Shape of my heart.

Aleksandra ft. Paul | Sera, Galleria d'arte

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    29 marzo 2021, Galleria d'arte a Besaid - 20:35

    Rubare ai ricchi per dare ai poveri era un motto che Aleksandra aveva sempre sentito suo, pur essendo lei stessa un membro veterano della prima categoria: non intendeva "rubare" in senso stretto, inteso come appropriarsi di oggetti non suoi, quanto intascare del denaro vendendo un servizio o un bene di lusso che potesse garantire ad altri una vita, se non agiata, almeno dignitosa. Da quando sua sorella aveva dato alla luce il piccolo Roman, del quale né lei né la maggiore ormai sapevano più nulla, Sasha si era sentita quasi in dovere di assicurare, se non a lui almeno ad altri, quella vita dignitosa che altrimenti non avrebbero potuto avere. Le piaceva pensare che quella fosse la cosa giusta e che, almeno in parte, quello stesso denaro derivato dalla vendita di suoi pezzi potesse aiutare anche lui.
    La mostra di quel giorno era particolare, metteva in vendita sia sue opere che opere da gallerie d'eccezione di suoi conoscenti: nel tempo, aveva iniziato a frequentare gente d'alto rango, gente che come lei condivideva la passione per l'arte e che, per fortuna, amava cambiare l'arredamento delle proprie case. Era qualcosa che proprio non riusciva a capire, forse perché, per lei, ogni singolo pezzo aveva un enorme valore affettivo: nella sua casa, così come in quella di Anjia, ve n'erano diverse, alcune più grezze, più vecchie, altre invece più recenti, più delicate e belle, dettate da una mano molto più esperta e raffinata. Ognuna di quelle sculture aveva una piccola targhetta in metallo apposta su di esse: vi erano il nome del luogo e la data che l'aveva ispirata a scolpire, scritti in inglese ed in braille, perché tutti potessero vedere in qualche modo. Nonostante il materiale prediletto per tali opere fosse il marmo, non era raro che Aleksandra preferisse qualcosa di più economico e soprattutto meno deperibile al contatto col sudore: il marmo, per quanto bello, aveva il difetto di essere piuttosto assorbente, e per tale ragione non era utile toccarlo. A lei non piaceva, quel fattore rendeva la scultura troppo elitaria e le stava stretto, anche perché la persona a cui, per tanto tempo, aveva "mostrato" le sue opere, era stata proprio una che non aveva modo di poterle vedere.
    Quel giorno, i suoi pensieri erano diretti proprio verso un'opera piuttosto grezza, il cui valore era dato solo ed unicamente dalla minuzia con cui aveva scolpito l'apparato circolatorio cardiaco contenuto al suo interno: aveva deciso di iniziarla il giorno in cui aveva chiuso con Gabriel, un uomo che per lei aveva significato tanto ma che era stata costretta a lasciare andare. Aveva a lungo rimuginato su cosa fare di quel masso il cui interno era così finemente dettagliato, ci aveva pensato notte e giorno, guardando quel cuore e preferendo voltarsi dall'altra parte, rimandando l'inevitabile. Aveva chiesto a Matthew di tenerlo nascosto da qualche parte, relegandolo a qualche angolo del suo garage, nel quale raramente metteva piede se non per importunare un po' Matt o per chiedergli qualche favore. Aveva persino pensato di distruggerlo: uno spreco, considerato quanto aveva impiegato a scolpirlo e quanto catartico fosse stato per lei versare su quello scarto tutti i suoi sentimenti. Alla fine, quando si era ritrovata ad allestire la mostra e a decidere cosa dar via e cosa no, era riapparso: c'era voluto un semplice messaggio dall'uomo che lo stava tenendo in stallo con un telegrafico "Che devo farne di questo?" e qualcosa aveva fatto click. Così come aveva lasciato andare Gabriel, ormai tanti anni prima, era giusto lasciar andare anche quel pezzo. Aveva significato molto per lei, c'era ancora dell'affetto in fondo ma, ormai, era giusto che le loro strade si separassero. Chissà dove sarebbe finito, ad adornare la casa di chi. «Vogliate scusarmi.» fece alla stretta comitiva che si stava complimentando con lei per tutto ciò che aveva portato lì, accompagnando quelle parole con un sorriso ed un elegante cenno della mano, facendola scivolare lungo i fianchi del suo abito firmato Prada. Vi aveva abbinato una borsa di un colore lievemente più scuro, della stessa tonalità delle decolté che aveva ai piedi: non avevano il tacco troppo alto ma erano sufficientemente eleganti da non sfigurare con l'abito. A passo leggero, la ragazza si avvicinò alla scultura che le stava riempiendo la testa, trovandovi un viso familiare i cui occhi erano diretti proprio all'intricato garbuglio di vene ed arterie: «Noto che questa volta sembra piacerti qualcosa che ho fatto io.» fece, con un tono di voce soddisfatto ed un sorriso che, sillaba dopo sillaba, si allargava sul suo volto. Paul e Aleksandra si erano conosciuti qualche tempo prima, non avrebbe saputo quantificarlo, ad un evento simile a quello in cui erano proprio quel giorno, finendo con l'incontrarsi solo ed unicamente in posti simili: era stato quasi ironico il come, dato che era stata allegramente insultata da lui che, con fare sprezzante, aveva giudicato uno dei suoi pezzi proprio dinanzi all'autrice. «Se non avesse usato un linguaggio così colorito avrei quasi potuto offendermi per come ha devastato questo povero ammasso di pietra e sudore.» aveva risposto, socchiudendo le labbra con un sorriso sornione: si era divertita, nonostante tutto, anche perché sapeva che non tutti potevano apprezzare ciò che faceva ed a lei faceva piacere così. L'arte era bella per quello, per la soggettività, per