Knock on Wood

Riley x Max |pomeriggio| 03-04-2021

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    Riley Møller
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    Se provava a rivivere ciò che era successo sulla spiaggia, in quel giorno di eclissi totale, Riley si rendeva conto che non era ancora in grado di ricostruire in maniera organica ciò che le era successo. Sapeva che era stato reale, sapeva che era stato importante, ma ancora non capiva com’era accaduto. Era come se la sua mente fosse completamente anestetizzata e quindi insensibile a qualsiasi ricordo o pensiero riconducibile a quel giorno. Al contempo, però, quello stesso giorno era anche ciò che popolava continuamente i suoi pensieri, al mattino quando si svegliava pensando a come stessero Eira e Beat, sino alla sera, prima di andare a dormire, quando stanca si chiedeva se avesse potuto fare qualcosa di diverso per salvarli. Persino il suo sonno ne era tormentato, quando spesso tornava nei sogni la figura immateriale di suo padre che la voleva dissuadere dal continuare a vivere e, a quel punto, i sogni divenivano incubi. Difficile, per Riley, fare la conta dei danni interiori che le aveva procurato quell’eclissi totale. Per quanto la consapevolezza che ciò che era successo rappresentava solo un dolore necessario che riconduceva alla rinascita, rimaneva il fatto che si trattava di dolore, per l’appunto. Era convinta che quella morsa attorno al cuore si sarebbe allentata una volta giunta a Besaid, mesi prima aveva brillanti prospettive sulla nuova vita che avrebbe iniziato una volta giunta in quella sconosciuta cittadina, eppure sembrava che non fosse riuscita a liberarsi di quel senso di incompletezza che l’aveva accompagnata sino in Norvegia anzi, quella sensazione si era accentuata dopo il giorno dell’eclissi totale.
    Ma l’irrequietezza che aveva in testa non fu l’unico effetto di quella esperienza. Nella stanza buia in cui era stata catapultata aveva, per la prima volta, messo in atto la sua particolarità. Mai, da quando aveva compreso quale potere avesse tra le mani, lo aveva usato in maniera così completa e disperata, nella speranza di salvare qualche vita. Quella fu una sveglia per Riley, che sino ad ora non era riuscita a comprendere a fondo le sue potenzialità scoperte nella nuova cittadina. In virtù di questo, però, intuì subito che c’era qualcosa che non andava nella sua particolarità già dal giorno dopo, con quelle scosse di terremoto che spesso sfuggivano al suo controllo e facevano tremare la cittadina. La mattina in cui si era ritrovata sulla spiaggia, non aveva avuto il tempo di metabolizzare nulla, era arrivata la polizia, le avevano fatto delle domande sia a lei che a tutti gli altri e, nonostante Eira le avesse detto che non era colpa sua, Riley continuava a sentirsi colpevole e, come se non bastasse, adesso si sentiva in colpa anche per quelle scosse che facevano tremare la terra. Tutte quelle divise intorno a lei non l’aiutavano a convincersi del contrario, tuttavia fu costretta a mentire. Chi mai avrebbe creduto a quello che era successo? Solo chi aveva vissuto sulla propria pelle il terrore e, poi, la rassegnazione nel morire, poteva capire e poteva credere al racconto che sarebbe uscito dalla sua bocca. Nel suo piccolo, da inesperta qual era, tentava di far rientrare ogni piccolo tremore della terra, ma sembrava che ormai la sua particolarità andasse a ruota libera. C’era di buono che, ancora, nessun danno da lei provocato era stato irreparabile, nessuna vittima, solo qualche albero sradicatosi e caduto, comunque terribile per una come Riley che amava la natura. Necessitava di parlare con qualcuno che la comprendesse e non strabuzzasse gli occhi mentre raccontava cosa le fosse successo e, soprattutto, qualcuno che non avesse le manette pronte per arrestarla. Era riservata, Riley, ma in casi come quelli era necessario condividere con qualcuno le sue perplessità. Noelle, la sua ex coinquilina che era tornata in Italia lasciandole la casa, era troppo lontana da poter contattare. Parlarne a sua madre sarebbe stato controproducente, dal momento che probabilmente non aveva nessun ricordo di suo padre, così come Riley aveva rimosso ogni memoria che l’aveva legata a Besaid e la stava riacquisendo pian piano da quando era tornata.
