I don't know how these cuts heal but in you I found a rhyme

Paul x Lys|10.04.2021|Pomeriggio

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    Non gli piacciono gli ospedali, in questo Paul è molto banale. Dopotutto a chi mai poteva piacere un luogo come quello, probabilmente non piaceva nemmeno alle persone che vi lavoravano al suo interno. Insomma, si tratta pur sempre di un ospedale, non del Bolgen in cui le persone si divertono! Gli ospedali sono per definizione luoghi in cui le persone spesso vi soffrono e non vi trovano alcuna cura ai propri dolori. Talvolta qualcuno vi entra e poi non ne esce più da vivo. Più o meno questa è la visione di Paul riguardo gli ospedali che, negli ultimi giorni, era diventata ancora più negativa dopo aver visto il suo migliore amico in un letto d’ospedale, inerme e pallido, sembrava quasi senza vita. Beat non lasciava più il suo caos in casa, non lo sentiva più camminare scalzo e impastare le parole tra il norvegese e il tedesco. Era più di una settimana che Paul si barcamenava in quell’assenza ancora incerta, indefinita. Da quando aveva ricevuto la telefonata da Lys, Paul viveva come in una realtà ovattata, dove tutto rimaneva sospeso nel tempo in attesa di un piccolo cenno di Beat, di un suo movimento, delle sue palpebre che finalmente decidevano di aprirsi. Non era sofferenza, quella di Paul, più che altro era incoscienza: ancora non era riuscito a guardare in faccia la realtà razionalizzando ciò che fosse successo. Il racconto di Lys era stato confuso, generico, incompleto. Paul aveva percepito quanto fosse sconvolta e per i giorni a seguire non aveva voluto tartassarla con ulteriori domande su ciò che fosse successo quel giorno sulla spiaggia, viveva di ciò che scrivevano i giornali ma, anche in quel caso, si trattava di informazioni incomplete che non facevano altro che mettergli in testa sempre più domande e nessuna risposta.
    Quel pomeriggio si era imposto di mettere in stand by il lavoro, un gesto che non faceva da tempo e che probabilmente avrebbe dovuto fare prima, magari proprio la mattina dell’eclissi, in modo tale da stare vicino a Lys e a Beat. Magari, ci fosse stato lui, quella tragedia non sarebbe successa. Avrebbe dovuto partecipare anche lui alla festa della fondazione, divertirsi sui carri, bere ma non troppo perché lui di alcolici ne aveva già bevuti abbastanza durante i suoi anni dissoluti a Bergen. Avrebbe dovuto, appunto, ma all’ultimo minuto ha dovuto annullare tutto per il lavoro. Insomma, quel pomeriggio aveva messo in stand by il lavoro per andare in ospedale -che odiava- e sperare che Beat si svegliasse. Aveva in mano un bicchiere di caffè da asporto che non era per lui ma per la persona che, era sicuro, avrebbe trovato nel corridoio appena fuori la stanza in cui Beat era caduto in un sonno irreale. Paul, mentre percorreva il labirinto asettico popolato da donne e uomini in camice bianco, pensò che la sua avversità nei confronti dell’ospedale era ingiustificata. La sua esperienza personale, ad esempio, avrebbe dovuto insegnargli che quello era anche luogo di speranza e rinascita. Lui stesso, dopotutto, vi era entrato drogato e mezzo morto e ne era uscito un ragazzo nuovo con un obbiettivo ben diverso da quello con cui vi era entrato. Ma è facile essere ottimisti quando le cose sono già accadute, con Beat invece nessuno sapeva come sarebbe andata a finire, bisognava solo aspettare e l’attesa, per Paul, in quel caso era snervante. Giunse al piano in cui era Beat, aveva fatto le scale invece di prendere l’ascensore per una preferenza naturale, immotivata. Appena fece capolino nel corridoio, quasi deserto, vide Lys seduta su una di quelle sedie di plastica, dal freddo colore azzurrino, una di quelle che fanno un rumore infernale appena ti alzi o fai il minimo movimento col tuo posteriore torturato dalla durezza del sedile, ma la sua ragazza non sembrava badare a quelle sedie scomode. Gli occhi di Lys erano aperti ma chiusi alla realtà, anche lei sembrava essere sempre in un altro mondo, in un’altra vita.
    «Ei.» Attirò l’attenzione di Lys con delicatezza, una volta essersi avvicinato abbastanza a lei che ancora non aveva notato la sua presenza. Non voleva farla spaventare, sovrappensiero com’era. Anche lei era turbata da tutto ciò che era successo e con il caso di Beat stava dimostrando una particolare sensibilità a tutto ciò che era successo. La salutò abbassandosi su di lei e soffiandole un breve bacio sulla testa, tra i capelli. «Ti ho portato un po' di carburante, sapevo che ti avrei trovata qui.» Paul le porse il bicchiere di caffè che, forse, nel tragitto a piedi si era un po' raffreddato, ma sarebbe comunque riuscito a fare il suo dovere. Aveva sempre un occhio di riguardo per Lys, un pensiero per lei volto a renderle la vita il più confortevole possibile. Stavano insieme da un po' di mesi ormai, la relazione pian piano si stava delineando e Paul ne era lieto quanto sorpreso. Mai avrebbe immaginato di ricominciare una storia con qualcuno, ma Lys gli aveva fatto trovare il coraggio per tornare ad avere fiducia nell’amore. Era stato un colpo di fulmine tra loro, o almeno lo era stato per Paul che dentro di lui aveva sentito una forza che lo spingeva verso quella ragazza tutta sorrisi e glitter. Un sesto senso, un’attrazione, chiamatela come volete, fatto sta che adesso Paul e Lys erano una coppia a tutti gli effetti. «Novità?» Paul si sedette accanto alla ragazza e, nel farlo, la sedia fece quel rumore fastidioso, come se la plastica si stesse lamentando e cedendo sotto il peso dell’uomo. Paul indicò con un cenno del capo la porta chiusa della stanza di Beat, in cui il suo amico era caduto in quel sonno che sembrava senza fine. Non sapeva che novità ci potessero essere, magari un miglioramento, una speranza ventilata dai medici, qualsiasi cosa che potesse evitargli un esaurimento nervoso.
