ma aveva tutta l’intenzione di far sparire quel cipiglio dal suo viso il prima possibile.
     
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    A starle davanti, Eyr avrebbe forse dovuto tranquillizzarsi, avrebbe fatto bene a lasciar perdere le gelosie senza cedere all'insicurezza, segreta e profondissima, che aveva di essere messo da parte. Avrebbe dovuto fidarsi, dopotutto era lì, davanti a lui, illuminata dal fascio di luce che gli aveva puntato contro, inesorabile. La voce, i gesti e la cura che metteva nello scegliere le parole erano tutti segnali del suo umore temporalesco che, una volta insieme, avrebbe dovuto placarsi. Sorrideva persino, lei, con gli occhi ridotti a due fessure per proteggersi dalla forte luce; riusciva a sentire, Elise, la rabbia che dalla profondità dello sterno spingeva per uscire dai contorni corporei di Eyr, uno sciame brulicante intorno ai proprio confini, come voler infestare l'aria, le tombe, gli alberi e attaccare l'amica. Ma non riusciva a calmarsi, neanche sentendo la ragazza fornirgli una spiegazione il biondo riuscì a togliersi dalle meningi l'idea di lei e Eld insieme. Non disse una parola, la lasciò parlare e avvicinarsi tanto che i polpastrelli delle sue dita si poggiarono sulla guancia svagata del primogenito Evjen. Anche lì, Eyr non si mosse ma rimase a guardarla come una statua di sale. Sembrava volerle leggere nel pensiero, capire se gli stesse dicendo la verità o se stesse mentendo proprio a lui, lui che non lo sopportava e lei lo sapeva. Elise sapeva tutto o quasi, sapeva quello che Eyr condivideva ed era già più di quanto potessero dire gli altri, persino la sua stessa famiglia. Anche Eyr conosceva cose che Elise non aveva confidato a nessun altro, errori che poi per lui non erano proprio tali ma bensì punizioni meritate, segni di matita rosso sangue che lui stesso l'aveva aiutata a cancellare agli occhi di tutti, tranne che dei loro. Sapeva di Karen, o dovrei dire mamma, per la quale non nutriva nient'altro che disprezzo. Quindi, perché fregarsene? ≪Si aspettano che muoia. Ad ogni chiamata sperano sia l'ultima, sperano che accada quando sei lì in modo da sbarazzarsi di lei quanto prima. Lo speri anche tu Elise? Vuoi che muoia? Se lo vuoi dovresti farlo con le tue stesse mani, inutile continuare questa stronzata madre-figlia.≫ Ogni parola pronunciata singolarmente con chiarezza, una a una per ferire ma lentamente. Solo allora aveva abbassato la torcia, le braccia lunghe ai lati di una statura longilinea che finiva parecchi centimetri più su di quella della ragazza. Non sapeva dove volesse andare a parere, forse cercava semplicemente di farle ammettere e capire quello che voleva che acciuffasse da tutta una vita: erano simili e i loro pensieri erano fatti della stesso buio, nel quale Eyr cercava sempre di tirarla per il polso. Poteva essere solitario, vivere lì da soli.
    E invece lei se ne andava scorrazzando in giro con gli altri, senza di lui. Che sul suo conto si fosse sempre sbagliato? Non era fatta per il buio e non era fatta per la luce: Elise vagava sul ciglio e questo lo faceva impazzire. Lasciò che lo accarezzasse, era piacevole, era elettrizzante. Ma all'improvviso fermò il movimento con la propria mano che prendeva quella più piccola di lei e, nella sua, la intrappolava duramente a mezz'aria. ≪Comunque, è una bugia.≫ Iniziò stringendole un po' di più le dita, gli occhi scurissimi in quelli grandi e allungati di lei. Era serissimo mentre la guardava da quella distanza ravvicinata. ≪O quantomeno una mezza verità. Vuoi dirmi con chi eri o continuerai a sparare cazzate?.≫ C'era furia nella sua voce, impastata da un fuoco che niente aveva a che fare con le particolarità di quella dannata città. Mollò bruscamente la presa su di lei spingendole il braccio verso il basso, lontano da lui, e chiuse i pugni contro i lati del corpo. Con mezzo passo in avanti riempì ulteriormente la loro distanza, e ormai poteva sentire il fiato accelerato di Elise infrangersi sulle sue guance. ≪Pensavo non ci fossero segreti tra me e te.