    Dopo un paio di giorni, poi, le era venuta in mente una persona che avrebbe fatto al caso sua, una nuova conoscenza che il destino non le aveva allontanato appena l’aveva conosciuta, come aveva fatto con Eira e Beat. Di Max, la notte infausta, ricordava poco ma era sufficiente perché ricordava anche l’immediato feeling che nacque tra loro due. Era bastata una notte e la condivisione di un’esperienza traumatica per comprendere che Max sarebbe stata una di quelle persone che probabilmente avrebbe fatto parte della sua vita per molto, molto tempo. Per questo domandò a Lys dove abitasse la sorella, non c’era bisogno di spiegarle il motivo per cui voleva vederla, perché anche Lys si era ritrovata sulla spiaggia sporca di sangue, quella mattina. Anche lei sapeva cosa fosse successo, ma era presa da ben altra preoccupazione, e cioè Beat in coma. Non sapeva quale tipo di legame unisse i due, ma di certo era qualcosa di molto forte, non le aveva fatto alcuna domanda, intuendo che quella era una questione troppo delicata per essere trattata tra semplici colleghe di lavoro. Avrebbe parlato con Max, quindi, e quel tardo pomeriggio di aprile, Riley, si era addentrata nel bosco di Besaid per individuare la casetta di quella che, sperava, potesse essere una sua nuova grande amica. L’aria era resa fresca, ma non pungente, dalle ombre degli alberi, e quel profumo di terra e di verde la rilassò, facendola quasi sentire un tutt’uno con la natura. Doveva essere bello vivere in un ambiente come quello, pensò, mentre individuava già in lontananza il tetto spiovente che le aveva descritto Lys per riconoscere la casetta.
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    Allungò il passo, quasi impaziente di scambiare quattro chiacchiere con Max, come se la ragazza potesse avere le risposte a tutte le domande che si era posta in quei giorni. Bussò con vigore alla porta mentre, nella mano destra, teneva un cartone con delle bottiglie di birra, non poteva di certo presentarsi a mani vuote e, se aveva ben capito che tipo era Max, sapeva che le birre sarebbero state un dono più che gradito. «Ciao!» Riley salutò la ragazza non appena spuntò dalla porta aperta. Sfoggiò il tipico sorriso contagioso ‘alla Riley’ che andava da un orecchio all’altro e, nel frattempo, scrutò Max, ritrovando quei stessi occhi rassicuranti e decisi che aveva incontrato la sera della festa. «Non ti aspettavi una mia visita, vero? Ma, ti prego, non mandarmi via. Ho qui dei doni che potrebbero essere di tuo gradimento.» In effetti si era presentata senza alcun preavviso, per quanto ne sapeva, Max poteva anche non essere in casa. Ma invece era lì, sull’uscio della porta, e Riley sollevò il cartone di birre per farglielo vedere meglio e sottolineare che quello era il suo dono. «Hai del tempo per una ragazza che vorrebbe parlare un po'?» Domandò poi, sempre con un tono di voce allegro, non era di certo lì per diffondere tristezza, voleva solo scambiare due chiacchiere con un volto amico che avrebbe saputo comprenderla.
     
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    Sakura Blossom

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    ”Non di nuovo! Tutti sotto al tavolo, sbrigatevi!” Max premette il pulsante rosso sulla postazione di monitoraggio del centro geoscientifico, poi si alzò dalla sedia girevole infilandosi in fretta sotto la scrivania, era già la terza volta in quella settimana che un terremoto si verificava senza preavviso a Besaid. Grazie al suo potere riusciva a percepire le vibrazioni sotto al suolo prima che arrivassero, anche se l’entità dei fenomeni che avvenivano in città non era particolarmente forte. La cosa più assurda era che da quando c’era stata l’eclissi continuavano a manifestarsi terremoti senza epicentro, non riuscivano mai a predire dove sarebbe avvenuto il prossimo e quali zolle terrestri o sottomarine stessero causando il problema. Max era scesa a controllare personalmente tutte le sonde piazzate lungo il fiordo che abbracciava l’intera Besaid più e più volte, erano tutte perfettamente funzionanti, eppure nessuna di esse si attivava durante quei fenomeni sparsi e di durata molto breve. Nessuno riusciva a darsi delle spiegazioni che avessero un fondamento scientifico, anche lei ci aveva riflettuto a lungo, aveva analizzato dati, scosse, luoghi d’origine e tutto quello che potesse sembrarle utile, ma rimanevano solo una matassa di lettere e numeri nel suo cervello senza un minimo di collegamento. Era arrivata a pensare che fosse colpa sua, dopo l’eclissi era accaduto qualcosa di strano alla sua particolarità, alcune volte ne perdeva il controllo e si chiedeva se non facesse danni molto più estesi di quello che sembrava. Due giorni prima, mentre ascoltava la musica in giardino con la sua volpe Bianca distesa sulla pancia, le vibrazioni delle casse dello stereo si erano incanalate in lei senza che Max avesse attivato la sua particolarità, nel giro di pochi secondi le aveva riemesse facendo tremare a ritmo di reggaeton l’intero bosco attorno a casa sua. In quel momento a lavoro le sembrava di avere tutto sotto controllo, non era colpa sua quella scossa imprevista, o almeno così credeva...

