We are just strangers with some memories

Raph & Will

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    Camminava lentamente, attraversando i lunghi corridoi del centro operativo come se volesse analizzarne ogni centimetro. Era già stato lì altre volte negli ultimi mesi, da quando era arrivato in città, ma non così tante da permettergli di riconoscere ogni più piccolo angolo di quel luogo. C’erano ancora tanti punti oscuri per lui, troppi in realtà per poterli esprimere a parole, quindi si concentrava su quello che poteva controllare, sulle cose che esistevano, quelle che poteva toccare con mano, quelle che poteva ancora ricordare. I suoi superiori gli avevano spiegato alcune cose su quella città e sul modo in cui portava via alle persone la memoria, quando queste si allontanavano per più di un mese dai suoi confini. Lui era mancato per circa dieci anni, forse qualcosa in più o in meno, quindi era evidente che non avesse idea di che cosa gli fosse capitato quando viveva ancora in quel luogo. Non aveva cercato contatti con i suoi genitori e la piccola comunità in cui vivevano. Qualcuno gli aveva raccontato che i Reservoir vivevano una vita lontana dalle particolarità, stretti nella loro piccola cerchia, condividendo molte cose. Forse un tempo anche lui aveva abbracciato quella vita: la fede religiosa, l’attaccamento alle tradizioni, il sospetto nei confronti di chi usava la particolarità. Ma ora si rendeva conto di essere un uomo molto diverso da quello che doveva essersi allontanato. Era andato via perché non condivideva quelle idee? Perché voleva essere libero? Gli era difficile pensare a un’opzione diversa da quella. Ora invece riteneva che l’uso di quelle particolari abilità, che sembravano essere una prerogativa esclusiva di quel luogo, fosse una cosa importante e da non sottovalutare affatto. Era sicuro di non averne ancora appreso ogni dettaglio, che ci fosse molta strada da fare prima di poter dire di saperla padroneggiare, ma compiva piccoli passi, giorno dopo giorno, alla scoperta di quel mondo che aveva completamente dimenticato.
    Era molto utile poter placare le particolarità altrui. Aveva dovuto farlo anche durante alcuni dei suoi interventi, nella sala operatoria dedicata al pronto soccorso. Non sempre coloro che soffrivano per gravi ferite riuscivano a tenere sotto controllo quel potere che scorreva nelle loro vene, rendendo difficile avvicinarsi, soprattutto nel caso di abilità particolarmente pericolose. Poter quindi bloccare quel genere di fenomeni, almeno per il tempo di portare a termine le fasi più complicate degli interventi, gli aveva permesso di svolgere il suo lavoro con molta più tranquillità. In rare occasioni era stato contattato anche da alcuni colleghi chirurghi, per dare una mano, ma fortunatamente la voce non si era sparsa troppo. Solo la sua equipe e alcuni colleghi con cui aveva avuto modo di stringere un rapporto più stretto, sapevano che cosa potesse fare. Quelli che lo chiamavano maggiormente in aiuto, tuttavia, erano ovviamente i colleghi del B6D e quando erano loro a chiedere di lui era difficile poter posticipare o chiedere di avere qualche ora in più. Il Governo era il suo principale datore di lavoro ed era a quelle persone quindi che doveva rispondere, in prima battuta, anche se non avrebbe mai accettato di lasciare a metà un intervento, con il rischio che qualcuno morisse sul tavolo operatorio, solo per correre alla sede generale. Non essendo un agente operativo in senso stretto non era stato comunque difficile trovare una via di mezzo che mettesse tutti d’accordo: gli interventi mortali avrebbero avuto sempre la precedenza, che si trattasse di qualcuno in bilico all’interno dell’ospedale o della sede governativa.
    Salutò alcuni colleghi addetti al settore vigilanza, esibì il suo tesserino e passò oltre. Lavorava per l’unità da quasi tre anni ormai, ma aveva avuto modo di conoscere solo poche persone. Primi tra tutti c’erano stati Mads e Sibylla, i due che, da quanto aveva capito, ricoprivano un ruolo abbastanza elevato all’interno del sistema. Se con Mads fare amicizia era stato più semplice, con Siby le cose erano state più difficili. Lei era un vero osso duro e molti dei suoi modi un po’ troppo alla mano non l’avevano affatto convinta. Collaboravano se era richiesto, ma preferivano evitarsi, per quanto possibile. Poi era stata la volta di Freya, la donna della scientifica con cui aveva instaurato una relazione che era durata per qualche mese. Erano rimasti buoni amici, sebbene la loro relazione si fosse interrotta da un po’. E infine Theodore, l’inglese che aveva fatto parte del MI6 e che da qualche tempo invece lavorava per il governo norvegese, fingendosi un semplice violinista. Erano curiose le coperture che ciascuno di loro aveva assunto per poter svolgere al meglio il suo lavoro. Era certo che dentro quelle mura vi fossero ancora tantissime altre persone interessanti da conoscere, ma il poco tempo che trascorreva al suo interno non gli aveva permesso di incrociarle tutte. Una figura minuta, che attendeva nei pressi dell’ascensore, catturò la sua attenzione. Aveva visto quella donna di sfuggita in poche occasioni, senza mai avere davvero occasione di parlare con lei per più di un semplice saluto. Si accostò quindi, approfittando della comune attesa. -Agente Ruud? - domandò, per essere certo di non avere sbagliato persona o magari il modo di pronunciare il suo cognome. Lo aveva sentito poche volte e non poteva dire di conoscerne l’origine, ma aveva un bel suono e gli dava l’idea che racchiudesse molto più che una semplice parola. -Raphael Rønningen. - si presentò di nuovo, allungando una mano nella sua direzione. Non poteva dare per scontato che lei ricordasse i nomi di ogni persona che incontrava, non era certo come Theodore e la sua impeccabile memoria. Gliela invidiava in alcune occasioni, quando era costretto a riprendere in mano dei libri o cercare sul web dei concetti che aveva dimenticato.
    L’ascensore emise un leggero rumore, annunciando il suo arrivo poco prima che le portine si aprissero, mostrando apertamente il suo interno luminoso. Con un gesto veloce della mano la invitò a prendere posto prima di lui, per poi seguirla all’interno. Allungò la mano verso la pulsantiera, ritraendola soltanto quando notò che anche lei stava compiendo il medesimo gesto e un sorriso divertito fece capolino sulle sue labbra nel notare il numero che aveva appena premuto. -Oh, noto che abbiamo la stessa destinazione. - disse quindi, senza che il sorriso abbondonasse il suo volto per un solo istante. Trovava curiosi i casi del destino, che finivano con il mettere accanto due persone con piccole cose in comune, senza che i due interessati dovessero saperlo prima del tempo. Si guardò intorno, osservando il suo riflesso nelle superfici intere dell’ascensore. Ci sarebbero voluti pochi minuti prima di giungere al piano dove dovevano recarsi, non sarebbe stata una lunga conversazione. -Mi hanno detto che siete una traduttrice infallibile. - mormorò, guardandola appena, con la coda dell’occhio. Contro ogni aspettativa, all’interno di quelle quattro strette mura, si sentiva vagamente a disagio. In rarissime occasioni gli era capitato di trovarsi vicino a qualcuno e di non sapere cosa dire. Gli sembrò come di vivere una sorta di dejà vu, una situazione che aveva già vissuto in passato ma di cui non riusciva a identificare i contorni, come se fosse accaduto in una vita completamente diversa. Fu di nuovo il suono dell’ascensore a toglierli dall’impiccio, avvisando dell’imminente apertura delle porte. Salvato dall’ascensore questa si che era bella! Scosse appena il caso, divertito da quella serie di pensieri che erano stati solo nella sua mente e che non aveva espresso, per puro orgoglio personale. Attese che lei uscisse dalla piccola cabina e poi si incamminò a sua volta rendendosi conto che, strano caso del destino, entrambi continuavano a muovere verso la stessa meta.
     
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    Richiuse la portiera della sua auto, fermandosi con le mani sopra la divisione della porta con il resto della carrozzeria. Era una sua abitudine di una vita. Ogni tanto si fermava, in pausa, toccava con una mano le cose che la circondavano e si trovava a formulare un pensiero, un memento, qualcosa che ad una persona particolarmente credente poteva sembrare una preghiera, ma era in realtà un modo per fissare in lei una determinazione. Allora lì con i polpastrelli infilati nella separazione che correva in quella fessura tra le portiere rimase a fissare le sue dita sottili nella mano piccola e si ritrovò a pensare. 'Non oggi'. Non oggi. Lo pensò senza pronunciare quelle due parole. Fece un bel respiro, ed aprì la portiera del sedile passeggero per prendere la sua borsa nera e la cartella grigia con il portatile e una decina di documenti sistemati nella tasca laterale. Si incamminò senza voltarsi, chiedendosi un paio di volte lungo il tragitto se in effetti avesse chiuso l'auto, ma non se ne preoccupò più una volta arrivata di fronte al cancello che varcava la soglia tra la zona completamente riservata ai privati cittadini, per oltrepassare il territorio che era di proprietà esclusiva del governo. Esibì il suo tesserino ad un uomo sulla quarantina che, agli occhi di Will, sembrava uscito da un romanzo di Verne. Un uomo alto e poco loquace, che prese il tesserino dalla mano di Will e controllò la sua idoneità dal suo dispositivo portatile - un tablet che non apparteneva ai dispositivi comuni che poteva acquistare in commercio, da quella breve occhiata che lei aveva rivolto all'oggetto - per poi ridarglielo impulsivamente ed accennare un sì con la testa. «Poco comunicativo, qualche volta violento e facile alla collera quando veniva contrariato...un incrocio fra un telescopio e un cannone costantemente carico» fece eco la citazione nella mente di Will, proprio come Verne aveva descritto Ned Land, il fiocinatore alla spedizione del mostro marino nelle famose leghe sotto i mari, e così faceva eco la voce di Raphael con lui quando glielo citava. Era lui dei due ad adorare i romanzi di avventura. Lei li tollerava, come si poteva tollerare qualcosa che puoi mangiare senza entusiasmo in una dieta di contenimento, come si poteva compiere un incarico che sai di dover svolgere senza particolare fervore, ma che sai di dover fare. In un'altra vita molto tempo prima era stato lui a farle vedere la bellezza di qualcosa in cui alla base lei non aveva curiosità. Adesso tra le pagine di avventura riusciva a trovare l'affetto per emozioni che non viveva, ma era come se le avesse vissute, e tra quei racconti si perdeva nelle descrizioni di luoghi su cui non aveva mai messo piede sognandoli ad occhi aperti.
    Salutò con un flebile 'buongiorno' pronunciato stretto tra i denti il Ned Land di cui non sapeva nome - scorse sul badge indossato da lui al petto il cognome 'Ness' in vista, ma nessuna iniziale che potesse far scorrere la sua fantasia - e percorse il resto del tragitto un passo alla volta, fino a giungere all'interno dell'edificio.
    Lavorare come agente nel B-6D era diventato molto complicato adesso che le cose erano completamente cambiate. Ovvero, adesso che aveva incontrato Raphael. Si erano incrociati appena, e presentati come se a conti fatti non erano null'altro che quello, due estranei. Aveva sognato molte volte Willow il momento in cui l'avrebbe rincontrato. Se fosse successo... aveva programmato moltissime cose. Gli sarebbe corsa tra le braccia, come nelle storie d'amore più sdolcinate che esistessero, ma di quelle che fanno sempre scorrere una lacrima furtiva nei più fervidi sostenitori del contegno razionale, del non doversi lasciare andare al romanticismo. Le sarebbe piaciuto gridare - con il coraggio che non credeva facesse parte di lei - quante cose che sapeva di lui, di quello che era stato, di cosa era capitato, delle storie che erano successe in sua assenza. Invece quando si erano presentati la prima volta, di nuovo come tanto tempo prima, qualcosa in lei si era rotto, come una crepa sull'intonaco vecchio di un soffitto marcio, lei si era sentita sbagliata, vecchia, dimenticata. Aveva parlato con Raphael come se fosse stata un'altra Willow, e poi avrebbe accreditato il suo stupore all'emozione troppo forte di averlo rivisto senza che se lo aspettasse. Una parte di lei aveva pensato che dopo quello che era successo non si sarebbero più incrociati. Dopo tanto tempo era riuscita a mettere da parte il pensiero di pensare di poterlo rintracciare, e le cose avevano preso la loro piega scivolando nell'ordine e nelle macchinazioni del tempo che passa. Posare gli occhi su di lui un'altra volta era stato uno sconvolgimento troppo forte per lei. Ecco cosa pensava. Ma pensava che la volta successiva sarebbe andata meglio. E quella successiva poteva essere un passo in più per capire lei stessa come fare e cosa fare in sua presenza. Quando poi l'aveva incontrato di nuovo tra le mura del B-6D nella sede di Oslo si era sentita ancora peggio, e aveva pensato che avrebbe rimandato per l'ennesima volta un incontro qualsiasi, un incontro fortuito. Ecco cosa significava adesso per lei, vivere con il peso di averlo rivisto. Ecco che adesso recarsi nella sede del B-6D nella sua Besaid, quando sapeva ci sarebbe stata una riunione importante della divisione, la faceva vacillare. Una parte di lei aveva sperato di non rivederlo, non lì. Sarebbe stato difficile per lei guardarlo e fingere di nuovo di non conoscerlo. Ma l'altra parte le gridava di tener fede alla sua idea, a quello che aveva pensato o sperato di avere il coraggio di fare quando e se l'avesse rivisto. E comunque non poteva contraddirsi. Tutta se stessa, con ogni sua fibra, gridava di non importasene niente di cosa il suo cervello stesse pensando di fare, rivederlo, sano e salvo, era di per sé una gioia di cui proprio lei non avrebbe saputo trovare le parole adatte a descrivere cosa sentiva. Perciò quella mattina quando si era recata lì alla riunione della sua area aveva ceduto. Si era vestita bene, con calma e con cura, stirando le pieghe del suo vestito verde bottiglia perché cadesse perfettamente diritto. Ripeteva a se stessa che lo faceva solo per sé, per darsi un decoro, che era soltanto giusto che fosse il caso di curarsi, ma avrebbe anche indossato volentieri un jeans e una maglietta qualsiasi se non ci fosse stata la remota opzione che i suoi occhi l'avessero incontrato di nuovo. Si strinse nel suo cappotto sottile, un trench lungo fino alle ginocchia che andava bene per quel periodo, per tutto il vento e le piogge improvvise di mezza stagione, facendosi piccola e scudo su se stessa stringendo tra le mani la cartella, e sospirò rumorosamente guardando impaziente il display dell'ascensore colorarsi e cambiare numero contando la discesa fino al piano terra, dove lei l'aveva chiamato, per salire al quinto piano. Sentì dei passi avvicinarsi in sua direzione, ma non si voltò, era normale aspettare lo stesso ascensore per salire ai piani superiori dell'edificio, e poi salutare sconosciuti qualsiasi non era nella sua indole. -Agente Ruud? - Si girò in direzione della voce, prima di sentire il nome che aveva pronunciato, capendo subito che era la voce di Raphael. Curioso come la sua mente riuscisse a far emergere dal nulla un ricordo di qualcosa di cui tanto forzatamente aveva cercato di assimilare, ricordarne il timbro quando lo aveva perso, e adesso tutto ad un tratto ricordava distintamente il suo tono come se nulla fosse cambiato, come se lo avesse ascoltato appena il giorno prima. « Agente Rønningen. » -Raphael Rønningen. - Pronunciò, nello stesso momento in cui lui aveva porso la mano verso di lei, per ricordarle il suo nome, perché si presentò nuovamente. Corse ad intercettare il suo sguardo, con un'espressione a metà tra una scusa non pronunciata e un vago senso di vergogna assoluta. Gli strinse la mano, piano, saggiando la sensazione del palmo della sua mano contro la sua, e lasciandogliela quando lui si liberò dalla stretta. « Willow. » Mormorò, nascondendo il disagio con il suo tono di voce gentile, anche se gli occhi volevano dire tutt'altro, e temeva di non essere stata brava a mascherare anche loro allo stesso modo, con la maestria con cui sapeva trovare le parole giuste per tutte le occasioni. « Ricordo il suo nome. » Gli sorrise, volendo spiegargli un perché a quel ricordare un nome di un quasi sconosciuto, ai suoi occhi, quando si sentiva brava solo a mentire in quel momento - mentire spudoratamente in faccia a tutto quello che c'era stato tra loro dieci anni prima. « Deriva dalla stessa radice del mio. E' Norvegese Antico, sta per Ryðningr, che discende da Ruð. » Si pronunciò come se stesse mostrando la carta vincente al suo essere stata frettolosa e ad aver ricordato qualcosa che comunemente, ai suoi occhi, non avrebbe praticamente dovuto. A quel punto si zittì, sentendosi in dovere di tacere senza aggiungere altro. Le porte dell'ascensore si aprirono, e lei seguì i suoi movimenti, quando si fece da parte per farla passare entrò, mordicchiandosi le labbra per pensare a qualcosa di intelligente da dire. Proprio lei. Premette il pulsante del numero 5, e captò il movimento della sua mano, di nuovo, guardando in sù verso di lui, e gli sorrise di rimando quando notò il suo sorriso divertito. - Oh, noto che abbiamo la stessa destinazione. - Mormorò lui, e lei annuì, non sapendo bene cosa aggiungere che non fosse rivelare il luogo della destinazione. Ma per qualche strano motivo non lo fece, e non disse nulla a riguardo.
    Erano passati pochi mesi dall'ultima volta che l'aveva visto, e si era davvero trattenuta più volte all'idea di sapere tutto di lui. Cosa facesse, dove risiedesse, cosa stava facendo in quell'anno e perché anche lui si trovasse nel B-6D. Successe la stessa cosa l'ultima volta che l'aveva visto, quando alla fine non era riuscita ad ottenere nulla che non fosse scambiare quattro o cinque frasi di circostanza e un pò di formalità. Ora che era lì doveva andare diversamente, anche solo una piccola informazione in più poteva farla avvicinare. Si animò a quel pensiero, pensando di poter fare un minuscolo passo in sua direzione. « Perciò, come va? Come si trova qui in questa cittadina? Non credo di sapere molto sul suo lavoro... per quello che può dirmi ovviamente. » Si ritrovò a specificare, lanciando un paio di occhiate in su verso di lui e poi ai suoi piedi, per non sembrare troppo insistente o - forse peggio - una persona che aveva qualche rotella fuori posto, tanto per cambiare, la classica reazione che doveva fare agli sconosciuti. Si impose di star ferma nel frattempo che osservava lui dallo specchio dell'ascensore, captando una sua qualsiasi espressione che potesse anche solo sembrare fuori posto o, magari, speranzosa di leggere un piccolo barlume di curiosità. -Mi hanno detto che siete una traduttrice infallibile. - Disse ancora lui, intavolando una conversazione. « Sì. E' il mio dono. Sono in grado di capire qualsiasi lingua. » Sussurrò compita, forse lasciando trapelare un pò di orgoglio dietro quelle parole. Poi non seppe perché ma continuò a parlargli, in una risposta che non aveva immaginato di pronunciare mai a lui. « Credo che sia una possibilità, quella che abbiamo qui in questa città, che non sia possibile trascurare. Utilizzare questo potere per fare del bene è una responsabilità. Spero di aiutare come posso. » Ammise. Era come se si fosse tolta un sassolino dalla scarpa, una frase che non aveva mai ammesso non tanto ad anima viva, ma proprio a Raphael, che con il suo modo di vedere le cose disapprovava l'utilizzo della particolarità per via delle imposizioni della sua fede e della sua comunità.
    L'ascensore arrivò al quinto piano silenziosamente, e le porte si aprirono piano mostrando uno spiraglio sul corridoio che li precedeva. Willow si incamminò, muovendo un pò di passi spinta dall'idea di proseguire il suo cammino, anche se avrebbe voluto carpire qualcosa di più su Raphael fintanto che poteva averne l'occasione. Lo guardò con la coda dell'occhio, scuotere la testa e incamminarsi proprio dietro di lei. Allora si fermò, per aspettare che fosse al suo stesso passo, e lì si incoraggiò a chiedere quello che non aveva osato quando lui aveva menzionato cosa ci facessero lì. « Forse siamo diretti nello stesso luogo? » Chiese, l'ombra di un sorriso sulle sue labbra. Continuarono a camminare fino alla fine del piano, l'ultima stanza sulla destra, a cui si poteva accedere esibendo il proprio badge e con una scansione retina del proprio viso. Oltrepassarono entrambi la porta a vetro, stavolta fu Willow ad aspettarlo, tenendo la porta tra le mani fintanto che anche lui veniva abilitato all'accesso alla seconda sala. « Siamo alla stessa riunione. » Si pronunciò, stavolta un sorriso divertito e spontaneo alle sue labbra. Chissà che cosa pensava Raph quando la guardava. Era la prima volta che se lo chiedeva, come se pensarlo avesse comportato accettare troppe cose, anche il fatto che fossero lontani, anni luce da quello che erano, un pallido ricordo su qualcosa che non era mai successo. Si avviarono insieme dentro la sala, oltre le file già impegnate dei colleghi che non conosceva, salutando con un cenno del capo un collega che aveva riconosciuto nella figura di Theodore Howard, un uomo poco più grande di lei, sempre impeccabile nei suoi completi perfetti. Voleva avere la stessa capacità di star bene con tutto, chissà allora che figura avrebbe fatto. Difatti, si tolse il suo trench sedendosi sulla quarta fila al posto laterale, e lasciando uno spazio per Raphael accanto a sé. Si guardò nel suo vestito verde, stretto in vita con una cinta nera larga, e si tirò le maniche lunghe. Non le sembrava di star sempre bene come Theodore, proprio per niente. Ma lui l'avrebbe seguita? Lo cercò con gli occhi, aspettando che la raggiungesse accanto al suo posto, e si emozionò all'idea di averlo nuovamente accanto, seduto di fianco a lei. « Se vuole che mi sposti un pò ci mettiamo più centrali. Oppure possiamo rimanere qui. » Aggiunse, e poi sprofondò nell'imbarazzo di aver parlato troppo. Era diventata così abituata ad essere se stessa con Raph che era difficile far di nuovo forza nell'essere come era con tutti gli altri.
    Appoggiò infine la borsa con tutte le sue cose, e un angolino del libro che portava con sé quel giorno fece capolino dalla tasca interna - aveva tra le altre cose l'abitudine di lasciare sempre la borsa aperta - e così facendo rivelò un pezzo del titolo del libro che aveva portato con sé. 'Tale of two cities'. Non disse nulla, ma lasciò spazio accanto a sé affinché l'uomo fosse libero di posare anche lui tutto quello di cui aveva bisogno. Respirò lentamente, ispirando l'aria, sperando di avere abbastanza forza per quella giornata.
    Non oggi. Voleva dire esattamente quello. Non sapeva se avesse il coraggio di affrontarlo, di fronte a persone che non sapevano nulla di loro, di quello che era stato, della presenza e dell'assenza, il desiderio senza oggetto, il non realizzato e il realizzabile. Perché Raphael le era mancato, e chi le era mancato in quel momento non esisteva più.