    Temeva che potessero avere qualcosa che non lo includesse, perché tutti insieme era un conto, si divertivano e si avevano a modo loro, ma non se ne parlava che lui ne restasse fuori. Lui doveva essere il centro. Si chinò, il collo appena piegato per raggiungerla, e le labbra cercarono quelle di Elise. La punta del suo naso sfiorò quella dell'altra, il fiato di Eyr che si infrangeva sulle sue guance era lento e costante. Schiuse le labbra. Erano così vicini che i corpi si protendevano per annientare quell'infinitesimale e ingiusta lontananza, le labbra si sfiorarono e morivano dalla voglia di toccarsi, come fosse un riflesso naturale. ≪Mai più bugie.≫ Automatismo e desiderio che tuttavia Eyr bloccò sul più bello con quella frase condita da un sorriso serio ma furbo, allontanandosi piano con il viso, tornando al suo posto. Che le fosse servito da lezione: con lui non si scherzava. Raddrizzata la colonna vertebrale, tornò a fissare Elise dall'alto. ≪Mai più.≫ Ripetè, ossessionato e in preda alle sue manie mentre faceva un passo indietro e poggiava una mano sul manico della pala, ancora conficcata nel terreno, lasciandosi andare al primo sorriso della serata. ≪Questa, mia cara Elise, è una pala e noi siamo in un cimitero. Pala più cimitero...≫ Sorrise di un sorriso preoccupante, mentre la presa sulla pala si faceva più salda e Eyr tirava su forte estraendola dal terreno. ≪Cosa ne pensi di giocare a una caccia al tesoro?≫ La follia scoppiettava vivida nei suoi occhi come un fuoco, mentre Eyr faceva scivolare la mano libera lungo il braccio di Elise per stringere poi le dita intorno al suo polso. Eyr amava quella parte del suo corpo forse più delle stesse mani. I polsi di Elise erano bianchi e sembravano fragili, avvolgerli era come prendere possesso di lei per tenerla a sé. ≪Non dovrebbe essere troppo distante, da quella parte lì.≫ Camminavano fra le tombe come solidi fantasmi, la voce di Eyr e la ghiaia sotto i piedi come unico rumore a spezzare il silenzio tutt'intorno. ≪Aspetta El, dovremmo esserci.≫ Si era fermato davanti a una tomba che sembrava non essere stata visitata da anni. Lasciò la mano di Elise, si piegò sulle ginocchia muovendo il peso del suo corpo in modo da mantenere l'equilibrio, e protese un braccio per scostare dell'edera e dello sporco dal nome inciso sulla lapide. ≪Ehilà Jonathan, gran figlio di puttana, da quanto tempo.≫ Si rialzò poco dopo e lanciò uno sguardo a Elise. ≪Sei pronta?≫ presa la pala con due mani, la conficcò una prima volta nel terreno che copriva il povero malcapitato. La follia era iniziata.

    Non ho riletto che devo uscireeee. Scusa tesoro
     
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    Eyr rimase a lungo in silenzio, lasciando che lei parlasse da sola, raccontasse le ultime cose che le erano accadute e si lamentasse per un po’. Le capitava spesso di parlare a ruota, senza bisogno che qualcuno le rispondesse, solo per sfogare la moltitudine di pensieri che si portava dentro e che riusciva a confidare solo a pochissime persone. Era stata felice di vederlo, come lo era ogni volta, eppure qualcosa iniziava a stridere in mezzo a loro, una presenza fastidiosa che Elise non avrebbe saputo descrivere con parole comprensibili. Lottava contro il suo istinto, contro la voglia di mettere quanta più distanza possibile tra lei e quella fastidiosa sensazione che non faceva che aumentare istante dopo istante. Era lui la fonte del suo fastidio, le emozioni che stava provando, eppure la voglia di stargli accanto era tanta e tale da permetterle di sopportare anche quello. Si fosse trattato di chiunque altro lo avrebbe spinto via, lontano. Non voleva saperne del malessere delle altre persone, le era sempre bastato il suo, ma quando si trattava di Eyr riusciva a trovare una forza di volontà che non avrebbe creduto di possedere. Avrebbe voluto che lui si aprisse con lei come lei aveva sempre fatto con lui, che gli mostrasse ogni più piccola sfaccettatura di ciò che si celava nella sua mente. Invece lui rimaneva sempre distante, perso in un mondo che era suo e suo soltanto, di cui le lasciava intravedere solo un piccolo spiraglio. Non era semplice accontentarsi, ma aveva compreso di non poter chiedere di più.
