where everything begins

Eyr x Matt

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    Avvolto nel mantello rosso mogano, sul pavimento terroso del sottobosco, con la testa fra le mani Eyr riprendeva fiato. Con aria indebolita si stringeva ciocche di capelli biondicci e poi le rilasciava come se, ancora sotto stress, anche le dita non riuscissero ad abbassare la guardia.
    E dire che non era così che era iniziato. All'esordio, di macchie non c'era ombra né sulla divisa né sulla pelle; imperfezioni, quest'ultime, rigate a sangue nell'epidermide, ogni graffio portavoce di un errore diverso commesso quel giorno.
    Il giorno più importante della sua vita.

    Al principio Eyr si ergeva con la schiena tesa e piatta come a voler sfiorare il soffitto di quei sotterranei, e fronteggiava Nero come a tentare con ostentazione di superarlo in statura, come a voler prevaricare suo padre. Sin da bambino Eyr ammirava così tanto quella figura da volerle somigliare quanto più possibile, crescendo però, ricordare la grandezza di quell'uomo non era più abbastanza: da un po' di tempo, Eyr avrebbe voluto superarlo. La setta veniva sempre al primo posto, ma era innegabile che quel desiderio rivestiva un ruolo importante nelle decisioni del giovane. Cosa c'era di meglio dunque di una sfida per ottenere un posto di importanza nella prima e, magari, riuscire col tempo ad esaudire il secondo?
    A tempo debito aveva scelto quello che avrebbe fatto da background all'iniziazione, il bosco, un luogo in cui si rifugiava quando voleva pensare senza però sentirsi solo. Infatti anche in quel momento, camminando tra i rovi che graffiavano i pantaloni, a Eyr parve di udire il respiro degli alberi e delle creature celate nella loro ombra, dozzine di fiati che si facevano uno perpetuo, senza fine.
    Di solito erano per lui presenze amiche quasi confortanti ma non quel giorno. In quel momento c'era un'unica esistenza nel fitto fogliame che passando surclassava le altre mettendole a tacere, innocue, perché solo uno era il suo obbiettivo e rispondeva al nome di Eyr.
    Avvertiva Nero intorno senza capire dove fosse, lo inseguiva e non aveva idea di quanto vicino fosse. Aveva mantenuto i nervi saldi anche quando l'andatura si era messa a correre e il sudore scivolava negli occhi facendoli bruciare; cercare quel simbolo era la sua missione, e farlo prima di Nero una promessa fatta a se stesso. Più correva e credeva di allontanarsi, più gli sembrava di avvertire il respiro del padre sulle vertebre cervicali, il fiato gelido e calmissimo di chi sa di averti in pugno gli rizzava i capelli sulla nuca. Scartò malamente a destra, intravedendo sul tronco di una quercia millenaria quello che stava cercando e caracollando verso di essa. Fu in quel momento che di fronte a lui si palesò la una figura, suo padre, il cui palmo si andò serrando intorno alla sua spalla. Da lì in poi, i suoi ricordi si incendiavano sotto il potere dell'uomo, e Eyr fu a tanto così dal cedere alla trappola. Innumerevoli erano i vizi che lo affliggevano, nessuno forte come il fuoco e l'infliggere dolore con esso, spezzare vite, famiglie. Non l'aveva mai provato con una tale intensità. Distruggere, in quel momento non voleva fare altro che guardare la foresta, le case, Besaid e persino se stesso andare in fiamme. Si sarebbe dato fuoco pur di rilasciare quella folle urgenza. Dimentico della missione, Eyr si aggrappò alla quercia e di fronte vi cadde in ginocchio, le mani nelle pieghe del mantello e nei vestiti alla ricerca di qualsiasi cosa potesse creare una scintilla, ma le sue dita si richiusero sul nulla. Dopo esserla strappata dal viso e averla buttata di lato, la maschera veneziana atterrò nel terriccio con un tonfo inaudibile.
    Si piegò in avanti, Eyr, mani e avambracci nella terra mentre Nero, sempre nei paraggi, gli poneva domande insieme a quello che sembrava un coro di voci, più lievi e sparse, ma presenti. I vicecapi erano lì e anche loro lo circondavano. Era sul punto di fare di tutto, di rispondere a quelle insidiose domande pur di dar sfogo al quell'atroce necessità. Avrebbe perso, si, ma a stento ricordava cosa o il perché. Aprì la bocca, Eyr, gli occhi serrati. Prese fiato, stava per dire qualcosa. Avrebbe ceduto?
    «Esci fuori dalla mia testa!» L'aveva urlato forte, prendendosi la nuca fra le mani con rabbia e determinazione. Quella giornata Eyr si sarebbe dimostrato fragile, pieghevole, in grado di essere messo in ginocchio da chi era più forte di lui; quel giorno avrebbe dimostrato che, nonostante il carattere, le ambizioni e la forza Eyr era pur sempre un essere umano sul punto di cedere quotidianamente.