     
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    ***

    Il bianco aveva sostituito tutti i colori, tutti i glitter, riusciva ad accecare più forte dei raggi del sole che di solito l'accerchiavano e le s'infilavano dentro, così a fondo da toccarle l'anima, quel groviglio di emozioni che provava di solito. Il bianco di quelle pareti fatto di cemento, gesso, carta da parati, qualsiasi cosa fosse le si era attaccato addosso e si era fatto pelle fin sotto gli occhi, lì dove due cerchi bluastri facevano ora da culla alle iridi chiare per la mancanza di un sonno sereno. La schiena iniziava a risentire, dolori che venivano da posture scomode, il corpo di Lys rannicchiato su una sedia per notti intere e sempre nella stessa posizione: gambe arricciate contro il petto e al caldo sotto una coperta di lana che ormai aveva preso il suo profumo per tutte le volte in cui se l'era stretta contro, una protezione di stoffa che avrebbe dovuta tenerla al caldo, riscaldare ciò che da una settimana le sembrava fosse fatto di ghiaccio. Ogni tanto si alzava, si avvicinava al letto sul quale era disteso Beat con gli occhi sigillati e si accertava che tutto fosse a posto, gli inumidiva le labbra con un fazzoletto di carta, gli sistemava la coperta, lo sfiorava piano in viso oppure sul dorso della mano che per prima riusciva a stringere, la più vicina. Poi si risistemava sulla sedia di fianco a lui, gambe contro il petto, dita strette attorno ai bordi ruvidi della coperta e, quanto meno ci provava, riprendeva a dormire. Giorni interi, notti lunghissime, Lys c'era per Beat.
    Il ricordo di quello che era avvenuto sulla spiaggia si premeva contro le pupille stanche insistendo per uscire, l'estorsione di qualcosa di così intimo che a pochi aveva permesso di poter scorgere, un paio di lacrime che venivano giù con lentezza e di solito quando si trovava sola con lui. E mentre Lys si preoccupava di non lasciar solo Beat, a sé stessa pensava sempre troppo poco, sempre di meno, che a lasciarsi andare per l'altro le veniva sempre così facile. A lungo andare però quell'attesa diveniva tempesta, stanchezza, un groviglio di emozioni ormai estenuanti. Allora si alzava di nuovo, usciva per fare due passi e prendere aria sperando che, una volta rimesso piede nella stanza, lui l'avrebbe guardata di nuovo.

    Aveva parlato poco con chiunque, persino con Max che aveva condiviso quella stessa esperienza assieme alla sorella minore. Sapeva però di dovere delle spiegazioni soprattutto a Paul, il cui pensiero come ondate la travolgeva in pieno petto. Paul, ne ricordava ancora il tono di voce nel momento in cui era riuscita a rintracciarlo per dirgli dove fosse Beat e chiedergli di raggiungerla. Paul che si divideva come un forsennato fra di loro, il lavoro, suo figlio. Paul, la persona per la quale Lys provava un sentimento che a volte non riusciva a comprendere neanche e dal quale l'idea della separazione la trasportava all'interno di scenari che non le piaceva neanche immaginare. Era stato improvviso, lui si era infilato nella sua vita senza neanche chiedere il permesso e facendosi uno spazio tutto suo attorno a lei, creando un mondo per entrambi che a Lys era piaciuto e dentro al quale riusciva a sentirsi protetta, bene. Ma fra di loro pesavano così tante cose che a volte Lys pensava di poter crollare da un momento all'altro e allora si chiedeva, chiusa a chiocciola dentro la propria testa, dove sarebbero mai giunti? «Ei.» e fu la voce di Paul a riportarla con i piedi per terra, neanche si accorse si fosse avvicinato a lei. Sollevò lo sguardo per incrociare quello del ragazzo e sorrise a labbra strette corrucciando appena le sopracciglia per via di una brevissima fitta di dolore alla schiena mentre si raddrizzava sulla sedia di plastica ed accoglieva con dolcezza il bacio che lui le soffiò fra i capelli castani. «Hey.» ricambiò il saluto con un sussurro e poi chiuse gli occhi per qualche secondo, lasciandosi andare al contatto affettuoso che da qualche giorno le mancava, ne avvertiva la gentilezza attraverso la pelle e dentro le ossa stanche. «Ti ho portato un po' di carburante, sapevo che ti avrei trovata qui.» lo sentì dire mentre allungava la tazza di caffè nella sua direzione. Si apprestò ad afferrarla con una mano mentre con l'altra acchiappava la sua e la tirava timidamente nella propria direzione, così da intimargli di sedersi accanto a lei. «Grazie.» sussurrò ancora, avvicinando la tazza ancora calda alla pancia e lasciando che un po' di quel calore le si spargesse sul ventre. Erano mesi che stavano insieme e un po' aveva imparato a conoscerlo, a distinguerne difetti da pregi, amare un po' di quell'insensata sfacciataggine che l'aveva incastrata quella prima volta in cui lo aveva incontrato al pub e, dopo anni di velata solitudine, le aveva scombussolato ogni piano ed era riuscito a farle dire di "sì". Ci avevano riso così spesso, di quell'abbordaggio, che era ormai uno dei ricordi che Lys custodiva con leggerezza e si teneva dentro con estrema gentilezza e cura. Di lui le piaceva il modo matematico che aveva di pensare anche quando neanche se ne rendeva conto, adorava la passione che gli vedeva brillare nelle iridi quanto parlava del modo in cui si era fatto in quattro per riuscire a far collidere ogni più piccola parte della propria vita, amava il modo in cui la guardava e provava a capirla pur non riuscendoci quasi mai, questo la portava a sentirsi colpevole, sporca, consapevole di essere forse l'unica dei due a nascondere la polvere sotto il tappeto. Ma non lo avrebbe ammesso, non in