    Edited by wanderer. - 19/9/2021, 16:23
     
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    Alcune volte gli capitava di avere degli incubi. Si svegliava nel cuore della notte convinto di essere ancora lì, in Afghanistan, con il pericolo di un attacco improvviso, nel cuore della notte, con la possibilità di venire svegliato a qualunque ora perché uno dei suoi compagni era stato ferito e aveva bisogno di aiuto. C’erano stati giorni buoni e giorni cattivi. E poi c’erano stati poi i giorni peggiori di tutti, quelli in cui sentiva di essere solo contro il mondo, un singolo e minuscolo essere umano che cercava di combattere contro un nemico troppo grande per essere affrontato. Non era possibile sconfiggere la morte, non aveva importanza quanto lui tentasse. E alcune notti gli capitava di tornare indietro con la mente a quei momenti, di rivedersi di nuovo lì, tra quelle vie polverose, con indosso una divisa che forse non lo rappresentava del tutto e un elmetto a proteggergli il capo. Non era mai stato costretto a sparare, per fortuna, sebbene ne avesse avuto la facoltà. Aveva seguito un impegnativo corso di addestramento, era un soldato a tutti gli effetti, come i suoi compagni, ma come chirurgo veniva esposto meno durante le missioni. Le sue abilità gli avevano permesso di vedere una parte più pacifica di quel momento, sebbene gli orrori non fossero mai mancati. Per lui che tanto soffriva nel non poter salvare una vita, doverne spezzare una in maniera consapevole sarebbe stato distruttivo. Aveva visto il modo in cui compiere quel tipo di scelte cambiava una persona in maniera del tutto irreversibile. Lo aveva visto nello sguardo vacuo dei compagni, distrutti anche al pensiero di averlo fatto per tentare di salvare la vita di un amico. Non c’erano scorciatoie nel loro mondo, non c’erano modi per rendere più sopportabile o meno vero quello che affrontavano tutti i giorni. Tutto quello che potevano fare era restare uniti, farsi forza l’uno con l’altro. Perché sapere che c’era qualcuno al proprio fianco, anche se si trattava di un parziale sconosciuto, di qualcuno di cui si sapeva solo il nome o poco altro, poteva fare la differenza. Era stato quindi difficile per lui tornare a casa, lasciare i suoi compagni a quelle missioni che sembravano non finire mai, tornare al sicuro, lontano da quell’orrore. Quante cose si era lasciato alle spalle. Quante lo avrebbero perseguitato ancora di lì agli anni successivi?
    C’era ancora un passato in attesa, che per fortuna era rimasto abbastanza silente, come se non avesse alcuna intenzione di tornare. Quando aveva accettato l’incarico presso la Divisione non si era fatto domande: per svolgere il suo lavoro non sarebbe stato importante conoscere il proprio passato, ma era comunque convinto che, prima o poi, qualche pezzetto di esso lo avrebbe raggiunto per bussare alla sua porta, riacchiappandolo per la collottola e riportandolo indietro. Nel frattempo, comunque, continuava ad andare avanti a testa alta, senza pensarci troppo, concentrandosi sui suoi incarichi e sulle cose che poteva controllare. Era inutile fasciarsi la testa, disperarsi per qualcosa che non poteva prevedere. Probabilmente nel suo fascicolo doveva esserci qualcosa a riguardo, magari il nome dei suoi parenti, qualche contatto da evitare o a cui far sapere che ancora vivo, ma a lui non era permesso guardarli. Soltanto gli agenti con il grado maggiore sapevano quel genere di informazioni e lui, nei pochi anni che aveva trascorso come uomo del governo, non aveva ancora raggiunto la vetta di quella scalata. Nella sua mente continuava ad essere il chirurgo da campo che si batteva per salvare delle vite, anche se aveva abbandonato la sua postazione sulla terra desertica per una decisamente più comoda, come Primario del Pronto Soccorso della cittadina dove viveva da ormai quasi un anno. Nei primi tempi gli era sembrato di aver perso qualcosa, di aver preso una strada troppo facile, una scorciatoia rispetto a ciò che aveva affrontato gli anni precedenti, ma era quella la sua vita in quel momento e avrebbe dovuto farci l’abitudine.
    Così come doveva imparare a dividersi tra la vita segreta che conduceva dentro le mura di quell’edificio governativo e quella alla luce del sole, dove sembrava un semplice chirurgo con un sorriso un po’ troppo furbetto, poco adatto a delle mura così serie e sofferenti. Glielo aveva detto una volta una signora anziana che aveva visitato, che lui sorrideva troppo per un posto come quello e la cosa lo aveva colpito molto. Non aveva mai ritenuto gli ospedali solo dei luoghi della sofferenza e non voleva che le persone li vedessero solo in quel modo. Non avrebbe quindi smesso di comportarsi come lui riteneva giusto e opportuno. Era pur vero che la giustizia fosse un concetto relativo, e lui più di tutti ne aveva sempre avuto uno molto preciso, fatto su misura per sé, che ancora faticava ad abbandonare. Forse per questo si sentiva fuori posto a volte tra quelle mura nascoste nel bosco, dove la giustizia aveva un significato molto preciso. Ancora una volta si sentiva un pesce fuor d’acqua, eppure come perfettamente dove credeva fosse meglio essere. Una vita di indecisioni, guidata soltanto dalle sue emozioni, dal suo istinto. Era se stesso l’unico di cui sapeva di potersi fidare davvero e quell’istinto il metro di giudizio che utilizzava per pesare le persone e decidere che cosa pensare di loro. Probabilmente neppure questo era giusto, molti avrebbero avuto da ridire su una cosa come quella, ma lui si stufava in fretta di seguire le regole e farsi dire costantemente che cosa dovesse fare: aveva bisogno di evadere, di andare dritto per la sua strada.
    Avanzò quindi sereno verso l’ascensore, sorridendo appena nel notare la figura minuta di una collega con cui non aveva ancora avuto l’occasione di collaborare. Si voltò verso di lui quando la chiamò, non del tutto convinto di aver azzeccato il suo cognome. Un nuovo sorriso, stavolta più divertito, gli colorò le labbra quando notò che lei invece sembrava ricordare perfettamente chi lui fosse, nonostante di fossero incrociati forse due o tre volte e solo per pochissimi minuti. Allungò una mano verso di lei e la donna la strinse, prima di ricordargli il suo nome, forse come per dirgli che preferiva che utilizzasse quello. -Giusto, ora ricordo. - disse, senza vergognarsi di ammettere che aveva dimenticato il suono delicato di quella parola nei mesi che erano trascorsi dall’ultima volta in cui l’aveva vista. -Me lo appunterò da qualche parte, per non dimenticarlo di nuovo. - promise, inclinando appena il capo come per farle una sorta di silenzioso giuramento. Assottigliò appena lo sguardo mentre lei continuava a parlare, spiegandogli che i loro cognomi derivavano dalla stessa radice norvegese e che per questo lei lo ricordava. Trovò strano riuscire a collegare delle parole in quel modo ma era una cosa curiosa, interessante. -Siete un’appassionata della radice dei nomi? - domandò, visto che lui invece di quelle cose credeva di non sapere alcunché. In effetti conosceva poche lingue, aveva studiato solo quelle necessarie e non poteva dire di parlarle in maniera eccellente, non era quindi strano che non sapesse neppure una parola di norvegese antico e che non fosse un asso nell’associare parole più attuali alle loro versioni arcaiche. Lui era uno che andava più verso il progresso, piuttosto che tornare indietro su ciò che ormai era passato. Sentiva di essere sempre in ritardo, di avere sempre fretta. Se si fosse fermato per recuperare cose così antiche non avrebbe fatto altro che accumulare il tempo che sentiva di aver perso. Era strano, non avrebbe saputo come spiegarlo in maniera razionale a qualcuno.
    Il caso volle che avessero entrambi la stessa destinazione, lo stesso piano per lo meno, e che quindi avrebbero condiviso quelle strette mura per tutto il tempo. Sorrise appena davanti alla curiosità di lei. In effetti era complicato riuscire a legare in un mondo come il loro, dove molte delle loro conoscenze dovevano essere tenute al sicuro. -Sono un chirurgo. Da pochi mesi sono diventato il Primario del Pronto Soccorso. - spiegò, partendo da quello che era più semplice, dal lavoro che tutti avrebbero potuto conoscere e scoprire in breve tempo. -Credo di non essere mai stato troppo portato per le cose esageratamente statiche. Ho bisogno di movimento, adrenalina.. e in Pronto Soccorso non si sa mai quale caso arriverà. E’ sempre un’avventura. - aggiunse, come se a lei potesse davvero interessare capire perché avesse scelto di specializzarsi in quel tipo di cose, piuttosto che in un qualunque altro ambito della medicina, visto che ne esistevano tantissimi. -Ormai vivo qui da quasi un anno, sembra un posto tranquillo, abbastanza accogliente. - disse ancora, rispondendo ad un’altra delle sue domande. In realtà sarebbe stato più corretto dire che era tornato lì da quasi un anno e che avrebbe dovuto recuperare qualche ricordo perduto, ma quello lo tenne per sé. Non aveva voglia di discutere di quell’argomento in quel momento, mentre ancora non aveva neppure chiaro che cosa dovesse fare lì. -Lei invece? - domandò, dove averle chiesto di quella sua incredibile abilità con le lingue. Non lo sorprese scoprire di avere a che fare con una traduttrice, quello che lo colpì fu invece il fatto che lei parlò del suo dono intendendo probabilmente la sua particolarità, ammettendo di averlo usato senza alcun timore. La città aveva donato loro delle peculiarità, perché non sfruttarle per avere una vita migliore? O magari per aiutare qualcuno? Poteva capirla, anche lui non avrebbe esitato a usare la sua particolarità per aiutare qualcuno che non riusciva a controllare la sua, eppure non riusciva a vederla con la stessa pace con cui lei ne parlava. Se avesse dovuto scegliere lui, forse, avrebbe preferito qualcosa di diverso, di più attivo. Qualcosa che gli permettesse di sentirsi davvero utile e non in maniera indiretta.
    -Io invece ammetto di non essermi fatto ancora un’idea precisa, su questi.. doni. - disse, riutilizzando la sua stessa parola, come se fosse un linguaggio in codice tra di loro che avrebbero potuto comprendere solo all’interno di quelle mura. -Ritengo che siano senza dubbio utili e coloro per cui lavoriamo in fondo ci hanno scelto anche per questo, perché la nostra utilità è indubbia. Eppure mi chiedo da dove provengano, in che modo questa città assegni a ciascuno qualcosa. - disse, lasciando poi il pensiero in sospeso mentre le porte dell’ascensore si aprivano. Le sorrise, come a invitarla a lasciar stare quello che aveva appena detto e a proseguire per la sua strada. Lei uscì per prima dalla cabina e il rumore dei passi di lui le fecero da eco. Scosse il capo, divertito, ritrovandosi a seguirla passo dopo passo, come un’ombra. Tutta quella serie di buffe coincidenze iniziava ad avere quasi qualcosa di assurdo. Anche lei parve notarlo, chiedendogli se, in effetti, non fossero diretti proprio nello stesso luogo, per presenziare alla stessa riunione. In fin dei conti, visto dove stavano andando, era più che probabile. Oltrepassarono i vari controlli del caso, tutta quella serie di formalità che permettevano di mantenere sicura l’organizzazione e ciò che svolgevano in segreto. - A volte il caso è davvero strano. - mormorò, rispondendo al sorriso divertito di lei con uno tutto suo. Forse non doveva essere poi così strano per chi frequentava spesso l’edificio, ma per lui che ci metteva piede solo in rare occasioni era tutto sempre una sorpresa.
    Una volta varcata la soglia di quella ampia sala si guardò attorno, alla ricerca di qualche volto noto. Non poteva dire di essersi fatto molti amici all’interno di quel nutrito gruppo, ma gli piaceva comunque mantenere i contatti con quei pochi di cui sapeva qualcosa di più del semplice nome. Sollevò quindi una mano, salutando alcuni di loro con un sorriso sereno. Con la coda dell’occhio notò la figura di Willow, sistemata accanto a un posto vuoto che sembrava aver tenuto per lui, quindi si mosse verso di lei, approfittando di quella gentile cortesia. -La ringrazio. - le disse quindi, mentre si accomodava accanto a lei, per poi scuotere il capo quando lei propose di spostarsi in posizione più centrale se lui lo avesse preferito. -Oh no, io detesto questi incontri. Se potessi me ne starei all’ultima fila, nel posto più vicino alla porta, per potermela filare quando nessuno può vedermi. - disse, per poi ridacchiare appena, come se si fosse trattato solo di uno scherzo. In realtà quelle occasioni troppo formali non gli andavano molto a genio. Preferiva di più avere qualcosa da fare, qualcosa su cui concentrarsi davvero, piuttosto che starsene lì, seduto, ad ascoltare altri parlare del nulla, impiegando un sacco di tempo nel farlo. Notò distrattamente il libro che fuoriusciva dalla borsa di lei, posta in mezzo a loro, come a segnare un leggero confine da non oltrepassare. -Leggete molto? - domandò, approfittando di quei pochi minuti che ancora avevano a disposizione prima dell’inizio della riunione. -Io leggevo di più in passato, quando sono stato fuori dalla Norvegia era l’unico modo per evadere da ciò che vedevo. - disse, senza essere troppo chiaro su quella faccenda. Rivelare di essere stato nell’esercito, in guerra, non era una di quelle cose da dire a cuor leggero con qualcuno che non si conosceva. -Ora invece i miei turni non mi permettono di avere il tempo libero che vorrei. - terminò, con un leggero sorriso divertito, lasciando a lei il tempo e la possibilità di aggiungere qualcosa sul suo conto, se lo avesse voluto.
    Ancora qualche istante e i loro colleghi di rango maggiore entrarono nella sala, andando a posizionarsi davanti a tutti gli altri, per dare inizio a quella riunione. Nei primi minuti si limitarono a fare il punto della situazione, dando alcune indicazioni sul modo in cui sarebbero andati avanti con le operazioni in corso nei mesi successivi, poi iniziarono a fare delle piccole divisioni, assegnando a ciascuno una piccola parte di qualcosa. -Rønningen, Ruud? - li chiamò quindi, cercandoli per la sala, come se non fosse neppure sicuro di vederli entrambi lì. Rapahel sollevò in aria una mano, così che l’uomo potesse identificarli con maggiore facilità. -Oh bene. Voi due, dovreste restare al termine della riunione, per discutere alcuni dettagli. Dovrete collaborare a un’operazione della massima delicatezza. - disse quindi, evitando di rivelare davanti a tutti gli altri dei dati sensibili. Sarebbe stati informati giusto dello stretto necessario per compiere il loro lavoro e solo quando quella noia mortale fosse finalmente giunta al termine. Annuì, cercando di mascherare un’espressione un po’ annoiata poi, quando l’uomo distolse l’attenzione da loro, inclinò il busto per avvicinarsi all’orecchio di Willow. -Mi sa che è il caso di mettersi comodi. Temo ne avremo ancora per molto tempo. - borbottò, con un leggero sbuffo, per poi tornare dritto, cercando di concentrarsi sul nuovo argomento che veniva esposto.
     