il fatto che ognuno potesse giudicare uno stesso oggetto in maniera totalmente diversa: la rendeva particolare, unica, a suo modo. «Tra l'altro hai proprio buon gusto.» fece, volgendo a sua volta lo sguardo verso il cuore. «Il critico che ho consultato per dare un giusto prezzo ad ogni pezzo l'ha reputata quella più ben fatta, per questo le ha dato un prezzo abbastanza fuori dal comune.» Era sorprendente che quello scarto, raccattato sulla riva del fiume, potesse aver avuto un tale valore di mercato: «Qualora decidessi di acquistarla posso persino raccontarti la storia di quando e come ho deciso di crearla.» Sulla targhetta, vi era scritto "Oslo, 18 aprile 2016", una data piuttosto intima che avrebbe potuto sancire l'inizio di una nuova vita sebbene, a ben rifletterci, nonostante tutto era proprio quello che era accaduto: aveva chiuso un capitolo per aprirne un altro, uno nuovo, dedicato più esclusivamente a lei. Di certo, si disse, non avrebbe mai raccontato davvero quella storia così privata a Paul,si sarebbe al massimo limitata a dire qualcosa di generico sulla fine di una relazione, senza mettersi a parlare di tutto quello che realmente le era passato per la testa. Pur essendosi visti diverse volte ed andando tutto sommato d'accordo, il loro rapporto era rimasto segregato ai bei corridoi dei musei o delle gallerie d'arte che si decideva di affittare per l'occasione. «Mi hanno detto che però ci sono diversi interessati e che, forse, verrà fatta un'asta.» mentì, scherzando. Non aveva idea di chi fosse o no interessato, erano questioni che non la riguardavano, lei si occupava solo di rispondere a qualche domanda e, talvolta, di acquistare qualcosa per sé: quell'ambiente le piaceva così com'era, trovava quasi sacrilego mettersi a parlare di soldi, anche perché per lei non erano altro che quello. Non vedeva in quelle banconote la felicità né comprendeva come senza questa potesse non esistere: in cuor suo, era conscia dei suoi limiti in quanto donna privilegiata, vissuta nel lusso sin da bambina, ma questo non la frenava dal fare affermazioni che in più contesti sarebbero potute risultare offensive per orecchie di persone meno abbienti di lei. Era onesta, schietta, talvolta fino all'inverosimile. «Comunque» fece di lì a poco, interrompendo il precedente discorso per passare ad altro, qualcosa di più "importante". «Tutto okay per il resto, baby daddy Aveva letto quel nome nella sua biografia di Instagram, social nel quale tendeva ad essere piuttosto attiva, non tanto nei post quanto nelle stories: ne aveva infatti molte in evidenza, tutte quante divise per luogo o per argomento, visto quanto le piaceva viaggiare e quanto aveva visto nel corso del tempo. Seguiva più o meno tutti quelli che conosceva, mandando di solito lei stessa il follow per prima: non aveva a cuore tutte le convenzioni sociali, il fatto che quel singolo gesto avrebbe potuto innescare chissà che pensieri nell'uomo medio. Si conoscevano? Click. Semplice, senza tanti giri di parole o convenevoli: dopotutto, era solo un follow, chi era il pazzo che lo scambiava per una dichiarazione d'amore? Di certo non il baby daddy che aveva dinanzi che, a dirla tutta, le dava l'idea di una persona piuttosto responsabile e sulla testa sulle spalle.

    Edited by Nana . - 13/8/2021, 13:49
     
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    Paul J. Vesaas
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    Bergen, 27 marzo 2021
    Paul diede un’ultima occhiata al suo orologio sul polso, una patacca che aveva pagato non sa quanti soldi solo per la griffe che portava all’interno del cinturino. Tutto nella sua vita non aveva prezzo semplicemente perché aveva abbastanza soldi da non pensare ai costi degli oggetti ma, patacca a parte, l’uomo sbuffò non appena vide l’orario. Tra meno di mezz’ora avrebbe dovuto essere da Evan, suo figlio, e invece era ancora dietro una scrivania, con gli occhi stanchi puntati sullo schermo del computer, intento a leggere e rispondere alle ultime e-mail che gli erano arrivate quel giorno. Quello era la parte di lavoro che più lo annoiava anzi, era IL lavoro che più lo annoiava: essere il socio dell’impresa di famiglia. Paul prediligeva sempre il suo secondo lavoro, quello che si era costruito da solo e che gli aveva permesso di essere indipendente dal resto dei Vesaas: il proprietario del Bolgen Club. Tuttavia non poteva mandare a monte ciò che stava facendo con la sua famiglia e quindi eccolo lì, in ufficio, stanco e intento a leggere quelle ultime mail che erano arrivate sfacciate nella sua casella di posta, le persone non vedono che ora è? Loro non riposano mai? Alza le braccia sopra le spalle per distendere meglio i muscoli. «Facciamo un ultimo sforzo.» In realtà sta parlando da solo perché non c’è nessun altro in ufficio con lui e, Paul, dopo essersi stiracchiato in maniera anche poco elegante -tanto non lo vede nessuno- ricomincia a far scorrere le dita sul mouse del portatile. Una decina di mail rimaste, tra proposte di vendita, minacce varie per aver rilevato alcune aziende e aggiornamento dei pagamenti da parte dei suoi collaboratori. Poi, tra tutte quelle parole scritte nere su bianco, c’è una mail che Paul ha lasciato per ultima di proposito. Avevo visto l’anteprima, che annunciava una mostra di beneficenza a Besaid, e avendo un occhio di riguardo per quel genere di cose aveva deciso di guardarla con calma, senza avere il pensiero di dover rispondere ad altre mail.

    Mi hanno mandato l’invito su whatsapp, ho pensato che potesse interessarti. Saluti, J.