quel frangente forse, non prima di aver aperto il vaso di Pandora in maniera completa e aver lasciato fuori tutto ciò che aveva passato negli ultimi dieci anni. Di Lys Paul sapeva poco, solo quello che lei voleva mostrargli, e come poteva continuare una relazione messa su due piedi vacillanti e un po' incerti? C'erano parti di lei che non aveva mai saputo nessuno e che Lys teneva nascosti a chiunque, momenti di debolezza che l'avevano portata a compiere gesti di cui poi si era pentita e che avevano cambiato totalmente non solo la sua vita, ma lei, fino al profondo, fin dentro le ossa e il cuore e i muscoli. «Novità?» chiese allora Paul, accennando con il capo davanti a loro. Seguì la stessa traiettoria del suo sguardo, Lys, posando gli occhi sulla maniglia argentata della porta che li separava dall'amico ancora in condizioni del tutto stabili ma incoscienti. Scosse quindi il capo, Lys, abbassando brevemente lo sguardo per terra e sul dorso delle scarpe bianche da ginnastica che indossava, gliele aveva portate Max un paio di giorni prima quando aveva tentato di convincerla a dormire da lei a casa, senza però riuscire a schiodarla dalla sedia per gli ospiti che lei ormai aveva occupato in camera di Beat. «No, niente.» si ritrovò a rispondere all'altro, tornando poi a sollevare lo sguardo su di lui mentre avvicinava la tazza alle labbra e beveva un sorso di caffè. Si girò piano col busto in direzione di Paul e allungò una mano verso la sua, andando a stringergliela ed allacciando così le dita a quelle più possenti di lui. Inspirò profondamente, poi, chinando il capo da un lato e posando una guancia sulla propria spalla mentre con le iridi chiare cercava quelle di lui e vi trovava spazio. A volte desiderava entrare dentro la sua mente, farsi corpo con lui per riuscire a vedersi esattamente così come lui la vedeva, per comprendere cosa lo avesse spinto ad avvicinarla e chiederle di uscire, cosa l'avesse motivato a credere che con lei tutto sarebbe andato bene. Ed ogni volta che lo guardava, Lys provava una sensazione di serenità insolita, qualcosa di innaturale e quasi magnetico che mai con nessun altro aveva provato prima. Era forse quella stessa sensazione che lo differenziava energicamente da Beat e da ciò che provava per lui: erano due percorsi completamente differenti, due viaggi paralleli sul cui terreno da una parte vi era una strada asfaltata e sull'altra miliardi di buche createsi per una pioggia di meteoriti. Da una parte la certezza e la serenità che Paul le trasmetteva, dall'altra la tempesta di vita ed energia con il quale Beat riusciva a scuoterla ogni volta. «Mi dispiace.» sussurrò d'un tratto con lo sguardo fisso in quello di lui. Lasciò andare la tazza sistemandola fra petto e gambe ora arricciate sulla sedia, là dove tornava a rannicchiarsi a chiocciola, e sollevò una mano in direzione del viso di Paul per sfiorarne la guancia con il dorso delle dita fredde. «Lo so che vorresti poter fare qualcosa per lui. Vorrei poter fare qualsiasi cosa anche io.» disse ancora, stringendo poi piano le labbra e scuotendo appena le spalle. Voltò la mano per premervi il palmo sulla guancia di Paul e accogliere il suo viso, la pelle calda e la barba appena incolta che le pizzicava sulle dita. Per un momento si ritrovò a pensare a quanto le sarebbe piaciuto dimenticare tutto, ricominciare da zero meglio di come aveva creduto di aver fatto, essere migliore per Paul e quegli occhi sinceri, il modo in cui aveva creduto che fra le braccia di Lys esistesse il mondo perfetto per lui. Avrebbe voluto tanto esserlo, per un po' di tempo aveva ci aveva creduto, ma a guardarlo ora, in quello stato e preoccupato per Beat forse quanto lei senza neanche saperlo, Lys non sapeva più quale fosse la propria verità. «E so che non ti piace passare troppo tempo in questo postaccio, se vuoi puoi andare, resto io. Il carburante che mi hai portato basterà.» aggiunse poi, piano, lasciando che il polpastrello del pollice si strofinasse con dolcezza ancora sulla guancia del ragazzo mentre un mezzo sorriso si apriva sulle labbra carnose ma ora un po' secche di Lys. Era logico, già deciso, di certo non si sarebbe schiodata da quel posto per la notte, magari l'indomani sarebbe tornata a casa per rinfrescarsi un po' e riposare così da poter tornare e stare vicina a Beat. Quando la porta della stanza si aprì e una delle infermiere ne uscì, Lys si voltò di scatto per guardare, alla ricerca di qualsiasi informazione le potesse sembrare leggibile sul viso della donna. Questa però la guardo scuotendo il capo e facendole un cenno della mano per comunicarle di non preoccuparsi e restare ancora un po' seduta lì fuori. L'aveva spinta a fare due passi solo un'oretta prima, ormai conscia del fatto che neanche a tirarla fuori di forza Lys si sarebbe allontanata di più di qualche ora dalla sagoma dormiente di Beat. Quindi tornò ad abbassare lo sguardo sulla tazza di caffè mentre, slacciando le mani dalla presa del viso e delle dita di Paul, Lys l'afferrava per avvicinarla alle labbra e berne qualche altro sorso caldo. Dentro, il cuore aveva preso ad accelerare repentinamente non appena il viso conosciuto della donna era sbucato fuori, inconsapevolmente aveva fatto scattare dentro Lys l'allarme di speranza che la spingeva a credere, ogni volta, che ci fossero buone notizie. E invece l'infermiera si era chiusa la porta alle spalle e, dopo aver salutato Paul di sfuggita, era tornata ad avanzare per il corridoio fino a sparire dietro il bancone dell'accettazione qualche metro più avanti. Più che attesa, sembrava una tortura.
