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EKATARINA & MORGANA | BESAID UNIVERSITY | 10.07.2021 | POMERIGGIO

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    « Ci affaccendiamo ogni giorno per stabilire quale sia il modo giusto per esprimere quanto ci frulla per la testa, tuttavia di rado ci capita di riflettere sul valore di qualcosa che ci permette di preservare la nostra psiche: il silenzio. ». I suoi occhi cristallini saettavano da una parte all'altra dello schermo, mentre quelle lettere apparivano in seguito alla pressione delle sue dita sulla tastiera. In passato non aveva mai pensato di voler o poter diventare una redattrice di articoli di divulgazione o — in generale — di poter vedere il suo nome sulle pagine lucide di una rivista, tuttavia l'esigenza di completare il suo dottorato con ottimi voti le imponeva di aggrapparsi ad ogni singola possibilità che le veniva offerta dai suoi supervisori.
    Sicché, seduta dietro quella scrivania in faggio da un numero di ore che non avrebbe saputo quantificare, Ekatarina profondeva tutto il suo impegno in quel nuovo scritto. Dover parlare proprio del silenzio, specie per una persona che tendeva a chiudersi in esso nei momenti di difficoltà, non era una cosa semplice, tuttavia il fallimento — almeno in ambito accademico — non era da lei contemplato. Per quanto la vita privata della giovane dalle origini russe avesse una serie di problematiche che ella non aveva idea di come risolvere — aveva ancora qualche magnanima amica capace di sopportare le sue paranoie, ma usciva molto poco e faticava anche al solo pensiero di provar a chieder più attenzioni da parte loro e, cosa da non sottovalutare, da qualche mese aveva iniziato a nutrire dei sentimenti teneri e del tutto inappropriati nei confronti di Dimitri, con cui per fortuna intratteneva una corrispondenza unicamente epistolare —, infatti, quando metteva piede in quell'università Ekatarina diveniva una sorta di negativo di se stessa. Se fuori da quelle quattro mura ella sembrava una sorta di coniglietto spaesato e desideroso di correre a rifugiarsi nella sua tana, infatti, in quel luogo — quando non si faceva schiacciare dalle sue paranoie sul vestiario o sulla sua evidente giovane età — Ekatarina assumeva le sembianze di una fiero gufo pronto a favellare ore ed ore sulle proprie idee e a dispensare consigli agli studenti più giovani.
    Così, animata dalla sua bruciante voglia di condividere la sua esperienza, la dottoranda abbozzò il suo articolo per ancora un paio d'ore. Senza paura del giudizio, della critica o del voto che ne sarebbe conseguito, espose la sua visione circa l'argomento che le era stato assegnato e che, anche se all'inizio era sembrato ostico, le stava fornendo una marea di spunti di riflessione. Evidenziò, in particolare, quanto ciò che in potenza era la mera assenza di suono, in atto in realtà fosse un potentissimo veicolo di concetti e immagini: chi taceva nel momento giusto, infatti, poteva riuscire a ritagliarsi un momento per rigenerare il pensiero; poteva metter in pausa una conversazione che trovava scomoda o poteva rendere il luogo in cui era caustico per tutti i presenti. Un discorso indubbiamente un po' contorto, ma che — se revisionato in maniera corretta l'indomani — di certo le avrebbe dato le soddisfazioni che meritava.
    Allorché, quando l'ultimo punto apparve sul monitor, un sorriso soddisfatto si delineò sulle labbra della bella Ivanova-Brown, che — anche se la sua indole precisa le suggeriva di portare il lavoro a casa con sé — seguì il consiglio della sua adorata terapeuta e timbrò il cartellino pronta ad andar via.
    Pur essendo consapevole di aver ormai uno status differente rispetto alla maggior parte degli studenti presenti in quel campus, appena girava la chiave nella toppa del suo piccolo studio e si immetteva nel flusso di persone che si dirigevano in mensa o all'uscita, Ekatarina si sentiva parte integrante di quella che vedeva come una vera e propria comunità. Era una sensazione strana, quella che provava, ma che ella avrebbe facilmente saputo descrivere con una un paio di parole: innaturale tranquillità.