    La vera sfida non era quanto vicino alla fine si fosse trovato, piuttosto quanta determinazione gli fosse servita per non perdere.
    Piegarsi senza spezzarsi, questo rendeva un umano degno d'essere ricordato.

    ✻✻✻


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    Con i piedi affondati nella sabbia, Eyr arrotolò le maniche della camicia bianca ai gomiti afferrando poi la bottiglia da un litro di Vodka lasciata temporaneamente di fianco a lui, nelle scarpe eleganti adagiate lì, poi indirizzò gli occhi verso il mare. Era una tiepida serata estiva quella in cui si stava tenendo la festa in onore dell'ultimo vicecapo eletto: lui. Era contento, più felice di quanto fosse stato negli ultimi tempi, ma le emozioni per lui non venivano mai da sole, isolate, quindi era difficile distinguerle. Non era mai solamente e assolutamente felice, dunque, c'era sempre qualcosa che disturbava la quiete e viceversa in un turbine da far impazzire chiunque. Aveva raggiunto il suo recente obbiettivo, tuttavia non si diceva pienamente soddisfatto di come fossero andate le cose. Si era mostrato debole, era stato a tanto così dal perdere e temeva l'avessero notato tutti. Sicuramente Nero l'aveva notato. Tirò un sorso di alcool lunghissimo, mentre le dita della mano sbottonavano di un paio di bottoni la camicia, per poi tornare a far riposare il braccio sulle ginocchia piegate. Con il collo dello Smirnoff tra le dita, Eyr poteva vedere chiaramente il tatuaggio che svettava tra l'indice e il medio, quella e che rappresentava tutto per lui. Dopo aver ingoiato la vodka in tutta la sua purezza, la lingua schioccò contro il palato e Eyr digrignò i denti. Era stato sciatto, avrebbe potuto fare di meglio. Per come era fatto, gli dava fastidio persino l'essere dovuto ricorrere alla particolarità di un altro vicecapo per sbarazzarsi della morsa di Nero sul suo vizio. Sapeva assolutamente come funzionava, sapeva che era impossibile liberarsene da soli ma questo non lo consolava perché, in definitiva, avrebbe voluto dire ammettere di essere come tutti gli altri patetici in circolazione. C'era sempre quel di più da raggiungere, da fare, quel passo necessario per accaparrarsi l'approvazione assoluta di Nero; nonostante quest'ultimo, quella sera, sembrasse soddisfatto di lui per Eyr niente era mai abbastanza.
    Si concentrò sul suono delle onde che si spezzavano sul bagnasciuga a qualche metro da lui, mentre dall'enorme villa dietro le sue spalle giungeva il rumore della musica e il brusio delle persone. La casa era stata presa in affitto appositamente per la serata, c'erano cibo, vino e intrattenimento per una settimana. Era una gran bella festa, quella, ma come al solito Eyr non sembrava in grado di godersi un bel niente.
    Un'ombra si stagliò solitaria sulla sua stessa linea, ingrandendosi ad ogni passo più vicina. Ora al suo fianco, Eyr alzò la testa per riempire di fattezze quella silhouette nera. «Ah, sei tu.» Non sembrava sorpreso, Matt era uno degli esponenti più in vista della setta nonché, stranamente, qualcuno che andava a genio a Eyr. «Qui per celebrare Eyr Njord Evjen e la sua patetica performance? Benvenuto benvenuto, accomodati.» Esclamò con una certa stizza rivolta solamente a lui, poi si aprì in un sorriso un po' alticcio. Alzò la bottiglia di superalcolico facendola tentennare con qualsiasi cosa Matt aveva deciso di bere quella sera, poi torse il busto indietro per guardare verso la casa, come se si aspettasse l'arrivo di qualcun altro insieme all'uomo.
    «Niente missus? Sai, non credo di piacerle.» Si riferiva alla moglie di Matt e non lo disse con particolare dispiacere, girandosi poi per tornare a guardare di fronte a sé, verso il mare. Bevve un altro sorso. «Come è stata la tua? Ti ha incasinato la testa tanto quanto ha fatto con me?» Mosse la mano in un gesto vago all'altezza della fronte, lanciando uno sguardo all'uomo di fianco a sé. Si riferiva alla celebrazione dell'iniziazione di Matt, un evento, quello, a cui sarebbe stato interessante assistere.