    Le sue parole dure e tremendamente lucide la raggiunsero nel buio della notte, andando a colpire in punti che Elise credeva di aver tenuto sempre ben difesi, ma non a lui, che sapeva guardarle dentro come nessuno era mai stato in grado di fare. -Non so se lo voglio. Non sono pronta per affrontare tutto quello che mi cadrebbe addosso, se lei non ci fosse più. Tutte quelle responsabilità. Non riuscirei a cavarmela in mezzo a tutta quella burocrazia. - disse, e un sospiro affranto lasciò le sue labbra, dispiaciuto. Avrebbe voluto essere più sveglia, più brava in ogni genere di cose, invece conosceva le sue mancanze e non intendeva nasconderle. Le cose serie e complicate non le erano mai piaciute. Preferiva vivere nell’attimo, senza pensare troppo. -E poi no. Non intendo ucciderla. Così lei smetterebbe di soffrire, avrebbe finalmente pace nel buio e io non voglio che lei stia in pace. - continuò, e la sua voce assunse una sfumatura più scura, mentre rivelava quei pensieri che aveva tenuto dentro per tutti quei mesi. Molti l’avrebbero giudicata una persona cattiva, priva di sentimenti, se avesse ammesso una cosa come quella, ma sapeva che con Eyr era al sicuro. Poteva dire quello che voleva, per quanto brutto o sbagliato fosse, lui non l’avrebbe giudicata una cattiva persona, non per quello quanto meno. -Forse dovrei solo smettere di rispondere al telefono. Lasciare che se ne vada da sola, come merita. - disse ancora e lasciò che l’ombra di un sorriso le arricciasse appena le labbra. Sì, quella sarebbe stata una prospettiva senza dubbio più piacevole, qualcosa che le avrebbe dato un po’ di respiro.
    Si fece più vicina, accarezzando appena il suo volto. Dovette fermarsi soltanto quando lui, con un movimento repentino, immobilizzò la sua mano con la sua, stringendola con forza mentre pronunciava parole che le fecero storcere il naso. No, non era affatto una bugia. Si ritrovò a pensare, stizzita, e il fatto che lui lo pensasse la faceva imbestialire. Sentì una certa rabbia montare ora dentro di lei, mentre lo guardava con sguardo fiammeggiante. Si placò leggermente soltanto quando lui ammise che, forse, più che una bugia era una mezza verità e che voleva sapere con chi si trovasse. Lei strinse gli occhi in due fessure mentre lasciava ricadere il braccio lungo il fianco e rimase immobile mentre lui coprì la distanza tra di loro. -Ah quindi è solo questo che ti interessa? - rispose, e nella sua voce non c’era più alcuna traccia della tranquillità di prima. -Io sono qui, con te, e tu mi chiedi di altre persone? - continuò, questa volta prendendosi con forza lo spazio per fargli quella domanda. La faceva infuriare non essere al centro del suo mondo, neppure quando erano da soli, insieme. C’era sempre qualche altro pensiero, qualche intruso. Eyr si fece più vicino, annullando completamente le distanze da loro, arrivando a toccare il naso di lei con il suo. Rimase immobile Elise, sforzandosi persino di respirare, tanto era l’orgoglio che voleva mostrare in quel momento. Era sempre una continua lotta tra di loro, due cuori in tempesta che si cercava ma si attaccavano, due fuochi sempre pronti a bruciare al minimo accenno di vento. Eld era la presenza calma e posata in mezzo a loro, quello più sensibile ma al tempo stesso più posato. Lui non si arrabbiava mai, non perdeva mai la pazienza. Elise era convinta che fosse per questo che Eyr lo preferiva a lei, che lo metteva sempre al primo posto e ne soffriva. Sebbene tenesse molto a Eld, non aveva mai smesso di essere gelosa delle attenzioni che il biondo gli rivolgeva, del modo in cui lo guardava. Avrebbe voluto che Eyr la guardasse nel modo in cui, ne era sicura, lei guardava lui. Trattenne la voglia di allungare le braccia e stringerlo a sé, di catturare le sue labbra e baciarlo, sperando che quello bastasse a placare tutto. La stava provocando e lei lo sapeva, così come altre volte aveva fatto lei. Chiuse gli occhi, così che la vicinanza divenisse meno esplicita, serrando poi la mano, di lato, quando lui si allontanò, lasciando quel bacio in sospeso.