    Tra quelle persone, se si escludevano i fisiologici momenti in cui si sentiva spaesata o sopraffatta dai ricordi, ella difficilmente si sentiva minacciata o sul chi va là; ma — al contrario — sovente riusciva a rilassarsi e mostrarsi per chi realmente era.
    Sicché, come di consueto, il suo incedere era lento ma ritmato e sul suo viso era stampato un sorriso delicato, che — appena i suoi occhi chiari si posarono su una maestosa chioma — si trasformò in un'espressione calorosa ed entusiasta.
    « Morgana! »
    Il braccio destro di lei automatico si levò verso l'alto, pronto a sventolare per attirare l'attenzione della più piccola. Ekatarina l'aveva conosciuta poco tempo prima proprio in uno di quei corridoi e — anche se per età e dipartimento in apparenza avevano poco in comune — aveva subito sentito una sorta di connessione con lei. Anche se al momento non avrebbe saputo enumerare i motivi precisi che l'avevano spinta a parlarle per la prima volta con Morgana — forse era stata una casualità o, cosa più probabile seppur al momento non ammissibile, la di lei aria tormentata —, infatti, quegli incontri casuali e le reazioni che le due si scambiavano su Instagram erano per lei diventate un momento caro della giornata.
    « Come stai? È davvero un piacere incontrarti! »
    Non lesinando sull'entusiasmo, allora, ella le pose quella domanda, diminuendo la distanza fra loro tramite un'ampia falcata
     
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    Quando Morgana viveva a Londra nessuno mai avrebbe creduto al fatto che a lei piacesse studiare. L’avevano etichettata come la modella che metteva in risalto il suo fisico senza dare troppa importanza all’intelligenza e non c’era più nulla che potesse fare per liberarsi di quel marchio. La realtà dei fatti, però, era che a Morgana piaceva studiare, soprattutto le cose che l’appassionavano, come la letteratura. Quando era a Londra lasciava che gli altri facessero i compiti per lei, abituata com’era ad avere sempre persone che le evitavano la fatica solo per il timore che la sua pelle non fosse abbastanza riposata e apparisse brutta in un servizio fotografico. La verità, però, era che Morgana faceva bene attenzione alle lezioni che frequentava, assorbiva ogni insegnamento come fosse una spugna e, per fortuna, aveva anche una buona memoria. Nonostante l’esercizio con i compiti fosse pari a zero, riusciva a ricordare le nozioni principali e, quando non era troppo stanca per il lavoro, amava rilassarsi leggendo qualcosa dai suoi libri scolastici o da libri quali romanzi e biografie più in generale. Tuttavia, è riuscita a liberarsi di quell’etichetta fastidiosa solo dopo essere andata via da Londra. Troppo giovane per essere realmente esperta della vita, Morgana ha vissuto in una palla di vetro fino a questo momento, tanto che il mondo reale spesso la spaventa -non quanto l’abbia spaventata in Grecia- e l’unico modo per tranquillizzarsi è proprio concentrarsi sulla lettura di un libro. Solo in questo caso la sua mente riesce a svuotarsi o concentrarsi nelle parole che scorrono sotto i suoi occhi, inchiostro su carta. Già può essere considerato terapeutico proprio l’odore della carta, Morgana adora respirare le pagine di un libro mentre le sfoglia, è un vizio che ha sin da bambina e che non conosce praticamente nessuno. Dopotutto, nessuno degli amici che ha avuto sino a quel momento si sono mai dati il disturbo di conoscerla oltre la sua apparenza. Anche in questo caso si è accorta troppo tardi di essere circondata da persona che volevano la sua amicizia solo per il nome che portava e la notorietà che ne derivava, non perché le volessero veramente bene. Una parentesi brutta della sua vita che Morgana stava tentando di lasciarsi dietro le spalle, era giunta a Besaid con l’intenzione di ricominciare da zero, aveva la volontà di farlo, eppure talvolta i ricordi le rendevano l’impresa difficile. La ragazza era appena uscita dall’aula in cui si era tenuta la lezione di letteratura russa, un paio di libri in mano, stretti al petto, e sulla spalla una borsa abbastanza ampia da tenere tutto l’occorrente per un