     
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    Gli occhi di Lys, prima, e il suo sorriso, poi, erano le cose che avevano colpito Paul quella sera di qualche mese fa. Lo aveva rivelato proprio a lei, un paio di appuntamenti dopo che avevano iniziato ad uscire insieme e aveva anche aggiunto che non riusciva a spiegare perché gli piacessero tanto. Era qualcosa di istintivo, di naturale: guardava Lys e pensava che gli piaceva, così come si guardava un’opera d’arte per la prima volta ed istintivamente si esclamava che bella!, non c’era un modo razionale che potesse fare chiarezza sul perché due persone si guardassero e si piacessero all’istante. In egual maniera Paul aveva ritrovato in Lys la sua voglia di mettere in gioco i sentimenti, nonostante fosse convinto che ormai niente e nessuno potesse essere in grado di tornare a fargli battere il cuore, non dopo la nascita di Evan, almeno. Lui era suo figlio, una parte di sé, e avrebbe dato la vita per proteggerlo. Invece Lys aveva racchiuso nel suo sorriso la rinascita di Paul, quella voglia di tornare a prendere la vita in tutto ciò che aveva da offrire, sentimenti compresi. Lo aveva fatto sentire così solo June, la madre di suo figlio e ormai ex compagna, quando lo aveva incoraggiato a smetterla di farsi quella merda di droga mentre stava per morire di overdose su un letto di ospedale. Si può evincere che le donne principali nella vita di Paul abbiano sempre avuto un forte impatto su di lui, anche inconsapevolmente. Infatti, Lys, probabilmente non sapeva a pieno quanto fosse importante per Paul anche solo per il fatto di essere stata capace di fargli tornare a sentire il battito del suo cuore. Non è cosa da poco. In virtù di ciò si può solo immaginare quanto possa essere preoccupato per Lys, come se già non fosse sufficiente la preoccupazione per il suo amico. Aveva visto la sua ragazza cambiata, più triste e più assente, da quando era successa qualsiasi cosa fosse successa sulla spiaggia di Besaid. Nella mente di Paul si erano parati mille scenari tragici, più tragici di ciò che era realmente successo perché si sa, l’immaginazione supera sempre la realtà e nella sua testa Beat e Lys avevano addirittura duellato contro un drago sputafuoco. Sembrava assurdo, ma l’aveva pensato veramente, considerato l’atteggiamento della ragazza e la fine che aveva fatto il suo migliore amico. Le sue domande sull’accaduto erano iniziate e morte in breve tempo, quando aveva notato che Lys non aveva alcuna intenzione di dare ulteriori informazioni, almeno non più informazioni di quelle sparute che aveva già dato alla polizia, impegnata ad indagare su quel giorno e, ancora, non aveva nulla in mano. Il mistero avvolgeva la vicenda così come, per Paul, il mistero era legato a Lys e a quella sua improvvisa apprensione per Beat. Ricordava di averli presentati, qualche mese fa, e da quello che gli era parso non erano affiatati anzi, era convinto che Lys fosse completamente indifferente a Beat, qualche volta aveva addirittura creduto che le stesse antipatico. In quei giorni, però, si era reso conto di essersi sbagliato. La ragazza era particolarmente sensibile, lo sapeva, probabilmente la tragedia l’aveva colpita talmente forte da provare un senso di empatia con Beat che era uscito dall’esperienza in maniera molto più drammatica della sua. Era l’unica spiegazione che era riuscito a darsi Paul, quando al mattino si svegliava nel letto e trovava lo spazio accanto a lui occupato solo da un bigliettino che citava ’sono da Beat’. Discrezione, aveva deciso di usarla in quel periodo, nonostante anche lui stesse soffrendo più di quanto già si potesse immaginare. Sarebbe stato discreto con Lys, tentando di starle vicino ed essendo pronto ad ascoltarla nel caso avesse deciso di parlargli e approfondire quello che era successo in spiaggia. La raggiunse in ospedale, quel giorno, senza né mandarle un messaggio e né telefonarle perché già sapeva che l’avrebbe trovata lì, seduta in attesa di un cambiamento, un miglioramento, che con apprensione attendeva anche lui. La salutò ed i grandi occhi di Lys si puntarono su di lui, gli stessi occhi che a Paul piacevano tanto adesso gli sembravano spenti e persi in chissà quale altra realtà parallela. Si sedette accanto a lei, invitato a fare così anche dalla mano di Lys che lo aveva tirato verso il posto accanto al suo. Si sedette e fece un sospiro, un po' come facevano gli anziani quando, finalmente, riuscivano a sedersi da qualche parte divorati dai dolori alla schiena e alle gambe. Paul non era vecchio, ma fece comunque quel sospiro, e per poco non accennò un sorriso per la comicità di quel suo modo di fare, se solo non fosse stato che il pensiero di Beat era più forte di qualsiasi altro pensiero comico. Abbasso lo sguardo, poi, guardandosi