     
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    «Siamo stati troppo duri?» Si era voltato alla sua sinistra, staccando le labbra dal calice del vino che stava bevendo. Matt guardò Naavke, richiamato alla sua attenzione dalla sua voce, biascicata stretta per farsi sentire solo da lui. Non piaceva parlare troppo a sproposito a Naavke, in quello erano identici. Non era solito per lui chiedere troppe opinioni a Matt, spesso parlava con lui e si confrontava sulle decisioni che prendeva, le giustificava e se ne raccapezzava mano a mano che compivano assieme i loro passi, i loro lunghi passi che li avevano portati fin lì dopo tutti quegli anni a lavorare nell'ombra assieme. Lui era sempre stato il suo sinistro, Matt ci sarebbe sempre stato lungo quel cammino, ma era pur sempre un secondo appoggio, un gradino sotto Naavke e la sua adorata moglie, che era il suo orgoglioso destro. Spesso era proprio Naavke a sentirsi il destro di Cassandra, lui a portare avanti il ruolo di capo sotto guida e poi consiglio della donna. Ma in quel momento erano soli lui e Matt, i due uomini a confrontarsi, per la sorpresa di Matt, che sorseggiava il suo Macallan liscio, senza ghiaccio, nel suo bicchiere da whisky tozzo e ruvido, il vetro tagliato con mille spacchi che riflettevano le iridescenze della luce del sole al tramonto. Era stata una giornata impegnativa per tutti loro tre, e anche e soprattutto per Eyr. Non succedeva spesso, ed anzi era molto raro che Naavke chiedesse con una domanda simile l'opinione di Matt, troppo stanco per dosare l'uomo dietro Nero, il genitore dietro il capo. In quel momento era Naavke prima di Nero, ma durante l'iniziazione cosa era stato lui? Prima Nero di Naavke? E Matt si era visto come l'Ira o l'uomo, prima e dopo, e cosa pensava di poter fare altrimenti?
    Bevve un sorso di whisky, accettando di buon grado il bruciore che il superalcolico portava con sé. Quando parlava al plurale parlava di lui e sua moglie, non era un plurale maiestatis con cui forzava la mano alla sua figura. Per Matt era stato difficile e terribile guardare le sofferenze di un ragazzo che aveva visto crescere, figurarsi come doveva essere stato per Naavke. Ma non glielo disse, e quella sola domanda chiesta nel chiasso della grande festa che avevano organizzato a suo nome, per il nuovo ruolo, era stata l'unica trapelata fuori dalla maschera di infallibilità. «Doveva esser fatto così.» Si sentì dire. Strappò un sorriso all'uomo, che si appoggiò con la mano alla spalla di Matt, per guardarsi intorno, al di là delle figure che conversavano in piedi, tutte con la bevanda da loro preferita per impegnare il tempo del dehor, prima della cena in onore di Eyr. Continuò a vagare con lo sguardo nel vuoto, perso nel riconoscere tutti i presenti, per cercare l'unico che non riusciva più a identificare nella folla. Poco più lontano, Cassandra si erse in tutta la sua figura, voltatasi a guardare suo marito nel suo lungo vestito da sera chiaro e il flute in mano, e subito intercettò lo sguardo di Matt. Non ci fu bisogno che gli dicessero nulla. Prese con sé il bicchiere, scivolando dalle mani sapienti di Naavke. Un solo monito emesso, un ordine sottinteso trapelato ma non pronunciato. «Vado a cercarlo.»


    Percorse i passi che lo distanziavano fino alla spiaggia, scivolando tra le figure dei partecipanti alla festa, vestito nell'abito elegante che si confaceva alle iniziative di quel tipo nella Libra. Fece scattare le mani attorno al nodo che stringeva la sua cravatta al collo, senza sfilarla, lasciando lì la cravatta color ardesia appesa sulla camicia bianca, e il completo grigio fumo a far da contrasto. Era sempre Anija a scegliere i vestiti da fare indossare al suo uomo, e da quando la vita aveva ricominciato ad essere a colori per lei si divertiva ad abbinare tessuti, tagli, sfumature, e tanti tantissimi strati per gli abiti che indossavano alle cerimonie. L'aveva ritrovata subito nella folla, non aveva bisogno di cercarla, era come se una piccola parte di lei fosse sempre visibile ai margini del suo campo visivo e avrebbe potuto ritrovarla ovunque anche senza guardare davvero. Le aveva lasciato un buffetto veloce nei capelli, una carezza invisibile agli occhi degli altri, le aveva segnalato la sua presenza e i suoi movimenti. Lei avrebbe capito che non era solo uscito a fare due passi sulla riva. La vide parlare con Elise, sua inseparabile confidente da quando era arrivata fino a lì, gli fece un cenno con la testa piegata da un lato, che sembrava voler dirgli che avrebbe capito, l'avrebbe ritrovato dopo. Sembrava serena e leggera, non aveva bisogno di preoccuparsi per lei in quel momento.
    Scorse la battigia con lo sguardo, attento a cercare l'unica figura che gli interessava ed ecco che spiccò la figura di Eyr accovacciato lungo le dune di sabbia. Attraversò i passi che lo distanziavano da lui, scalzando le scarpe fintanto che aveva un pavimento sotto esso, prima di immergere i piedi nei granelli fini dorati. Odiava la sabbia, ma odiava ancora di più che gli si infilasse nelle scarpe, e la sensazione di affondare in esse. Ci mise trecentoventi secondi buoni per raggiungere Eyr, ognuno composto da più di un passo compiuto per superare il tratto che l'avrebbe condotto a lui, contato inavvertitamente da Matt per raggiungere il ragazzo.