ordinario giorno universitario. Camminava con lo sguardo basso, ancora non si sentiva totalmente a suo agio tra tanta gente, e in quel momento i corridoi dell’università erano colmi di studenti che, come lei, avevano appena terminato una lezione e andavano in pausa oppure correvano in un’altra aula per la lezione successiva. « Morgana! » Sussultò leggermente quando sentì una voce femminile dire il suo nome. Alzò lo sguardo per vedere chi l’avesse chiamato e provò un po' di sollievo nel vedere che, a cercarla, non solo era un volto conosciuto ma anche un volto appartenente ad una donna. Dopo la Grecia Morgana non si sentiva totalmente a suo agio nell’avere a che fare con il sesso opposto. «Ekaterina! Caspita, anch’io sono felice di rivederti!» Un sorriso sincero spunto sulle labbra di Morgana non appena la bionda la raggiunse. Non conosceva la bionda da molto tempo, ma qualcosa in lei aveva fatto si che Morgana si sentisse tranquilla in sua compagnia, come se le loro anime avessero fatto il tacito accordo di essere in una sintonia tale da poter sviluppare una di quelle amicizie che Morgana stessa non aveva mai avuto a Londra, poco importava che Ekaterina fosse un po' più grande di lei o facesse parte di un altro dipartimento. Si strinse nelle spalle quando le domandò come stesse: «Solito tram tram frenetico, correre a lezione, studiare e poi lavorare. Alla sera arrivo in camera stremata.» Lo disse con leggerezza, come se non volesse apparire come una di quelle ragazze che si lamentano in continuazione della loro vita. Morgana sentiva il dovere di non lamentarsi, la vita era stata comunque clemente con lei. Decise di concentrare la sua attenzione su Ekaterina: «Tu invece come stai? Non ti vedo in carne ed ossa da un po', nelle storie instagram invece ti vedo qualche volta!» Scherzò riguardo al fatto che si seguissero a vicenda sul social e che spesso commentavano ciò che postavano, un modo carino per tenersi in contatto anche se non riuscivano ad incontrarsi ogni giorno. «Io ho un momento di pausa, ti va di venire a prendere un caffè con me, se sei libera?» Domandò poi. In realtà aveva in progetto di trascorrere la pausa in totale tranquillità, da sola, ma Ekaterina le infondeva abbastanza calma dal convincerla a rivisitare il suo progetto.
     
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    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: [depressione e attacchi di panico].
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.


    Sin da quando aveva aperto i suoi occhi color zaffiro per la prima volta, Ekatarina si era ritrovata a dover affrontare una vita più complicata rispetto alla media dei suoi coetanei: aveva vissuto le conseguenze dell’abbandono — no, non aveva memoria dei suoi genitori naturali, ma ancora a distanza di anni portava loro rancore per il modo in cui l’avevano buttata via e quasi ammazzata —, aveva mosso i primi passi in un orfanotrofio decadente, era stata adottata e dunque si era trasferita in un luogo in cui tutti parlavano una lingua diversa e, cosa che l’aveva ridotta ai minimi termini, si era macchiata dell’accidentale ”omicidio” di sua sorella. I suoi traumi, insomma, l’avevano portata a viaggiare su un binario parallelo rispetto ai suoi compagni di scuola e ad osservare le loro vite dal posto vicino al finestrino. Mentre gli altri si preoccupavano di quale abito indossare alla festa di compleanno della ragazza più popolare della scuola, infatti, ella combatteva contro quella voce nella testa che le ricordava quanto fosse stata crudele e contro quegli attacchi di panico che le toglievano il fiato. Mentre gli altri organizzavano dei gruppi studio all’insegna della risata e dell’aiuto reciproco, ella sedeva con le spalle al muro e le gambe piegate contro al petto in preda ad un attacco di panico. Mentre gli altri continuavano a vivere e crescevano giorno per giorno, ella desiderava solo chiudere gli occhi e sedare per qualche istante la propria sofferenza. Chiaro è, insomma, che la bella Ekatarina non avesse avuto ciò che canonicamente definiremmo una vita facile, non fino all’inizio dell’Università quantomeno.