le punte dei piedi ricoperte dalla stoffa delle sneakers, quando Lys gli disse che no, non c’erano novità. Paul, per una frazione di secondo, aveva sperato che Lys gli avesse detto: “Si, ci sono novità: Beat si è svegliato, si è alzato dal letto ed è tornato a casa. Ti aspetta lì”, ma era una cosa troppo bella per essere vera. La vita, si sa, non è affatto così semplice: o si soffre o si muore, quindi mantenne lo sguardo basso, mentre assimilava l’ennesima fitta di dolore per quell’amico che ancora rimaneva in quella maledetta stanza di ospedale. A distoglierlo dalle sue scarpe poco interessanti fu Lys, che gli prese la mano e lasciò che le loro dita si intrecciassero, in un gesto spontaneo, che avevano imparato a fare in maniera naturale durante i mesi precedenti. S’intrecciavano le dita e s’intrecciavano le loro vite, piano, in maniera sempre più naturale. O almeno Paul aveva questa sensazione. Alzò leggermente lo sguardo ed i suoi occhi incontrarono quelli di Lys, accennò un sorriso quasi impercettibile perché sapeva che stava per dire qualcosa. Delle poche, o tante, cose che era riuscito ad imparare su quella ragazza era che raramente riusciva a stare a lungo in silenzio. «Mi dispiace.» Appunto. «Lo so che vorresti poter fare qualcosa per lui. Vorrei poter fare qualsiasi cosa anche io.» Si mise dritto sulla schiena, riportando la mano di Lys sulla sua guancia e socchiuse gli occhi. Una parte di Paul provava un immenso sollievo nel sapere che qualcuno capiva esattamente cosa stesse provando, un’altra parte, però, non comprendeva come mai Lys riuscisse ad essere tanto empatica quando si trattava di Beat. «In questi casi vorrei essere uno di quei supereroi con cui gioca sempre Evan, hai presente? Vorrei essere un super medico, magari. O solo un supereroe, magari avrei potuto salvarvi tutti da qualsiasi cosa sia successa quella sera». Parlò con calma, Paul, beandosi del contatto con la pelle di Lys, seppur percependo un grande vuoto in quella vicinanza. Erano così vicini fisicamente, in quel momento, seduti su quelle sedie asettiche e, al contempo, Paul sentiva come se una voragine si stesse aprendo tra loro, lo sentiva sin da quando Lys non gli aveva raccontato come fossero andata le cose il giorno dell’eclissi. Diede la colpa alla situazione particolare, a quell’apprensione che avevano entrambi, in egual modo, riguardo a Beat. Strinse ancora di più la mano di Lys nella sua, come ad impedirle di allontanarsi da lui. Paul non voleva che Lys si allontanasse, lei era la prima donna che gli aveva fatto battere di nuovo il cuore, dopo tanto tempo. Probabilmente, il supereroe tra i due era proprio Lys, che era riuscita in quell’impresa che Paul ormai pensava impossibile. «E so che non ti piace passare troppo tempo in questo postaccio, se vuoi puoi andare, resto io. Il carburante che mi hai portato basterà.» La guardò negli occhi, come se volesse entrarle nella testa, capire cosa stesse pensando veramente Lys. A scanso di equivoci: Paul si fidava della donna che aveva di fronte. Per lui, quegli occhi che gli piacevano tanto, erano anche talmente limpidi da non poter essere in grado di nascondergli nulla. Eppure c’era sempre qualcosa che gli sfuggiva come fosse acqua fra le dita, sentiva che gli mancava un solo piccolissimo pezzo per completare quel puzzle che era Lys. «Posso darti io il cambio, tu vai a casa. Stai facendo più di quanto sia necessario. Dopotutto Beat è amico mio, tu lo conosci appena…» L’uscita dell’infermiera interruppe le sue parole e, per un attimo, tornò in lui la speranza, la possibilità di ricevere quelle novità su Beat che stava attendendo da giorni. La donna fu chiara: non c’erano nuovi sviluppi. Lys tornò al suo posto, per bere un altro sorso di quel caffè che le aveva portato poco fa, e nei suoi gesti, nel suo petto che si alzava ed abbassava per respirare, poteva notare la stessa preoccupazione che sostava sotto la sua pelle. Apprezzava il tanto impegno di Lys nel sostenere Beat, ma non se lo spiegava, per cui pose una domanda più che lecita. Non voleva insinuare nulla di male, semplicemente voleva chiarire un dubbio che sicuramente non aveva motivo di sostare nella sua mente: «Lo conosci appena, Beat, vero? Dopotutto te l’ho presentato solo qualche mese fa.» Guardò il soffitto bianco mentre pronunciava quelle parole, come se Paul stesse dicendo quelle cose a sé stesso e non a Lys. Doveva rassicurarsi da solo, Lys non aveva colpe se ultimamente era più insicuro del solito. Insicuro, in realtà, come non lo era mai stato. La situazione di Beat lo faceva sentire estremamente fragile, come se la sua forza coltivata in anni ed anni in cui la vita lo aveva messo alla prova, potesse sgretolarsi da un momento all’altro e le macerie potevano finire solo nel palmo di mano di Lys.