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    -Me lo appunterò da qualche parte, per non dimenticarlo di nuovo. - Aveva sperato in realtà, che a sentire il suono del suo nome qualcosa fosse potuto accadere. Sapevano così poco tutti loro del loro potere: cosa accadeva effettivamente che fosse tale da trasformare un'esperienza vissuta in cenere e a rendere miserabili tutti quelli che venivano lasciati indietro perché gli attimi vissuti erano solo per loro, quasi un sogno vissuto ad occhi aperti, invece che la realtà? Willow sperava sempre di essere vicina ad una scoperta, di essere vicina ad un'indagine sensazionale che avrebbe potuto mostrare come poter agire in tal senso. Sicuramente la sua volontà di saperne di più era nata, ed era dovuta, al ruolo che la storia con Raphael aveva avuto nella sua vita. Sarebbe stato tutto nettamente diverso se lei e Raphael non fossero andati quel maledetto giorno nel territorio della comunità, la Reservoir. Se solo fossero rimasti nei loro confini, nella loro vita, nella vita di lei, o comunque nella Besaid che frequentavano tutti i giorni, quando si ritrovavano per passare del tempo assieme, le cose sarebbero cambiate drasticamente. Si è chiesta tante volte, cosa sarebbe successo se. Se quel giorno tutto fosse andato come doveva andare, e si fosse davvero presentata ai suoi amici, alla sua famiglia, se non ci fosse stato di mezzo l'incidente, oh, lei aveva formulato tantissime ipotesi su quello che si sarebbe verificato. Innanzitutto, non sarebbe mai andata all'università. Su questo poteva metterci una riga sopra e ripartire dalla visione che in quei dieci anni passati aveva riformulato di se stessa: non tutto era andato male dopo che Raphael era andato via. C'era voluto molto tempo perché risistemasse i cocci che aveva rotto, evitando testarda di buttare via tutto e ripartire, aveva cercato di trovare un legame tra le cose che erano passate, e il futuro che poteva scegliere per sé, convinta che non sarebbe mai stata troppo lontana dalla ragazza di cui Raphael si era preso - innamorato - doveva ricordare tutte le volte a se stessa. Perché per quanto avesse pensato che Raphael l'avesse lasciata dietro di sé, e avesse scelto di andare via, lei se lo sentiva dentro che le sue parole scritte nella sua lettera d'addio e il modo in cui si erano guardati l'ultima volta non poteva essere una menzogna. Però, per quanto ne fosse convinta - l'aveva amata! - adesso sentiva di non essere più la ragazza di allora. Ed era per questo che Willow aveva rinchiuso la parte coraggiosa di se stessa - se mai ce ne fosse stata una - e le aveva intimato di tacere senza colpo ferire.
    Se lei e Raphael avessero cominciato qualcosa quel giorno avrebbero costruito la loro vita insieme, era questo quello che pensava. Via università dal campo. Via i dubbi, l'aveva portata a conoscere la vita che lei non conosceva ancora di lui. E la comunità... forse non le sarebbe andata a genio, o forse sì, ma avrebbe trovato amici sinceri lì, quanto meno gli amici di cui Raphael si fidava, e sarebbe stata con loro, con la sua famiglia. Avrebbero messo su radici. « È una promessa.» Disse. Chissà perché, nel frastuono della sua mente, si sentì di sbilanciarsi tanto da dirgli qualcosa che potesse sembrare ambivalente, o ammiccante, una cosa che uno sconosciuto ad un altro - soprattutto lei - non avrebbe mai detto. Però se quel nome l'avesse appuntato.. quante Willow avrebbe trovato lungo la sua strada allora da fargli pensare: questa era la donna con cui avevo legato, e lei era la Willow da cui sono scappato? Non aveva mai conosciuto nessuno con il suo stesso nome, in Norvegia ne avrebbe trovata certo qualcun altra, ma non così tante, nessuna di Besaid, il luogo dove era nato anche lui. Forse ci fu qualcosa in quello che le passò allora, nel suo modo di guardarla che le fece provare ancora la voglia di sbilanciarsi, trattenendosi sempre ad un passo dal rivelare tutto.
    Fermò quel pensiero, aspettando di arretrare un pò dal bilico, dal baratro da cui non avrebbe potuto tornare indietro. Non poteva certo dirgli adesso, dopo tanto tempo passato dall'incontro nel quale l'aveva rivisto di nuovo, la primissima volta di ritorno a Besaid: Raphael, tu questo nome lo conoscevi bene.
    -Siete un’appassionata della radice dei nomi? - Sviò nel comodo discorso che lui le aveva lanciato, prima di piombarcisi volutamente. « Ho sviluppato la mia tesi di laurea in questo campo.. mi ci sono soffermata un bel pò. Le parole hanno tanti legami, è un mondo affascinante. » Aspettò che entrambi fossero nell'ascensore, per tornare a chiedergli frasi che aveva pensato da tempo e che finalmente poteva trovare in qualche modo, il modo per rivolgergliele, per sapere quello che ancora le mancava.
    Raphael nel frattempo aveva continuato la sua specializzazione in medicina, e questo lo aveva scoperto cercando il suo profilo in giro in quei mesi senza sosta, ma alla fine non aveva saputo davvero come era andata e perché. Sentirlo parlare di adrenalina e del fatto di non voler rimanere mai fermo la fece sorridere. A lei piacevano le cose statiche, immobili, le cose che rimanevano immutate nel tempo. Il cambiamento la maggior parte delle volte la spaventava. Il pensiero che le cose non fossero mai per sempre e che tutto mutava velocemente la faceva rabbrividire. Era saggia, ma non così saggia da sentire di voler diventare un anziano salice che poi si sarebbe trasformato in qualcosa di incommensurabilmente piccolo, tanto piccolo da diventare davvero un granello di polvere, e da sentirsi schiacciata per questo. Ecco, quello era il tipo di pensiero che riusciva a farla gridare anche quando lo faceva tra sé e sé e nessuno la sentiva. Rabbrividì, come se uno spiffero malevolo l'avesse raggiunta, e si strinse nelle sue spalle mentre guardava Raphael dal basso verso l'alto, negli occhi che amava tanto, occhi color del cielo rannuvolato, in quel viso che le sembrava la prima cosa che se pensava dovesse mutare poteva solo sentire che potesse diventare meglio e più perfetto ancora di quanto lo fosse in precedenza. « Un'avventura... pensando a cosa ho appena detto le sembrerà tanto diverso il mio interesse. » Si riferiva al fatto che per lei il mondo delle parole era affascinante, appunto, e sapeva bene che Raphael era stato entusiasta delle avventure, anche di quelle che scorrevano nei libri, ma condivideva con lei la passione del saperne di più, e tutto ciò che aveva imparato lei in quegli anni glielo aveva raccontato, perché non avrebbe mai voluto prenderne un briciolo di quel sapere se non avesse potuto condividerlo con lui. Insomma, sapeva che dietro quella sua voglia di correre c'era sempre stata anche tanta voglia di conservare legami, e di tenere alle cose che contavano, che in quel filo che aveva legato lui e lei, perché loro si ritrovavano sempre, erano tanto diversi quanto complementari. Non aveva mai visto qualcosa di simile negli altri.
    -Lei invece? - Così glielo raccontò, cercando di parlare come e quanto aveva fatto lui nel suo racconto. « Io sono un'interprete e traduttrice. Sono nata qui a Besaid, e ci sono rimasta finora, a parte qualche viaggio fatto per l'organizzazione. Infatti ci siamo incontrati un pò più lontano da qui. » Sorrise a labbra strette, incerta del come rivangare il discorso dell'incontro, e sperando che per lui potesse solo sembrare imbarazzo il suo, come se fosse una persona molto timida. Quanto erano diverse le cose invece. « Mi trovo bene in questa cittadina. Spero che continui a piacerle qui. So che all'ospedale di Besaid i primari sono cambiati molte volte, perciò sarebbe bello vedere un pò di stabilità e ordine al comando. » La fece sorridere di più stavolta, la scelta delle parole che aveva usato. Aveva in effetti osato di più. Parlare di stabilità del bel lavoro di Raphael andava bene, ma rivangare la parola quando lui aveva appena detto di voler rifuggire da essa era diabolico. Non seppe decidersi se fosse giusto o no, se avesse fatto bene o fosse troppo forte come concetto da affermare.
    L'argomento li portò a parlare delle particolarità, da cui Willow era ovviamente indissolubilmente legata, data la natura del suo ruolo ed incarico. Ascoltò le sue parole, e saggiò più fortemente la sua risposta, stavolta. « Vorrei saperne di più anche io. È stato questo che mi ha fatto avvicinare ai miei studi in realtà. Volevo trovare un canale che mi potesse indirizzare. Da sola nonostante il mio potere non potevo fare nulla. » Voleva dare ragione al suo pensiero, voleva trovare una nuova impronta su cui provare a parlargli, ma si rese conto che potesse sembrare davvero troppo andare oltre quella frase. E allora sorrise e basta, fintanto che il tragitto in ascensore finì e fossero di nuovo in grado di proseguire. A quel punto era quasi lecito pensarlo, ma il destino aveva aiutato lei nella possibilità di riavvicinarsi a Raphael consentendole di avere quel giorno per lei. Aveva scongiurato una preghiera in un 'non oggi' invano.
    Perciò non rispose ancora, si limitò a lasciare che il suo sguardo corresse veloce tra lui e il corridoio, e quando furono nella sala e per Raphael fu abbastanza rimanere vicino a lei per tutta la durata della riunione si sentì, per poco, ma fu straordinario ugualmente, invincibile. Non ebbe il tempo di dire la sua a riguardo delle riunione, la domanda di Raphael arrivò veloce, e lei si sentì impreparata. « Si, io.. amo molto leggere. Non mi fa solo evadere, è come se esaltasse il tempo che ho a disposizione dandomene... di più. » Si interruppe, rendendosi conto di aver parlato incerta, proprio come se fosse stata presa in contropiede. Guardò di nuovo negli occhi di Raphael, e si accorse che per quanto avesse voluto non poteva fingere totalmente. Lei qualcosa sapeva, non poteva pensare che un Raphael senza memoria avesse poi un'altra indole. « Sono sicura che può capirmi. » Sussurrò decisa, e non fece nessun gesto se non quello di indugiare di più nel suo sguardo. Dopo poco la riunione cominciò e nel frattempo che tutti presero i loro posti e si zittirono qualcosa di inaspettato venne alla mente di Willow, che si rese conto di aver avuto così tanta paura di dover affrontare Raphael da essersi dimenticata di qualcosa di fondamentale. Lei non sapeva completamente chi era lui adesso, era vero, ma non poteva pensare che fosse diventato un'altro soltanto perché aveva perso qualsiasi ricordo di chi era. Il corpo e la mente, potevano davvero dimenticare qualsiasi abitudine senza conservare un riflesso, una mania, una tendenza, qualcosa che potesse in un certo senso, avere un ricordo?
    Willow sentì molto poco quanto discussero in quella riunione, se non affatto, e martoriò per metà del tempo il suo labbro inferiore con i denti. Le sembrò che si fosse spianata lì di fronte a lei una strada alternativa meno accidentale della precedente. Poteva usare quello che sapeva del passato di Raphael per non lasciargli ricordare una Willow diversa, ma farne conoscere una nuova? Quello che sapeva per certo fosse parte di lui, che fosse stato tale almeno in un momento della sua vita, poteva aiutarla a raggiungere la sua persona senza far perdere entrambi di nuovo, dieci anni dopo?
    -Rønningen, Ruud? - Sentì il nome di Raphael e poi il suo, dopo molto tempo che arrivò effettivamente alle sue orecchie, e si riscosse dal pensiero pericoloso, intontita, e senza fiato. Se Raphael non avesse alzato la mano al suo posto lei non si sarebbe minimamente accorta di essere stata chiamata, e forse fu il movimento dell'uomo a farla tornare presente. Il senso di stordimento fu l'unica cosa a salvarla da un sobbalzo certo, quando sentì il respiro di Raphel sul collo mentre si avvicinava a sussurrarle una risposta solo per lei a tutto quel mistero e alla convocazione di un incarico che fosse solo loro. Il tutto, correlato al pensiero che aveva appena espresso, servì a chiederle se fosse un segno e l'intuizione da seguire potesse essere quella per davvero. Poteva rinunciare al loro passato, andare avanti nel futuro con una marcia, una benedizione in più? Doveva?
    « Già. Cosa pensi che possa riguardare? È insolito. » Rispose, modulando il tono di voce in modo che potesse essere ridotto ad un sussurro, senza guardarlo, facendo finta, come lui, di continuare a seguire la riunione con attenzione. Si prese mano nella sua stessa mano, disposte in grembo, lontane dagli occhi di tutti, e si impose di restare calma. Quando la fine della riunione giunse, sistemò la sua borsa da un lato del fianco, cappotto in braccio, e cartella appesa ad esso, aspettò che Raphael potesse spostarsi assieme a lei senza perderlo di vista, stavolta le veniva imposto, e l'imposizione aveva reso molto più facile per lei rimanere ad aleggiare attorno a lui senza sembrare particolarmente strana. Sicuramente, se così non fosse stato, non avrebbe avuto o mostrato naturalezza nel rimanere accanto a lui. Ascoltò le sue parole, le congetture che le stava esponendo provando a pensare a qualcosa per cui avrebbero potuto essere in effetti 'accoppiati', proprio loro due, come squadra operativa. Raggiunsero il comandante della divisione ed i colleghi di rango maggiore, rimanendo vicino alle prime sedie della prima fila. Willow sospirò prima che cominciassero a spiegare loro il nuovo compito.