    Non appena aveva messo piede in quell’edificio, infatti, l’ambiente stimolante e la presenza di persone con attitudini simili alle sue — unite, ovviamente, al grosso contributo di Dimitri — l’avevano aiutata a trovare la sua dimensione, a sentirsi per la prima volta appropriata in un contesto e a ricominciare a camminare fra la gente senza sentirsi osservata. Certo, negli anni non erano mancati dei dolorosi momenti di sconforto e dei fisiologici periodi di isolamento e profonda tristezza, ma tutto sommato Ekatarina poteva dirsi felice di ciò che era diventata: una giovane donna con un lavoro che amava e con una rete di conoscenze piuttosto vasta che, anche se la biondina talvolta spariva per impellenti impegni da dottoranda, le consentiva di avere sempre una spalla su cui piangere e/o una persona con cui trascorrere un po’ di tempo in totale spensieratezza.
    Sicché, quando scorse Morgana alla fine del corridoio, la Ivanova non lesinò sulla gentilezza, né sui gesti volti ad attirare la di lei attenzione. Che ella fosse un po’ più piccola, nonché una studentessa, non le importava, perché — quantomeno secondo il suo punto di vista — non vi era nulla di male a conversare fra i corridoi ed aggiornarsi sulle incombenti scadenze, no?
    « Sto bene anche io, grazie mille. »
    Udite le precedenti parole della mora ed ascoltata la finale domanda, allora, Ekatarina rispose con voce candida e con un sorriso delicato. Ad esser onesti, in altre circostanze avrebbe definito quel periodo abbastanza particolare, ma non intendeva sprecare il poco tempo a disposizione con le sue paranoie o con i suoi racconti strappalacrime. Morgana era, infatti, nuova in città, dunque probabilmente non era a conoscenza della triste morte di Fedora o — cosa che avrebbe sollevato l’umore della nostra protagonista in ogni caso — quantomeno non aveva vissuto a Besaid nel periodo in cui essa era spesso oggetto di discussioni e supposizioni.
    « In effetti, il dottorato mi porta via anche la maggior parte del mio tempo libero. Dovrei riuscire a portare a termine gran parte dei miei articoli durante le ore qui in Università, ma non è mai così. »
    Dopo essersi schiarita la voce con un colpo di tosse, Ekatarina aggiunse quelle parole con fare appena colpevole. Sapeva di star facendo tutto ciò che poteva per eccellere durante il dottorato, tuttavia la sua indole precisa la portava ad essere piuttosto iper-critica nei confronti del proprio lavoro e a sentirsi sempre in difetto. Quando finalmente chiudeva il computer e si concedeva qualche momento di meritato riposo, infatti, ella non riusciva a non pensare a ciò che avrebbe potuto fare e si ritrovava a combattere contro la bruciante voglia di ricominciare a scrivere o almeno tradurre nuovi stralci delle fonti di cui disponeva.
    Appena Morgana le propose di prendere una pausa e trascorrere un po’ di tempo assieme, dunque, ella dovette concedersi qualche secondo per convincersi che era necessario e che non doveva tornare nel suo ufficio per nessun motivo al mondo, perché il suo articolo incompleto non sarebbe andato da nessuna parte, bensì l’avrebbe attesa l’indomani proprio come tutta la valanga di fonti da tradurre.