     
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    Discrezione. Paul era stato discreto, continuava ad esserlo e Lys si domandava spesso quanto a lungo avrebbe seguito quella via pur di supportarla nella migliore maniera possibile. Aveva posto alcune domande, mai troppe, mai eccessivamente invasive e, in cambio, aveva ricevuto pochissime risposte degne d’esser chiamate tali. I sensi di colpa l’attanagliavano soprattutto per questo, così come per ciò che in realtà sulla spiaggia aveva vissuto, così come per il bacio sul carro di cui ancora ricordava perfettamente il sapore, l’impronta di Beat sulle labbra. Sfuggire allo sguardo di Paul le era difficile quando se lo ritrovava davanti, l’unico modo per riuscirci davvero era semplicemente sparire, allontanarsi un po’, giusto il tempo di ricaricare le batterie e rimetter su quella terribile maschera che neanche si era davvero mai accorta di aver indossato così velocemente da quando aveva incontrato di nuovo Beat. Che Paul non se lo meritasse, Lys lo sapeva perfettamente. Che Lys non meritasse Paul, anche questo Lys lo sapeva alla perfezione, eppure divisa in due fra ciò che provava per entrambi, compiere finalmente un passo decisivo sarebbe stato tremendamente difficoltoso.
    Era sbucato dal nulla mesi prima, con i suoi occhi verdognoli e il sorriso di chi proprio non ne vuole sapere di sparire, così Paul era entrato a passo sveltissimo nella sua vita e, malgrado l’iniziale tentennamento di Lys, alla fine la cheerleader si era ritrovata a cedere e farlo entrare, gli aveva permesso di sbirciare dentro la sua vita pur mantenendo la porta socchiusa, un po’ per la vergogna di quello che Paul avrebbe potuto vedere, un po’ perché alla fin dei conti mai davvero era stata sicura che avrebbe funzionato. E quel turbinio di pensieri, sebbene vivi già da prima della serata sulla spiaggia, ora ritornavano a frullarle nella testa con incredibile veemenza, ignorarli era impossibile anche quando il corpo incosciente di Beat disteso nel letto le stava davanti. Un mondo a due facce, ci viveva dentro da mesi, per cui quando la sagoma di Paul sbucò nel corridoio dell’ospedale e s’infranse nel suo campo visivo, Lys non ne fu poi troppo sorpresa. Anche se con la testa altrove e annodata dai pensieri, Paul riusciva a confortarla anche solo camminando nella sua direzione con l’espressione di chi, lo vedeva, avrebbe tirato giù il cielo pur di vederla stare bene. Se il cuore di Lys avesse potuto stringersi e soffocare ogni globulo rosso e bianco in quel momento, di certo lo avrebbe fatto: un fantasma da giorni, Lys stava privando Paul non solo del suo migliore amico, ma anche della sua ragazza e questo non se lo sarebbe forse mai davvero perdonato.
    Ne seguì i movimenti mentre lo vedeva avvicinarsi e sedersi accanto a lei, il sorriso dolce di chi si trascina addosso una stanchezza stressante ormai da giorni, il tutto cadenzato da un lieve sospiro che venne fuori dalle labbra di lui non appena si fu sistemato di fianco a lei. Gli afferrò affettuosamente la mano e lui, dopo aver puntato lo sguardo verso il pavimento probabilmente perso ugualmente fra il rumore dei propri pensieri, tornò a sollevare le iridi chiare e curiose su di lei, ora forse più tranquillo ritrovandosela nuovamente accanto. Per un istante, Lys pensò a quante promesse avrebbe voluto fargli, a quante belle parole avrebbe voluto pronunciare per farlo stare meglio, a quanto avrebbe voluto che, nonostante tutto, solo lui fosse il centro del suo mondo. Sarebbe stato semplice, se fossero stati solo loro due? Sarebbe stato più facile credere in un futuro pieno della sua voce, di quella stretta delle dita incastrate fra le sue? Con il cuore accelerato, Lys accolse il piccolo sorriso che Paul, estraneo ai suoi pensieri, le regalò.
    Quando lei parlò per cercare di confortarlo, lui drizzò la schiena per sistemarsi meglio sulla sedia e puntò le iridi in quelle di lei, l’espressione del viso un misto tra confusione e gratitudine. «In questi casi vorrei essere uno di quei supereroi con cui gioca sempre Evan, hai presente? Vorrei essere un super medico, magari. O solo un supereroe, magari avrei potuto salvarvi tutti da qualsiasi cosa sia successa quella sera» si pronunciò quindi Paul con estrema calma mentre rinforzava la presa sulla mano di Lys. Fu immediato, sfuggì al proprio controllo, lo sguardo di Lys si spostò dal viso di Paul per scivolare lungo il collo di lui, le braccia, giungendo alle loro mani unite sulla gamba di lui. Si soffermò lì per qualche istante ancora, Lys, ora nuovamente soprappensiero e con la soffocante sensazione addosso di essere lei stessa solo una grande e chiassosa menzogna. Scosse appena il capo corrucciando le sopracciglia, le iridi blu mare ancora immobili sul profilo delle dita di Paul strette alle sue più sottili. Per abitudine si ritrovò a strofinare il polpastrello del pollice sul dorso della sua mano, quasi volesse cancellare le proprie impronte dalla pelle di Paul e non perché non volesse che vi rimanesse traccia di lei su di lui, ma perché al contrario le sembrava di sporcarlo con le bugie che ripeteva a se stessa. «Solo di una cosa sono certa, Paul.» sussurrò, tornando a sollevare lo sguardo su di lui, ora più seria. «E’ stato un bene che tu abbia fatto ritardo.» commentò, annuendo piano con il viso. Il significato di quelle parole forse prendeva direzione diverse a seconda di chi le udiva e chi invece le pronunciava. C’erano molte cose