    -Se era di Eld che ti interessava, allora perché non hai invitato lui? - domandò, tagliente, arrabbiata. Poteva sentire quella stessa sensazione scorrerle dentro, all’altezza dell’addome, facendole salire la nausea. -Lo so che lui è il tuo preferito, quindi tu smettila di dire bugie. - soffiò ancora, per poi incrociare le braccia e dargli le spalle. Visibilmente furiosa, visibilmente gelosa. Forse era la prima volta che lo ammetteva così apertamente a parole, che gli dicesse quanto lei sentisse di essere inferiore all’amico nella sua scala dei sentimenti. Non sapeva dire quando quel pensiero avesse preso vita nella sua mente ma con il tempo si era fatto sempre più insistente, scavando un solco profondo. Si sforzava di accettarlo, di darsi delle spiegazioni, ma non ci riusciva sempre al meglio. Lo sentì trafficare con la pala e allora si voltò, di nuovo. Le braccia ancora conserte, sul volto il broncio di una bambina che di crescere non ne voleva proprio sapere. Sorrideva mentre le mostrava la pala e la estraeva dal terreno, invitandola alla sua caccia al tesoro. -E qual è il tesoro? - mormorò, cercando di mascherare la curiosità che iniziava a divorarla dall’interno. Un gesto della mano di Eyr la invitò a sciogliere l’intreccio delle braccia e farle ricadere di nuovo verso i fianchi, così da poterla sfiorare con le dita, fino a giungere al suo polso, che strinse nella sua mano come faceva sempre. Era divenuto quasi un rito tra di loro, qualcosa che ormai la faceva sentire al sicuro, che le faceva pensare che lui non l’avrebbe mai lasciata andare. Interpretava i suoi gesti a modo suo, senza mai chiedere spiegazioni. Le spiegazioni non erano per loro, dopotutto. Loro erano furia e istinto. -Va bene. - borbottò, iniziando a camminare al suo fianco, verso la tomba oggetto della loro ricerca notturna. Il suo modo di camminare si era fatto più sciolto, meno rigido. Come se il fastidio di pochi minuti prima fosse già andato via. Rimasero in silenzio per un po’, solo i loro passi a ritmare quel lento incidere. Si fermarono davanti a una tomba che sembrava abbandonata da tempo. Inclinò il capo lei, osservando il nome che fuoriuscì dall’edera quando Eyr la spostò. Jonathan, non le sembrava che quel nome le dicesse qualcosa. Quando lui le chiese se era pronta lei sorrise, sinceramente felice di iniziare quel gioco. Lo osservò spalare della terra, con una certa foga, girando attorno alla buca con aria sempre più attenta. Quando finalmente iniziarono a intravedere il legno della bara, sepolta sotto tutta quella terra, scivolò in basso, verso il cumulo, saltando dentro quel fosso senza paura. -Aspetta, cerco l’apertura. - disse, lasciando lui più in alto, ad osservare la situazione. Immerse le mani nella terra, togliendole alcune manciate per cercare con più attenzione, trovando quella che sembrava una sorta di serratura, che però non riuscì ad aprire. -Sembra bloccata. - sussurrò quindi, seccata, mentre con maggiore forza cercava di farla cedere. Uno, due, tre tentativi, poi un rumore catturò la sua attenzione. -Lo hai sentito anche tu? - mormorò, preoccupata, voltandosi verso di lui. Poteva essere un ramo che veniva spezzato, un animale che si muoveva alla ricerca di cibo, il vento, oppure uno dei vigilanti. Da dove si trovava non avrebbe saputo dare un nome a ciò che aveva sentito.
     
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    La fissava con intenzione e a lungo tanto che non sembrava sentire la necessità di sbattere le palpebre quando si trattava di lei, come se volesse acchiapparla tutta e tutta insieme. Era così da sempre e non aveva mai cercato di nasconderlo, lui, che non credeva nell'antica e idiota arte del reprimere alcunché aveva sempre dato sfoggio del primato che credeva di avere su di lei e El non aveva avuto modo di opporsi. Così gli piaceva pensarsi, onnipotente. Aveva passato ore seduto dietro di lei a guardarle le trecce sulle spalle e dimenticandosi del professore, si perdeva nei suoi capelli biondi più scuri alla radice e schiariti dal sole sulle punte, negli elastici, due, nella riga in mezzo, nei bottoni del vestitino di cotone leggero, nella peluria del collo. Gli era sembrata da subito la bellezza vista di schiena e non solo per le sue fattezze, ma piuttosto per l'aura scura che da esse emanava. Così andavano cose e persone per Eyr, gli parlavano attraverso la luce e l'ombra che neanche sapevano di covare dentro e allo stesso modo lui le sceglieva, attentamente e una alla volta, con cura, senza lasciare niente al caso. Le selezionava e le faceva sentire uniche, portandole a credere che esserlo per lui equivalesse ad esserlo per l'intero mondo e funzionava, lo seguivano senza battere ciglio. Il resto veniva da sé. Forse era dovuta a questo la sensazione di Elise che Eyr mettesse distanza fra loro, al fatto che non c'era mai davvero un solo o una sola per lui, come poteva? Aveva il compito di costruire qualcosa di grande, qualcosa che ancora nessuno ma lui solo afferrava, un destino che aveva abbracciato e non poteva essere altrimenti. Erano tutti suoi. Elise, Eld, Dean e i ragazzi di libra, erano suoi senza neanche saperlo. E lui? Donava loro le parti di sé di cui avevano bisogno per lasciarsi dietro il resto e tirare fuori il loro infinito potenziale. Un messia, questo era Eyr, e in quanto tale aveva messo in conto di non essere compreso. Aggrottò le sopracciglia che, folte e di un biondo scuro, arrivarono talmente in basso da coprirgli lo sguardo. «Chi l'ha detto che c'è pace nel buio?» Ribatté, fiato e parole spinte contro la fronte pallida della ragazza, la cosa più vicina alle sue labbra. Non aveva mai pensato come lei e la cosa lo incuriosiva e irritava al contempo. Nel buio si aggiravano i mostri peggiori, quelli inquieti che non ti danno pace, per questo era il suo playground preferito e vi passava la maggior parte del proprio tempo. Eppure forse una parte di ragione lei ce l'aveva, forse l'oscurità non arrivava con la morte ma erano gli istanti prima a portarla, proprio gli ultimissimi. Per questo Eyr teneva tanto a quella manciata di attimi, i momenti di pece che precedevano la fine e che a lui piaceva restare a guardare, detentore della verità e dei ricordi che un giorno avrebbe narrato ai prossimi dopo di lui. «Anzi, chi dice che il buio venga dopo e non sia il prima? L'inizio della fine, il momento in cui ti rendi conto che stai per morire: lì risiede il buio, la sofferenza, la paura, quello è il momento più importante, quello che dovresti voler vedere e infliggere alla troia di tua madre se solo non avessi così paura.» Non aveva preso fiato, masticando le parole come faceva sempre quando era preda di quei vaneggi difficili da seguire, sia che fosse sobrio o preda delle allucinazioni di Eld. Ogni volta era una frenesia diversa e sempre potente, in grado di eccitarlo come stesse nel bel mezzo di un rapporto. «Posso farlo io, se vuoi.» Anche chi non lo conosceva avrebbe capito che non stava scherzando, forse era il tono di voce inflessibile o la linee dritte che in quel momento plasmavano il suo viso in una statua di sale immobile nella sua lucidissima follia. L'avrebbe fatto, per Elise. In un certo senso l'aveva già fatto.