    Parcheggiò la moto nel cortile di casa sua proprio accanto al suo vecchio pick up della Toyota, scese e si tolse il casco liberando la lunga chioma di ricci ribelli. Prese il suo zaino da lavoro nel vano sotto al sedile della sua Yamaha, poi si avviò verso l’ingresso. Rimase ferma per qualche istante davanti alla porta senza fare nulla, persa nei suoi pensieri, un flash della spiaggia illuminata dall’eclissi e dell’odore asfissiante dei fiori prima del rituale, d’improvviso una punta di rancido nell’atmosfera ed era dentro al ricordo. Max vedeva la sabbia sotto i suoi piedi e l’oceano che non aveva un orizzonte, un rumore alle sue spalle le causò un brivido di paura lungo la schiena, non voleva rivedere ciò che veniva dopo, non voleva. Chiuse gli occhi con forza per poi riaprirli sulla realtà, rimase senza fiato. Si portò una mano al petto come se qualcuno le avesse stretto un cappio invisibile al collo, Max faceva fatica a gestire quei ricordi, le facevano male ogni singola volta. Riprese il controllo del suo corpo, afferrò le chiavi dalla tasca dei jeans ed entrò in casa. Si appoggiò con la schiena alla porta per pochi istanti, un lungo sospiro per ritrovare l’equilibrio emotivo che ultimamente vacillava spesso, come un’altalena vuota esposta al vento. Si avviò verso la sua camera al piano di sopra, lasciò la giacca da moto, lo zaino e la sua borsa personale sull’appendiabiti attaccato alla parete. Aveva bisogno di farsi una doccia, aprì l’acqua della doccia per farla scorrere fino ad arrivare a una temperatura tiepida, solo in estate si infilava direttamente sotto il getto ghiacciato. Si mordicchiò l’unghia del pollice nell’attesa, portando via un sottile strato di smalto nero, non riusciva mai a tenerlo per più di poche ore senza rovinarlo. Max iniziò a svestirsi, lasciando cadere i vestiti a terra in maniera disordinata, non era come sua madre che li avrebbe raccolti, ripiegati e messi su uno sgabello perché il pavimento non era il loro posto. Un sorriso divertito le illuminò il viso per un istante, poi si lasciò avvolgere dal calore leggero della doccia e sul suo viso si stampò un’espressione serena, più rilassata rispetto a quella tesa e contratta che aveva avuto per tutta la mattinata al Centro Geoscientifico. Sollevò le braccia in aria seguendo il ritmo di una canzone che cantava nella sua testa, ondeggiava lentamente schizzando le pareti prima a destra e poi a sinistra, dove si creavano dei disegni astratti con le gocce d’acqua. Max aprì gli occhi solo per prendere il bagnoschiuma, iniziando a muovere i fianchi delicatamente, intonando a voce bassa Indigo Night pronta ad evitare l’acuto finale che le strozzava sempre la voce. Proprio sul punto più alto sentì un suono che non le sembrava provenire da lei, troppo intonato e troppo squillante per essere uscito da lei, impossibile che per la prima volta fosse riuscita a fare quel finale incredibile. Fumava troppe sigarette per permettersi un’estensione degna di tale nome, già riuscire a canticchiare sotto la doccia era un grande risultato per lei. Di nuovo quel suono, ci mise un po’ a capire che era il campanello di casa, si era profondamente rilassata respirando lavanda umida e liberandosi dei pensieri con la musica. Chiuse l’acqua della doccia, uscì stando bene attenta a poggiare i piedi sul tappeto per non scivolare, si avvolse nell’accappatoio e si affrettò lungo le scale a piedi scalzi.
