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Ekatarina & Zachary | Besaid University | 02.06.2021 | ora di pranzo

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    I suoi cristallini occhi azzurri saettavano da un lato all'altro dell'enorme aula, quasi come a voler cercare conforto nello sguardo di qualche spaesato studente o di un viso conosciuto. Quella di continuare con la carriera accademica non era stata per lei una scelta obbligata — avrebbe potuto cercare lavoro in qualsiasi azienda o investire su se stessa e proporsi come traduttrice o consulente per qualche azienda locale —, bensì una decisione che aveva ponderato per mesi e mesi e che non aveva preso a cuor leggero. Nel suo immaginario, forse un po' distorto dal suo tragico vissuto e dalla sua sopita indole da sognatrice, si era infatti palesata una realtà in cui mettere le proprie conoscenze a disposizione degli altri l'avrebbe potuta aiutare a lenire quel senso di inadeguatezza che la tormentava e a sentirsi utile, ma forse si era sbagliata e aveva fatto il passo più lungo della gamba.
    Sicché si ritrovava in quell'auditorium con gli occhi di decine di studenti puntati sulla sua figura e, mentre sistemava le slide che aveva con cura preparato, non riusciva a non tormentarsi e domandarsi se ci fosse qualcosa di sbagliato in lei. Addirittura, notando uno sguardo che interpretò come una velata critica, cominciò a chiedersi se il suo abbigliamento non fosse troppo casual per l'occasione. Pur essendo cosciente che gli insegnanti più estrosi fossero capaci di presentarsi a lezione con una cravatta di Topolino o con un paio di sandali da mare, infatti, Ekatarina non riusciva ad ignorare l'irrazionale voce nella sua testa, che — fastidiosa e stridula come il gesso che strisciava sulla lavagna — non faceva che enumerare i difetti di quel tailleur azzurrino e di quella camicetta bianca che aveva scelto. « Avrei dovuto optare per il nero, forse questo tocco di colore mi fa apparire frivola. », era il preciso pensiero che risuonava nella sua mente al momento vuota e che ella fu costretta a scacciare con un leggero e quasi impercettibile movimento del capo. Doveva concentrarsi. Sapeva di doverlo fare.
    « Se siete tutti pronti e operativi, dunque, inizierei con la mia presentazione. »
    Allora affermò con voce professionale e appena distaccata, prima di accendere lo schermo alle sue spalle e dare inizio a qualcosa che la spaventava a morte: la sua prima lezione universitaria senza supervisione.
    Appena la copertina del suo recente articolo era apparsa sulla lattea lavagna presente in aula, le parole avevano iniziato a scorrere dalle labbra di Ekatarina come un fiume in piena e, ormai a due ore di distanza, decisamente ella era pentita di aver provato così tanto disagio e di non essersi goduta il suo esordio. Nonostante ciò, ben lungi era dal tediarsi più del dovuto o dal non riconoscere quanto lunghi fossero i passi che aveva compiuto: anni addietro, dominata dalla paura di essere giudicata, di sentirsi male in pubblico o di essere inadeguata al ruolo assegnato, avrebbe declinato l'invito dell'insegnante, accuratamente evitando di esporsi o gettando nel dimenticai un articolo che — per quanto ella non amasse vantarsene — era stato un successo sotto ogni punto di vista. Anzi, se si soffermava per qualche istante a pensare al suo passato, ella stessa riconosceva che, se quella molla in lei non fosse scattata grazie a Dimitri, probabilmente non sarebbero esistiti né la borsa di studio che le permetteva di affrontare serenamente il dottorato, né tanto meno la possibilità di scrivere un articolo su una rivista così prestigiosa.
    Così, mediamente soddisfatta del suo operato — il suo carattere ancora insicuro e di base ambizioso non le permetteva di essere del tutto oggettiva e quindi totalmente soddisfatta di com'erano andate le cose quel giorno —, sistemava con precisione il materiale da lei utilizzato, sperando in cuor suo di sbrigarsi e potersi concedere ciò che più credeva di meritare: la pausa pranzo.
    Non era mai stata una persona eccessivamente legata al culto del cibo, ma — nonostante il suo pregresso problema con i posti affollati — da sempre trovava rassicurante la mensa dell'università. Forse perché un po' le ricordava il momento in cui mangiava con gli altri bambini ad Aniva o, cosa più probabile, perché quel posto era una sorta di crocevia ove il tempo si fermava. In quel luogo i problemi sembravano non esistere più — a nessuno veniva in mente di piangere nel proprio pranzo — e le gerarchie sembravano essere annullate: non vi erano zone riservate agli insegnanti o cose del genere, ma anche loro si limitavano a fare la fila con gli studenti e ad occupare il primo tavolo libero. Intenzionata proprio a far ciò, dunque, si immise nel flusso di persone e si alzò in punta di piedi per cercare un viso conosciuto. Fu in quel momento che, a pochi passi da lei, notò un uomo con cui in passato aveva scambiato più di qualche parola.
    « Buongiorno Zachary. »
    Ekatarina esordì con voce cordiale, appena un minimo distaccata. Era ormai trascorso un anno dal momento in cui la russa era passata "dall'altra parte", ma ancora non riusciva ad abituarsi all'idea di non esser considerata una semplice studentessa.
    « Spero che la tua mattinata sia andata bene. »
    Continuò, mentre si sporgeva per recuperare un vassoio.
     
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