    « Sono libera anche io e mi farebbe davvero piacere passare un po’ di tempo con te. Avevi già in mente un posto dove andare? »
    Così, dopo aver scacciato altri pensieri dalla mente, rispose con un velo di entusiasmo, cominciando a camminare proprio accanto alla sua amica.
     
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    Non era arrivata a Besaid pensando di poter stringere grandi amicizie. Il grado di fiducia di Morgana era ormai sotto lo zero, dopo le amicizie fasulle che aveva stretto a Londra e che si era portata dietro per gran parte della sua giovinezza, aveva perso la speranza e ormai era convinta che l’amicizia vera non esistesse più. Il suo pensiero, per quanto catastrofico, era comprensibile: nessuna delle sue amiche le aveva creduto quando aveva raccontato loro cosa era successo in Grecia. Mai come in quel momento si era sentita sola, nonostante fosse circondata da altre ragazze come lei che, pero’, non avevano compreso la gravità della situazione. Morgana, quindi, aveva preferito non raccontare più nulla, aveva tenuto tutto per sé covando dentro un dispiacere e una rabbia che non era mai riuscita ad esprimere. Era qualcosa di talmente inteso che Morgana non sapeva come gestire, per questo aveva preferito continuare a lasciarlo lì, dentro di sé, nascosto. Sta di fatto, però, che il cambio d’aria e il trasferimento a Besaid avevano lenito un po' quella sensazione, seppur rimaneva dentro di lei, ancora inespressa. Morgana andava a lavoro, studiava, andava in università, ben consapevole che qualcosa dentro di lei si celava, la logorava e non attendeva che il momento più giusto -o più sbagliato- per uscire fuori. Non sapeva cosa fosse successo quando tutto fosse uscito fuori, se fosse uscito fuori, preferiva non pensarci altrimenti continuare a rimuginare sugli spiacevoli fatto del suo passato avrebbero solo contribuito a renderla di cattivo umore e più introversa del solito.
    Nonostante questa premessa che a Morgana sembrava il preludio per una vita trascorsa all’insegna della solitudine, lei stessa non potè che mettere da parte per un po' quell’idea quando notò Ekaterina salutarla. Non la conosceva da molto tempo ma con lei non manteneva lo stesso glaciale distacco che manteneva con altre persone, soprattutto di sesso maschile. Negli occhi della ragazza, Morgana, vedeva un luccichio che le impediva di diffidare totalmente dalla sua persona. Dopo la brutta esperienza era convinta che tutte le persone erano malefiche, eppure faticava ad affiancare un tale aggettivo alla bionda che, invece, sembrava tutt’altro che malefica. Morgana annuì sorridente quando Ekaterina disse che anche lei stava bene. Nonostante ciò che aveva passato, Morgana non traeva alcuna soddisfazione nel sapere che gli altri soffrissero, non augurava le peggiori cose neanche a sua madre, che l’aveva reclusa ad un genere di vita fatto di soli lavoro e falsità, per questo il suo sorriso era sincero e non di circostanza. Aveva smesso di fingere da quando era giunta a Besaid, non c’era più nulla che le imponesse come comportarsi e cosa dire. « In effetti, il dottorato mi porta via anche la maggior parte del mio tempo libero. Dovrei riuscire a portare a termine gran parte dei miei articoli durante le ore qui in Università, ma non è mai così. » Ascoltò Ekaterina con interesse, entrando in quel piccolo spaccato di mondo che lei non conosceva, essendo una semplice studentessa che al momento, oltre al voler studiare e superare gli esami, non aveva pensato concretamente a cosa avrebbe voluto fare dopo l’università. Aveva scelto ciò che le piaceva, la letteratura, senza pensare ad un futuro, e sapeva che quella decisione non sarebbe stata affatto condivisa da sua madre che, invece, prendeva sempre le sue decisioni in base a cosa fosse più conveniente, non in base a ciò che le piaceva. «Non posso