    Edited by wanderer. - 12/12/2021, 20:21
     
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    Sorrise appena, quando lei fece da eco alla sua promessa con aria tranquilla, forse persino sin troppo sicura. Non capiva che cosa gli stesse passando per la testa eppure quella Willow sembrava davvero una donna interessante, qualcuno che gli sarebbe piaciuto conoscere, se ce ne fosse stata l’occasione. Era una donna molto bella, sarebbe stato impossibile negarlo, eppure non era tanto quello ad affascinarlo, quanto piuttosto i modi che aveva di muoversi, di parlare. Tutto in lei sembrava diverso da qualunque altra donna avesse incontrato sino a quel momento, eppure nel profondo sentiva come qualcosa di familiare, un piccolo campanello d’allarme che suonava in un luogo recondito della sua mente, a cui lui non voleva prestare ascolto. Buttarsi nella mischia senza pensare troppo, era così che gli piaceva vivere. Riflettere lo avrebbe sicuramente convinto a fare dei passi indietro, a ripensarci, mentre lui non voleva farlo. Si lasciava guidare dall’istinto, dalle emozioni, dalle sensazioni che una cosa generava in lui. Che fosse giusto o sbagliato lo avrebbe scoperto poi, accettando le conseguenze, prendendosi le sue responsabilità. Non era uno che fuggiva, neppure dalle colpe, o almeno di questo lui era fermamente convinto. Cercò quindi di carpire qualche altro dettaglio, anche piccolo, che gli permettesse di costruire un quadro un po’ più definito sul conto di lei all’interno della sua mente. Dopotutto, pensò, nessuno dei due aveva molto di meglio da fare in quel momento, in attesa dell’ascensore. Iniziò a pensarci anche lui al legame che potevano avere le parole, al mondo nascosto che poteva trovarsi in mezzo a loro. Lui, di sicuro, non era mai riuscito a coglierlo, ma era affascinante che invece qualcun altro potesse vedere così a fondo, leggere tra righe che lui neppure aveva mai percepito.
    Sorrise quando, dopo aver risposto alle sue domande, lei notò ad alta voce quanto diverse dovevano essere state le loro esperienze e forse anche i loro interessi. -Diverso, sì, ma non per questo meno affascinante, credo. - mormorò, con aria pensierosa, mentre guardava per un istante i loro riflessi contro il metallo dell’ascensore. -Il mondo sarebbe un luogo incredibilmente noioso se tutti avessimo gli stessi interessi e parlassimo degli stessi argomenti. - aggiunse poi, sfoderando un sorriso sereno, rivolgendo di nuovo lo sguardo in direzione di lei. Lui magari non avrebbe capito granchè se lei avesse iniziato a spiegargli come muoversi all’interno del mondo delle parole, ma sarebbe stato comunque interessante stare ad ascoltarla. Questo non lo disse però, lo trattenne sulla punta della lingua, lasciando che solo il sorriso esprimesse i suoi pensieri. Sentirle affermare di essere un’interprete quindi non lo stupì troppo. Lo riteneva un collegamento più che probabile con quanto gli aveva raccontato poco prima e in effetti gli sembrava di vedercela bene a parlare spostandosi da una lingua all’altra, con la stessa classe con cui si muoveva all’interno dello spazio fisico. Ripensò a tutte le occasioni in cui un’interprete gli sarebbe davvero tornato utile e forse avrebbe potuto cambiare completamente le sorti di un evento. Ma il passato non si poteva cambiare, era inutile voltarsi indietro e lasciarsi invadere dalla malinconia, dai dubbi, dai se e dai ma. Pensò alle sue parole, a quasi una vita intera passata nello stesso luogo, un posto che quindi lei a quel punto poteva forse chiamare casa. E lui, aveva davvero un luogo come quello? Un posto dove sentirsi al sicuro, un luogo dove tornare quando non sapeva dove andare? Se lo era chiesto spesso nelle notti insonni trascorse all’altro capo del mondo, mentre la guerra imperversava attorno a lui.
    -Cose terribili accadono a chi varca la porta di quell’ospedale? - chiese quindi, con un sorriso divertito. Un modo come un altro per chiederle se sapesse come mai i Primari abbandonavano quel luogo così spesso, se ci fosse davvero qualcosa che non andava. Lui, dal canto suo, riteneva di aver visto orrori ben peggiori di qualunque cosa potesse capitargli tra le mani in un ospedale di paese, per quanto bizzarri fossero i suoi abitanti. -Quanto resterò, a dire il vero, credo dipenderà soltanto dai nostri superiori. Non so quali incredibili avventure hanno in serbo per me. - aggiunse, con un sorriso sornione, tornando a quella parola che aveva usato poco prima per definire il suo lavoro. In effetti non era stato lui a decidere di raggiungere Besaid, erano stati quelli dei piani alti a spingerlo sin lì, forse per via di quel passato che non ricordava. Chissà quante informazioni avevano raccolto negli anni su tutti loro, quante cose gli avevano sempre tenuto nascoste. Non le disse, tuttavia, che non si era spinto sin lì di sua spontanea volontà e che sarebbe stato ancora a Oslo, in quel momento, se non ci fosse stata quella mano dall’alto a guidarlo fin lì. Doveva ammettere, tuttavia, che Besaid era un luogo interessante, e che sarebbe stato curioso di scoprire qualcosa del suo passato, visto che anche sulla sua carta d’identità era quella la sua città natale. Chissà se le loro strade si erano già incrociate in passato, se c’era qualche evento passato a legarli che la sua mente aveva rimosso, dopo essere andato via. Era una cosa curiosa quella questione della memoria. Alcuni colleghi glielo avevano accennato, ma lui non aveva voluto approfondire troppo. Ciò che era perso, era perso, dopotutto, inutile cercare di recuperarlo, gli avevano detto che non era possibile.
    Le particolarità, la memoria, tutte le questioni strettamente legate a quel luogo erano affascinanti e gli sarebbe piaciuto saperne qualcosa di più, anche solo per curiosità personale. -E sei riuscita a trovare quel canale? - domandò quindi, curioso di sapere se fosse riuscita a trovare un po’ di quelle risposte che aveva cercato. Lui non aveva ancora trovato molto sull’argomento e si era limitato ai racconti delle persone che conosceva, senza ancora provare a scavare più a fondo. Raggiunsero insieme la sala della riunione e si accomodarono vicini, in attesa di sapere quale sarebbe stato l’argomento di quella giornata. Fu felice di sapere che, nonostante le differenze, avevano comunque qualcosa in comune. I libri, ad esempio. La frase che gli rivolse, poco dopo, gli fece inarcare appena le sopracciglia, colto in contropiede. Forse davvero si erano conosciuti in passato? Erano stati amici? La guardò per un istante, indeciso se esprimere a voce quei dubbi che iniziavano ad attanagliargli la mente. L’inizio della riunione lo salvò dall’impasse, rimandando a un momento successivo quella questione. Dopotutto erano lì per questioni di lavoro e a quello avrebbero dovuto dare la precedenza, sebbene a lui la cosa non andasse troppo a genio. Detestava gli incontri come quelli, stare seduti per una quantità di minuti indefinita ad ascoltare persone che parlavano di questioni che non gli interessavano, senza alcuna possibilità di agire. Forse soltanto la presenza di Willow, al suo fianco, avrebbe reso sopportabile quell’agonia.
    Ascoltò in maniera piuttosto annoiata, fino a che non si sentì tirato in causa, insieme alla donna al suo fianco, facendo un cenno affinchè l’interlocutore vedesse dove si trovavano. Avrebbero avuto qualcosa di nuovo su cui lavorare, ma anche per quello dovevano ancora aspettare. Cercò di capire se Willow sapeva già qualcosa, o se avesse delle idee su ciò che poteva aspettarli, di lì a breve. -Non ne ho idea, ma spero sia qualcosa di interessante. - disse, per poi allontanarsi e fingere di ascoltare il resto di quella discussione. Parlavano di strani incontri, di eventi che avevano scombussolato la vita in quella tranquilla cittadina. Chissà se prima o poi anche lui avrebbe avuto modo di imbattersi nei personaggi che stavano destando così tanto scalpore e se qualcuno sarebbe riuscito a identificarli. Aveva sentito alcuni pazienti in ospedale parlare di quanto fossero spaventati da tutte quelle novità. Qualcuno aveva avuto persino paura di uscire per mesi, ma alla fine aveva dovuto farlo. Era stato molto incuriosito dalle strane apparizioni di nuovi luoghi, da persone che perdevano il controllo delle loro particolarità, da guerrieri venuti dal passato per portare a termine antiche vendette. Sembrava quasi di vivere dentro a un libro. Se non lo avesse visto con i suoi occhi avrebbe fatto fatica a credere che un posto come quello potesse esistere davvero.
    Si alzarono insieme, al termine della riunione, raggiungendo in maniera piuttosto celere il luogo dove avrebbero dovuto discutere della loro successiva missione. -Non essendo io un operativo e immagino neppure lei.. devo pensare che la nostra utilità stia nelle nostre particolarità. - disse quindi, mentre camminavano, cercando di abbozzare una qualche teoria. -Probabilmente hanno trovato il modo di combinarle, o comunque hanno in mente qualcosa. - continuò, grattandosi appena il mento con aria pensierosa, alla ricerca di qualche altro elemento, cercando di scavare a fondo nella sua mente, senza tuttavia riuscire a trovare nulla. Raggiunsero i loro superiori, accomodandosi nei posti che erano stati lasciati loro, senza aggiungere un’altra parola. Era curioso di sapere, ma non così irruento da prendere parola senza che gli venisse chiesto di farlo. -Bene, ora che siamo tutti qui possiamo iniziare. - disse un uomo di cui ancora non riusciva a ricordare il nome. Era una seccatura non aveva una memoria perfetta, da cui poter attingere in qualunque momento. <u>-La squadra operativa poche ore fa è riuscita a catturare un soggetto particolare. - continuò l’uomo, rimanendo ancora sul vago riguardo la faccenda. C’erano tanti segreti all’interno della Divisione e, anche se aveva sperato che non fosse così, immaginava che neppure in quell’occasione tutti i dubbi sarebbero venuti al pettine. -Forse potrebbe darci delle informazioni riguardo i fatti spiacevoli che sono avvenuti in città negli ultimi tempi. - proseguì, voltando lo sguardo in direzione di un corridoio sulla loro destra. Era un’ala della base in cui non era mai stato, non aveva i permessi per accedervi. -Il problema è che parla una strana lingua, del tutto incomprensibile. Forse una sorta di codice, forse qualcosa di ancora più strano. - disse, e a quel punto si voltò in direzione di Willow, come a farle capire, senza bisogno di esprimerlo a parole, quale sarebbe stato il suo compito in quella faccenda. Era quindi lì per il suo ruolo di interprete? Era davvero così semplice? Anche lui si voltò in direzione della donna, nella speranza forse di carpire così qualche segreto in più, poi tornò con l’attenzione verso il loro superiore, immaginando che dovesse esserci qualcosa di più, altrimenti non avrebbero richiesto anche la sua presenza. -L’uomo è inoltre ferito, ed è dotato di una particolarità esplosiva, che potrebbe essere necessario tenere a bada, se i tranquillanti dovessero terminare il loro effetto. - aggiunse, guardando questa volta in direzione di Raphael, che annuì appena. -Quanto sono gravi le ferite? Dovrò prepararmi a un intervento d’urgente? - domandò, concentrandosi solo su quell’aspetto, e lasciando la questione particolarità a un secondo momento. Dopotutto, lui era prima di tutto un medico, una persona che doveva dare priorità alla vita. -Sì, è molto probabile. - rispose l’altro, con aria greve e lui annuì. Attese che continuasse con la suddivisione dei compiti e con le notizie che aveva da offrire, poi, quando calò di nuovo il silenzio riprese parola. -Quando possiamo cominciare? - mormorò e non attese neppure che l’altro terminasse la frase prima di fare cenno a qualcuno di indicargli la strada. Se qualcuno era in pericolo di vita, lui non poteva certo attendere oltre.
     
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    Qualche volta Willow pensava di essere la sola a credere in determinate vicende, a pensare alle sue convinzioni, ad avere quel tipo di interessi. Qualche volta, contrariamente a quanto le aveva detto Raphael, pensava invece che sarebbe stato confortante sapere che ci fosse qualcuno a pensarla esattamente come lei. Sembrava così strano doverlo ammettere ad una persona che, lei ne era sicura, aveva sempre capito come immaginava le cose nella sua testa, come se a Raphael fosse sempre stato chiaro che Willow potesse essere convinta che trovare più persone che la pensassero come lei fosse invece meraviglioso. Adesso non sapeva se sorridergli e confermare la sua teoria, o pensare che forse non era così lineare come sembrasse quel pensiero, e che la diversità non per forza fosse utile. «Ma se ci fossero più persone, tante, in grado di guardare con te lungo la stessa direzione, non sarebbe incredibilmente più bello?» Si pronunciò un pò ingenuamente, in una frase che voleva dire tanto, e che al Raphael che conosceva lei sarebbe sembrato un ragionamento pulito e lineare. Se lo erano raccontati, in un momento tutto loro, tanto tempo prima: per loro la costruzione di una società, di una comunità, di una famiglia, cominciava quando si riusciva a guardare insieme in una direzione chiara, avendo un obiettivo comune. Poi che gli interessi fossero divergenti e le persone alla base fossero dissimili, era un di cui del quale non si creavano problemi, l'unica necessità effettiva era la volontà di raggiungere un traguardo.
    Aveva guardato Raphael di sottecchi durante tutto il tragitto in ascensore, il suo riflesso nello specchio delle pareti a vetri. Non aveva mai pensato di essere un uomo di gran fascino lui, per lei era difficile pensare il contrario. Aveva taciuto anni dal momento alla sua conoscenza alla sua partenza con il pensiero di aver voluto e desiderato solo un uomo nella sua vita, e che le fosse sfuggito così presto da aver condiviso solo un bacio, un bacio che doveva forzarsi di ricordare per non dimenticare, e di tenerlo nella sua mente con la paura che il mondo intorno a lei potesse toglierglielo, lasciandola senza protezioni. Il contorno dell'unica cosa non labile che fosse sempre stato con lei, appartenuto a lei. Il prima e il dopo Raphael era un confronto che avveniva da quel giorno in poi, e che scandiva il suo tempo nei dettami di ogni cosa.
    Gli argomenti che affrontarono tra l'ascensore e il corridoio confluirono in quello che per Willow era il naturale ordine delle cose, e che per la prima volta da quando l'aveva rincontrato poteva finalmente avvenire. Il fatto che il caso li avesse forzati ad affrontare quel tragitto insieme rese possibile un incontro che non aveva modo di prevedere, ma che aveva echi passati sul come andavano le conversazioni tra loro, in un continuo botta e risposta a cui era difficile trovare un confine, un momento di fermo. Risollevò gli occhi su di lui, quando avevano completato il discorso sul lavoro e perché si trovasse lì. Chissà se negli occhi le passò una sfumatura di tristezza, al pensiero di sentire che la presenza di Raphael a Besaid fosse solo dovuta ad un ordine - anche se razionalmente sapeva bene che fosse quella la ragione, fu comunque dura per Willow evitare di dire qualcosa, anche compiere una smorfia. Ma non aveva il coraggio di intervenire oltre, e inclinò il capo, come a guardarlo meglio sperando che si accorgesse lui di poterle dire qualcosa allora. Sorrise, dopo aver trattenuto le labbra tra i denti, come faceva spesso quando non voleva parlare troppo e mantenere la sua compostezza. Magari sarebbe partito e basta Raphael, finché non avesse saputo nulla di lei, e la sua storia sarebbe stata più bella, perché avrebbe potuto trovare quello che cercava dal primo momento nel suo animo inquieto. Che coraggio avrebbe dovuto dimostrare lei nel pensare di intervenire in quel modo nel destino tracciato per loro.
    Rispose molto diversamente alla domanda sul suo potere, e su quanto quel potere l'avesse aiutata a raggiungere la verità dietro ai loro misteriosi doni, come li avevano chiamati. L'aveva guardata direttamente, incrociando volutamente il suo sguardo per sentire una sua risposta, e questo ebbe il potere di turbarla e affascinarla assieme, come sempre in sua presenza, era difficile sentire il bene senza scinderne il male. Non aveva difficoltà di rispondere con certezza. «Non ancora. Sono sicura che ne saprò di più, solo non so dirti se servirà un avvenimento esterno, ma sola con il mio solo potere è molto difficile. Forse è anche per questo che sono qui. » Ammise, rendendosi conto che poiché lui si era perso una parte tanto importante e lunga della sua vita era difficile parlargli come se fosse uno sconosciuto e tenere sempre a mente che non aveva vissuto affatto la parentesi dedicata della Willow che si era impegnata per sforzarsi ad adoperarsi fuori dal suo guscio per poter tessere una trama di avventure fuori dalle pagine dei suoi libri, fuori nel mondo reale, anche se senza di lui, ma mai sola. Non era una persona che soffriva la solitudine, sapeva stare in compagnia delle sue storie e del suo mondo interiore, sempre con un libro tra le mani, ma era comunque difficile immaginare tutto un risvolto fuori, lontano da lui, che l'aveva saputa tirare fuori da lì.
    Percorsero il resto del tragitto fino alla sala, con il pensiero di scoprire la storia dei loro poteri e del perché fossero lì interpellati all'ordine generale della riunione, per Willow fu difficile mettere in ordine i propri pensieri senza confonderli. Un altro spunto di conversazione che tenne lì a bada pronto per essere utilizzato, se avesse ritrovato il coraggio di parlare decisa, fu quello di conservare la possibilità di discutere più avanti, in un momento meno solenne che però in quel momento non seppe identificare con un'altra occasione, per discutere del come investigare sui loro poteri, di quale esperimento o quale collega avrebbero potuto interpellare per verificare anche una minuscola frazione della propria tesi, che preparava da anni con pochi grossi risvolti. Non rifletté troppo su per non additarlo come pensiero sciocco, e il resto del tempo passò nell'agitazione dal rivolgergli ancora lo sguardo, dopo aver azzardato una frase che poteva rivelare qualcosa su quanto lei in realtà sapesse di lui. Fece forza e riflessione sul suo respiro, stringendosi le mani in grembo senza appuntare nulla della conversazione alla base della riunione, e poi riemerse dal silenzio della sua mente quando fu richiamata all'attenzione al movimento di Raphael. La sua vicinanza era motivo di distrazione ed era difficile concentrarsi sul resto della riunione senza pensare alle possibilità che poteva creare per loro, e all'eventualità di insistere su alcuni argomenti con Raphael che fossero vicini a quelli che avevano vissuto assieme nel loro passato. Quanto dissero alla riunione però tracciava situazioni che erano state difficili per la vita della cittadina e di cui il B6D aveva cercato di tenere contenuti i limiti delle informazioni che trapelavano e dei danni che avevano causato. Era dura per tutti loro pensare di sopravvivere senza intervenire o dovendo seguire il protocollo in molte di quelle situazioni, e di utilizzare i propri poteri solo quando erano davvero necessari - qualcosa che si poteva sentire solo leggendo racconti di fantascienza o guardando un film distopico. Per lei e Raphael era sempre stato così nel loro passato essendo nati a Besaid, e per lei era oramai ordine normale delle proprie vicende, per Raphael con il suo nuovo presente era curioso pensare a che tipo di risvolti per lui ci fossero nella sua mente che da così poco aveva scoperto di avere dei poteri.
    Una volta chiamati dopo la fine della riunione fu Raphael a riprendere la parola con Willow e a portarla nuovamente in subbuglio. Era vero quello che diceva, ed era facile pensarlo anche per Willow. Entrambi avevano particolarità di tipo passivo, e svolgevano mansioni amministrative, non erano reclutati perché potessero intervenire come gli agenti sul campo. Perciò annuì ad entrambe le frasi di Raphael quando si era portato al suo fianco per parlarle e poterle dire la sua teoria. «Sì, lo credo anche io.» Mormorò, e prima che potessero essere al cospetto dei superiori si voltò verso il suo profilo, alla sua destra, camminando lungo il percorso il più silenziosamente possibile, osservando sfilare attorno a lei i colleghi che erano stati liberati dalla fine della riunione. Non ebbe il tempo di aggiungere le proprie perplessità, erano troppo vicini ai due uomini per aggiungere troppo di più. Nel frattempo che parlarono strinse il vestito verde bottiglia con la mano destra, lasciata ricadere lungo il fianco. Il compito che era stato assegnato loro sembrava insolito, e le parole che pronunciò l'uomo, James Evergarden, che conosceva da quando era stata reclutata al cospetto del B6D arrivarono dove non sapeva se volesse che arrivassero. Willow proprio come aveva confessato nell'ascensore a Raphael voleva saperne di più di tante cose, voleva scoprire il mistero della cittadina di Besaid per placare la propria sete innata di conoscenza verso qualsiasi cosa che non sapesse ancora, ma per quanto avesse vinto la staticità delle cose che restavano al proprio posto sfidando le sue paure, così non sapeva sempre come considerare le sfide che le si ponevano di fronte quando doveva necessariamente agire e velocemente. Non permise di farsi cogliere impreparata dalla situazione, proprio perché ancora aveva in mente l'idea di voler trattenere il più tempo possibile Raphael a sé, e questo sovvertiva l'ordine delle sue priorità. Lo guardò quando lui si voltò, e annuì più a lui che al suo diretto superiore. «Va bene James, siamo pronti.» Mormorò, staccando appena lo sguardo dalla linea di direzione di Raphael perché non potesse perderlo di vista, pronunciandosi favorevole all'intervento che avrebbero dovuto avere nella vicenda, sapendo la determinazione che Raphael avrebbe avuto nel dire di sì. Quando la decisione fu presa e anche Raphael completò le sue domande attesero che l'uomo indicasse loro la via, ma fu l'altro a dare ordine di azione, l'uomo che invece Willow non conosceva. «Vi accompagnerà Ness alla clinica, qualche minuto alla partenza. Potete spostarvi al piano terra ad aspettare. Vi spiegherà l'agente che si trova lì sul posto, ed è intervenuto alla cattura, gli altri dettagli sull'intervento e sull'incidente. » Nel cognome "Ness" Willow ricordò il tesserino dell'uomo che aveva incrociato all'ingresso dell'edificio e che aveva dibattuto con lei nel farla procedere, l'uomo che le ricordava il personaggio di uno dei romanzi che Raphael aveva adorato un tempo. Ricordò la figura dell'uomo che aveva visto appena prima della riunione, e disse senza pensarci troppo su: «Lo conosco. Aspettiamo all'ingresso. » Non aveva bisogno di dire altro, mostrandosi pragmatica nel momento in cui c'era poco di cui perdersi in chiacchiere. Si allontanarono scortati dal secondo superiore, e furono nuovamente lasciati nell'ascensore, soli entrambi con le proprie riflessioni, Willow spezzò il silenzio non appena le porte a vetri si richiusero lasciandoli uno di fronte all'altro. Ponderò il proprio stupore, adesso che l'adrenalina faceva posto nel suo organismo rendendola pronta per intervenire, ma anche intontita all'idea di lavorare di nuovo con Raphael. Rifletté sulla possibilità di dire qualcosa di più sul fatto di poterlo vedere all'opera, ma voleva essere sicura di avere tempo per stargli vicino e di compiere egregiamente la propria missione senza fallimenti. « Non ha bisogno di nulla vero? In clinica ha tutto quello che occorre, ma ha bisogno che recuperi qualcosa mentre si prepara? » Aggiunse, rendendosi conto del poco tempo a disposizione e della possibilità che se Raphael avesse dovuto attuare un intervento stava a lei dover attivarsi per reperire tutto quello di cui lui avesse bisogno, sfruttando i momenti di lucidità dell'uomo che non conoscevano per estrapolare da lui informazioni. La clinica di cui parlavano era una sede vicina al centro operativo del B6D che utilizzavano per situazioni incresciose come quella: lei non aveva mai messo piede prima di allora nel luogo, ma ne aveva sentito parlare da altri colleghi di detenuti che avevano avuto bisogno di cure improvvisate e di essere tenuti sotto stretta sorveglianza. Ripensò alle parole del superiore James, Willow non aveva fatto domande perché la pericolosità della condizione dell'uomo da operare aveva la precedenza su quanto potesse argomentare lei sulla lingua sconosciuta, ma si scoprì curiosa di sentire di cosa si trattasse, quale lingua la attendesse. Perciò si lasciò scappare una domanda che intendeva molta più confidenza di quanto avessero tra loro, rendendosi conto di aver oltrepassato la formalità con il linguaggio diretto senza direttamente chiamarlo per nome. Eppure, il momento nell'ascensore ritornò riavvolgendo lo spazio e il tempo a quanto si erano detti subito prima, nello stesso luogo nell'ora precedente, e si espose, con la cartella e la borsa distribuite una per braccio, guardò in su prima che le porte si aprissero e potessero guardare in faccia l'uomo che li avrebbe accompagnati nel centro ospedaliero. Fece un bel respiro, sviando lo sguardo più volte dai suoi occhi grigi alle porte in apertura, e poi si strinse di nuovo con le braccia conserte sui suoi oggetti tra le mani, buttò fuori le parole che voleva dirgli. « Prima di questo lavoro non ho mai avuto possibilità di essere così vicina a sapere, ma avere questa scelta comporta il bagaglio di cui parlavo prima, essere a disposizione, sempre. È un pò come la prontezza nel dire sì ad un intervento quando non si sa cosa attende. » Era come se avesse trovato il modo e le parole di fargli un complimento senza dirglielo direttamente. Ma adesso avevano poco tempo per lanciarsi sguardi e rincorrersi nelle loro parole, l'autista attendeva.