avvenute sulla spiaggia per le quali Lys avrebbe ringraziato che Paul non c’era stato, soprattutto per via del rischio di poter perdere anche lui. Sospirò quindi, ancora ben ferma nella sua decisione di non voler o poter parlare a Paul di cosa effettivamente fosse accaduto quella sera, incapace di ripercorrere per davvero a voce alta tutto quello che aveva visto, quello che aveva vissuto. A volte, ritornando sui propri passi nei ricordi, Lys alternava momenti di estrema lucidità a momenti in cui si chiedeva, magari, se fosse pazza, se si fosse immaginata tutto per davvero. La cosa tremenda era che, alla fine, nessuno avrebbe mai potuto confermare alcuna di quelle ipotesi. «So che vuoi che io ti parli di cosa è accaduto e io non voglio tagliarti fuori, ma... non lo so davvero neanche io cosa ho visto.» spiegò, cercando di tagliare corto per l'ennesima volta, perfettamente consapevole di dovergli delle spiegazioni e che, prima o poi, qualcosa avrebbe dovuto avere il coraggio di spiegargliela. Raddrizzando la schiena e sistemandosi meglio sulla sedia quindi, consigliò a Paul di tornare a casa, dopotutto lo conosceva un pochino e sapeva alla perfezione quanto il ragazzo detestassi ritrovarsi fra i corridoi asettici degli ospedali. Al che, l’altro, sembrò però rifiutare. «Posso darti io il cambio, tu vai a casa. Stai facendo più di quanto sia necessario. Dopotutto Beat è amico mio, tu lo conosci appena…» il suono della voce di Paul fu calmo, pacato, quasi un sussurro. Nella testa di Lys sembrò però rimbombare contro le pareti del cranio, fare giri immensi spostandosi da un orecchio all’altro mentre al contempo la sua attenzione veniva catturata dall’infermiera che, uscendo dalla stanza di Beat, si chiudeva la porta alle spalle accennando a loro che non ci fosse purtroppo alcuna novità. Per qualche istante, restando ferma e con lo sguardo fisso sulla maniglia della porta di quella camera che avevano davanti e dentro al quale giaceva il corpo ancora inerme di Beat, Lys avvertì una sensazione di pesantezza che non avrebbe potuto più reggere, una stanchezza che la spinse a sospirare profondamente mentre si voltava con il viso a guardare Paul seduto di fianco, gli occhi verdi indirizzati verso il soffitto, lontani da lei, lontani da quelli di Lys che, forse, temeva di guardare per la prima volta da quando si erano conosciuti. «Lo conosci appena, Beat, vero? Dopotutto te l’ho presentato solo qualche mese fa.» aggiunse quindi il ragazzo, testa e mento rivolti verso l’alto. Sbattè appena le palpebre, Lys, serrando le labbra in un gesto di preparazione forse, quasi a voler fare in modo che la lingua si ricaricasse per esser pronta ad espellere parole di cui si sarebbe pentita. Scosse piano il capo mentre, voltandosi piano con il busto in direzione di Paul, allungava una mano per posarla sul suo avambraccio e stringere così le dita attorno ad esso con l’intento di chiamarlo, farlo voltare nella sua direzione. «Paul…» iniziò, aspettando che lui tornasse a guardarla. «Avevo diciassette anni quando ho incontrato Beat la prima volta.» disse, il tono della voce quasi un sussurro ma tremendamente fermo, saldo nel suo timbro, Lys forse non gli aveva mai parlato così sinceramente e seriamente in tutto quel tempo. Gli occhi due spirali azzurre che avvolgevano le pupille scure, buie mentre cercavano di catturare il tremore delle sue emozioni. «E’ stato molto tempo fa, sono cambiate molte cose da allora.» aggiunse, scrollando appena le spalle mentre abbassava per qualche istante lo sguardo sulle proprie mani prima di riprendere coraggio e posarlo nuovamente su di lui. Serrò le labbra e si morse l’interno della guancia mentre sceglieva le parole da usare per non ferirlo, per non presentare a lui quella parte della propria vita esattamente come il nodo di ricordi e sensazioni ancora vivide che invece a lei era chiaro come la superficie limpida di un mare d’acqua. «E… siamo stati insieme. Per poco. Eravamo due ragazzini, Paul.» continuò, ora la voce altalenante di chi cerca di rimettere insieme i tasselli di un puzzle. «Ti prego, non essere arrabbiato, non volevo nascondertelo, è che non sapevo come dirtelo, è il tuo migliore amico e io non volevo rovinare né il vostro, né il nostro rapporto.» spiegò, mentendo non solo a lui, ma per l’ennesima volta anche a sé stessa. «Ti chiedo di non fraintendermi, ci tengo a lui e forse non così poco come ti saresti aspettato tu, lo so, sono solo preoccupata e desidero che si svegli presto, ritrovarlo è stato solo come ritrovare un vecchio amico d’infanzia, tutto qui terminò, abbassando lo sguardo per qualche secondo ancora mentre, non potendo osservare Paul in viso, cercava di immaginare la sua possibile reazione a quelle parole, l’immaginario di qualcosa che sarebbe potuto avvenire. E dentro a quel chiassoso ingarbuglio di pensieri, Lys sperava con tutta se stessa che Paul avrebbe creduto alle sue parole, anche se era chiedergli troppo, anche se era come chiedergli il mondo. Perché, alla fine, stava tutto lì: restare vicina a Paul per tenersi vicina a Beat. E nella lucidità di quei pensieri seppe alla perfezione che, quando Beat avrebbe riaperto gli occhi, Lys avrebbe continuato ad esserci solo per Paul, glielo giurò con lo sguardo non appena lo sollevò nuovamente per posarlo sul viso dell’altro. «Beat è solo un amico. Tu...» s'interruppe, lasciando che la voce si spegnesse fra le labbra mentre provava ad afferrarle la sua mano. Cos'altro avrebbe potuto dire?