    Non aveva timore di macchiarsi ancora e ancora, fino a quando di lui non sarebbe rimasto altro che una macchia scura contro il buio pesto e allora sarebbe morto, l'aveva già visto succedere. Non aveva paura.
    Scrollò le spalle nel sentirsi buttare contro quelle domande, retoriche sperava, visto che non ne aveva afferrato l'intenzione. Sembrava lo stesse accusando di qualcosa, quindi le sopracciglia, uno più dell'altro, congiungendo le mani per grattarsi il polso. Sbatté le palpebre una, due tre volte. «Sei qui ora, con me, ma era tre ore fa che avevo bisogno di te.» Poteva essere spiazzante la brutalità che metteva nel dire ogni cosa, soprattutto la verità e quella, purtroppo, era una delle più assolute. Non ragionava come tutti, se Eyr aveva bisogno di te tu dovevi esserci all'istante, dovevi mollare tutto e accorrere perché era quello che lui si aspettava da te e fallire significava venirgli meno, non importa quale potesse essere la ragione. Un paio d'ore prima era andato a cercarla, le aveva scritto, l'aveva chiamata e non ricordava neanche più il perché ma non era quello il punto, il punto era che non si era fatta trovare da nessuna parte, intenta a fare chissà cosa con Eld e senza di lui. A pensarci sentiva il sangue salirgli nelle orecchie. Provò a provocarla, sapere come reagiva alla sua vicinanza lo rendeva euforico perché, in fin dei conti, a un centimetro dalle sue labbra lui sentiva lo stesso, identico brivido. Quando gli voltò le spalle pronunciandosi apertamente gelosa del loro amico, il biondo non poté fare a meno di sentirsi bene di quella reazione, come se tanta poco salutare furia confermasse tutto quello che già sapeva da tempo ma che continuava a gonfiarlo ogni volta che ne aveva la prova. Rimarcare, rivendicare, sempre un più, di più, meglio. «Quindi ammetti che eri con Eld?» In effetti, Eyr non aveva fatto menzione del taciturno amico. Le guardava le spalle tenute su da muscoli arrabbiati. Ancora quella bellezza vista di schiena, pensò inclinando la testa verso sinistra. Se gli avesse visto gli occhi avrebbe saputo che la stavano mangiando. «Parlando di preferiti: tu e Eld da soli chissà dove a fare chissà cosa. » Sollevò le spalle, per lui era chiarissimo chi tra i due stesse giocando ai preferiti e la cosa non gli piaceva minimamente. Strinse le dita in un pugno immaginando che ci fosse lei sotto i propri polpastrelli, che la stesse stringendo per non lasciarsi mettere in secondo piano dietro a qualcun altro. Lui, secondo? Impossibile.