    Edited by wanderer. - 9/5/2022, 22:28
     
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    Assunse un’aria pensierosa quando lei mormorò quelle parole, cercando di fare luce all’interno delle sue idee. -Sotto certi aspetti, sì. Chiunque desidera di sentirsi capito, di sentirsi parte di qualcosa. - disse, di primo acchito, dando quella che era la risposta più facile e, probabilmente, più comune. -Ma essere una mosca bianca, avere una propria idea anche in contrasto con quella di tutti gli altri, ti rende in qualche modo unico e prezioso. - aggiunse poi, proseguendo con il suo ragionamento, immaginando che lei sarebbe stata perfettamente in grado di seguire il discorso, pur senza condividerlo. Quel pensiero era nato in lui nel suo periodo in Afghanistan, ad osservare un silenzioso cielo stellato, quando si era sentito solo contro tutti. Erano le idee diverse, quelle contro corrente, a cambiare il mondo. Senza i singoli elementi in grado di rompere gli schemi la società non sarebbe andata avanti, di questo era convinto. Non si sentiva però uno di quei rivoluzionari, una di quelle persone in grado di alzarsi e dire la propria, anche con in rischio di attirare le ire su di sé. Avrebbe voluto farlo, ma al momento continuava a rimanere nella sua posizione, una persona in mezzo alla folla, uno come tanti, chissà se sarebbe mai riuscito a fare quel grande passo. Chissà se lei invece era una donna coraggiosa, se aveva lottato per le sue idee in passato, se ancora lo faceva, segretamente, senza dare nell’occhio. Non sapeva nulla di lei, se non quel nome bizzarro e bellissimo al tempo stesso, che non avrebbe più dimenticato.
    Le chiese del suo potere, se l’avesse aiutata davvero a trovare le risposte che cercava, per poi sorridere in maniera mesta quando lei gli diede una risposta negativa. Per un momento ci aveva creduto davvero, l’aveva immaginata felice delle sue conquiste e invece sembrava avere ancora parecchia strada da fare. -Pensi che ti aiuteranno? - domandò, onestamente curioso di sentire la sua risposta. Era convinta che la Divisione volesse far luce su quella storia? Che fosse disposta a fornire informazioni ai suoi dipendenti? Lui, per qualche motivo, ne dubitava, ma non voleva certo spegnere il suo entusiasmo. Aveva imparato a sue spese, sulla sua pelle, che coloro che dovrebbero difenderti spesso guardano dall’altra parte, consapevoli delle perdite alle loro spalle. Forse prima della guerra era stato un uomo diverso, aveva creduto in qualcosa di diverso. Ora il suo sogno si era infranto e vedeva solo la bruttezza di ciò che lo circondava, nonostante si sforzasse di andare più a fondo e di trovare una sua personale luce guida. Ai controlli attitudinali aveva sempre paura che qualcuno con la possibilità di leggere nella mente trovasse quei pensieri, quella voglia di ribellarsi e di cambiare le regole. Era divenuto insofferenze verso le costrizioni, come se una forza dentro di lui cercasse di divincolarsi e di liberarsi da quelle catene. Tuttavia, sapeva anche che certe regole erano importanti per il quieto vivere e che neppure l’anarchia avrebbe giovato davvero. Scacciò quei pensieri dalla testa e prese posto alla riunione al fianco di Willow. Non amava molto quel genere di eventi, preferiva starsene per i fatti suoi, o in ospedale, ma voleva anche restare informato sui fatti, ottenere quel genere di informazioni che poteva carpire solo in momenti come quelli, quando tutti venivano richiamati all’ordine per avere brevi aggiornamenti. In città c’erano dei problemi, questo era oramai impossibile da negare e c’erano alcuni folli che cercavano di attirare l’attenzione. Gli eventi degli ultimi anni, di cui aveva sentito parlare proprio al pronto soccorso, dovevano essere solo la punta di un iceberg piuttosto profondo di cui lui avrebbe voluto scoprire la base.
    Seguì il discorso sino alla fine, cercando di tenere i commenti per sé e di non disturbare troppo la donna al suo fianco. Lo sorprese poi, venire chiamato in disparte, per una missione di una certa urgenza, proprio insieme a lei. Sembrava che il destino ce la stesse mettendo tutta per farli conoscere. Si avvicinò a lei in silenzio, rivelandole i suoi primi pensieri a riguardo, le sue sensazioni. Lei non aggiunse molto, probabilmente più intenzionata a sapere la verità che a fare congetture. Gli aveva dato sin da subito l’impressione di essere molto più razionale di quanto lui fosse mai stato. Si accodò quindi a quel suo modo di fare, seguendo gli altri uomini che li stavano scortando sino al luogo di quella riunione ristretta. Alcune volte tutta quella formalità gli dava quasi i brividi, come se fosse lui quello sotto torchio, al centro del ciclone. Neppure l’esercito lo aveva aiutato a sentirsi a suo agio in situazioni come quelle. Con i suoi commilitoni finiva sempre con il fare battute fuori luogo, atte solo a spezzare l’atmosfera. Ma con il Governo.. poteva permettersi di mostrarsi per lo scanzonato che era? Guardò la donna che camminava al suo fianco per un momento, chiedendosi che cosa ne pensasse lei davvero, che cosa avrebbe detto se non fossero stati dentro un luogo protetto, dove i muri e i pavimenti avevano occhi e orecchie dappertutto. Anche a lei sembrava quasi di soffocare a volte?
    Attraversarono un lungo corridoio e raggiunsero una piccola sala riunioni, con un numero di posti a sedere limitato agli interlocutori che erano stati chiamati. Ascoltò con attenzione ogni informazione, cercando di capire quanto complessa fosse la situazione. Non aveva idea dell’entità né del tipo di ferite che si sarebbe trovato davanti, avrebbe dovuto calcolare velocemente quanto tempo aveva a disposizione, stabilire quale fosse il danno più grave su cui agire prima e, al contempo, avrebbe dovuto tenere attiva la sua particolarità per fare in modo che l’uomo non divenisse un pericolo ancora più grande. Il che lo metteva davanti a un altro fattore: il tempo a sua disposizione per operare sarebbe stato minore, perché l’uso della particolarità lo avrebbe reso più stanco. Non certo la situazione più ottimale per lui. Era importante raggiungere il paziente nel minor tempo possibile, quindi rivolse un’occhiata veloce alla donna, sperando che lei non avesse troppe domande da fare e che si potesse quindi passare immediatamente alla fase successiva. Inarcò appena un sopracciglio nel sentire che l’uomo non si trovava in quell’edificio e che avrebbero dovuto prendere un’auto per raggiungere la piccola clinica dove era stato alloggiato. Serrò la mascella, stringendo un pugno lungo il fianco. L’ennesima complicazione, l’ennesima perdita di tempo. Sperava che chiunque stesse vigilando su di lui in quel momento stesse facendo un buon lavoro perché il suo primo dovere in qualità di medico era fare il possibile per salvare quella vita. Che si trattasse di un amico o di un nemico non faceva differenza davanti al suo giuramento: tutti erano uguali. Si limitò a un cenno del capo prima di muoversi verso la porta, diretto verso il piano terra. Forse avrebbe dovuto attendere Willow prima di incamminarsi, ma in quel momento l’adrenalina aveva preso il sopravvento e l’unica cosa che riusciva a pensare era che non c’era tempo da perdere, neppure un secondo. Non ascoltò neppure il nome della persona che avrebbero dovuto raggiungere, quindi fu un bene che lei invece sapesse esattamente di chi si trattava e che fosse in grado di riconoscerlo.
    Fu solo dentro l’ascensore, all’interno di quella che era divenuta la loro bizzarra bolla, che sembrò riscuotersi appena, cogliendo le domande di lei. -Non lo so. Lo capirò quando avrò davanti il paziente. - rispose, mantenendo lo sguardo dritto davanti a sé, con aria particolarmente concentrata. Lo preoccupava non aveva idea di che cosa lo avrebbe aspettato, una volta giunto a destinazione. -Improvviserò sul momento quindi, sono abituato a farlo, non sarà un problema. - aggiunse, ripensando a tutti gli interventi d’urgenza che aveva condotto in zone di guerra, con materiale a disposizione ancora più scarno. Doveva solo mantenere la concentrazione e pensare lucidamente. Continuò a rimuginare in silenzio ancora per qualche secondo, mentre l’ascensore continuava a scendere verso il piano terra. -A che distanza riesce ad usare la sua particolarità? - domandò poi, a un tratto, come colto da una folgorazione improvvisa. -Hanno detto che il paziente ha una particolarità esplosiva, quindi dovrò impedirgli di utilizzarla per evitare che possa creare dei problemi durante l’operazione. - aggiunse, spiegando il filo logico dei suoi pensieri, sperando che lei avesse già capito da sola dove volesse andare a parare. Aveva la necessità di sapere che non si sarebbero ostacolati a vicenda. -Quando attivo la mia particolarità nessuno in un certo raggio può utilizzare la sua. - disse ancora, visto che non ricordava di averle ancora spiegato che cosa lui fosse in grado di fare, mentre lei era stata molto chiara sulle sue abilità. -Di solito le particolarità divengono inutilizzabili per una ventina di metri, cercherò di restringere il campo, ma ho bisogno di sapere quanto spazio di serve. - aggiunse ancora, mentre l’ascensore metteva bene in mostra il numero uno, segno che il loro viaggio stava per terminare. Mantenne lo sguardo su di lei per tutto quel tempo. Era importante che almeno i dettagli che riguardavano la loro collaborazione venissero messi a punto prima di iniziare. Perché una volta entrato in sala operatoria non avrebbe più avuto modo di pensarci. Non conosceva neppure la clinica, ne aveva sentito parlare ma in quell’anno a Besaid ancora non aveva avuto modo di lavorarci.
    Le parole successive di lei, quel discorso sul doversi render disponibile lo lasciarono privo di risposte per qualche secondo. Fece per aprire le labbra per dire qualcosa, ma un forte mal di testa gli fece chiudere gli occhi, interrompendo ogni cosa.

    Se ne stava sdraiato su un prato, le braccia piegate dietro la testa, lo sguardo puntato verso il cielo azzurro sopra di lui. -Stiamo progettando una cosa piuttosto importante. - mormorò, rimuginando tra sé e sé. I Dogs, si erano assopiti negli ultimi tempi, ma stava cercando un modo per farli ripartire, insieme a Rem e a gli altri. -Capisci? E’ una cosa che abbiamo iniziato tempo fa e che non possiamo interrompere proprio ora. - disse, anche se non spiegò nel dettaglio a che cosa si stesse riferendo. Si voltò e nel suo campo visivo apparve una ragazza: aveva i capelli scuri e lo guardava con quei suoi grandi occhi color nocciola, catturata dalle sue parole. Rimase in silenzio, attendendo che lui andasse avanti, ma Raphael si bloccò, perdendosi in quello sguardo che avrebbe riconosciuto tra mille. Chissà perché il cuore gli batteva così veloce quando stavano così vicini.

    Il rumore dell’ascensore lo riportò alla realtà. -Mi scusi, ha detto qualcosa? - domandò, sorpreso da quelle strane immagini che avevano popolato la sua mente nel momento più inaspettato. Chi erano i Dogs? Chi era quel Rem? E chi era quella ragazza? Si voltò verso la donna al suo fianco e un pezzetto di quel puzzle intorno immediatamente al suo posto. Willow. Quando si erano conosciuti? Perché non riusciva a ricordarlo? Si accigliò, mentre percorrevano insieme il corridoio che li avrebbe condotti sino all’auto. Gli avevano spiegato del problema della memoria legato a quella città, quindi razionalmente capiva perché non ricordasse, ma emozionalmente la cosa gli veniva molto più difficile. La guardò a lungo, forse in maniera sin troppo diretta, con aria quasi indagatoria. Chi era stata lei per lui? Erano amici? O forse qualcosa di più? E perché lei non aveva detto nulla? Si sforzò di riportare lo sguardo di nuovo davanti a sé, mentre serrava la mascella e un pugno lungo il fianco. Non era il momento, doveva concentrarsi su qualcosa di molto più importante. Accelerò il passo, raggiungendo l’auto per primo e aprendo la portiera, così da farla entrare, mentre ancora nella sua mente continuavano a vorticare quelle strane immagini. Si accomodò anche lui, volgendo lo sguardo fuori dal finestrino oscurato. -Saremo lì tra dieci minuti. Ha una ferita da arma da fuoco alla coscia e qualche altra frattura. - disse il loro autista, dopo i saluti e le presentazioni. -Che cazzo, anche un cappio al collo non glielo potevate mettere? – si lamentò, guardandolo attraverso lo specchietto retrovisore, visibilmente indispettito. -Mi auguro che quelle ferite siano già state almeno parzialmente tamponate, altrimenti non durerà a lungo. - aggiunse, rivolgendogli un’altra occhiataccia, per poi rivolgere di nuovo lo sguardo verso l’esterno. Non ascoltò le sue risposte successive, era troppo arrabbiato per farlo. Detestava essere chiamato per fare l’impossibile e avere la responsabilità di quella vita tra le mani.
    Dopo i fatidici dieci minuti l’auto parcheggiò vicino a un caseggiato bianco dall’aria piuttosto semplice. Un ottimo modo per coprire un edificio a uso prevalentemente governativo. Scese velocemente, questa volta senza aspettare Willow, guardando Ness dietro negli occhi. -Portami da lui.
     