    Jasper, il suo collaboratore più longevo, aveva scritto quelle brevi righe per spiegare il motivo per cui avesse deciso di inviargli la locandina della mostra che si, era di beneficenza si, era di suo interesse e si, decise definitivamente di andarvi non appena vide il nome di una delle artiste che esponevano. Aleksandra Zakharova. La luce soffusa dello schermo del computer riuscì ad illuminare un leggero sorriso che spuntò sul volto di Paul. Non si è mai tirati indietro dalla possibilità di fare beneficenza, Paul è dell’idea che quel genere di attività spettano soprattutto a lui e alle persone come lui, ricche da far schifo, per questo Jasper e tutti i suoi collaboratori gli mandano sempre qualsiasi cosa che possa essere legata ad una buona causa. In quel caso la sua presenza all’evento era incentivata da quella di Aleksandra, e non per un fine sentimentale, quello non lo stava nemmeno sfiorando essendo già ampiamente impegnato con Lys, quanto per un fine di curiosità e divertimento poiché Paul era rimasto vagamente incuriosito da quegli sparuti e brevi incontri avuti con la ragazza, a partire dal loro primo incontro che è stata caratterizzato da un fraintendimento particolarmente imbarazzante per lui. Continuò a sorridere, sentendo il cuore leggero e rispondendo a Jasper.

    Grazie del pensiero, ci andrò. P.


    Besaid, 29 marzo 2021
    Se c’era una cosa, un’unica cosa, del fare beneficenza che Paul odiava era quella di doversi per forza mettere in tiro, dovendo partecipare ad eventi che per lo più prevedevano gran gala in ci avrebbero partecipato i ricconi come lui. Naturalmente non era il caso di quella mostra nello specifico, ma comunque si era impegnato più del solito ad indossare qualcosa che non fosse troppo sportiva o in cui si sentiva troppo comodo, ci teneva a fare bella figura, il che era strano siccome non badava più a quel genere di cose da un pezzo. Eppure sembrava che l’idea di vedere Aleksandra gli occupasse la testa, e gli intenti, più del dovuto, tanto che, quando giunse alla galleria in cui si teneva la mostra, per prima cosa cercò con gli occhi l’artista per cui era giunto fin lì, tornando da Bergen. La vide, Aleksandra, in lontananza, intenta a parlare con altri invitati, sorridente e avvolta in quell’abito chiaro che le donava parecchio, non che Paul volesse notarlo più di quanto lo avesse già notato. Non si avvicinò subito a lei, semplicemente perché prima voleva dare un’occhiata in giro e guardare bene cosa presentasse quella mostra. Faceva beneficenza, certo, ma voleva anche essere consapevole di cosa ci fosse in gioco. Paul aveva abbastanza esperienza in questo campo da sapere che spesso le persone facevano beneficenza con cose scadenti, di poco conto, giusto per il gusto di far vedere che loro erano dei buoni samaritani. Fortunatamente non era il caso di quella esposizione e, va da sé, prestò particolare attenzione a ciò che la mente di Aleksandra era stata capace di creare, in particolare rimase a guardare per un po' quello scarto che era stata in grado di trasformare in apparato circolatorio cardiaco. Con le mani nelle tasche di quei pantaloni costosissimi, Paul rimase fermo ad osservare l’opera. Era giunto lì da solo, quindi non c’era nessuno che gli potesse rompere le palle dicendogli di darsi una mossa e di sbrigarsi. Gli occhi chiari di Paul andarono a guardare con attenzione ogni angolo di quel cuore ricavato nemmeno lui sapeva da cosa, ma si era ripromesso di osservarlo con attenzione, onde evitare di fare la figuraccia della volta scorsa, quando aveva detto ad Aleksandra che una sua opera era orribile senza sapere che fosse sua e lei, col suo solito piglio sagace, gli aveva fatto notare la gaffe enorme che aveva appena fatto. «Noto che questa volta sembra piacerti qualcosa che ho fatto io.» Da quel momento, ogni qualvolta si incontravano, Aleksandra non perdeva occasione per ricordargli quel siparietto tragicomico, come aveva appena fatto raggiungendolo. Per intendersi, mica aveva raggiunto lui, aveva raggiunto la sua opera. O forse aveva raggiunto proprio Paul? Evitò di porsi quella domanda oltre e sorrise, un po' sfacciato, al saluto del tutto particolare che gli riservò l’artista. «Mi piace si ma, toglimi una curiosità. Questo cos’è? Un polmone?» Paul indicò con l’indice il cuore scolpito da Aleksandra, scherzando, ovviamente. Quella forma era inconfondibile, eppure si sentiva abbastanza a suo agio dallo scherzare con lei, tanto ormai la frittata l’aveva già fatta durante il loro primo incontro casuale e, da quel momento, era come se il destino avesse deciso che quei due dovessero incontrarsi sempre casualmente ad ogni singolo evento artistico e di beneficenza. La ascoltò mentre gli dava dettagli più approfonditi sull’opera e Paul, dal canto suo, si ritrovò ad ascoltare con attenzione ogni suo parola, come se la voce di Aleksandra potesse avere un effetto ipnotico su di lui. «Qualora decidessi di acquistarla posso persino raccontarti la storia di quando e come ho deciso di crearla.» Colse la palla al balzo per fare ancora il simpatico: «Oh, allora mi reputi degno di acquistarla? Dici che starebbe bene nell’appartamento di uno che all’inizio non ci capiva un bel niente delle tue opere?» Che doveva anche darsi una calmata, ad un certo punto. Dopotutto era anche bello scherzare con Aleksandra, ma in quel momento si stava parlando di cose serie e, soprattutto, di cose che avrebbero influito sulla beneficenza di quella sera. Si schiarì la voce, raddrizzando il suo sorriso e assumendo un’espressione seria: «Non mi dispiacerebbe acquistarla, penso che piacerebbe anche a Beat, il mio coinquilino…e anche il mio miglior amico.» Spesso Paul si ritrovava a nominare Beat più di quanto non nominasse Lys. L’amico era sempre presente nella sua vita, e non solo perché se lo ritrovava sempre tra i piedi nell’appartamento che condividevano, ma perché a quel dannato ragazzo voleva un mucchio di bene. Tralasciando Beat e la faccia che avrebbe fatto se gli avesse portato a casa una cosa come quella, tornò a parlare con Aleksandra.