    Decisero di mettere da parte gli attriti in favore di una questione ben più urgente - l'avrebbe ripresa in un secondo momento però, dimenticare non era da lui - quindi, mano alla pala, dopo aver stretto il polso sottile di Elise si incamminò alla ricerca della tomba giusta. Quel tale, Jonathan, una miriade di tempo fa gli aveva rubato qualcosa che, era evidente, Eyr ora voleva indietro. «Lo vedrai presto.» Le assicurò poco prima di fermarsi davanti al luogo dove giaceva la salma del condannato. Bingo. Iniziò a scavare e continuò a farlo fino a quando ciuffi di capelli non si appiccicarono alla fronte e sul collo e le braccia cominciavano a far male, fino a quando non sentì un toc cupo. La punta della pala aveva toccato qualcosa. Alzò la nuca per sorriderle, e fece giusto in tempo a vederla scivolare verso il basso e mettersi a togliere cumuli di terra con le mani giù, nella fossa. Non lo controllò, ma provò un brivido nel vederla così vicina alla morte. Un brivido piacevole. Difatti la rimirò quasi incantato, sudato e senza fiato con un braccio a farsi leva sul manico della pala e la schiena ricurva, la guardò ascoltandola ancora per un po', finendo poi per afferrare la pala e saltare giù vicino a lei. Atterrò con i piedi sul legno producendo un tonfo sordo, ne saggiò la debolezza con le suole per iniziare quasi subito ad assestare colpi precisi con la punta fino a quando il legno, un po' marcio da un lato, non cedette creando un piccolo foro di apertura. Si chinò allora sulle ginocchia, Eyr, lo sguardo trionfante mentre infilava una mano e iniziava a tastare, arrivando presto con tutto l'avambraccio infilato nella cassa. «Figlio di puttan--AHH!!» Le dita si erano chiuse intorno a un oggetto che presto venne estratto e puntato in alto contro il cielo. Un orologio bisunto e rattrappito senza valore apparente. Aprì la bocca per dire altro ma qualcosa catturò l'attenzione di entrambi. L'aveva sentito anche lui. Drizzò la schiena da segugio che ha puntato qualcosa, probabilmente pericolo, salì svelto scivolando sul terreno, lo sguardo si disincastrò da lei per volare fra le lapidi, gli alberi e i bassi cespugli che li circondavano trovando ben presto quello che cercava. Una luce nella penombra, una torcia. Qualcuno si stava avvicinando.


    Tornò rapidamente a guardarla ma non disse niente, mosse solo l'indice della mano portandolo dritto al centro delle labbra. Era sporco di terra. Shh. Con negli occhi un baluginio più scuro degli stessi, la snella statura si piegò come una c verso il basso per tirare fuori Elise dalla fossa e insieme iniziare a correre veloci fra le tombe. Scavalcarono il muro di cinta ma continuarono ad allontanarsi sul ciglio della strada, e più distanza mettevano più la risata di Eyr si faceva folle. Lasciò andare di getto la mano di Elise, fermandosi poco dopo per girarsi e guardarla dritto in viso, vicinissimo, tanto attaccato che i loro respiri si infrangevano in nuvolette di condensa sul viso dell'altro. « È stato p a z z e s c o cazzo!» Scandì le parole, la faccia stravolta, le guance sporche di terriccio, chinandosi poi su di lei senza darle alcun preavviso. Spinse le labbra contro Elise, le mosse per farsi seguire e un brivido attraversò la colonna vertebrale fino al bacino. Sotto quella spinta, da lui le mani si spostarono sui fianchi di lei e poi dietro la schiena per cercarla di più, con più forza, tanto da spingerla ad arcuare le vertebre all'indietro contro i suoi palmi aperti.
    Eyr era in preda all'euforia. Si spostò quel tanto che bastava per parlare, e contro l'orecchio le chiese in un sibilo bassissimo: «avete scopato?» Non c'era una particolare inflessione nella voce, solo e sempre quella carica folle. Era chiaro a chi si riferisse, a Eld, a lei, a loro due spariti insieme per intere ore. «Vi siete toccati così?» Le dita alzarono il lembo della maglietta per intrufolarsi e sfiorarle la pelle. Lungo il costato era rialzata dal freddo. L'ho già detto, Eyr non dimenticava. Premette le labbra contro il suo collo, mostrò i denti per darle un morso piccolo ma deciso. Era proprio quello che voleva: che le rimanesse addosso il suo segno.

    tesoro, sto in una pausa dal lavoro e non ho tempo di rileggere, ci sentiamo su telegram dopo <3
     
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    Eyr la fissava, dall’altro lato di quei maledetti occhiali da sole che avevano sempre messo una barriera tra di loro. Si sentiva sempre osservata con lui, eppure lei non poteva fare altrettanto perché lui non glielo permetteva. C’erano sempre quei vetri scuri ad allontanarla, a costringerla a guardare una superficie che non gli apparteneva davvero e a chiedersi che cosa ci fosse dietro. Forse per questo non era mai riuscita a capirlo davvero, perché non poteva vedere l’essenza più pura di lui, il luccichio nei suoi occhi, il cambio delle sue espressioni. Lo coglieva dagli altri elementi del volto, dal modo in cui muoveva il corpo, a quella sensazione di fastidio che si insinuava sotto la sua pelle ogni volta che lui si alterava. Non avrebbe mai voluto ammetterlo, ma quella distanza forzata la faceva soffrire. Quindi, sentendosi in qualche modo messa da parte, un puntino come un altro all’interno della vita di lui, sullo stesso piano di tanti altri, cercava di ricambiarlo con la stessa moneta. Cercava di allontanarsi, di sfuggire dalla sua presa, di mettere tra loro una distanza che sapeva lo avrebbe fatto arrabbiare. Perché nessuno dei due accettava perdere, combattevano con le unghie e con i denti per cercare di ottenere quello che volevano, sempre e comunque. Avevano due personalità forti, che tendevano a scontrarsi, a stridere l’una al contatto con l’altra, eppure lei era felice così, con quei piccoli litigi, con quello strano rapporto del tutto privo di definizioni.