    «Ah, sei tu.» Gli si fermò a tre passi, Eyr aveva alzato lo sguardo contro di lui, e la linea del sole al tramonto fece capolino sul suo volto, oltre l'ombra prodotta dal corpo di Matt, fino a cadere giù sui suoi capelli impiastricciati biondi. Matt fece un gesto eloquente, come a volergli dire di sì, ma con un lieve fervore, non così pronto a tradirsi per essere corso lì proprio lì in suo aiuto, sapeva che il ragazzo non l'avrebbe apprezzato. «Mhm.» Abbozzò, sapendo che avrebbe parlato ancora. Si sporse sulla sua figura, inarcandosi fino a poggiare le braccia sulle gambe, e le ginocchia sulla sabbia, poi si sedette sulla duna accanto a lui. Non avrebbe portato solo sabbia dalle scarpe una volta tornato a casa, Anija sarebbe stata in grado di farlo spogliare nel pianerottolo appena l'avesse raggiunto con una prima occhiata.
    «Qui per celebrare Eyr Njord Evjen e la sua patetica performance? Benvenuto benvenuto, accomodati.» Si mosse senza pensarci il suo corpo, vicino ad Eyr per far tentennare il suo bicchiere contro la sua bottiglia, l'odore della vodka ebbe l'effetto di fargli ricordare istantaneamente tutte le volte che l'aveva data di stomaco, tutte le volte per cui aveva deciso di non ingerirla più. Beveva poco e bene adesso Matt, era diventato parco e selettivo nelle sue scelte. Non gli disse nulla che avesse a che fare con l'alcool comunque, Eyr lo conosceva abbastanza bene e a lungo da sapere cosa pensasse - e come agisse - a riguardo. «Pensi che sia stata la più patetica?» Si voltò per parlare direttamente con lui, faccia a faccia. Aveva degli occhi irrequieti e giganteschi, così scuri che era difficile scorgervi la luce filtrare attraverso. Se ne potevano vedere pochi così là dove abitavano, tutti o quasi con i loro occhi chiari, compreso lui. «Puoi chiedermi, ne ho viste abbastanza da poter giudicarle in classifica.» Era sottinteso che Matt non pensasse che fosse andato così male, anche perché se avesse avuto una opinione diversa non sarebbe andato lì a cercarlo. O forse sì - si disse, rendendosi conto che in quel caso sarebbe stato lui stesso a sentirsi guidato e chiamato dalla folla a cercare il ragazzo dai suoi capelli impiastricciati. «Penso che tu sappia che non tutti gli iniziati che si sono sottoposti alla prova sono qui per raccontare come sia stata patetica.» Si lasciò scappare, detto così, bevendo un sorso del suo bicchiere. Il vento cominciò a soffiare vicino a loro, sollevando la sabbia poco più distante, qualche granello sui pantaloni di Matt e qualcuno perso tra i capelli di Eyr. Era il periodo dell'anno più caldo per loro, era quasi piacevole sentire il calore sulla pelle. Anche tramontato completamente il sole, la temperatura minima sarebbe stata benevola, avevano a disposizione tutta la serata per recuperare anche solo le loro chiacchiere. Era per questo che l'iniziazione veniva svolta in quel periodo, era più piacevole rifocillarsi o disperarsi dopo.
    «Niente missus? Sai, non credo di piacerle.» Schioccò la mandibola, schiarendosi la voce. Dovette trattenersi dal non ridere e glielo si poteva leggere in faccia, a quella distanza non era poi difficile immaginare le sue espressioni e leggerci dietro una supposizione, era esattamente come il viso di Matt si mostrava. «Già. Non saprei.» Gli vennero in mente le varie facce di Anija quando le toccava accogliere nella sua dimora i coniugi Evjen e i suoi figli. Non è che non le piacessero, in realtà non gli aveva mai detto nulla di conto, né in un senso né nell'altro. Aveva un senso particolare che attribuiva all'autorità, avendo vissuto una vita come la sua le era naturale evitare di associare troppo una figura a qualcosa, e collocarla in una precisa funzione. Sapeva bene cosa pensava di altre persone - per esempio adorava Beatrice, la sua editor, e Matt non sapeva mai come muoversi in casa quando c'era lei e parlavano delle storie che stava scrivendo. Ma era grata a quell'ambiente, che sapeva le aveva donato una seconda occasione, perciò non avrebbe mai pensato qualcosa di davvero negativo su Eyr. Forse non ci aveva mai pensato affatto. «Non sei sulla sua lista nera, se questo ti rassicura. Almeno non ancora.» Gli venne in mente subito dopo che forse Anija gli avesse detto qualcosa sul fatto di aver visto bazzicare spesso la sua Elise con Eyr, e non ricordava il seguito di quel racconto, ma non doveva essere poi così male. Era diventato troppo vecchio per far caso alle brache che potevano circolare nell'organizzazione. Tornò a guardare Eyr dopo aver fatto correre lo sguardo sulla linea sinuosa del mare che bagnava la spiaggia, ancora ed ancora. «Come è stata la tua? Ti ha incasinato la testa tanto quanto ha fatto con me?» «Mhm.» Disse di nuovo, istantaneamente, un verso di assenso e dubbio assieme, un verso tirato su da qualcosa che gli saliva nel petto e lo faceva fremere. Era stato molto più doloroso e incasinato guardare Eyr soffrire all'iniziazione di quanto avesse immaginato, e di quanto avesse sofferto in effetti lui alla sua. «In realtà non ricordo più molto di quella sera.» Disse, un pò biascicando, una frase veritiera. Lui adorava i figli di Naavke, li adorava molto più di quanto gli facesse piacere pensare, e guardare una persona che adori soffrire significa smontare pezzi di te e metterli a posto sottosopra - non vanno mai più al posto giusto dopo, per quanto tu possa provare a reincastrarli. Non lo sapeva Matt cosa significava, non l'aveva saputo per molto tempo prima di circondarsi di affetti a cui tenesse davvero. Aveva cominciato a pensarlo spiando Anija quando provava a usare il suo potere per materializzare l'ombra di qualcosa che aveva conosciuto e perso, e a quel tempo non aveva ancora recuperato la vista. Era particolarmente difficile per lui guardare da così vicino quando non poteva essere visto, e giudicato per quello.