    «Tutto okay per il resto, baby daddy?» Paul, a quel punto, si lasciò andare ad una fragorosa risata. Ok, non troppo fragorosa altrimenti le persone intorno lo avrebbero guardato male, ma comunque fece un po' di rumore, dopo che l’artista lo chiamò baby daddy, così come lui stesso aveva scritto sulla propria bio di instagram. «Oh si, tutto ok, fatta eccezione per il fatto che, forse, ho un’ammiratrice che mi segue con attenzione sui social.» Si riferiva chiaramente ad Aleksandra e alla sua prontezza di spirito nel farglielo notare. Lui, purtroppo, non aveva ancora avuto modo di spulciare i social della ragazza, ma semplicemente perché non ne aveva avuto il tempo, aveva visto qualcosa di sfuggita, ma mai con la dovuta attenzione. Si, è un modo per dire che comunque era andato a cercarla sui social. «Tu, invece? Tutto okay?» Ricambiò la domanda con curiosità più che per banale gentilezza. «Quindi…quando e come hai deciso di crearla? Se la storia è molto lunga possiamo andare a prendere qualcosa alla caffetteria di fronte. Sarebbe un modo per chiederti scusa della mia iniziale superficialità.» Si strinse nelle spalle, tornando a sorridere, facendo riferimento a ciò che Aleksandra gli aveva detto prima, senza essere in grado di dare una spiegazione a quello che stava dicendo e al modo in cui potesse essere frainteso. Non ci pensava troppo, chiaramente, le sue azioni iniziavano e finivano lì, in quel suo sentirsi particolarmente a suo agio nel chiacchierare con una ragazza che, dopotutto, conosceva fin troppo poco. Si avvicinò a lei di poco, giusto per raggiungere il suo orecchio e parlarle a bassa voce: «Tranquilla, tanto so che probabilmente mi racconterai una storia inventata, ma sono comunque curioso di sentire cosa riesci ad inventare.» Che poi, quella, suonava quasi come una sfida e, dalla poca conoscenza che aveva di Aleksandra, non sapeva come l’avrebbe presa, ma sapeva che era abbastanza tosta dal non menarlo con la sua borsetta e mandarlo a quel paese, andando via da lui indignata. Esistono quelle persone che, pur non mettendosi in mostra, riescono a splendere per quello che sono, con il loro carattere, e Aleksandra appartiene senza dubbio a quella categoria.
     
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    «Ed io che pensavo fossi un profano...» rispose, schiudendo lievemente le labbra e fingendosi stupita da quanto detto da Paul. Che fosse un cuore - e che avesse due occhi ben funzionanti - era un dato incontrovertibile: la divertiva però prenderlo un po' in giro. Sin dall'inizio della loro conoscenza, infatti, fra loro due c'era sempre stato un tacito accordo sul non prenderla per gli sfottò dell'altro: visto com'era partita quella strana amicizia era normale in fin dei conti, ma questo non rendeva le cose meno divertenti dal punto di vista di lei. «Chiunque trova belle le mie opere si rende automaticamente degno di portarsele a casa, donando magari una sommetta consistente alla charity a cui l'ho donata io.» Era quello il punto alla fine, ciò che la spingeva spesso a lavorare duramente: dalla sua, c'erano sicuramente anche la voglia di riversare su quelle opere i suoi pensieri, troppo complessi da mettere in ordine su carta o con disegni. Ci aveva provato, con gli acquerelli, ma non aveva mai apprezzato la staticità di quella forma d'arte. Staticità forse non era il termine adatto. Trovava che le due dimensioni fossero limitanti. Ecco, sì, limitanti. Un'opera scolpita in un blocco di marmo poteva esser vista da ogni angolazione, studiata e interpretata diversamente a seconda del punto di vista: era quello uno dei punti di forza che solo lo scalpello poteva donare ad un pezzo d'arte. Aleksandra amava trovare gli errori nelle opere altrui: c'erano sempre, anche nelle sue, ma osservare i suoi non era divertente come osservare quelli altrui. Da ogni piccola screziatura poteva leggere qualcosa dello scultore, capire magari - o almeno ipotizzare - quale fosse il suo stato d'animo durante la creazione, quanto ci avesse impiegato nel completarla, che tipo di limatura avesse scelto. Amava quei dettagli, trovava fossero più esplicativo di qualunque spiegazione o titolo: era per quello che, in fondo, non dava mai dei nomi a ciò che produceva. Era sufficiente che lei ricordasse dove e quando avesse voluto farlo, il resto dell'interpretazione era personale.
    «Non mi dispiacerebbe acquistarla, penso che piacerebbe anche a Beat, il mio coinquilino…e anche il mio miglior amico.» aggiunse Paul in seguito, suscitando in lei un pizzico di stupore, che non fu mostrato che da un rapido battito di palpebre della ragazza. Stava scherzando, eppure le era sembrato stranamente "serio" nelle sue intenzioni, il che tutto sommato la lusingava considerato che inizialmente non aveva minimamente apprezzato la sua arte. «Il tuo migliore ed anche il tuo coinquilino allora.» lo corresse, con i due angoli delle labbra rivolti verso l'alto a mimare un leggero sorriso sornione. Immaginò in quel momento la faccia di sua sorella se, prima di definirla tale, l'avesse chiamata scrittrice di libri per bambini o, peggio, la moglie di Matthew. Prima o poi ci devo provare. si disse, pensando che in fondo infastidirla era uno dei suoi giochi preferiti da sempre. Sulla stessa falsa riga, non si risparmiò dal mandare una frecciatina anche a Paul, citando il nome che aveva letto sul suo Instagram: le faceva strano pensare che quel ragazzo fosse padre, sembrava persino un padre amorevole. Iniziava ad esser circondata da troppi genitori, lei che poi non aveva nemmeno l'ombra di un fidanzato. Non che le dispiacesse, da sola stava bene e, anzi, sperava che la sua famiglia non la costringesse a sposarsi di lì a poco perché non era ciò che immaginava per il proprio futuro. «Sto bene, anche se forse sto viaggiando un po' poco in questo periodo ed inizia a pesarmi.» confessò, alzando un po' le spalle. Era un'anima libera, una che amava prendere e partire senza tante preparazioni: in quel periodo però aveva preferito rimanere accanto alla sorella, soprattutto in virtù della sua temporanea cecità. Si erano dedicate agli hobby che coltivavano insieme da anni, standosene un po' insieme, nel piccolo angolo di paradiso che le Zakharova si erano faticosamente costruite a Besaid: per quanto alle volte le mancasse la Russia, ciò che per lei sempre sarebbe stato casa, in Norvegia iniziava ad essere davvero felice, quasi come se la fuga dalla società in cui erano cresciute, la società di privilegi e di obblighi, fosse diventata troppo stretta per contenere anime erranti come le loro.