    Corrucciò appena la fronte quando l’altro parlò di cosa il buio poteva essere, dandogli una definizione del tutto diversa da quella che gli dava la maggior parte delle persone. La mente di Eyr viaggiava su un binario del tutto suo, non sempre comprensibile per chi stava attorno. Faceva fatica a stargli dietro alcune volte e forse questo era ciò che più la faceva sentire messa da parte. Avrebbe voluto stare al suo passo, vedere ogni cosa come la vedeva lui, dalla sua stessa prospettiva, ma non le riusciva molto bene. -Non tutti siamo come te. - poche parole, dure ma risolute, lasciarono le sue labbra quando lui la accusò di avere paura. -Alcuni di noi sono fragili. - continuò, abbassando appena lo sguardo, portandolo lontano da lui, mentre muoveva anche un passo all’indietro. Era così che si sentiva negli ultimi tempi: fragile, spezzata, priva di uno scopo. Detestava provare quel genere di cose, eppure non riusciva a spegnerle. Per un attimo provò l’istinto di fuggire via. Di allontanarsi da lui e dalle cose che stava dicendo, dal modo in cui la stava facendo sentire, ma le sue parole successive le fecero risollevare lo sguardo con aria sorpresa. Neppure per un momento le passò per la testa l’idea che lui stesse scherzando, che fosse soltanto una battuta e quelle parole, quell’offerta che qualcuno avrebbe letto come una follia, la fece sorridere appena. Era il suo modo di dirle che avrebbe fatto qualunque cosa per lei? Bastò quello a farle tornare il sorriso, a farle dimenticare il motivo per cui era arrabbiata, il fatto che la facesse sentire sbagliata avere momenti come quelli, in cui non sapeva cosa fare e si sentiva smarrita. Per un attimo quel pensiero le accarezzò la mente, ragionò sull’idea di dirgli di si, di chiederglielo davvero, poi sparì. No, non avrebbe potuto chiedergli di mettersi nei guai in quel modo, teneva troppo a lui per pensare di poterlo perdere. Arricciò le labbra e nella sua espressione fu evidente che un guizzo si fosse appena spento. -No, gli ospedali sono pieni di telecamere, ti metteresti nei guai. E io ti voglio qui con me. - disse, rendendo chiaro che il suo fosse ancora una volta solo un pensiero egoista: preferiva Eyr lì, con lei, anche quando si arrabbiava e la faceva stare male, piuttosto che pensare di vederlo in prigione. No, quel pensiero era inaccettabile. Non avrebbe sopportato di stargli lontana così a lungo. Doveva solo imparare a stare lontana da quel posto, trovare qualcosa che la distraesse, non doveva essere poi così difficile.
    La calma non durò a lungo. Una nuova questione, un nuovo motivo per litigare giunse sin troppo presto. Era sempre così tra loro. Era come se fossero alla costante ricerca di un precario equilibrio, che non durava mai abbastanza. O forse quell’equilibrio non lo avevano mai voluto, preferendo quella lotta continua alla pace. -Beh, neppure tu ci sei sempre quando ho bisogno di te. Quindi direi che siamo pari. - rispose, gli angoli delle labbra che si arricciavano in un sorrisetto beffardo. Era sempre stata gelosa delle attenzioni che dedicava ad altre persone, non aveva mai cercato di mascherarlo e a volte le piaceva ripagarlo con la stessa moneta. Lo faceva di proposito, perché sapeva che avrebbe colpito nel segno, ma non quella volta. Era stato un caso. Non aveva guardato il telefono e il suo messaggio gli era sfuggito, non lo aveva ignorato di proposito. Ma per Eyr questo non cambiava certo le cose. Non erano le intenzioni ad essere di suo interesse, quanto i fatti. Sbuffò, sollevando in aria una ciocca di capelli, quando lui continuò a parlare di Eld e di ciò che potevano aver fatto insieme. Alzò gli occhi al cielo, indispettita. -Santo cielo quanto sei pesante. - si lamentò, sempre più contrariata da quella situazione. -Ti ho già detto dov’ero, in ospedale, a vedere che cosa è successo questa volta a Karen. Eld era di turno, mi ha vista e mi ha accompagnata. Sai che spasso. - rivelò, sperando che questo bastasse a interrompere quel melodramma senza senso che Eyr aveva messo su. Certe volte si chiedeva come fosse possibile che non volesse proprio collegare i puntini e preferisse invece inventare storie che non stavano né in cielo né in terra. -Non ci siamo messi d’accordo, è successo e basta. - continuò, mettendo, secondo lei, la parola fine a quella faccenda.
