The worst guilt is to accept an unearned guilt.

Ekatarina & Søren | Spiaggia | 30.08.2021 | Sera

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    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: [morte accidentale di un personaggio, disturbo d'ansia generalizzato e attacchi di panico.].
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.


    « Non dovete preoccuparvi di come vi sentite. Non siete strane o pazze: è solo che a Besaid ognuno di noi ha una particolarità con cui fare i conti. ». Quando le parole di sua madre risuonarono nella sua mente come un lontano sussurro, Ekatarina non poté far altro che piegare le ginocchia al petto, circondarle con le sue braccia appena muscolose e poggiare la testa su di esse, assumendo la classica posizione di chi avrebbe avuto bisogno di un abbraccio e di una parola di conforto, ma — non potendolo avere — si accontentava di sedere con le spalle poggiate agli scogli, raggomitolarsi su se stessa e cercare di beneficiare della sensazione di sollievo data dalla totale chiusura e dall'isolamento. Era un'abitudine che aveva preso da pochi anni, quella di scappare in spiaggia e cercare la pace nel silenzio, ma che — almeno in genere — la aiutava a rimettere insieme i cocci che il suo dolore in modo totalmente casuale ed efferato spargeva ai suoi piedi e ad andare avanti, eppure qualcosa le diceva che quel giorno non sarebbe stato così.
    In quel particolare momento, la governava, invero, una sensazione di ansia mai provata prima, una consapevolezza di inadeguatezza che — se non fosse stata certa di dare un dispiacere troppo grande ai suoi genitori già provati dalla morte di Fedora — l'avrebbe spinta a ricercare l'oblio, a scomparire da quella città e finire su dei volantini impressi sulla carta delle stampanti di parenti e amici. E, forse, momentaneamente irrazionale e incapace di vedere in modo oggettivo quanti progressi avesse fatto negli anni o quanto ingiusto fosse esser ancora incapace di perdonarsi, in quel caldo pomeriggio di agosto quasi ella cominciò a desiderare di nuovo di potersi /davvero/ dissolvere come una bolla di sapone o — cosa che l'avrebbe aiutata ad espiare la colpa che credeva di avere in maniera definitiva — di poter dare la sua vita per ridonarla alla sua adorata sorella maggiore.
    Sicché, sopraffatta ed incapace di far altro che disperarsi, restò in quella posizione per un tempo che le sembrò infinito, fino a che il suono del suo cellulare non la costrinse a ridestarsi e ad allungare la mano verso la borsa. « Avrei fatto meglio a spegnerlo. », fu il pensiero che le attraversò la mente, prima che la sola anteprima del messaggio ricevuto non le togliesse il fiato. « Quando abbiamo chiamato questa mattina, ci sei sembrata un po' stanca. Va tutto bene, Eka? Ti andrebbe di dormire da noi per qualche giorno? », le aveva scritto il suo preoccupato padre, forse già inconsciamente consapevole che il mondo stesse di nuovo per crollare addosso all'unica figlia che gli era rimasta. Era sempre stato una persona meravigliosa, il signor Brown, una di quelle che chiunque avrebbe voluto come genitore — dolce, comprensivo e accomodante quando c'era da esserlo, ma anche deciso e autoritario quando gli eventi lo richiedevano — e che quindi Ekatarina vedeva come l'ennesimo regalo che non aveva meritato, che non riusciva a valorizzare nel modo giusto e che — se non fosse stata una ragazzina debole ed egoista — avrebbe dovuto restituire senza pensarci due volte. « Chissà se loro hanno mai pensato di rispedire me al mittente. », si tormentò ancora, mentre una turbinio di immagini cominciò a vorticare nella sua mente. Quasi come se fosse bloccata in una moviola, rivisse a rallentatore ogni singolo momento di quella maledetta giornata: rivide gli occhi di Fedora che si sbarravano per il terrore, la sua mano che si tendeva nel vano e disperato tentativo di afferrare quella della sua aguzzina, risentì il respiro di lei che si accorciava, le suppliche di suo padre, le urla di sua madre, le parole soffiate via dal soccorritore di turno e poi il vuoto.
    Così, senza neppure avere il coraggio di mentire al suo preoccupato genitore e rispondere con un messaggio intriso di vani convenevoli, si ritrovò nuovamente rannicchiata su se stessa, mentre un fiume di lacrime sgorgava dai suoi occhi cristallini.
    Era ormai trascorsa un'ora dall'ennesimo tracollo emotivo della nostra protagonista che, ormai tremante perché un lieve alito di estivo vento aveva asciugato le sue rosee guance, si alzò a fatica da quell'angolo in cui aveva lasciato una grossa impronta. Dire che fosse ridotta ai minimi termini sarebbe stato un eufemismo, ma in lei albergava ancora un briciolo di spirito di autoconservazione che — anche se ciò le costava un'enorme fatica — le impose di alzarsi e cominciare a camminare verso la sua automobile.
    L'aveva parcheggiata poco lontano rispetto all'ingresso di quell'insenatura dimenticata da Dio e ciò le faceva ben sperare che il suo incedere non sarebbe stato interrotto da nessun incontro. Come di consueto, però, la sua sfortuna fu lungimirante e — proprio a pochi passi dalla sua meta — scorse un uomo che aveva conosciuto prima come insegnante e poi come "collega".
    « Buonasera. »
    Tentare di scappare via e non farsi vedere con il trucco colato sarebbe stato scortese e davvero inappropriato, dunque ella optò per compiere un passo verso l'uomo, salutarlo con cortesia e accennargli un sorriso.
    « Spero che tu stia bene. Io — ho preso in pieno uno scoglio e mi fa malissimo il braccio. »
    Aggiunse, allora, nel chiaro e goffo tentativo di giustificare il suo stato. D'altra parte, chi è che a venticinque anni non frignava per un livido?

    Non so in che maniera verrà trattato l'argomento, ma — vista la decisione di sfruttare il background dei pg — ho inserito i relativi warnings!
     
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0 replies since 1/9/2021, 18:40   27 views
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