    «Quindi…quando e come hai deciso di crearla? Se la storia è molto lunga possiamo andare a prendere qualcosa alla caffetteria di fronte. Sarebbe un modo per chiederti scusa della mia iniziale superficialità.» «Mhm...» rispose immediatamente lei, fingendosi pensosa e sospettosa allo stesso tempo. «Una storia così interessante in cambio di un cappuccino...» ponderò, chinando un po' il capo, quasi come se stesse calcolando quando davvero le convenisse. Sollevò la testa di lì ad un attimo, annuendo con un mezzo sorriso mentre i suoi passi si muovevano involontariamente verso il guardaroba, dove aveva lasciato il suo cappotto. «Tranquilla, tanto so che probabilmente mi racconterai una storia inventata, ma sono comunque curioso di sentire cosa riesci ad inventare.» aggiunse Paul, facendola ridacchiare appena: era un'ipotesi piuttosto concreta quella, ma qualcosa le suggeriva di dirgli la verità. In fondo, pensava, non era poi così complesso capire che un cuore in quello stato era stato scolpito in seguito alla fine di una relazione: ai suoi occhi era chiaro come la luce del sole, sebbene l'idea di spifferarlo tramite parole la mettesse un filo a disagio.
    «Beh, con questi presupposti potrei raccontarti anche la verità e farti credere sia una bugia.» disse, distogliendo lo sguardo dagli occhi chiari di Paul per rivolgersi all'impiegata al guardaroba. «Zakharova, 32.» fece cordiale, porgendole un piccolo cartellino con il numero appena nominato. La ragazza si avvicinò allo stand sul quale erano sistemati tutti i cappotti: sulla sommità di ogni gruccia, erano messe dei piccoli pezzetti di plastica che, teoricamente, permettevano una ricerca più veloce. In quel caso infatti, probabilmente complice la stanchezza, l'impiegata faticò a trovare il cappotto di Aleksandra: «È il terzo da sinistra, quello beige in lana cotta.» mormorò, senza scomporsi. Trovava che la particolarità che Besaid le aveva donato fosse particolarmente inutile ma, nonostante ciò, si ritrovava ad utilizzarla più o meno quotidianamente, proprio come in quell'occasione. Era servito un attimo perché trovasse quello che cercava: «Vesaas dovrebbe essere il quinto da destra.» aggiunse poi, mentre indossava il suo e lo chiudeva con l'eleganza che la sua educazione le aveva donato. «Andiamo?»
    Paul le aveva detto che la caffetteria si trovava di fronte alla Galleria ma lei non ci aveva fatto minimamente caso: era entrata lì dentro focalizzata sull'evento, senza prestare attenzione alla strada. «Hai mangiato qualcuna di quelle tartine?» chiese, mentre camminavano, riferendosi al buffet che era stato organizzato per l'evento. «Quelle con la maionese erano tremende.» mormorò, con espressione appena disgustata: le aveva assaggiate per ingordigia visto che aveva già cenato. Aleksandra aveva mantenuto salde tutte le abitudini che aveva in Russia, fra quelle vi erano gli orari di pranzo e cena, più o meno sempre standard. Una volta all'interno della caffetteria, la ragazza fece per sistemarse ad un tavolo di fianco ad una grossa vetrata che dava sulla strada: l'aveva scelto di proposito, per poter sbirciare ancora un po' l'evento. Il cameriere, però, la bloccò prima ancora che potesse poggiarvi la borsa: era già occupato. In effetti, un occhio più attento avrebbe notato il caricabatterie di un laptop e una borsa porta-pc, ma Aleksandra vedeva solo ciò che voleva vedere, anche in quelle piccole e futili cose.
    Furono guidati ad un tavolo diverso, meno "panoramico" ma lievemente più appartato: «Per me una vodka liscia, senza ghiaccio.» ordinò, sfilandosi la giacca e poggiandola su una seduta di fianco a lei, mentre Paul faceva lo stesso ed il cameriere si allontava.
    «Dunque, dunque, dunque.» mormorò, tamburellando le dita sul tavolo e sollevando gli occhi chiari verso il suo interlocutore. «Sentiamo, secondo te che storia c'è dietro quel cuore?» chiese. «A, una carriera da medico stroncata sul nascere.» iniziò, alzando il pollice della mano destra e poggiandovi su l'indice della sinistra, scandendo così le varie opzioni. «B, una storia d'amore stroncata sul nascere.» aggiunse di nuovo, alzando l'indice. «C, un trapianto cardiaco stroncato sul nascere. Se scegli questa devi ovviamente anche articolare la storia, spiegarmi di chi è il cuore e così via.» Ed una parte di lei sperava davvero che scegliesse quella opzione.