    ”Ciao! Non ti aspettavi una mia visita, vero? Ma, ti prego, non mandarmi via. Ho qui dei doni che potrebbero essere di tuo gradimento.” il sorriso di Riley l’accolse sull’uscio, aveva proprio ragione non si aspettava di vederla a casa propria quel giorno. Max osservò la birra con aria divertita, era un regalo che chi la conosceva abbastanza bene le faceva molto spesso. Loro due non avevano ancora avuto modo di approfondire il rapporto che si era creato la sera dell’eclissi, ma avevano condiviso fiumi di birra e un bacio a fior di labbra quindi Riley poteva presentarsi da lei quando voleva, ormai era un frammento della sua vita.
    ”Hey, Ry. Vieni dentro, scusa se sono in accappatoio, ero sotto la doccia.” le fece cenno di entrare, si richiuse la porta alle spalle e s’indirizzò verso il salone. ”Sono sorpresa di vederti, ma mi fa davvero piacere che tu sia qui. Dammi un minuto per rendermi presentabile, intanto fai come fossi a casa tua. In cucina troverai la mia collezione di tazze da alcool. Ti spiegherò appena avrò almeno le mutande addosso.” la sua risata roca riempì la stanza. Salì le scale due a due ancora a piedi nudi, raggiunse la sua camera da letto per indossare al volo un top sportivo bianco e una salopette oversize a righe. Max si guardò allo specchio, aveva i capelli bagnati, decise di legarli per evitare di gocciolare ovunque. Soddisfatta tornò dalla sua ospite inattesa, ”che ne dici se ci mettiamo in cucina? A quest’ora è la stanza più luminosa di tutta casa anche senza accendere le luci.” ancora non aveva avuto modo di raccontare a Riley che cercava di risparmiare sul consumo delle energie rinnovabili e non per aiutare il pianeta a non collassare su se stesso prima del tempo. In fondo era la prima volta che si ritrovavano assieme dopo l’evento traumatico che avevano vissuto, Max aveva cercato di parlarne il meno possibile con gli altri, ma era difficile dal momento che molte delle persone a lei più care erano state coinvolte in quel massacro umano. L’eclissi le aveva permesso di ricongiungersi con Astrid, un’amica che aveva eliminato dalla sua vita a tempo indeterminato, ma vederla legata con tutti gli altri in spiaggia le aveva fatto capire che sprecare attimi preziosi ad odiare qualcuno non serviva. Aveva già il capro espiatorio principale a cui dare tutte le colpe, Rem, che era stato lì in quelle stesse stanze dove ora si aggiravano lei e Riley. Il suo viso affiorò prepotentemente tra i suoi pensieri, anche se lei cercava costantemente di non lasciargli spazio perché l’ultima volta che lo aveva fatto era finita in carcere con lui, e poi in camera da letto con lui, più e più volte negli anni nonostante si fosse ripromessa di allontanarlo per sempre. Succedeva tutte le volte, la sua bussola emotiva puntava sempre Rem come suo nord.
    Spinse via i pensieri andando a cercare un paio di tazze colorate da mettere a tavola, ne prese una coppia che le aveva regalato Lys, c’erano le loro iniziali in multicolor dipinte sopra, L & M. ”Sono le mie preferite, un regalo di mia sorella per le mie sbronze migliori. Non saprei dirti quando ho iniziato a usare le tazze da tè per l’alcool, ma è una delle mie tante strane fissazioni. Tu ne hai qualcuna da condividere prima che la birra ti freghi e te le faccia dire lo stesso?” si sistemò meglio sulla panca spostando appena la pelliccia finta su cui era seduta, così da stare più comoda. Prese due bottiglie dal cartone che aveva portato Riley e le poggiò sul tavolo, si alzò per raggiungere il frigorifero da cui prese una calamita che fungeva da cavatappi, per rimanere in tema era un calice di birra con la schiuma straripante resa davvero realistica da uno strato di lucido e qualche altra cosa che Max non sapeva cosa fosse. Aprì le loro birre e riprese posto, le versò dentro le due tazze e ne passò una alla sua ospite. ”Ai superstiti e alle nuove amicizie.” sollevò la tazza in aria, poi mandò giù un lungo sorso. Puntò i suoi curiosi occhi scuri in quelli di Riley, giocando con le dita col manico bianco. ”Oltre a volere un bis dei miei baci da ubriaca, cosa ti porta qui, Ry?” ridacchiò poggiando le labbra sul bordo della tazza in attesa della sua risposta, ascoltare le persone era una delle cose che le riuscivano meglio.
