Some friendships are timeless.

Ekatarina & Skyker | 15.05.2021 | Pomeriggio

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    Un alito di gelido vento lambiva il suo delicato profilo, ma ella non pareva in alcun modo turbata. Invero camminava con una tranquillità che si contrapponeva alla frenesia dei passanti: il suo incedere era così delicato da sembrare fluttuante, le sue gote piene appena arrossate e il suo sorriso disteso e rilassato. Aveva trascorso una giornata che altri avrebbero definito perfetta — un successo accademico non da poco aveva bussato alla sua porta —, ma che ella preferiva catalogare fra quelle appena migliori del solito. No, il suo intento non era sminuire i propri brillanti risultati o, peggio, fingere di farlo per ricevere complimenti da chi la ascoltava, quanto più quello di provare a normalizzare ciò che accadeva intorno a lei e a reagire in maniera contenuta e non lesiva per la propria persona. Ogni volta che aveva esultato in modo eccessivo o troppo concitato, purtroppo, si era poco dopo ritrovata seduta sul pavimento del primo bagno utile, tremante ed intenta a fronteggiare un forte attacco di panico. Seppur fossero ormai passati diversi anni dall'incidente, infatti, Ekatarina risentita ancora di quel martellante senso di colpa e di quella sensazione di cordoglio e angoscia di non poter condividere la propria gioia con chi avrebbe voluto, dunque — a costo di sembrare un'ingrata — preferiva rispondere alle buone notizie con un sorriso e nulla più. Incapace di godersi la vita a tutto tondo? Forse per taluni lo era, ma il giudizio altrui — almeno in quel limitato contesto — le importava il giusto, cioè molto poco. D'altro canto, nel suo piccolo giornalmente affrontava una battaglia di cui non era tenuta a parlare con nessuno, ma che anzi spesso nascondeva come polvere sotto il tappeto. Le rare volte in cui si ritrovava a conversare con una persona nuova e a dover descrivere la sua famiglia, infatti, — se poteva e se ciò non risultava strano o forzato — evitava di menzionare Fedora e di rigirare il coltello in quella ferita dell'anima che non si era mai chiusa. Irrispettosa verso la sua memoria? Non credeva di esserlo, perché dopotutto non aveva e non avrebbe mai avuto l'intenzione di cancellare il ricordo di sua sorella, bensì quella di proteggerlo ad ogni costo. Per quanto doloroso fosse tenersi tutto dentro, insomma, per ironia del destino o istinto di autoconservazione la giovane Ivanova-Brown era protettiva più di quanto non lo fosse stata quanto Fedora era in vita. Triste ed inconcludente? Oh, di certo il suo comportamento lo era, ma — visto il modo in cui si era per inerzia trascinata negli anni, arrivando a sopravvivere, piuttosto che vivere — Ekatarina era convinta di aver fatto quantomeno un piccolo progresso e sarebbe stato crudele spostare il suo precario equilibrio e distruggere il suo piccolo idillio.
    Sicché, mentre stringeva al petto una cartellina che conteneva una copia dell'articolo che presto sarebbe stato pubblicato, procedeva spedita verso il parco cittadino. Quel luogo era una tappa obbligatoria per Ekatarina: qualsiasi fosse il tempo meteorologico o lo stato della sua agenda, infatti, la giovane dei biondi crini si recava sotto un grosso albero sito al limitare del giardino — non a ridosso della strada o dell'uscita, ma nemmeno vicino alla zona dove i bambini si riunivano per giocare — e si accomodava per almeno un'ora al giorno. Un'abitudine singolare, lo riconosceva, ma che faceva parte di quelle piccole attività che l'avevano aiutava a riprendersi dal suo forte crollo emotivo. Quando per lei era impensabile persino uscire sul balcone di casa e sporgersi per afferrare un frutto dal ramo di fronte, infatti, il suo terapeuta di allora le aveva assegnato dei piccolo esercizi di vita quotidiana da svolgere ogni giorno e, anche se un tempo aveva davvero faticato a seguirli, ormai parzialmente guarita continuava a svolgerne alcuni.
    Inoltratasi nel parco come di consueto, dunque, si accinse a raggiungere il suo posto sicuro. Non appena superò la zona dedicata alla svago dei più piccoli, tuttavia, il suo sguardo venne attirato da una figura conosciuta.
    « Skylar? »
    Ekatarina pronunciò quella sola parola con inflessione interrogativa, mentre la sua fronte si aggrottava e le sue labbra assumevano una smorfia alquanto confusa. Era contenta di vedere la ragazza, tuttavia si chiedeva perché ella fosse a Besaid in quel particolare periodo dell'anno. Visita ai genitori? Poteva essere un'opzione, ma ciò non avrebbe spiegato l'esigenza di ricercare la solitudine in quel luogo. Così, dopo essersi affrettata a cambiare espressione ed assumerne una più distesa e consona all'incontro di una vecchia amica, decise di chiedere.
    « Sei in vacanza? Non ci vediamo letteralmente da una vita! »
    Un velo di incertezza adombrò la voce di lei alla fine della frase, non perché quell'ammissione la mettesse a disagio in sé per sé, quanto più perché — almeno da parte sua — il motivo del loro allontanamento era piuttosto triste. Skylar, infatti, era sempre stata una compagnia positiva per Ekatarina, ma la morte di Fedora aveva reso la nostra protagonista uno spettro incapace di socializzare. Nulla a cui, tuttavia, non si potesse rimediare — no?
     
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