    Gli diede qualche minuto per pensare, scandendo i secondi a suon di "tic, tac": fu l'arrivo del cameriere con le loro ordinazioni a sancire la fine del gioco. «Risposta definitiva?» chiese, allugando una mano e facendo tintinnare il bicchiere col suo prima di aggiungere «Skål.» e bere un sorso della sua vodka. «Sai che in russo non esiste una parola per i brindisi? In tutte le lingue che conosco c'è ma non nella mia lingua madre.» scosse appena il capo, stupita. «Comunque, io ti racconto la storia della mia scultura e tu mi racconti qualcosa di altrettanto intimo che ti riguarda.» propose, dando così già un'anticipazione su quale fosse la risposta corretta: «Ci stai, baby daddy, oppure devo costringerti a bere per poi riportarti a casa più morto che vivo?» E quella alcolica sì che era una sfida che sapeva di poter vincere con chiunque.
     
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    Paul J. Vesaas
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    Paul teneva parecchio agli eventi di beneficenza, su questo non vi era alcun dubbio. Il dubbio era se questi eventi si sarebbero rivelati noiosi o meno e spesso, purtroppo, erano noiosi. Paul spesso si ritrovava a trattenere qualche sbadiglio annoiato mentre vi partecipava e sperava che il tempo trascorresse abbastanza velocemente da far finire tutto e subito. Quella sera, però, da quando Aleksandra aveva fatto la sua entrata in scena, Paul non si era annoiato neanche per una frazione di secondo e quella mostra stava divenendo più interessante di quanto avesse immaginato. La ragazza sapeva aggiungere il giusto pepe all’intero evento che forse senza di lei si sarebbe rivelato un fiasco. Certo, le opere erano belle e non bisognava dimenticare che il tutto si stava svolgendo per una buona causa, ma era umano anche lui e, in quanto tale, era felice quando qualcuno rendeva meno noiosi eventi del genere. E poi, nonostante la conoscesse poco, si chiedeva se Aleksandra avesse mai annoiato qualcuno, non gli sembrava proprio il tipo da stare con le mani in mano per ore intere o da raccontare qualcosa con un tono di voce estremamente noioso. No, Aleksandra non era noiosa e menomale che quella sera si era avvicinata a lui. Paul sorrise, cogliendo immediatamente l’ironia della bionda ragazza. Era un po’ un loro tacito accordo: si prendevano in giro senza offendersi. Succedeva e basta, non ne avevano parlato, non si erano concordati per farlo, semplicemente veniva loro naturale. Si trovavano entrambi a guardare quel cuore tridimensionale, frutto del lavoro artistico di Aleksandra che con tante cose che poteva raffigurare, pensava Paul, aveva optato proprio per un cuore. E qui voleva andare in fondo alla questione! Pochi convenevoli tra Paul e Aleksandra, si andava dritti al punto e a lui non poteva che fare piacere, proveniva da un mondo in cui l’apparenza era tutto, anche se l’essenza era simile ad una parete consumata dalle brutture del mondo che si sgretolava giorno dopo giorno, quella bionda artista era una ventata d’aria fresca. «Chiunque trova belle le mie opere si rende automaticamente degno di portarsele a casa, donando magari una sommetta consistente alla charity a cui l'ho donata io.» Ci pensò su veramente Paul, nella sua testa già sapeva come sarebbe andata a finire quella serata e dove avrebbe messo i suoi soldi per la beneficenza, ma era tanto bello stare lì a punzecchiarsi con Aleksandra che non gli dispiaceva temporeggiare. I soldi non erano un problema per lui, non lo erano mai stati. A differenza di altri, la famiglia Vesaas aveva sempre avuto il privilegio di non sfiorare il pensiero di acquistare qualcosa in sconto o dal prezzo economico. Qualcosa del genere era talmente lontana da loro che Paul, da bambino, per lungo tempo aveva pensato che non esistessero persone povere, ma che tutti al mondo conducevano la stessa vita della sua famiglia, con le stesse modalità. Quell’ingenuità, purtroppo o per fortuna, si era dissipata presto lasciando il posto a quel Paul che per poco non perdeva la vita, soffocato dal troppo benestare che non sapeva come impiegare se non facendosi del male da solo. Ma questo è un altro discorso appartenente ad un passato ormai molto lontano. Il pensare e nominare Beat tanto bastava per farlo rimanere su quella scia di buonumore che l’incontro con Aleksandra aveva creato. «Il tuo migliore ed anche il tuo coinquilino allora.» Paul soffiò una risata, incassando una battuta dopo l’altra e poi si schiarì la voce: «Farai un’opera d’arte anche su quanta gioia provi nel correggermi?» Non era minimamente infastidito dalla battuta di Aleksandra, ma lui non poteva rimanere indietro in quello strano gioco che avevano iniziato sin da quando si erano incontrati. Sembrava quasi come se ad unirli non era un solo incontro di persona e qualche battutina simpatica tramite messaggi su instagram, sembra che la loro conoscenza si fondasse su qualcosa di più stabile e longevo. «Dove ti piacerebbe andare?» Fu una domanda che Paul fece senza pensarci troppo, quando Aleksandra disse che le pesava non viaggiare più tanto spesso. Più che curiosità, la sua era una sana volontà di fare conversazione per conoscere meglio la ragazza. Lui, dal canto suo, di viaggi ne aveva fatti parecchi soprattutto da bambino o ragazzino, quando tutta la famiglia Vesaas andava con il padre nei suoi viaggi di lavoro. Nonostante Paul amasse viaggiare, tendeva a limitare i suoi spostamenti solo a Bergen, avendo compreso che l’allontanarsi per troppo tempo da Besaid ne comporta anche la perdita di alcuni ricordi legati alla cittadina. Un pensiero, quello, che aveva preferito tenere per sé poiché si trattava di un sospetto, non di una cosa certa. La chiacchierata stava procedendo in maniera spontanea, tanto che Paul propose ad Aleksandra di spostarsi altrove per parlare in un luogo un po’ più tranquillo dove occhi indiscreti non li avrebbero osservati avviando le congetture più assurde. Passarono, quindi, a prendere i rispettivi cappotti, con Paul che osservò con attenzione Aleksandra e il suo indicare dove fossero esattamente i loro cappotti. Per quanto i due fossero in confidenza gli sembrò troppo invadente chiedere se la sua fosse una vista da falco o se si trattava di una particolarità a lui sconosciuta, a patto che qualcun altro le avesse quelle benedette particolarità. «Hai mangiato qualcuna di quelle tartine? Quelle con la maionese erano tremende.» Scosse il capo con decisione: «Frequento eventi del genere da abbastanza tempo da sapere che il cibo che rifilano è pessimo. Caspita, chi organizza ha abbastanza soldi da permettersi delle tartine sublimi, perché risparmiare?» La domanda del secolo. Conosceva le persone ricche, lui era una di quelle, e si era sempre chiesto perché dovessero scegliere di risparmiare su qualcosa pur avendo montagne e montagne di soldi. Soprattutto, aveva testato che spesso le cose più costose non erano per forza sinonimo di alta qualità, e un esempio pratico erano sicuramente quelle terribili tartine alla maionese che aveva solo guardato da lontano.