    Lo seguì attraverso diverse file di tombe, alla ricerca di quella che doveva essere un tesoro inestimabile. Provò ad avere qualche informazione su ciò che stavano cercando, senza troppo successo. Lo osservò scavare nei pressi di una lapide, guardandolo con aria attenta e sempre più incuriosita. Quando un suono più cupo raggiunse le loro orecchie scivolò all’interno della fossa, cercando di dargli una mano. Non temeva di poter restare intrappolata lì sotto. Si fidava di Eyr e sapeva che l’avrebbe aiutata a tornare su. Poco dopo la raggiunse, atterrando proprio a pochi passi da lei, cercando di creare una piccola breccia sul legno della bara, così da poter controllare il suo contenuto. Lo guardò curiosa mentre infilava una mano al suo interno, per poi estrarre un orologio, rimirandolo contro la luce della luna. Dischiuse le labbra, pronta a fare domande su quel vecchio oggetto, ma le voci che provenivano dal piano di sopra la fecero zittire all’improvviso. Con un veloce balzo Eyr riuscì a tornare in superficie, guardandosi attorno alla ricerca di un posto dove nascondersi. Lei puntò lo sguardo dritto su di lui, le mani che tremavano appena, ma lo sguardo fermo, in attesa di indicazioni. Le fece cenno di rimanere in silenzio, per poi piegarsi verso la buca e aiutarla a uscire da lì. Iniziarono a correre senza voltarsi indietro. Alcune voci sembrarono seguirli per i primi momenti, così come la fioca luce delle torce, ma non riuscirono a tenere il loro passo. Avrebbe riso Elise se soltanto l’aria non le fosse mancata dai polmoni per quella folle corsa contro il tempo. I momenti come quelli, che mettevano a rischio la sua incolumità, le provocavano un brivido lungo la schiena. Continuarono a correre, saltando muri, inferriate, usando alberi o cespugli per ripararsi fino a raggiungere un punto in cui sentirsi al sicuro. Solo allora Eyr lasciò andare la sua mano, ridendo come un pazzo per quello che era appena accaduto.
    Lei portò le mani sui fianchi, per riprendere fiato, mentre cercava di pensare lucidamente a quanto era accaduto, ma la vicinanza dell’altro catturò in fretta la sua attenzione. Sentì il suo respiro contro il volto e si perse per un momento a osservare la sua espressione. Era ancora più bello quando era preso dai suoi pensieri, quando mille nuove idee gli frullavano per la testa. Rispose al suo bacio con la stessa foga con cui lui lo aveva iniziato, infilando le mani fredde al di sotto del maglione di lui e stringendo appena contro la sua pelle. Uno sbuffo irritato le lasciò le labbra quando lui le pose quella nuova domanda, riportando l’attenzione ancora una volta sul tempo che aveva trascorso in compagnia di Eld. -No, non oggi. - rispose, continuando quello scontro a cui avevano dato inizio ormai troppi anni prima per poterli contare. Eyr non dimenticava mai e lei odiava riportare alla mente le cose troppo a lungo. Preferiva andare avanti, dimenticare, fingere che le cose non fossero mai accadute. Arricciò il naso nel pronunciare quelle parole, sperando di vedere l’espressione di lui mutare, di trovarci una punta di gelosia. Che tra di loro fosse accaduto qualcosa lo sapevano tutti, anche tra i due ragazzi era accaduto e in qualche rara occasione anche tra tutti e tre insieme. Aprì la bocca per aggiungere qualcos’altro, ma le mani di lui contro la sua pelle la zittirono velocemente. Chiuse gli occhi e inclinò il capo, assecondando i movimenti del volto di lui contro il suo collo. Strinse maggiormente la presa contro la sua schiena quando quel piccolo morso deciso lasciò un segno contro la sua pelle, ma non lo fermò. C’era sempre stato un legame speciale che la univa a lui, qualcosa che non aveva mai provato nei confronti di un’altra persona. Quando il volto di lui si allontanò appena da lei spinse appena il collo in avanti per congiungere le loro labbra un’altra volta, trattenendo poi il labbro inferiore di lui tra i denti per qualche istante, prima di lasciare una scia di baci lungo la sua mascella, muovendosi lungo la parte alta del collo per raggiungere il suo orecchio. -Vuoi continuare a fare lo stronzo? - chiese quindi, a voce bassa, il volto a un soffio dalla sua pelle. -O andiamo a cercare un posto meno freddo? - terminò, allontanandosi appena per poterlo guardare, un sorrisetto malizioso a illuminarle il volto. Le era mancato e, nonostante sembrasse avere voglia di litigare come suo solito, non aveva intenzione di lasciarlo andare così in fretta.
     
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