     
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    Riley Møller
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    Difficile era stabilire con chi parlare. In una situazione come quella, Riley non sapeva a chi rivolgersi, soprattutto perché ancora conosceva poche persone a Besaid e non aveva la più pallida idea di chi l’avrebbe ascolta con serietà e chi invece le avrebbe detto che era completamente pazza. Parlarne con Lars voleva dire anche far incrociare la sua vita personale con la sua vita da giornalista e quindi rendere quella misteriosa sera sulla spiaggia soggetta ad indagini giornalistiche che, in realtà, lei avrebbe fatto con molto piacere, per il solo gusto di snodare quel mistero. Riley, però, non era ancora pronta a rendere quella sua esperienza di dominio pubblico, ed ecco il motivo per cui adesso si trovava a casa di Max, con delle birre e tanta voglia di capire cosa diamine stesse succedendo. La ragazza che Riley aveva conosciuto proprio durante quella nefasta notte, andò ad aprirle in accappatoio, ma la cosa non sembrò metterla in alcun imbarazzo, per cui la fece entrare in casa senza troppi problemi, complice la birra che aveva portato. «Fai con calma, io non ho alcuna intenzione di perdermi questa collezione di tazze da alcool.» Ridacchiò, tranquillizzando l’amica e guardandosi intorno.
    Max viveva in una casetta accogliente, che portava la sua essenza in ogni oggetto e mobilio che la arredava. Presa com’era dall’osservare l’ambiente intorno a sé, Riley non si rese conto del ritorno di Max. Era stata velocissima o era lei che aveva sempre la testa fra le nuvole? Un quesito che un bel sorso di birra le avrebbe fatto dimenticare molto presto. Annuì con vigore alle parole della ragazza, seguendola verso la cucina e iniziando a pensare da dove avrebbe iniziato a parlare. Nonostante Max sapesse bene quello che era successo, Riley comunque non aveva idea di come cominciare a chiederle se anche la sua particolarità le dava del filo da torcere. «Ma sono bellissime! E poi questa è una trovata geniale, mi domando come abbia fatto a non pensarci anche io!» Si rigirò tra le mani una delle tazze che le porse Max, poi la porse alla ragazza in modo tale che la riempisse di birra. Guardò il liquido ambrato sguazzare nella tazza colorata e, paradossalmente, Riley si sentì più leggera. Poteva affrontare qualsiasi discorso adesso. «Mie stranezze dici? A parte essere amante dei gatti e avere tremila paia di occhiali da sole perché li adoro e li compro anche se non ne ho bisogno? No, nessun’altra stranezza da dichiarare!» Scherzò, prima di brindare e di bere un abbondante sorso di birra. Non era delle migliori, la birra, ma faceva comunque il suo dovere.
    ”Oltre a volere un bis dei miei baci da ubriaca, cosa ti porta qui, Ry?” Il sorriso di Riley lasciò posto ad un’espressione seria quando Max le fece quella domanda. Forse non era niente, forse era lei che stava vedendo del dramma dove non ce n’era, ma doveva parlarne con qualcuno. Guardò Max negli occhi, trovando nelle sue iridi il coraggio per fidarsi di lei e di raccontarle tutto. «Ecco, da quella sera la mia particolarità ha iniziato a dare un po’ i numeri.» Semplice e diretta, in pieno stile Riley, anche se la sua voce nascondeva un po’ di incertezza. Si rigirò la tazza fra le mani. «È successa la stessa cosa anche a te? Scusa se lo chiedo in maniera tanto diretta, ma non so con chi altro parlarne…» Aveva preso il via, stava iniziando a parlare senza sosta, come se le parole avevano fatto fatica a rompere il muro ma, adesso che avevano il via libera, non avevano alcuna intenzione di fermarsi. «Il bello è che ci sarebbe parecchio da dire su quello che è successo. Talvolta io ci ripenso e mi domando se è successo veramente. È veramente qualcosa che mi manda il cervello in pappa.» Si pose le mani ai lati della testa, giusto per rendere meglio l’idea del suo cervello che andava in pappa. «Insomma, tu hai compreso qualcosa di quello che è accaduto o sono io l’unica stupida?» Puntò i suoi occhi su Max, rivolgendole quell’ultima domanda come se dalla risposta ne dipendesse lo scioglimento di qualsiasi dubbio. Riley sapeva bene che non era così, ma una piccola parte dentro di lei ci sperava.
     
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