    Usciti dalla Galleria entrarono nel locale dove fu loro indicato un tavolo in cui sedersi. «Per me un Old Fashioned.» Fece la sua ordinazione mentre si sedeva e fece un mezzo sorrisetto. Ora il gioco tra Paul e Aleksandra entrava nel vivo e prestò attenzione alle verosimili spiegazioni che gli diede la ragazza come plausibili ispirazioni per aver creato quel cuore. Si tolse la giacca e si sedette di fronte a lei, assumendo una finta espressione pensierosa mentre il tempo veniva scandito a suon di “tic, tac” da parte di Aleksandra. Era tutto molto divertente, non poteva negarlo: «Dai una gioia al mio moderato romanticismo e dimmi che si tratta dell’opzione B!» Non sapeva quanto e se fosse romantico, non stava a lui dirlo ma, al massimo, stava a Lys dirlo, tuttavia non poteva negare che quella fosse una risposta strategica per dar voce al suo sospetto: e cioè che quel cuore doveva rappresentare un qualcosa di molto personale per Aleksandra, magari proprio una delusione d’amore. L’arrivo del cameriere che portò le loro ordinazioni prolungò l’arrivo del momento in cui la sua interlocutrice gli avrebbe dato una risposta. «I russi non brindano, ma bevono direttamente?» L’unica cosa idiota che gli venne in mente quando Aleksandra gli disse che nella sua lingua non esisteva una parola per i brindisi. Paul si era sempre considerato un uomo moderatamente intelligente, ma con quella domanda si rese conto di essere un perfetto idiota. Fortunatamente la parlantina della ragazza era troppo veloce da potersi soffermare sulle idiozie che lui stava dicendo. «Comunque, io ti racconto la storia della mia scultura e tu mi racconti qualcosa di altrettanto intimo che ti riguarda.» Cavolo, quella era un’arma a doppio taglio. Il gioco si faceva duro e lui iniziò a pensare a qualcosa di tanto intimo e personale da poter raccontare senza che Aleksandra cambiasse definitivamente opinione su di lui. «Sai che sei proprio un bel peperino, Aleksandra Zakharova?» Bevve un piccolo sorso dal suo bicchiere prima di accettare il guanto di sfida: «Fatti sotto.»
     
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    «Possibile.» rispose Aleksandra con un sorriso, anche se in tutta onestà non avrebbe saputo da dove partire con un'opera d'arte dedicata alla soddisfazione che provava nel correggere gli altri: non era poi così grande, almeno non se comparata a quella che provava nello stuzzicare il prossimo. La divertiva molto essere lievemente molesta, nei limiti della decenza ovviamente, prendendo un po' in giro tutti quelli che conosceva: alle volte poteva esser noiosa e diventava difficile capire quando fosse seria o quando scherzasse, almeno per coloro che le stavano intorno solo sporadicamente. Con Paul sembrava straordinariamente facile, come se, per quanto fossero pressoché sconosciuti, ci fosse una sintonia tale da permetter ad entrambi di capirsi con uno sguardo. Probabilmente era per quella ragione che le stava a genio: appartenevano alla stessa estrazione sociale, eppure entrambi - tolto il patrimonio ingente - erano degli outsider in quella società fatta di lustrini e cene costose, come suggeriva anche il luogo in cui si erano incontrati ed in cui finivano con l'incontrarsi sempre più spesso. Entrambi tenevano alla beneficenza, il che era un bene considerato che il più delle volte gli unici che ci tengono sono coloro che non possono effettivamente fare la differenza. Certo, questo non significava che non si togliesse degli sfizi: era la prima a sperperare soldi in viaggi, sebbene non lo considerasse uno spreco di denaro. Per lei, infatti, viaggiare era un modo per arricchire la sua anima, vedere altri posti, altre culture, altri modi di vivere, magari anche imparare dagli altri: non sarebbe mai riuscita a privarsene, come non sarebbe mai riuscita a dimenticare la sua terra natìa. A dispetto dei problemi che quello stato ha, per lei la Russia continuava ad esser casa. «Dove ti piacerebbe andare?» «Al momento?» chiese, fermandosi un momento a riflettere: era una bella domanda, con un mare di risposte pronte ad esser fornite. «Non sono mai stata in Thailandia.» mormorò, accarezzandosi lievemente il labbro inferiore con l'indice mentre ci pensava. Era uno stato che l'aveva sempre affascinata ma che, per un motivo o l'altro, non era mai riuscita a vedere. «Ho un album su Instagram pieno di foto fatte nei posti più disparati del mondo.» confessò, prendendo il cellulare e mostrandoglielo rapidamente, scorrendo la carrellata di foto di spiagge, montagne e città. Non era schizzinosa, le piaceva tutto, a patto che chiaramente avesse i propri comfort: ecco, sì, se c'era un dettaglio di Aleksandra che sapeva proprio di signorina ricca e snob, era il suo detestare la flessibilità. Non aveva mai fatto campeggio né tantomeno aveva voglia di provarci: le cose 'sporche' le relegava alla sua passione per l'arte, non certo al dormire in terra in mezzo agli insetti. Quantomeno, pensò, a Phuket ci sono tanti resort.