    Guardò Eyr, di nuovo, quando l'aveva perso per un pò, impegnato a pensare e a non vedere, estraniatosi totalmente dalla realtà che lo circondava. «Quando uso il mio potere perdo parte della memoria.» Era vero. La sera della sua iniziazione di tanti anni prima era sbiadita nella sua testa, e forse quello era un miracolo a sé. «Forse non te l'avevo mai detto.»
     
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    nome: Eyr Njord Evjen
    song:
    scheda:
    mood: frustrated
    Odiava sentirsi sconfitto, corroso dal dubbio che nelle vene bruciava come gasolio in procinto di prendere fuoco. Avrebbe voluto dire che non facesse parte di lui, ma allora non si sarebbe ritrovato seduto a ubriacarsi lasciando scivolare sé stesso nell'autocommiserazione. Per fortuna quei momenti di profonda caduta capitavano raramente, quello sì, cadevano come bombe senza mirare a un bersaglio ma atterrando semplicemente su quello più vicino, che fosse pianta, casa o uomo. Di solito Coco, a volte Eld e molto spesso Elise. Sentiva strisciare l'imbarazzo sotto le unghie e nella pancia. Se da euforico invasato era pericoloso, in quelle condizioni i rischi nello stargli vicino aumentavano considerevolmente.
    In notti come quella, la gente avrebbe fatto meglio a lasciarlo solo. Completamente solo.
    Quando l'ombra si era stagliata sulla sabbia e raggiunto la sua, per qualche secondo le due si erano sovrapposte tanto perfettamente da non saperle più distinguere. Si fermò ad osservare quel groviglio che sembrava un buco nero sulla spiaggia, notando con un pensiero fugace quanto sembrassero simili lì per terra, solo le due ombre e più in là il mare, come un padre e un figlio in attesa di qualcosa. Poi si voltò e il sogno finì non appena incrociò gli occhi dell'uomo, troppo chiari e troppo grandi per appartenere al suo stesso corredo genetico. Peccato. Ma lo era davvero? Pensò mentre le labbra dicevano altro che non c'entrava nulla con quello a cui stava pensando. C'erano parecchie cose che Eyr desiderava e tra queste spiccava l'essere figlio di Naavke. Non ricordava un giorno in cui non lo aveva voluto con ogni fibra del suo essere e, col tempo, in quel desiderio avveratosi solo a metà si era piantato il putrido seme del rancore, del risentimento, che con l'amore si rincorrevano in un moto perpetuo e snervante. Distruttivo. Voleva l'approvazione dell'uomo, la sua stima, e le voleva a modo suo, di certo non condivisa con un'altra dozzina di ragazzi. «Pensi che sia stata la più patetica?» «Non lo è stata?» Chiese, il tono lugubre reso più rauco dall'alcool e dall'ira. Spostò lentamente lo sguardo di nuovo sul mare. Era nero come si sentiva lui, che senza le morbide mani e le magiche visioni di Eld era completamente cieco. Avrebbe voluto che l'amico fosse lì a illuminargli il cammino, ma doveva accontentarsi dell'uomo che si era seduto al suo fianco senza che Eyr se ne rendesse davvero conto. A volte si perdeva mancando secondi, minuti e addirittura ore di tempo senza ricordare assolutamente niente, come se il suo corpo fosse lì ma la mente da tutt'altra parte, persa nelle megalomani e macchinose idee che gli frullavano in testa h24. Rimase ad ascoltare in silenzio quando Matt parlò di nuovo, concentrandosi tuttavia più sulla voce che sulle parole pronunciate. Il fatto che la trovasse così tranquillizzante lo faceva incazzare. «Me ne sbatto le palle degli altri iniziati.» Scrollò le spalle bevendo l'ennesimo sorso, un goccio troppo affrettato e già ubriaco da poter ingoiare senza che andasse di traverso. Infatti prese a tossire con le spalle ricurve in avanti e la testa china fra le ginocchia, sputò quella scarica di colpi come una mitraglietta che spara impazzita per pochi secondi e poi smette di botto, solo che il rumore non smise del tutto ma si trasformò in qualcosa di diverso ma di