neanche immaginare quanto tu sia impegnata. Io al momento sono solo impegnata con lo studio, ma sto anche cercando qualche lavoretto da fare…la stanza nel campus non si mantiene da sola.» Spiegò con tranquillità. La sua non era una lamentela, era più una normale chiacchiera che faceva con qualcuno con cui si trovava bene. Una novità per Morgana che, sino a quel momento, aveva parlato solo con persone che le erano state indicate da sua madre. Respirò e, per la prima volta, le sembrò di respirare una vaga essenza di libertà che non aveva mai provato a Londra. Non voleva esagerare, Morgana, ma forse in lei era appena nata una minuscola scintilla di leggerezza tale da spingerla ad invitare Ekaterina a trascorrere quei minuti di pausa insieme. Era così che facevano i ragazzi normali? Socializzavano sempre con una tale naturalezza? « Sono libera anche io e mi farebbe davvero piacere passare un po’ di tempo con te. Avevi già in mente un posto dove andare? » Si guardò intorno a quella domanda. Morgana si trovava a Besaid da poco tempo quindi non aveva idea di quale fosse il luogo migliore per riposare, dunque rispose sinceramente: «Non conosco molti posti qui, non ancora, ma penso che la caffetteria del campus faccia dell’ottimo caffè, possiamo andare lì!» Indicò con l’indice la struttura poco lontana da loro in cui brulicavano altri ragazzi che, proprio come loro, stavano facendo rifornimento di caffeina per affrontare meglio quella giornata di studio. Si strinse i libri di più al petto, in un vezzo, mentre camminavano verso la caffetteria e poi, quasi senza rendersene conto, pose con naturalezza un’altra domanda: «Tu sei originaria di Besaid?», una domanda spontanea, Morgana stessa si stupì di come le stesse riuscendo naturale conversare, poiché non lo faceva da un bel po' di tempo. Nonostante avesse scambiato qualche parola con Ekaterina anche in precedenza, entrambe erano state tanto impegnate da non poter conversare con calma e conoscersi meglio. Questa volta le cose sembravano diverse.
     
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    « Non posso neanche immaginare quanto tu sia impegnata. Io al momento sono solo impegnata con lo studio, ma sto anche cercando qualche lavoretto da fare…la stanza nel campus non si mantiene da sola. », quando Morgana pronunciò quelle frasi con estrema tranquillità, le labbra di Ekatarina si inarcarono in un delicato sorriso. Si era spesso domandata cosa volesse dire avere l’onere di lavorare e studiare, ma — sebbene avesse avuto molte colleghe che lo facevano — non era mai riuscita a darsi una risposta univoca o soddisfacente. Le finanze dei suoi genitori adottivi, unite alla loro tendenza ad esser piuttosto protettivi nei suoi confronti, infatti, le avevano consentito di studiare in totale serenità e di potersi concentrare solo su quanto richiesto dagli insegnanti. Notando il lieve bagliore negli occhi di Morgana, tuttavia, la dottoranda non poté non avere la sensazione di essersi persa qualcosa anche in quell’ambito. « Se fossi stata costretta a lavorare per mantenermi, magari mi sarei ripresa prima o avrei trovato qualche nuovo amico. », fu il pensiero che la colse e che — anche se non lo diede a vedere — esacerbò il suo annoso e complicato conflitto interiore. Malgrado il tempo avesse parzialmente rimarginato le sue enormi ferite, invero, ella continuava ad attraversare momenti in cui si sentiva afflitta e troppo “indietro” rispetto ai suoi coetanei: non aveva mai lavorato seriamente, non al di fuori del comodo ambito universitario; non aveva mai preso un aereo last minute per una vacanza improvvisata; non aveva mai sperimentato il disagio di dover mangiare solo ceci in scatola per far quadrare i conti e arrivare a fine mese e — ultima, ma non per importanza — non aveva mai avuto l’impressione di esser davvero amata per quello che era.