    Al momento tuttavia i due optarono per una meta ben più vicina della paradisiaca isola thailandese, di fatto si diressero verso un bar poco distante, insultando a voce alta le pessime tartine scelte per l'evento a cui avevano partecipato: «Frequento eventi del genere da abbastanza tempo da sapere che il cibo che rifilano è pessimo. Caspita, chi organizza ha abbastanza soldi da permettersi delle tartine sublimi, perché risparmiare?» «Mh.» fece, riflettendoci un po' su. «Se infilassero i soldi risparmiati nelle tasche della charity forse potrei capire il perché.» Scosse poi la testa, dopo un attimo. «Ma nutro forti dubbi su questa possibilità.» Molto più probabile era che preferissero limitare le spese per taccagneria, tipico di molte persone arricchite che tendevano a pensare con la testa di qualche anno prima: comprensibile? Sì. Condivisibile? Non proprio.
    Arrivati al bar propostole da Paul, i due ordinarono da bere - qualcosa di decisamente più buono di quanto trovato alla mostra, per fortuna - passando a delle domande decisamente personali: una parte della giovane sperava di poter imbastire una storia completamente inventata sulla base di una falsa ipotesi mossa da parte dell'altro. Una carriera da medico... Quanto c'era da inventare a riguardo! Sua sorella di sicuro sarebbe stata fiera di lei se solo ne avesse avuto la possibilità. Purtroppo però ciò non accadde, Paul si rivelò un bravo osservatore o forse semplicemente fortunato, comprendendo che la ragion d'essere dietro il cuore che aveva scolpito non era che Gabriel. «I russi non brindano, ma bevono direttamente?» «Esatto.» confermò, bevendo in seguito un sorso del suo drink. «Ed è sicuramente un bene vista la piega che sta prendendo la nostra conversazione.» Un modo pulito di dire che quello non sarebbe stato di sicuro l'ultimo drink, quanto il primo di una lunga serie: era fortuna che nei suoi geni ci fosse una gran tolleranza all'alcol. Aleksandra, tuttavia, non poteva dare così tanto per non ricevere niente in cambio, non era divertente né tantomeno reputava ne valesse la pena. Per fortuna, però, Paul colse la sua sfida, dandole dunque il via libera per poter parlare ed onorare la sua parte del patto.
    «Mi duole ammettere che sì, l'opzione B era quella corretta.» iniziò, alzando di poco le spalle. «Però non c'è nulla di tanto lungo da raccontare, almeno da parte mia.» Probabilmente Gabriel avrebbe speso molte più parole nel descrivere quello che era successo e quello che erano stati: dopotutto, tra di loro era sicuramente lui il migliore con i discorsi. «Sono più una persona da fatti. O, per meglio dire, preferisco che siano le mie sculture a parlare per me: le trovo più immediate, facili da leggere e soprattutto non c'è modo di fraintendere niente.» Almeno ai suoi occhi: per lei era chiaro come il sole il messaggio che voleva trasmettere e, nella sua forse ingenuità, era convinta che lo fosse anche per gli altri. «Ho scolpito quel cuore poco dopo la fine di una relazione importante. E' apparso senza che me ne rendessi conto, è stato quasi terapeutico battere lo scalpello fino a vedere una bozza di ciò che nascondevo dentro di me.» Alzò le spalle ancora una volta: «Ho dovuto cercare su google "apparato circolatorio cardiaco" ad un certo punto, però di base la forma era lì e si trattava solo di perfezionarla.» E con le sue scarse nozioni di anatomia questo non era di certo possibile senza l'aiuto di un piccolo ma accurato studio. «Per fartela breve, il mio ex mi aveva chiesto di sposarlo una sera a cena davanti a tutti i nostri amici.» Distolse lo sguardo da Paul e lo spostò verso il bicchiere, nel quale c'era ancora un po' di vodka: la buttò giù tutta d'un fiato, godendosi il momento di lieve bruciore a livello della gola. Adorava quella sensazione. «Puoi ben immaginare quanto sia stato imbarazzante il silenzio che ne è seguito.» Era stato possibile sentire il "crack" del cuore di Gabriel in quel momento, ben visibile nei suoi occhi scuri. «Il resto è visibile sulla mia mano sinistra, a livello dell'anulare.» concluse, muovendo appena il dito in questione che non recava alcuna fede. «Ho usato un materiale economico per realizzare quell'opera sia perché lo preferisco - mi piace che le sculture vengano toccate e non solo messe in un angolo - sia perché è stato improvvisato: era praticamente l'unica cosa che ho trovato lungo il fiume e che ero in grado di trascinare fino alla mia macchina.» Il barman passò a prendere il suo bicchiere rapidamente e la ragazza colse l'occasione per ordinarne un altro, chiedendo se fosse possibile avere anche qualcosa da mangiare, come delle tartine o delle noccioline.
    «The end. Era meglio non saperla, giusto?» domandò, ridacchiando appena. «Parlare alle volte rovina ciò che gli altri possono vedere nelle opere, le rende più personali, forse troppo.» Il cameriere poggiò le tartine che gli erano state chieste delicatamente dinanzi ad Aleksandra, dilenguandosi per occuparsi del drink. «Quanto a te invece? Qual è la storia intima e personale di cui vuoi parlarmi?» Non gli sembrava qualcuno dai mille intrighi, anzi, sin dall'inizio Paul le aveva dato l'idea di una persona genuina e diretta: altri motivi per cui le piaceva passare del tempo insieme a lui d'altra parte. La stuzzicava sapere che razza di segreti potesse celare: magari non era nulla di che, magari era davvero il più bel bravo padre di famiglia al mondo, con zero scheletri nell'armadio e zero eventi negativi di cui parlare. O forse sei solo bravo a dissimulare. Il che, in fondo, poteva essere anche interessante a suo modo, per quanto in quel momento Aleksandra bramasse solo la verità. Curiosa, per natura, non si sarebbe trattenuta dal fargli domande.
     
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