altrettanto disturbante. Una risata insensata gli scosse le spalle mentre Eyr si raddrizzava di scatto e guardava nella direzione dell'uomo, gli occhi lucidi prima per lo sforzo di non soffocare e, dopo, di ridere. A farlo sbellicare così erano state le rassicurazioni che Matt ancora una volta gli forniva credendo che il problema per Eyr fosse essere odiato da quella sua moglie austera e bellissima che tutti gli invidiavano e non capendo che, invece, era proprio l'opposto. «Devo impegnarmi di più, allora.» Stirò le labbra in un sorriso che le rese ancora più sottili senza lasciare intravedere i denti. Matt e Anjia erano alla stregua di una power couple holliwoodiana, anche se sarebbero sempre venuti secondi alla royal couple che erano Naavke e Cassandra. «Qualche consiglio su un metodo efficace per farle saltare i nervi?» Allargò il sorriso irritante, anche le braccia compirono quasi il medesimo gesto aprendosi lungo i lati per rimanere qualche secondo sospese a mezz'aria. Si chiese se si amassero, quei due, si chiese cosa fosse quel sentimento che da sempre gli sfuggiva, messo a repentaglio dall'ossessiva ambizione di possedere qualsiasi cosa o persona a cui tenesse. C'era chi diceva che quello non c'entrasse nulla con l'amore e che fosse solo tossicità mascherata male, allora perché si sentiva morire ogni volta che era sul punto di perdere Elise? Ormai la bottiglia era leggera nella mano e Eyr la lasciò andare, ficcandola tutta storta nella sabbia di fianco a lui. Come stimolato dall'accenno alla sua particolarità Eyr estrasse da una tasca il suo prezioso zippo, che fece scattare osservandone la fiammella danzare ed essere spenta da un soffio del vento proveniente dal mare. «Non lo sapevo.» Confermò il ragazzo tornando a guardare Matt grazie a un mezzo giro del collo sulla propria asse. Nella penombra gli sembrava di scorgere ancora la fiamma, stavolta non con sfondo sabbia ma sul viso dell'uomo. Doveva essergli rimasta impressa sulla retina come quando si osserva troppo a lungo il sole. Evitò di nuovo di sostare troppo a lungo con lo sguardo nel suo: senza gli occhiali da sole a proteggerlo la morte sostava letteralmente dentro le pupille degli altri, in attesa di una svista per mostrarsi a Eyr. «Capita ogni volta?» Era curioso di quella particolarità così vicina alle sue inclinazioni naturali e per niente "magiche". Il fuoco per Eyr era un'ossessione e basta, anche se avrebbe voluto riuscire a controllarlo come faceva Matt. «Il fuoco mi piace, non so se hai notato.» Iniziò passando la punta della lingua sul taglio fresco ricevuto chissà come durante l'iniziazione, rigirandosi poi l'accendino fra le dita sottili come a studiare nel buio quella geografia che conosceva a memoria. «Deve essere una sensazione bellissima riuscire a sottometterlo come fai tu.» Lo osservò di nuovo e questa volta con maggiore intensità, senza spostare lo guardo poco dopo come era solito fare ogni volta che non aveva un divisorio tra le sue pupille e quelle degli altri. «Ti senti invincibile, vero?» Si chiese cosa avrebbe visto in quelle iridi azzurrissime, quale morte gli si sarebbe palesata davanti.


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    Michael Fassbender aveva 23 anni in questa gif, si, lo so, I AM NOT CRYING YOU ARE.



    Da giovane, Matt aveva avuto un bellissimo viso. Non che non lo avesse più, adesso. Era un viso egualmente bello, ma maturo, l'età sui suoi occhi grevi sembrava star meglio dipinta in volto con una naturalezza che adesso gli apparteneva, quando nel passato sembrava stonare sulla perfezione dei suoi lineamenti, e della pelle levigata senza alcuna increspatura. Chissà se erano state le sue tribolazioni ad aver reso il suo volto segnato da infinite e minuscole crepe, o l'età reclamava davvero inesorabile il passaggio dei tempi di tutti. Beata gioventù.