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    Lei e Raphael avevano sempre avuto opinioni molto diverse, lo sapeva. Lui e lei riuscivano a cominciare un discorso e a portarlo all’esasperazione dibattendo costantemente a riguardo, trovando modi insoliti di scandagliare le loro parole per far capire la differenza dei loro pensieri, che non era mai riuscita però a creare attrito, ma solo a dimostrare la profonda intesa di anime ed intelletto che esisteva tra loro. Che fosse destino che anche nella loro seconda occasione assieme continuassero a duellare con le parole in un incontro fortuito alla sede del B6D lei lo poteva immaginare, lui no. Perciò per Willow era incredibilmente significativo sentire come Raphael la pensasse a riguardo, e seppur una parte di lei pensasse che fosse un peccato che non avrebbe potuto darle ragione incondizionata su quel discorso, almeno quella volta, e forse su tante altre conversazioni che ci sarebbero state in futuro o in quel presente instabile che avevano generato, allora era anche contenta che Raphael sembrasse essere rimasto lo stesso, la stessa persona, immutato dal tempo e dallo spazio che non avevano condiviso più sotto lo stesso cielo. Raphael era convinto che il mondo potesse cambiare dalle idee rivoluzionarie di uno, Willow era convinta che la cooperazione sarebbe stata l'unica cosa che avrebbe cambiato la vita di tutti potendo partire da una base comune per vincere qualsiasi ineguaglianza. Willow cercava disperatamente di adeguarsi alla massa, di nascondersi senza attirare troppo l'attenzione su di sé, eppure per le piccole cose che circondavano le persone che amava e il suo operato e che toccavano il suo orgoglio di interprete, donna e membro delle schiere del B6D, anche se come amministrativa, si faceva forte vincendo la sua natura docile e facendosi strada piano piano, da sola, ma inesorabile senza fermarsi mai. Raphael la completava come in tutto, sembravano essere esattamente fatti per combaciare l'uno gli spigoli dell'altro. Non era un'altra storia, erano sempre loro. Ma doveva nascondere tutto il fremore e l'agitazione a riguardo, o sarebbe sembrata troppo sospetta.
    Raphael le pose una domanda che aveva una nota triste, quando le chiese se l'avrebbero aiutata, e con loro intendeva l'organizzazione, il governo, a scoprire di più dei poteri di Besaid e sul mondo che li circondava. In realtà non lo sapeva. Fino a quel momento erano stati tutti molto buoni con lei, decisi ad includerla anche in più riunioni del necessario a dirla tutta, era diventata una pedina importante con cui carpire segreti degli altri. Era già venuta a conoscenza di molte cose che forse una normale cittadina di quel posto non avrebbe dovuto sapere, ma forse proprio perché era Willow e avevano visto subito come si presentava, nessuno le aveva torto un capello. Forse sembrava emanare una fiducia particolare, impossibile pensare che potesse giocare un brutto scherzo al governo. O forse, pensavano fosse innocua. A lei non importava, non aveva da vergognarsi di nulla, eppure genuinamente curiosa se lo chiese per un pò. «In realtà non saprei dirti.» Ammise, per non lasciar cadere completamente il discorso ma poter parlare con lui. «Per il momento credo che stiamo ragionando assieme e scoprendoci, io e l'organizzazione, fino a che punto ci possiamo spingere. Forse dopo si vedrà.» Continuò, rendendo più chiaro anche a se stessa cosa pensava. Fece un'espressione buffa, rendendosi conto che dentro l'organizzazione non era poi la frase migliore da dire, ma le era venuta così alla mente e così l'aveva afferrata con le parole. Alzò le mani come a dire, oramai l'ho detto, e sorrise, insieme a Raphael, in una frase che sarebbe rimasta lì nella sua memoria come detta proprio lì, oramai pronunciata allo scoperto. Beh, chiunque avesse ascoltato quelle parole avrebbe capito che sarebbe stata solo una battuta, vero? La immaginò così: dovevano avere molta fiducia in lei, perché nessuno l'aveva presa a braccetto e scortata verso l'uscita.
    Assistettero assieme alla riunione, il cuore di Willow batteva all'impazzata per la vicinanza a Raphael. Era così vicino che non si trattava neanche di sentirlo, era lì e si sentiva persa dietro alla sensazione di ricordare chi fossero adesso e chi fossero prima, così tanto da sentirsi inebetita a riguardo e da perdersi metà del discorso della riunione del giorno. Proprio perché Raphael era stato più attento di lei era riuscita ad intercettare l'avviso, la chiamata all'incarico. La novità era che l'incarico li includesse entrambi, e il dover stare vicini li avrebbe posti di fronte ad un ben noto pericolo, che era una cosa dolcissima e straziante insieme. Ebbe paura, ma fu per poco, perché poi l'idea di dover intervenire per salvare qualcuno e dover compiere il suo lavoro la assorbì facendole ricordare il suo posto.
    Percorsero di nuovo la strada che li portò indietro, verso l'ascensore, oramai il luogo in cui avevano parlato di nuovo tanto, tanto da essersi scambiati informazioni di nuovo così intime sulle loro decisioni e prese di posizione. Riprese la parola dopo di lui, nel frattempo che mettevano in fila il da farsi e le azioni che avrebbero dovuto prioritizzare. C'era molto da organizzare e non potevano lasciare nulla al caso, dovevano cooperare insieme, e incredibilmente, lavorare assieme, cosa che non avevano mai fatto, non così. Guardò lo specchio in cui si riflettevano i loro volti nell'ascensore, su verso l'alto, e provò a immaginare come stava facendo lui i passi da compiere per l'operazione a cui si sarebbero dovuti sottoporre. Nel caso di Raphael però sembrava come se preferisse improvvisare sulla base dello spazio che avrebbe avuto a disposizione, solo che nel farlo entrambi si resero conto di dover organizzare il raggio d'azione delle loro particolarità, che solo Willow sapeva. Il punto è che si era scordata che lui non lo sapesse, in quella frazione di secondo, perché era sicuramente una informazione che era stata in possesso nel suo passato, nelle tante volte in cui avevano disquisito delle loro particolarità, e delle implicazioni nell'usarle. Si sforzò di rispondere neutra, non dicendo nulla che potesse dare indicazioni sbagliate.
    «Posso essere anche molto lontana, l'importante è che riesca a sentire distintamente cosa dice l'uomo. Se bisbiglia necessito di un microfono, un amplificatore, se riesce a parlare a voce normale posso anche essere fuori dalla stanza. Posso provare ad avvicinarmi se non dovesse essere sufficiente star vicino la porta, ma dipende se riusciamo a farlo collaborare. » Si immaginò la scena nel frattempo Willow, provando a mettere in fila le idee. La vicinanza non era cruciale per il suo potere, ma il suono era tutto. Lei annuì, quando lui le disse cosa riusciva a fare. Forse troppo accondiscendente, ma non era stata in grado nella fretta che la situazione imponeva loro, di non essere troppo rivelatrice. Aveva osservato per un pò la nuca di Raphael, all'attaccatura dei capelli biondi dietro la testa, era rimasta lì a guardarlo discreta e silenziosa, quando erano entrati in ascensore, ma per tutta la durata del discorso l'uomo aveva invece mantenuto lo sguardo su di lei rimanendo a fissarla per carpire le parole utili per condurre la loro operazione. Si sentì persa Willow, spaziò lo sguardo altrove e poi tornava a guardarlo, si sentì tante cose insieme a cui purtroppo sapeva dare molti nomi. Era difficile sapere cosa fosse meglio fare per lei. « Ho bisogno di poco spazio, l'importante è che possa sentirlo. Se riesce a restringere l'azione entro pochi metri posso allontanarmi.. oppure possiamo trovare un microfono per tenermi più lontana. » Aggiunse, perché sapeva che le apparecchiature elettroniche erano loro amiche, sempre, quando si trovava a dover interpretare qualcuno. Durò finché fu possibile specchiarsi negli occhi celesti di Raphael, chiarissimi, anche se lui era altissimo rispetto a lei e ci si poteva specchiare davvero solo quando erano effettivamente alla stessa altezza. Poi Raphael si incupì, strinse gli occhi, visivamente in difficoltà. « Stai bene? Cosa succede? » Si avvicinò, provò a mettergli una mano sul braccio, la prima volta in cui si azzardava a toccarlo dal nuovo normale in cui si trovavano.
    Quando le fece una nuova domanda dopo aver ripreso a guardarla gli sembrò diverso, come se si fosse lui perso un pezzetto della loro discussione. Aveva detto forse qualcosa di strano? Si guardò intorno per un attimo, conscia di essere arrivata al piano terra, e uscirono assieme dall'ascensore. Raphael si girò a guardarla come se fosse stranissima, lei ci mise un pò a trovare le parole per poter chiedergli ancora qualcosa. « Raphael. » Si erano dati del lei fino a quel momento, perciò chiamarlo per nome le sembrò un passo frettoloso ma necessario. L'uomo era stato chiaramente preda di un dolore, un malessere, nell'ascensore, ma il modo in cui l'aveva guardata l'aveva fatta sentire colpita e indolenzita, lasciata lì a chiedersi cosa stesse accadendo senza poterlo aiutare. Era sinceramente preoccupata per lui, ma non poteva forzare troppo quella conversazione a senso unico. Si schiarì la voce, pronta a proseguire le sue domande, poi l'uomo puntò verso l'esterno, e Willow con la sua falcata si costrinse a correre più veloce, il rumore del tacchi bassi delle parigine a cadenzare la sua rincorsa verso il parcheggio, e la borsa che oscillava sul suo fianco picchiettando sul torace di lei in movimento. Willow non sapeva nulla di cosa accadeva davvero a chi andava e chi decideva di restare, come fosse possibile che i ricordi a Besaid funzionassero in modo da togliere e poi ridare. Possibile però che quei ricordi che tornavano, quelli che sapeva da quando aveva cominciato a studiare come funzionassero, fossero tornati a Raphael in quel momento sotto forma di qualcosa? Non disse altro fino al tragitto in auto, dove Willow si affrettò ad entrare per seguirlo. Si strinse la mani in grembo accomodandosi nell'abitacolo al sedile posteriore, assieme a lui, separati dal bracciolo centrale della vettura nera. Ponderò cosa dirgli, anche ricordando a se stessa che in effetti erano due estranei che si erano trovati a parlare piacevolmente in sede, non poteva dirgli tanto da sembrare curiosamente interessata a lui più dello scambio di conversazioni avvenute. Ascoltò l'agente Ness spiegare la loro situazione, mentre la macchina sfrecciava nelle strade della periferia di Besaid, un viaggio in macchina veloce che li avrebbe portati ancora più lontani da dove si trovavano, ai margini del bosco, dalla sede centrale del B6D. « Si sente meglio? Deve aver avuto un mal di testa spiacevole. » Sussurrò, a voce bassa, forse per imbarazzo di trovarsi di fronte all'altro agente, e anche perché la voce le era uscita in un filo. Non sapeva cosa dire a Raphael se fosse successo qualcosa su cui non poteva più avere capacità di intervento. Nella confusione di quel momento si stirò le pieghe del vestito verde con le mani, gesto che faceva sempre quando era agitata. Fissò per il restante tempo che trascorsero in auto il poggiatesta del sedile anteriore, preoccupata della sua stessa espressione, pensierosa. Cosa poteva fare per parlare in tranquillità con Raphael non lo sapeva adesso, perché era chiaramente successo qualcosa di inspiegabile: il modo in cui l'aveva guardata non aveva lasciato presagire dubbi. Fu in quel momento che pensò che forse aveva sbagliato tutto dall'inizio, e che se il caso avesse voluto che Raphael ricordasse qualcosa poteva averla giocata, lasciato credere che in realtà non sapesse nulla proprio come aveva fatto lei. Ma perché Raphael avrebbe dovuto? Le era sembrato così sincero fino a quel momento che le era impossibile credere che fosse una messinscena. Era lei che era stata codarda da cambiare lo status quo, codarda di farlo tornare indietro. Non sapeva cosa avrebbe detto, ma provò a girarsi verso di lui con una mano a mezz'aria e si fermò quando l'auto smise di proseguire il suo percorso. Erano arrivati a destinazione.
    Raphael non l'aspettò, uscì dall'auto e corse dietro l'agente Ness, che gli fece strada. Willow rimase dietro di loro ad arrancare più velocemente possibile dietro le figure dei due uomini. L'aspetto dell'edificio dove si trovavano era molto modesto a confronto con la sede del B6D e passava completamente in secondo piano rispetto all'ambiente circostante. Si era alzato il vento che le aveva scompigliato i capelli nell'uscita dall'auto, e aveva dovuto tenerli sulla fronte per vedere dove procedere sul selciato per non inciampare, fino all'arrivo ad una porta smerigliata, dove Willow e Raphael entrarono e l'agente Ness rimase sulla porta. Qualcosa nel modo in cui si era posto le aveva fatto pensare che sarebbe stato utile come vedetta, come se fosse stato pronto a rimanere lì se qualcosa fosse andato storto o qualcuno li avesse intercettati. Entrarono nell'edificio, che all'interno sembrò più pulito e professionale di quanto avessero potuto aver da ridire dall'esterno, come se fosse una clinica in piena regola: una grande sala all'ingresso si apriva sotto ad una porta ad arco, oltre l'ingresso angusto che avevano oltrepassato. Varie stanze sembravano dipanarsi oltre la sala principale, e nella stanza vi erano persone, agenti potevano presupporre, che sembravano curare la stessa materia di cui si occupava Raphael, non potevano essere altro che dottori, vestiti con il camice bianco. « Da questa parte. » Evidentemente la pericolosità dell'uomo non aveva lasciato scelta che aspettare l'arrivo di Raphael per intervenire e il suo per carpire le informazioni. Raphael e Willow si avviarono insieme nella stanza, allestita di tutto punto per una operazione, per quanto possibile per un edificio senza strutture di reparto come un ospedale vero e proprio. L'uomo sul lettino non sembrava pericoloso: era ancora sedato, perché sembrava inconscio, e si muoveva appena probabilmente in preda al dolore per le ferite che aveva annoverato prima in macchina a loro l'agente Ness. Non sembrava essere in buono stato, ed era un'immagine pietosa per gli occhi di tutti: era bianchissimo in volto, quasi esangue, con i capelli scuri portati cortissimi e lineamenti distintamente diversi da loro, probabilmente non era di razza caucasica. Aveva il corpo scoperto, i vestiti ridotti a brandelli e chiazze di sangue scuro sparse ovunque. Willow lo osservò guardinga senza avvicinarsi troppo, non era suo compito: entrò all'interno ma si mise all'angolo della stanza, mentre Raphael si lanciò subito a constatare la condizione del paziente. « Come le sembra? Si riprenderà? » Chiese, volendo in realtà aggiungere molto di più ma senza commentare lo stato dell'uomo: avrebbe voluto esprimere quanto si sentiva dispiaciuta a guardarlo così, ma non poteva distrarre Raphael dal compito principale. « Resto in allerta non appena dovesse risvegliarsi. » Annunciò, come se volesse tornare all'ordine delle cose, necessariamente concentrata sull'incarico da svolgere. Si sedette sul pavimento e aprì la borsa che aveva portato con sé, prendendo il suo fedele utilissimo registratore, e un semplice quaderno bianco dove annotava gli appunti: era necessario nel suo lavoro che se la memoria non avesse ricordi concreti di alcune frasi almeno le registrazioni e le note potessero tornare utile a lei e ai suoi superiori. Mise a fuoco l'immagine di Raphael, che esaminava l'uomo per poterlo operare, e cominciava a prendere gli strumenti utili al suo mestiere. Poi chiuse gli occhi, proprio come aveva fatto quella mattina, e respirò, esprimendo nel suo modo bizzarro di affidarsi ad una preghiera muta che compiva sempre, afferrando l'oggetto più vicino che aveva a lei, il registratore tra le mani. « Come si sente adesso Raphael? » Sussurrò, stavolta meno preoccupata che la sentissero gli altri agenti e più preoccupata per lui, e per i pensieri che avevano scosso la sua mente.
     