     
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    Paul J. Vesaas
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    Una doccia fredda. Paul nella sua vita ne aveva fatte moltissime, soprattutto quando da adolescentello tornava a casa ubriaco e doveva tornare in sé, in qualche modo. Vi erano, poi, le docce fredde inaspettate, quelle fatte dai gavettoni a sorpresa degli amici, in piena estate, quelle che non facevano male e che facevano concludere il tutto in grasse risate o, al massimo, in una spensierata battaglia di gavettoni. Quel tipo di doccia fredda, quella che Lys gli aveva metaforicamente fatto mentre erano lì seduti, invece, Paul non l’aveva mai provata. Seduto su quella sedia da ospedale, terribilmente scomoda, Paul si sentì come prigioniero in una lastra di ghiaccio. Rimase immobile, assimilando le parole di Lys che, apparentemente, non racchiudevano nulla di male, fatta eccezione per il fatto che gli aveva tenuta nascosta quella rivelazione durante tutta la loro relazione. Non c’era nulla di male, o meglio, non ci sarebbe stato nulla di male se solo gliel’avesse detto all’inizio. Adesso, invece, c’era qualcosa di intangibile che rovinava qualsiasi buona intenzione ci fosse dietro quelle parole che assumevano le sembianze di una confessione. Sbatte le palpebre un paio di volte, gli occhi puntati su Lys, intenti a guardare prima la sua bocca, da cui erano uscite quelle parole, e poi le sue pupille, da cui sperava di poter capire qualcosa in più. Ma la sorpresa gli aveva mandato in confusione anche il cervello, Paul non stava riuscendo a formare un pensiero lineare nella sua testa, sembrava solo che vi fosse una luce rossa e lampeggiante che indicava come il sistema fosse andato in tilt.
    Non avrebbe fatto una scenata, non ce la faceva, non in quel momento. Paul si portava addosso la stanchezza degli avvenimenti accaduti in quell’ultimo periodo, ora non ci voleva anche quello. Alzò una mano, facendo segno a Lys di smettere di parlare. Improvvisamente la voce della sua fidanzata -sarebbe stata ancora tale?- era divenuto un suono che mal sopportava. Non aveva intenzione di ascoltarla oltre. «Spero tu non te la prenda troppo se dico che hai un tempismo pessimo, Lys.» La voce di Paul era piatta, impossibile carpire un’emozione. Ogni sfumatura nella sua voce sembrava essere stata risucchiata da una delusione ancora inespressa.
    «Non so cosa dire io…» Si alzò da quella sedia dannatamente scomoda. L’indignazione iniziava a salire, Paul poteva sentirla che pian piano ribolliva e rischiava di divenire una rabbia rancorosa. Si passò una mano tra i capelli, guardando prima la porta che separava loro da Beat e poi guardando di nuovo Lys. «È solo un amico? E allora perché non poteva essere amico anche prima? Anche mentre stavi con me? Cosa temevi che succedesse? Cristo, Lys, sono una persona adulta, credi che non ti avrei lasciato il modo di raccontarmi tutto o di spiegarmi?» Era in un ospedale, diamine, doveva contenersi. Un’infermiera, infatti, passò di lì guardandolo male perché il suo tono di voce si era leggermente alzato. Sospirò, doveva calmarsi o sarebbe scoppiato lì e qualcuno lo avrebbe cacciato via a suon di calci nel sedere. «Ti ho mai dato modo di credere che io non avrei mai compreso questa situazione che è pessima, cazzo, ma non irrisolvibile. Non lo era almeno, adesso non so.» Si mise una mano sui fianchi. Non aveva mai fatto tanti gesti in pochi secondi. La sua rabbia, che verbalmente doveva essere contenuta, si esternava in quei gesti apparentemente banali. «Non volevi rovinare tutto, adesso pensi di aver sistemato qualcosa?» Si morse il labbro inferiore. Non aveva altro che domande in testa: domande per la serata sulla spiaggia, domande per quella relazione passata tra il suo migliore amico e la sua fidanzata. Domande, nient’altro che domande. Prima o poi il cervello gli sarebbe scoppiato. «Vi siete messi d’accordo, tu e Beat? Vi siete detti ‘oh si, prendiamo in giro quel coglione di Paul, tanto lui si fida di noi’, è andata così?» La cosa più ovvia e naturale che poteva fare era quella di girare i tacchi e andar via, andarsene a casa, magari rompendo qualche oggetto di Beat ma, allo stesso tempo e nonostante tutto, non gli sembrava abbastanza giusto, dal momento che quel dannato amico era in un letto d’ospedale, in bilico tra la vita e la morte. Tornò a sedersi, questa volta su una sedia lontana da Lys di un paio di posti, non che quel gesto infantile risolvesse ogni problema, ma non aveva proprio voglia di sentirla vicina. «Beat è lì dentro, non so se lo vedrò mai nuovamente in piedi sulle sue gambe e tu mi dici tutto questo. Cazzo, Lys.» L’ultima imprecazione fu un misto tra il rassegnato ed il liberatorio. Ormai la frittata era fatta. Lungi dal dare solo la colpa alla sua fidanzata, Paul però stava riversando tutta la sua delusione su di lei essendo l’unica in grado di parlare e di muoversi ancora. L’ennesimo respiro e poi optò per il rimanere il silenzio e vedere se Lys avesse intenzione di replicare qualcosa, qualsiasi cosa che potesse riparare quella situazione. In realtà a Paul non sembrava ci fosse modo per rendere meno sconvolgente quello che gli era stato appena rivelato, ma magari lui era ancora confuso e non riusciva a vedere una soluzione migliore, una soluzione in cui i rapporti con Beat e Lys non sarebbero cambiati.
     
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