    Guardò Eyr, chiedendosi come avrebbe potuto condividere parole che lo distraessero da quello che aveva vissuto. Matt lo aveva capito subito, dal dopo la cerimonia, che il ragazzo, come lo chiamava lui, se ne sarebbe fatto un cruccio personale. Lo aveva potuto osservare dal suo modo di torcersi i capelli nelle ciocche lunghe, che era un gesto che faceva spesso, ma che stavolta commetteva torcendo la ciocca e tirandola, annaspando nella stretta come se vi si potesse appigliare; nell'andatura lenta, di chi sente il peso del mondo sulle sue spalle; nel suo modo di scrutare con gli occhi angosciati tutti coloro che aveva attorno, nel cercare negli occhi degli altri la derisione dell'essersi mostrato vinto e non vincitore.
    Eyr era più che un ragazzo però. Matthew misurava la sua vita pensando a chi era lui prima della Libra e dopo di essa, e se quando aveva incontrato la Libra era un ragazzo, e aveva vent'anni, tutti quelli che avevano superato quell'età non potevano che essere uomini. Ma Matt sapeva qualcosa di più che si celava nella sua sofferenza, ed era quanto peso avesse nelle loro vite, entrambe, la presenza totalizzante di Naavke, padre e capo, mentore e spalla. Non era possibile dire di no a Nero, così come non era contemplabile l'idea di poterlo deludere. Matt era convinto che fosse eloquente, quanto fossero simili su quell'aspetto. Eppure in certi momenti, così come allora, con Eyr concentrato sull'esito dell'iniziazione, era difficile ricordarglielo, che ne facesse monito per ricordarsene, e forse, sentirsi meno solo.
    Guardò Eyr, nella sua posizione ricurva, entrambi seduti sulla sabbia con il vento leggero ridotto ad una brezza a veleggiare intorno. Aveva un viso spigoloso e magro, con un naso grande dal taglio importante, che si stagliava lì dritto, perfettamente incastrato al centro del volto. In qualche espressione gli sembrava simile a sé, e si diceva che era stata l'influenza di Naavke su entrambi ad averli resi tali, forse sofferenti, forse consci di mitizzarlo. Era un pensiero che non aveva un seguito o un nesso logico, andava bene così come era, senza un perché, gli passava attraverso e lo superava.
    Matt aveva scosso la testa alla sua domanda. No, non era stata la peggiore perché altre persone erano spirate, invece, uno addirittura per mano sua, altre anime erano ricadute con il loro peso su altri vicecapi. Era così che funzionava quella pseudo oligarchia: le loro mani dovevano sporcarsi assieme, a turno, e nessuno poteva tirarsi indietro; non che nessuno sentisse il piacere di rifuggire dalla condivisione. Non ebbe bisogno di dirlo ad alta voce, e non lo disse ad Eyr. Le parole dette erano bastate a sentenziarlo. Fece schioccare la lingua, di nuovo, prima di bere il whisky a lunghe sorsate, finendolo. Il ghiaccio rimase a tintinnare nel bicchiere, bagnando le labbra perennemente spaccate di Matt, un rivolo della condensa emessa scivolò giù sulla mano sinistra, fino all'avambraccio, regalandogli una vaga sensazione fastidiosa di solletico.
    Così come il solletico stuzzicò Matt, Eyr bevve un sorso che gli andò di traverso: tossì annaspando aria, tanto che Matt si voltò in sua direzione pronto ad intervenire se fosse stato necessario. Nulla poteva accadere e farla franca sotto il suo sguardo, tantomeno qualcosa ad Eyr quando era in sua custodia. Ma il ragazzo si riprese, rimettendosi a ridere. Non aggiunse subito altro alla frase su Anastasija. Sapeva che anche al ragazzo non andasse a genio: erano diversi, semplicemente, tanto quanto lo erano due rette parallele che mai avrebbero potuto incrociarsi, non aveva bisogno di metafore più rassicuranti di quella. Perciò a guardarsi lì, come anime alla deriva, ricoperti di sabbia fin dentro i vestiti, sbottonati e in disordine, Eyr che si commiserava e rischiava di affogarsi, Matt che aveva addosso l'impaccio di non saper fare il padrino nel modo giusto, gli venne da ridere, gli venne da ridere così tanto che ci si affogò pure lui in quella risata, emettendo la sua risata roca e greve, scura, che sembrava far tremare le dune attorno, e coprire il rumore del vento e della festa a un chilometro da loro. « Scusa. » Gli disse. Peccato che Eyr non ebbe potuto registrarlo. Matthew Morgestern poteva avere torto marcio, ma lui non si scusava. Mai. A litigare con Naavke non aveva mai avuto il cuore, ma quando commetteva un errore lo si poteva guardare far la sua solita faccia greve e camminare su e giù per la stanza dove si trovava, sotto lo sguardo perplesso del capo; con Anija talvolta sbraitava nelle quattro parole che ricordava di tedesco, nell'accento strascicato di Amburgo dei suoi genitori, e poi sbatteva qualche oggetto per far rumore, senza avere troppo l'ardore di rompere qualcosa nella loro bella casa. Con gli altri, meglio che non si fosse saputo, ma il tempo l'aveva ammorbidito: i legami che aveva svogliatamente cucito adesso legavano lui a loro e non il contrario. Malgrado il miglioramento, era sempre un uomo con un caratteraccio indomabile e sconfortante. Proprio come Eyr.