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    La sua fiducia nei confronti del Governo era vacillata negli ultimi tempi. Per anni aveva seguito gli ordini senza fare domande, lieto di poter fare la sua parte, anche se piccola, per cercare di cambiare le cose. Lontano dalla sua casa e dalle persone che conosceva era stato semplice far parte del gruppo, muoversi come facevano tutti gli altri e sentirsi parte di una grande famiglia che faceva di tutto per sopravvivere. Ma ora che era tornato dall’altra parte del mondo, ora che il gruppo aveva lasciato il posto a un individuo fatto e finito, non accettava più di buon grado di essere tenuto all’oscuro di ogni cosa. Fu quel pensiero a muovere la domanda, sinceramente curiosa, che aveva posto alla sua interlocutrice, che invece sembrava molto più a suo agio di lui in quell’ambiente. Neppure lei sembrava convinta che avrebbe ottenuto l’aiuto che sperava, limitandosi per il momento a studiare l’organizzazione e lasciare che loro studiassero lei, in attesa di farsi un’idea più precisa. -Uhm, quindi tu ritieni che loro non abbiano già fatto tutti i dovuti studi ancora prima di contattarti? Interessante. - le disse, con una vena ironica e un sorrisetto divertito sul volto. Lui era certo che loro avessero molte più notizie di quante volessero far credere e che ne dessero invece meno di quante sarebbero state necessarie. Non era sua intenzione, però, costringerla a pensarla come lui e cambiare quindi la sua opinione, ma lo incuriosiva ascoltare i ragionamenti delle altre persone e cogliere il loro punto di vista. Sebbene non fosse una persona particolarmente paziente, sapeva essere un buon ascoltatore, quando voleva.
    Una volta scivolati fuori dall’ascensore l’atmosfera divenne più formale e così rimase per tutta la durata della riunione. Solo nei momenti che trascorrevano da soli, tra un impegno e l’altro, si lasciavano andare a qualche battuta e a considerazioni sul mondo e su ciò che li circondava. Si sentiva a suo agio accanto a lei, come se si trattasse di qualcuno che conosceva da sempre, con cui bastava poco per recuperare il vecchio feeling. Tuttavia, una volta scoperto che cosa lo aspettava di lì a pochi minuti, anche quel senso di familiarità parve offuscarsi, lasciando il posto a un modo di ragionare molto più freddo e calcolatore. Se nel tempo libero Raphael sapeva essere una persona allegra, scherzosa, ben disposta a parlare con un completo sconosciuto, nel suo lavoro diventava l’esatto opposto, soprattutto se si trattava di interventi di particolare delicatezza. Iniziò a ragionare più velocemente che poteva, tentando di palesare all’interno della sua mente tutti i possibili scenari che si sarebbe potuto trovare davanti, alla ricerca delle soluzioni per ogni problema. Ovviamente sapeva che la realtà sarebbe comunque riuscita a sorprenderlo, ma voleva avere delle possibili opzioni, così da non restare completamente senza parole. Nel mezzo di quei suoi ragionamenti iniziò a porre nuove domande a Willow, sperando così di riuscire a coordinare al meglio il lavoro di entrambe, senza che l’uno ostacolasse l’altra e viceversa.
    Annuì appena, un po’ più sereno al pensiero che potessero stare anche a una certa distanza. -Vedremo di farci procurare dei microfoni allora e un ricevitore con degli auricolari per te. - disse, guardandola appena, come a chiederle silenziosamente di occuparsi lei di quello. Lui avrebbe operato tenendo il microfono addosso, così da trasmetterle ogni parola, ma non poteva perdere tempo per cercare quello strumento al loro arrivo, perché era convinto che le condizioni del paziente fossero molto gravi. -Cercherò di fare del mio meglio nell’arginare la mia particolarità, ma se devo concentrarmi sull’operazione non saprò fare entrambe le cose al meglio e dovrò scegliere una. - disse quindi. Aveva fatto alcuni test dentro la base per capire la portata del suo potere, ma non poteva dedicarvi tutte le sue energie, non in un momento delicato come quello, quindi avrebbe potuto rischiare di ampliare il raggio piuttosto che circoscriverlo. -Dubito che riusciremo a farlo collaborare. E’ stato ferito gravemente, sarà arrabbiato e poco incline al dialogo. - continuò, rispondendo al flusso dei pensieri di lei con una certa decisione. Si prese un altro momento per riflettere, con lo sguardo dritto davanti a sé, poi la guardò di nuovo. -Temo che questo primo incontro servirà solo per cercare di comprendere che tipo di linguaggio parla, così da avere le carte giuste per un dialogo alla pari una prossima volta. - spiegò, dandole la sua lettura di quello che erano stati chiamati a fare. Era impensabile pensare di ottenere tutto subito. Lui lo sapeva, la pazienza era molto importante quando si trattava con un nemico. -Sempre che io riesca a salvarlo. - mormorò poi, con un tono di voce molto più basso, inarcando appena un sopracciglio. Era lì che lui doveva compiere il miracolo: salvare l’insalvabile, permettere a Willow, una volta tradotto il suo linguaggio, di poterci parlare di nuovo con più informazioni e poter magari porre le giuste domande. Nel mezzo di un grave intervento, dopotutto, porre delle domande sarebbe stato impossibile.
    La guardò di nuovo e le immagini che riempirono la sua mente lo lasciarono disorientato per qualche istante. Quando battè di nuovo le palpebre, dopo un tempo che gli era parso infinito, notò il volo di Willow preoccupato, mentre lei teneva una mano sul suo braccio, come a voler attirare la sua attenzione. Le chiese di ripetere quello che aveva appena detto, certo di essersi perso qualcosa, ma lei, per tutta risposta, si limitò semplicemente a pronunciare il suo nome in maniera seria. Attese qualche parola di più che però non arrivò e allora accelerò il passo per sfuggire ai suoi pensieri e, in qualche modo, anche a lei. Che cosa era successo mentre lui aveva visto quelle immagini? Aveva detto o fatto qualcosa di strano? Avevano condiviso quelle immagini? Non sapeva nulla di quel genere di flashback e da quando era tornato, per fortuna, non ne aveva avuto neppure uno. Fino a quel momento almeno. Davvero un pessimo tempismo per scoprire qualcosa di nuovo su cui non aveva il tempo per riflettere. Lei, per fortuna, si limitò a seguirlo, senza aggiungere neppure una parola. Era il ticchettio dei suoi tacchi l’unico rumore che riuscire a percepire, oltre al rumore pesante delle sue scarpe contro il pavimento. Si concentrò su quei due suoni, cercando di isolare tutto il resto. Un po’ come quando, davanti a una persona distesa e priva di coscienza sul suo tavolo, cercava di allontanare tutte le preoccupazioni con un lungo respiro, aprendo la mente solo alle reazioni rapide e immediate, all’improvvisazione.
    Salirono in macchina e Raphael puntò lo sguardo verso l’esterno, cercando ancora una volta di estraniarsi da tutto. Una ferita d’arma da fuoco alla coscia poteva essere molto pericolosa, soprattutto se aveva reciso dei vasi sanguigni importanti. Si voltò appena solo quando Willow gli chiese se stava bene, parlando del mal di testa che sembrava averlo colto poco prima. Lui serrò appena la mascella e deglutì prima di rispondere. -Sto bene. - si limitò a dire, cercando di chiudere quella questione velocemente. Si girò di nuovo verso l’esterno del veicolo, facendo scorrere le immagini davanti ai suoi occhi a gran velocità, mentre con la mente iniziava di nuovo a riflettere su come sarebbe stato meglio agire. Detestava l’attesa. Anche quando era oltremare, in guerra, i viaggi verso i feriti erano per lui uno dei momenti peggiori. Quanto tempo aveva per salvarli? Ci sarebbe riuscito?
    Uscì quindi velocemente dal veicolo, senza neppure pensare, quando questo arrestò davanti a un caseggiato bianco. L’agente Ness camminò al suo fianco per quei pochi metri, come se fosse stata una gara di velocità per raggiungere l’ingresso. -Seconda porta a sinistra nel primo corridoio che vi troverete davanti. - gli spiegò, facendogli poi cenno di entrare mentre lui rimase sulla porta. Rapahel non disse nulla. Non chiese spiegazioni, non cercò di comprendere perché i suoi ordini fossero quelli di rimanere fuori. L’esercito aveva fatto un buon lavoro con lui in quel senso: le domande inopportune su questioni di lavoro erano state completamente lavate via. Una volta varcata la soglia l’odore di disinfettante offuscò tutto il resto, facendolo in qualche modo sentire a casa. Era divenuto così familiare che a volte non se ne rendeva neppure conto. Il personale all’interno si voltò verso di loro e parve per un attimo sollevato del loro arrivo, come se li stessero aspettando da tantissimo tempo. Seguì uno degli infermieri che fece loro strada verso la sala 3, quella che era stata riservata a lui per quel giorno. -Avrò degli assistenti? - chiese e l’uomo annuì appena, indicando se stesso mentre continuava a camminare. -Saremo solo due? - domandò quindi, non molto contento di quella notizia e sperando quindi di venire smentito in fretta, ma quello annuì di nuovo. -Siamo a corto di personale. E molti di noi sono stati occupati negli ultimi tempi. - spiegò e Raphael non potè fare altro che corrucciare la fronte e mordersi la lingua, per evitare di dire qualcosa di cui si sarebbe pentito. Il Governo non faceva che assumere operativi da mandare allo sbaraglio ma si dimenticava sempre che alla fine dei conti erano loro quelli che dovevano rimetterli in sesto e che non erano dei supereroi.
    Fece una breve ispezione della sala, mentre l’altro andava a procurare ciò che mancava per poter iniziare. Si mosse verso la saletta con i lavelli, lavandosi le mani accuratamente e infilandosi dei guanti, una mascherina e un camice per poter iniziare. L’uomo sul lettino sembrava per il momento privo di coscienza, ma poteva anche essere una finta per non dare troppo nell’occhio. Osservò il volto del ragazzo, cercando un nome sulla cima della cartella o magari un foglietto sul lettino, senza trovare nulla. Sospirò di nuovo. Non gli piaceva avere davanti un completo sconosciuto. Aveva sempre bisogno di avere qualche informazione sul conto del paziente, così da poterlo sentire più vicino, ma immaginava che neppure loro sapessero chi fosse e che il ragazzo non doveva aver collaborato. Gettò un’occhiata in direzione della porta, in attesa del suo collaboratore, mentre si preparava a tagliare la parte dei vestiti che gli serviva per poter avere una buona visuale della ferita sulla coscia. -Non so. Non è mai possibile prevedere l’andamento di un intervento. - rispose, senza guardare Willow, che se ne stava seduta in un angolo della sala, così da essere lontana dalla vista del paziente. Persino degli interventi semplicissimi potevano divenire catastrofici a causa di complicazioni. In quel caso anche la base era piuttosto complessa, ma questo lo tenne per sé. Non rispose alla sua frase successiva, mentre analizzava i ferri a disposizione sul tavolino e iniziava a spazientirsi per il ritardo dell’infermiere. -Sto bene. Non era niente. E ora ho bisogno di concentrarmi - ripetè, di nuovo. Questa volta la sua voce suonò decisamente più seccata. Perché continuava a fargli quella domanda? Era in piedi, sulle sue gambe, perfettamente lucido, mentre l’uomo sul lettino era in stato di incoscienza, perché cercava di distrarlo dal suo intervento?
    Prese il bisturi in mano nel momento in cui sentì la porta aprirsi e vide con la coda dell’occhio l’uomo, ora pronto per l’intervento. -Iniziamo. - mormorò, facendo una piccola incisione sulla coscia per cercare di rimuovere il proiettile, che era rimasto incastrato. Osservò con aria circospetta il paziente, che sembrava ancora incosciente, per fortuna, ma che ebbe un leggero fremito. Qualcosa gli diceva che l’effetto del sedativo sarebbe terminato presto e che allora sarebbero iniziati i problemi. Prese le pinze, cercando di estrarre il corpo estraneo mentre l’altro gli permetteva di vedere meglio e aspirava il sangue che copioso aveva ripreso a scorrere sulla ferita. Riuscì ad estrarlo e proprio mentre un sorriso soddisfatto comparve sul suo viso, l’uomo riaprì gli occhi, iniziando a dimenarsi. -La prego di non muoversi. Ha subito delle ferite importanti e in questo modo peggiorerà solo le cose. - disse, cercando lo sguardo di quell’uomo che dopo un primo momento di smarrimento ora sembrava soltanto molto arrabbiato. -Io sono il Dottor Rønningen. Riesce a capire la mia lingua? Può dirmi come si chiama? - provò a domandare, cercando di mantenere la calma. L’uomo iniziò a gridare qualcosa di sconnesso, che sembrava più una serie di insulti che informazioni, mentre continuava ad agitarsi. Raphael rimase in silenzio, sperando in questo modo che il registratore di Willow potesse avere un suono più chiaro e pulito. -Signore, devo chiudere la ferita e ho bisogno che lei stia fermo. - continuò, buttando il proiettile all’interno di un piccolo contenitore per poi avvicinarsi di nuovo alla coscia dell’uomo. Una vampata di fuoco gli colpì la mano, mancando di poco il viso. -Oh, bene. - mormorò quindi, serrando i denti per il dolore. Attivò la sua particolarità, sperando di non mandarla in contrasto con quella di Willow.
    Ricominciò con le sue operazioni e quando il sorrisetto dell’uomo scomparve, notando di non potendo più arrecare danni con il suo fuoco, lo guardò di nuovo in volto. -Può aiutarmi restando fermo, oppure può continuare a opporsi rendendo tutto più complicato. In ogni caso io non la lascerò morire qui. - disse, piuttosto deciso, sperando davvero che l’altro potesse comprenderlo. Lo vide corrucciare la fronte, per niente soddisfatto e mormorare qualcosa. Probabilmente lo capiva, solo che non aveva intenzione di farsi comprendere a sua volta. Notò la mano dell’infermiere tremare. -E’ ferito? - lui rimase in silenzio per un momento, come rifiutandosi di dire la verità. -Esca fuori e si faccia medicare. - ordinò, in maniera piuttosto perentoria. -Dottore, ma.. - cercò di protestare, per non lasciarlo da solo, anche se era evidente che il dolore gli stesse creando qualche problema. -Niente ma, ho bisogno di mani ferme. - continuò, deciso. L’altro annuì e uscì velocemente. Solo allora anche lui si concesse di tremare per un momento. Nonostante la stoffa degli abiti doveva avergli ustionato parte del braccio e della mano, ma non poteva togliere gli indumenti adesso, o avrebbe peggiorato la situazione. -Dottoressa Ruud? - disse, mettendo in scena un sipario che sperava tanto che Willow tenesse in piedi. -Può per favore avvicinarmi quella scatola? - disse ancora, indicando i guanti che stavano su un tavolino poco distante. Era meglio che l’uomo pensasse che ogni persona in quella sala appartenesse al personale medico oppure sarebbe divenuto ancora più aggressivo. L’avrebbe lasciata allontanare poco dopo, così da riprendere il suo lavoro, ma aveva bisogno di mettere un altro paio di guanti sopra i primi, per tenere a bada almeno parte del calore che si propagava dalla sua ustione.
     