    Nel tentativo di sedare il suo flusso di coscienza, ad ogni modo, Ekatarina scosse il capo leggermente e si impose di riportare tutta la sua attenzione su Morgana.
    « A volte lasciano dei biglietti in bacheca, magari potresti vedere lì. In quale ambito cerchi? »
    Le pose quella domanda con estrema delicatezza, rendendosi conto che — sebbene fosse comprensibile — non aveva alcuna idea di quali fossero le inclinazioni della sua nuova amica. Di lei sapeva che aveva uno spiccato accento british, che era a Besaid da poco tempo ed aveva meno amici di lei, che studiava Lettere, ma il loro rapporto non aveva mai subito quel “salto di qualità” che avrebbe permesso loro di sedersi su una panchina e raccontarsi paure e pensiero. Non per il momento, quantomeno. Eppure, la biondina sentì il forte desiderio di aiutarla, di allungarle una metaforica mano di cui forse neppure aveva bisogno.
    « Se sento qualcosa in giro, posso fare il tuo nome. Che pensi? »
    Così cercò di porsi nella maniera meno invadente possibile, comunque preparandosi a ricevere un « Non sono affari tuoi. » in risposta. Nel mentre, accolse di buon grado la proposta della mora e cominciò a pregustarsi un po’ di tempo in compagnia di un suo coetaneo e non di un vecchio e annoiato insegnante.
    « Non sono una grande esperta di caffè, ma sicuramente la caffetteria è il locale che frequento più spesso. Direi che va più che bene. »
    Si strinse nelle spalle per qualche secondo e camminò accanto alla Byrne con un sorriso stampato sulle labbra. Ad esser franchi, vi era stato un tempo in cui la caffeina era la sua unica risorsa e il caffè il suo unico amore, ma — da quando aveva compreso che il tutto peggiorava il suo stato ansioso — si era condannata a una vita di infusi alle erbe e orzo solubile.
    Avvicinatasi al bancone per chiedere il solito, però, scelse di fare uno strappo alla regola e concedersi un bel cappuccino fumante con aggiunta di panna.
    « La mia famiglia è originaria di Besaid, ma io no. »
    Mentre attendevano l’ordine, Ekatarina ruotò il capo verso Morgana e accolse di buon grado lo spunto di conversazione. Chi la vedeva per la prima volta, in genere, si lasciava ingannare dai suoi argentei capelli e dai suoi glaciali occhi e dava per scontato che fosse norvegese, ma la realtà era molto più complessa.
    « Sono stata adottata quando avevo cinque anni. Sono nata ad Aniva, in Russia. »
    Non aveva mai fatto pace con l’idea che sua madre biologica l’avesse abbandonata alle intemperie e quasi uccida, ma da tempo ormai aveva imparato a fare i conti con i suoi ricordi più remoti e a parlare di quanto le era successo senza andare nel panico. Tuttavia, magistralmente celò i dettagli sull’adozione multipla, non essendo pronta a trasformare la conversazione in una commemorazione della sua defunta sorella.
    « Lo so, non mi fa molto onore essermi laureata nella anche nella mia lingua madre, ma — in mia difesa — posso dire che in orfanotrofio non avevo ancora imparato a scrivere. »
    Scelse di mettere in evidenza il lato ironico della cosa, ancora una volta omettendo qualche piccolo dettaglio sulla sua infanzia. Se era vero che ad Aniva non aveva imparato che a parlare, infatti, era anche vero che i Brown avevano sempre speso fior fior di quattrini perché lei e Fedora non dimenticassero le proprie origini. Quando era arrivata all’università, dunque, Ekatarina era già perfettamente trilingue ed aveva fatto una scelta di comodo: una cosa furba, ma forse non troppo onorevole.
    « Tu, invece? L’accento british è evidente. Da linguista oserei dire che sei londinese, ma potrei sbagliarmi. »
    Commentò, allora, prima di indicare con un cenno un tavolino che si era liberato.
     
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4 replies since 31/8/2021, 12:13   105 views
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