    « Far saltare i nervi di Anija? » Chiese, un vago tono scettico a far da fondo alle parole. Lo guardò infilare la bottiglia nella sabbia, entrambi erano rimasti a secco. Adesso potevano continuare a parlare con le gole roche dall'alcool lasciandosi stordire dal rumore delle onde che si infrangevano sul bagnasciuga ritmicamente, senza intervalli di bevuta a far da eco alla frase di uno in risposta all'altro. « È più paziente di quanto sembri. » In realtà se lo chiese pure Matt, allora, se Anija potesse sembrare agli altri paziente o meno. In passato gli era sembrata una ragazza impulsiva, determinata e capricciosa. Adesso la sua opinione di lei era cambiata, e non aveva che parole di pregio e virtù per lei, almeno nella sua mente, perché a cuor leggero non lasciava andare proprio nulla delle sue opinioni agli altri. Ma se glielo avessero chiesto direttamente, Eyr o chicchessia, sarebbe stato un altro paio di maniche. Lo guardò aprire il suo zippo, quello che portava sempre dietro con sé, proprio come faceva Matt con i suoi accendini, ne aveva a bizzeffe sparsi ovunque, e per ovvi motivi non faceva mai a meno di portarne uno in ogni tasca del proprio abbigliamento. « Se dovessi incendiare la sua serra sarebbe capace di perseguitarti all'inferno. » Anija e la sua serra erano un tutt'uno. A dirla così sembrava una cosa banale, ma sua moglie amava la natura, amava le piante che aveva fatto crescere. Sentiva il bisogno di carezzare le foglie, di parlare con loro, di articolare pensieri e prendersi cura delle gelate, delle folate di vento, di intervenire come poteva. Sì, se doveva confessargli un grande torto che avrebbe potuto farle, era quello. « Ti direi attento a non bruciare casa, ma non penso di essere la persona più giusta per dirtelo. » Toh, alla faccia di quello che potevano dire di Matt il burbero: aveva fatto una battuta.
    Sentì il rumore dello scatto dell'accendino che si apriva e chiudeva, e guardò il ragazzo parargli gli occhi nei suoi, prima di deviarli. Non c'era bisogno di dirgli che non lo confidava a gran voce. Nella setta stessa erano in pochissimi a saperlo, ma non vedeva alcuna remora a che Eyr ne fosse a conoscenza. In qualche modo aveva immaginato potesse esserne già a conoscenza, anche se non ne era sicuro. La loro era una famiglia disfunzionale, ma era pur sempre una famiglia. « No, non capita sempre. » Mormorò. Distese le gambe di fronte a lui, posò gli occhi azzurri sul mare blu. Il suo potere era molto complicato e molto semplice assieme, difficile a raccontarsi come se fosse qualcosa che accadeva e si spiegava secondo una legge definita. « Non è mai lineare. » Ricominciò. « Ho imparato a capire che in base ad alcune circostanze posso perdere il controllo, e per perdere il controllo intendo quello su me stesso e sui miei ricordi mentre uso il potere. » Non sentì di essere stato molto chiaro. Distese anche le braccia, lasciandole andare indietro per tenersi sù, poggiandosi su di esse, mentre guardava il profilo di Eyr, il contorno della sua sagoma alla luce del sole che calava. « Ho notato. Ne sei stato affascinato da che eri alto così. Non so se te lo ricordi, ma ci giocavi parecchio. » Aggiunse. Anche Matt era stato ossessionato dal fuoco, per un periodo della sua vita, confuso e tormentato, quando aveva pensato di aver amato e quell'amore gli era stato tolto. Molti anni dopo sarebbe arrivata Anija, ma fino a quel momento era stato davvero un'anima alla deriva, così come si era immaginato lì con Eyr su quella spiaggia. Alzò la mano a mezz'aria ad indicargli quanto fosse stato piccolo, alludendo al fatto che lui ci fosse stato, ne era stato testimone e partecipe. « In parte sì. Quando non vivo emozioni forti a distrarmi, ho un controllo totale del potere. Posso anche renderlo innocuo. » Il suo potere lo definiva, il suo potere l'aveva scelto. Matt sapeva essere cauto con esso, quanto sapeva indugiarvi. Lo odiava e lo amava, era una parte di sé che se gli fosse stata mai tolta l'avrebbe reso un guscio senz'anima. Guardò Eyr pensando che in effetti si sentiva davvero invincibile, talvolta. Con l'accendino acceso di Eyr, Matt fece guizzare la fiamma in sù, facendola ardere più forte e più in alto, e questa raggiunse un colore blu iridescente espandendo i lembi di fuoco in spirali sottili che si dipanavano da essa, curvandosi all'interno e scomparendo su se stesse. Era come se lo stesse invitando a fare un tuffo nel passato, nei suoi ricordi.
     
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3 replies since 22/8/2021, 17:42   147 views
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