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    C'erano sicuramente tanti studi e tanti esami che il governo aveva condotto su di lei. Quello che Raphael non sapeva, perché non ricordava, era che c'era molto poco da sapere di Willow che non si sapesse in giro, e tantissimo di misterioso invece correlato alla sua persona. La verità era molto semplice, Willow aveva vissuto una vita tranquilla, e fino all'età di venti anni non aveva neanche pensato di volersi iscrivere all'università, aveva lasciato che il mondo la trasportasse, e che le sue attività parlassero per sé. La donna, al tempo una ragazza, aveva passato una vita a circondarsi delle cose che le piacesse fare, e aveva lasciato passare accanto a sé moltissime occasioni, semplicemente perché non l'avevano catturata. Era rimasta in attesa, in una stasi perfetta, convinta che non le sarebbe interessato viaggiare o andare fuori da Besaid, perché avrebbe potuto scoprire qualsiasi cosa con l'aiuto della sua immaginazione, nei libri provenienti da tutto il globo e di tutte le epoche passate fino alla sua. Non immaginava se stessa ricoprire ruolo di madre o moglie, avrebbe trovato un lavoro semplice, arrotondava con il poco di cui poteva accontentarsi, viveva con la madre Frida nella sua casetta ai margini del centro storico, lì nelle case a schiera, tutte colorate di un colore diverso, a duecento metri dalla via lastricata che la portava vicino ad una balaustra sul fiordo, e da lì guardava l'orizzonte immaginandosi proprio in quel posto nel mondo, senza aver bisogno di correre lontano. Aveva passato tutta la sua vita in quella città, lasciando praticamente nessuna informazione di sé se non sui libri della biblioteca che prendeva in prestito e degli ingressi quotidiani alla piscina coperta del polo sportivo di Besaid. Aveva un irrefrenabile bisogno di solitudine e di pensare, di lasciare spazio all'eco nella sua mente per ideare storie e condurle a sé. Si voleva bene nella sua vita silenziosa. Poi era arrivato Raphael, e le sue parole l'avevano cambiata, e tutt'ora le lasciavano strane sensazioni addosso, strascichi di pensieri che cambiava sulla base dei suoi bisogni, si immaginava sempre lei in passettini più in là, come se quelle informazioni di cui parlava plasmassero alcuni credi radicati in lei anni prima. Così era cambiata la sua vita con il loro incontro e così risvegliava adesso pensieri diversi. Non disse nulla in quel momento, perché avrebbe voluto rispondergli che non avevano nulla da scoprire su di lei, ma poi tacque perché non era necessario dire di più, e perché c'era tanta stranezza nelle sue parole, che avevano un significato ben diverso. C'era un mondo di storia in più che Raphel non ricordava.
    Lì nell'ascensore che li avrebbe portati all'uscita dall'edificio rimescolava le parole dette poco prima del meeting con i colleghi del B6D, e cercava di concentrarsi su quello che era il da farsi, quello che aspettava entrambi nell'incarico speciale che avevano assegnato loro. Vide il viso di Raphael accigliarsi dietro al pensiero di fare del suo meglio, ragionando sulle alternative che avevano di fronte e le scelte che avrebbero dovuto prendere. Annuì dopo aver detto la sua in risposta alle sue affermazioni. Sapeva che era necessario lasciarlo concentrare e pensare sull'operazione imminente. «Se sarà necessario star lontano sì, se riusciamo a collaborare vicini resto con te.» Si incuriosì a pensare che entrambi avevano cambiato, spinti dalla fretta e dall'urgenza del lavoro da compiere, il registro formale della conversazione. Il lei era diventato tu, e così era facile rispondere a lui senza pensare di forzarsi a far finta di saperne molto poco. Willow ricordava tutto quello che lui le aveva detto della sua particolarità al tempo, ma era anche vero che aveva sempre parlato poco dei suoi poteri. Le parlava dei Dogs, di quello che avevano in programma, e le parlava di Rem in continuazione. Le aveva parlato così tanto di lui che aveva immaginato a lungo che fosse una persona completamente diversa, e quando aveva davvero visto la sua figura in lontananza, quel famoso giorno dell'incidente, si era destabilizzata. Era stata colpa sua d'altronde. Si morse il labbro inferiore per impedirsi di pensarci, non in quel momento. Doveva essere concentrata e prepararsi a tutto, anche a vedere cose di cui leggeva, qualche volta, piuttosto che a posare gli occhi su per davvero, ma non per questo era intimorita dal non conoscere, solo a non sapere come il suo corpo e la sua mente si sarebbero comportati, che era una cosa molto diversa. «Non preoccuparti, ci penso io.» Le sembrò di aver assunto una voce gentilissima, troppo accondiscendente, e per questo si schiarì la voce cercando di darsi un contegno. Fece seguire subito dopo la seconda frase per cercare di restare alla pari con lui, competente e presente. «Sì, la cosa più importante è farlo parlare. Anche poche parole, più di una parola insieme, mi basta questo per cominciare a capire, e poi potremo riprovare in futuro ad ascoltarlo. » Si fermò. Cercò di immaginare l'uomo ferito, e si incupì al pensiero che potesse essere così malandato da non avere modo da pronunciare parole, se non versi confusi, mozzati dal dolore. Il suo potere necessitava di parole che si potessero comprendere, poi intercettava facilmente la lingua specifica, ma era necessario per lei che ci fossero tre o quattro parole pronunciate consapevolmente da parte dell'interlocutore per poterlo collocare a qualcosa. Un briciolo di curiosità si insinuò in lei immaginando l'uomo sconosciuto e pensando che dovesse essere molto particolare per rappresentare un mistero per il governo tale per cui non avevano bisogno di nessuno se non di lei. Si stupì anche a pensare come Raphael avesse interpretato, pur non sapendolo affatto, come funzionava il suo potere. Già, ma come l'aveva immaginato? Possibile che qualcosa nella mente rimanesse non come ricordo ma come dato immagazzinato, impossibile da spiegare altrimenti o registrato, tale per cui anche senza che gli avesse detto come funzionava il potere aveva compreso come funzionasse il suo arcano? Ma poi si fermò, si stropicciò le mani sul vestito lungo al ginocchio senza farsi vedere: era sicuramente una sua impressione. Raphael aveva interpretato quello che aveva di fronte sulla base della situazione che gli era capitata tra le mani. Non era possibile che immaginasse qualcosa che era certo, così diceva la legge della sua cittadina che tutti si tramandavano oralmente, lui non poteva ricordare.
    Alla sua ultima constatazione avrebbe voluto rispondere che l'avrebbe salvato davero, e lei se lo sentiva, ne era sicura, ma evitò di forzare tanto la mano da sentirsi in difetto con lui, e allora annuì decisa, imbracciando meglio la sua borsa a tracolla, tirando la mano sulla cinghia e stringendosi mano destra e cinghia sul petto. Era bastato quella frazione di secondi sospesi in silenzio per vedere lo sguardo vacuo in Raphael e rendersi conto che non l'aveva sentita, e si era perso per quel momento dietro qualcosa in cui le era impossibile seguirlo.
    Non era servito posare la mano su di lui, non poteva svegliarlo da un incantesimo come delle migliori storie di folklore su principi e ranocchi. Alla fine erano arrivati al piano terra, e l'ascensore aveva aperto le sue porte liberandolo come se avesse potuto aprire una via di fuga rendendogli possibile senza essere scortese, la possibilità di non risponderle. E adesso?
    Si lanciarono all'inseguimento dell'agente Ness, e poi si infilarono velocemente all'interno dell'automobile, ai posti dei passeggeri sul sedile posteriore, Willow cercò di incrociare lo sguardo di Raphael per diverse volte, ma lui finì per completare le sue domande all'agente senza parlarle. In quel momento non poteva fare nulla per lui, e così allo stesso modo lui non poteva fare niente per lei: Willow non aveva la capacità di entrare rapida per ghermire la sua mente senza ferirlo, e poi uscirne fuori senza far rumore. Erano in un punto tale della loro conoscenza da non poter fare in modo di muoversi l'uno con l'altro se non con circospezione. Restò al suo posto, guardandosi il grembo per il resto del viaggio in auto, la borsa stretta al braccio e il porta documenti grigio tra i suoi piedi. Cercò di isolare la sensazione di saperne di più di quanto immaginasse, e solo di immaginare di aver frainteso: doveva liberare la sua mente dei pensieri inutili per concentrarsi assieme a lui sull'inaspettato.
    Si lasciò condurre da Ness e poi dagli agenti che attendevano il loro arrivo all'interno dell'edificio designato per l'intervento. C'erano ancora moltissime cose che non conosceva dell'organizzazione, e così quel giorno la sua conoscenza di quell'edificio le arrivò alla mente rendendosi conto di dove si trovavano: stranamente, l'edificio non si inoltrava nel bosco ma era molto più vicino al centro abitato, e forse sembrava così dimesso da lasciar intendere poco su quello che potesse accadere all'interno. Osservò la reazione di Raphael nel rendersi conto che sì avrebbe avuto un assistente ma erano solo loro due a condurre l'operazione, lui e un giovane dottore, o infermiere, Willow non poteva saperlo, che si era affiancato loro appena avevano varcato l'ingresso del corridoio descritto dall'agente Ness. Le fece quasi tristezza il pensiero che quel viso, oramai divenuto familiare e non più pauroso, non fosse più con loro in quella missione, e che dovesse riadattarsi a dei volti nuovi e all'eventualità di scontrarsi con persone che avrebbero assistito all'intervento e a lei mentre svolgeva il suo lavoro. Si limitò ad essere l'ombra di Raphael fintanto che non fossero arrivati alla sala numero 3, quella che ospitava l'uomo semi inerme, pronto per l'operazione, e per essere l'oggetto del suo studio. Si concentrò per quel frangente ad occuparsi di quello che sapeva fare bene, la sua dote, come l'aveva definita proprio poco prima a Raphael e come sempre la considerava. Lì nell'angolo più remoto della stanza cominciò a riepilogare le sue mansioni e a prendere possesso dei suoi strumenti abituali, proprio come Raphael faceva con i suoi, prima di iniziare l'intervento. Willow riprovò a parlare con Raphael per mettersi al suo livello e chiedere di più su quello che era successo prima. La sensazione di aver carpito qualcosa di incredibile si placò, e molto più semplicemente Willow immaginò di aver sbagliato. Doveva aver soltanto creduto l'avesse guardata per un attimo come se la stesse ricollocando a qualcosa, quando invece un piccolo malessere doveva aver provocato lui un mal di testa, o qualcosa che lo aveva fatto sentire in difficoltà. E poi, come da classico Raphael, aveva ripiegato sul lavoro, sul dovere, sull'onore e sul senso della missione per ricordare a se stesso che in quel momento la priorità era salvare il paziente. A quel punto non disse nulla, rendendosi conto che sarebbe stata solo di troppo. Quando si erano incontrati la primissima volta, appena lui era ricomparso dopo anni, e aveva rimesso piede a Besaid dopo tanto tempo, Willow aveva immaginato di essere diversa, e che non fosse possibile essere più ricordata. Così come allora in quel momento decise di non fare nulla, e invece di ingoiare il rospo. Si lasciò scivolare a terra silenziosamente, accantonando le sue cose per non far rumore e accese il registratore. Ogni momento poteva essere importante, ogni parola sussurrata doveva essere udita e riascoltata.
    Attesero il ritorno dell'assistente, ed entrambi preparati cominciarono ad accordarsi per l'operazione. Willow chiuse gli occhi per un pò, ma l'uomo era ancora incosciente, e si sentì impaziente di guardare cosa stesse accadendo. Osservò Raphael per la prima volta in azione, perché la laurea nel suo ramo e i suoi studi li aveva compiuti molto tempo dopo e lontano da Besaid. Lo guardò nel camice bianco, nei guanti sterili, in quell'immagine triste e bianca, tutta neutra, colorata solo dal sangue dell'uomo che stavano operando e dalle ecchimosi livide che si potevano guardare sul suo corpo. Piano piano scoprirono via i brandelli dei vestiti per liberare le parti del corpo alla vista e poter permettere di effettuare l'operazione. A quel punto iniziarono ad incidere la pelle, e Willow deviò lo sguardo istintivamente, non contenta di osservare nulla che fuoriuscisse dai liquidi dell'uomo. Cominciò a sentire rantolare la sua voce, e così per un pò gettò occhiate confuse che viaggiavano dalle mani di Raphael al volto dell'uomo, e dovette immaginare di non vedere molto di quello che le sue pupille incontravano con lo sguardo, guardando altrove, e costringendosi a rimanere concentrata. Aveva letto tantissime volte di operazioni, e aveva letto libri di medicina, studiando con leggerezza per il puro piacere di leggere libri nuovi, come esse si svolgevano e cosa accadeva. Si trovava in difficoltà con la vividezza di quelle immagini, e suo discapito sentì di essere indietro ai suoi coetanei, che tanto erano diventati abituati alla violenza e alla crudità delle scene forti semplicemente perché inclini a guardare film che rendessero il tutto vivo e reale. Lei era un'anima analogica, perciò la forza delle immagini era racchiusa nelle forze delle parole che leggeva. Dovette ricordare cosa aveva letto di Jenner quando aveva intuito come funzionasse il vaccino, e farsi forte che guardare l'operazione di un uomo, un essere come lei, doveva essere sicuramente meno difficile di sezionare lo stomaco o le pustole di una vacca. Il pensiero non fu comunque tanto felice da permetterle di sentire lo stomaco sospeso e terribilmente vuoto. Richiuse gli occhi solo quando sentì in parte la voce dello straniero, ma erano solo suoni confusi e non dichiarati, e nessuna parola messa in fila. Non capiva nulla. Fece un borbottio di stizza, rimettendosi in piedi e cercando di appiattirsi al muro, come se potesse in quel modo non farsi guardare dall'uomo per non attirare la sua attenzione. Ascoltò le parole di Raphael che discuteva con lui, e lo guardò per qualche secondo da lontano, come se potesse rimanere assorta e racchiusa in quel momento, in cui metteva gli occhi su di lui dopo tantissimo tempo. L'uomo reagì ad un'incisione che doveva aver procurato dolore, o forse si sentì semplicemente in difficoltà per essere stato catturato potenzialmente dal nemico, e si irrigidì, guardando Raphael e l'assistente mentre si piegavano appena inarcando la schiena, istintivi nel ricacciare indietro una fiammata provocata dalla particolarità dell'uomo.
    «Ah!» Le uscì dalle labbra, spaventata che la fiammata potesse colpire Raphael, e si fermò dal pronunciarsi per non gridare 'attenti' invano. Non sapeva cosa avrebbe pensato l'uomo nel vederla, e voleva evitare di compromettere anche la sua missione. Appiccicò le mani al muro imponendosi di essere silente, e osservò la scena che si trovò di fronte. Raphael cercò di dialogare con l'uomo, e di rassicurarlo, e così facendo l'uomo borbottò qualcosa, e finalmente quelle parole risvegliarono un'antica e sapiente conoscenza in lei. Così come avveniva sempre la sua particolarità seppe per lei, e le parole che pronunciò erano poche ma diventarono sensate, trasformando il rumore in comprensione.
    «Almeno lui sembra dire il vero.» Lo biaschicò, intontito dai sedativi che ancora circolavano nel suo corpo e dal dolore che affiorava, e dalla coscienza che cominciava a ripulirsi portando via la nebbia dei sensi. Willow lo vide, lo guardò meglio, e la sua impressione le sembrò corretta. Non poteva dire nulla, non a Raphael, non a nessuno, ma la lingua che parlava l'uomo era la lingua maori. Una lingua polinesiana, parlata da pochissimi, non si stupì che l'uomo non fosse stato catalogato in alcun modo dal governo. Ma se non avesse parlato chiaro, neanche lei avrebbe potuto dire nulla dietro al mistero delle sue azioni. Riconobbe a quel punto il volto e il colore dell'uomo come se potesse comprenderlo un pò, e così capì che poteva interpretarlo. Ma cosa ci faceva lì a Besaid?
    Si zittì completamente durante quel suo ragionamento, e attese che Raphael e l'assistente riprendessero a lavorare cooperando come avevano fatto fino a quel momento. Ma Raphael si era accorto che l'altro era rimasto ferito dalla fiammata, e a nulla poteva valere scuoterlo per recuperare la compostezza e il suo posto, Raphael l'aveva già convinto a lasciare la stanza per farsi medicare. Quando la chiamò, per un momento le si strinse il petto, si preoccupò di sentirsi immediatamente chiamata sull'attenti quando aveva faticato per non farsi guardare dall'uomo steso sul letto, come se avesse potuto smascherarla mentre lei tentava di interpretare lui. Si fece coraggio sul posto, su due piedi, rendendosi conto che Raphael aveva bisogno di lei e non poteva far finta di niente. Stirò le labbra nella migliore espressione composta che poté richiedere a se stessa in quel momento e deglutì, cacciando via un pensiero preoccupato. «Certo dottor Rønningen.» Si guardò intorno, prendendo coscienza dello spazio intorno a sé, e intercettò la scatola che le indicava Raphael. Si avvicinò a lui, e all'uomo steso. Si guardarono per un attimo, e a lei sembrò di essere sgarbatamente fuori posto, eppure, rivestita di quel ruolo non poteva fare altro che stare al gioco. Guardò le mani di Raphael, rendendosi conto del perché della sua richiesta solo in quel momento. I guanti, e le mani, la bruciatura, la pelle umida dietro l'ustione.. sì, doveva aver bisogno di cambiarli. Willow schizzò velocemente in allerta, comprendendo di poter fare di più di quello che Raphael le aveva chiesto. Si recò nella saletta adiacente, quella proprio accanto alla loro, dove Raphael si era lavato le mani. Si lavò le sue velocemente ma con abastanza cura, prendendo una bacinella e sciacquandola, e a quel punto prese delle garze che penzolavano fortuite sul lato del mobiletto che era rifornito dei beni di prima necessità per una stanza simil ospedaliera. Indossò un altro paio di guanti di scorta a sua volta, e tornò da Raphael con la bacinella, che posò sul tavolo che avevano utilizzato per i materiali oramai sporchi, proprio per non compromettere la sanificazione del tavolino dove avevano poggiato i bisturi e gli altri strumenti sterilizzati. Intercettò Raphael, incrociò il suo sguardo, e fece in modo che la bacinella fosse proprio accanto a lui per non farlo allontanare dall'uomo. Prese i guanti tra le mani, quelli che sarebbero serviti a Raphael, e si voltò a guardare l'uomo, ferito e arrabbiato, convincendosi che fosse abbastanza anche lei per poterlo rabbonire con le sue parole. «La aiuteremo a star meglio, può fidarsi di noi.» Glielo disse, non sapendo mentire sulla sua funzione di non dottoressa, e non poté fare altro che lasciargli un'occhiata sincera in quello che credeva. Non poteva immaginare che avrebbe avuto un futuro sicuro se fosse sopravvissuto, ma farlo sopravvivere poteva essere comunque una verità della sua condizione: sarebbe stato meglio.
    Non seppe se l'uomo si bevve la burla, non poteva immaginarlo, ma in qualche modo rimase interdetto nel sentirla parlare: la guardò con gli occhi ardesia iniettati di venuzze rosse sulla sclera bianca, e per un pò distese lo sguardo corrucciato. Fece un paio di smorfie di dolore, e nel frattempo Raphael aveva lavato le mani e tolto i guanti rovinati. Intercettò a quel punto il gesto di Raphael, e coprì con la garza la ferita dell'ustione, chiudendo la stretta senza comprimerlo troppo, prima di aiutarlo ad indossare uno dei due guanti a coprire la mano che era più compromessa. A quel punto rimase lì, e si fece coraggio per parlare ancora, cercando di rimediare al momento fintanto che l'assistente non fosse tornato sul posto, sicura di aver osservato le norme che una persona non del settore come lei poteva aver comunque indovinato dalla sua conoscenza in materia. «Adesso proseguiamo l'operazione. Cerchi di rilassarsi, il dottor Rønningen è la persona migliore che potesse capitargli.» In qualche modo le sue parole non sembrarono turbarlo. Forse era stato l'effetto del sedativo che tornava a galla, o forse si sentì parzialmente rincuorato dalle parole di Willow, per quanto incattivito dalla situazione... forse stava solo prendendo atto di come fuggire una volta che avesse recuperato l'uso della gamba. La guardò per un pò, e poi ripeté alcune parole, una dopo l'altra, ma Willow non le comprese. Lasciò scattare gli occhi al registratore che aveva lasciato acceso sul pavimento, e si rincuorò che dalla posizione dell'uomo, steso sulla barella, non fosse visibile. Lo sconosciuto pronunciò ancora alcune parole sconnesse, e Willow non capì perché non le comprendeva. Le parole pronunciate una dopo l'altra appartenevano alla stessa lingua che mormorava prima, qualcosa glielo diceva, ma sembravano essere ripetute in modo da essere orrendamente sfigurate, e rese incomprensibili. Corrucciò lo sguardo, mentre Raphael riprendeva possesso del suo mestiere, e ricominciava ad eseguire i suoi compiti. Willow restò accanto a lui, in attesa che le desse un incarico, qualcosa per cui potesse esser enecessaria la sua collaborazione. Bloccare l'uomo dal muoversi? Fermare una gamba? Pulire un'aria di incisione? Tamponare la fuoriuscita di sangue? Lì dall'alto della sua posizione le sembrò improvvisamente possibile quello che non aveva attribuito a se stessa, si fece coraggio rendendosi conto di poterlo assistere, per quanto necessario. Eppure si sentì incatenata a guardare ancora l'uomo, che ripeté ancora una volta altre parole sconnesse, sfigurate nella loro bellezza linguistica. Era una sfida? Erano queste le parole che aveva ripetuto agli altri agenti del B6D? Si sforzò di non guardarlo più del dovuto in volto, e si concentrò sul suo corpo. L'incitamento del momento doveva essere dovuto ad una scarica di adrenalina che l'aveva pervasa a continuare a seguire le direttive di Raphael senza tirarsi indietro. «Dottore, aspetto sue.» Mormorò, decisa ad eseguire gli ordini fintanto che Raphael l'avesse seguita nelle sue mansioni, pronta e risoluta, senza fiatare oltre.
     
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    Amava il suo lavoro. Non ricordava quando né perché avesse deciso di diventare un medico, ma ricordava come era nata la passione per la chirurgia, nell’Ospedale di Oslo, dove aveva svolto i suoi tirocini universitari. Ricordava come si era sentito la prima volta che aveva assistito dal vivo a un intervento, anche se come semplice spettatore. Aveva osservato tutto con estrema attenzione, a tratti persino con il fiato sospeso. Il primo intervento era ancora indelebile nella sua mente. Si era trattato di un intervento molto semplice, un’operazione di routine senza alcun rischio effettivo, ma per lui era stato comunque un momento di adrenalina a mille. Nulla di paragonabile a ciò che aveva vissuto al di là dell’oceano, in terra straniera, quando aveva capito davvero quanto pericoloso potesse rivelarsi il suo lavoro e quanti rischi ci fossero dietro a ogni più piccola azione. Ogni intervento, tuttavia, era importante. Se lo ripeteva sempre, giorno dopo giorno, per mantenersi lucido e attento. Niente doveva essere sottovalutato, per nessun motivo al mondo. Forse per questo ci teneva tanto e si disperava quindi quando qualcosa andava storto. Ricordava i nomi di tutte le persone che non era riuscito a salvare. Teneva un piccolo quaderno dove conservava tutti i loro nomi e una breve descrizione, per essere sicuro che almeno qualcuno li ricordasse. Scriveva anche i possibili errori che aveva commesso, perché non ricapitassero. Aveva preso quell’abitudine in Afghanistan, scrivendo i nomi sulla terra per la prima volta, poi su un piccolo quadernetto che aveva trovato dentro i suoi bagagli, di cui aveva quasi dimenticato l’esistenza. Lo aveva aiutato molto in quei mesi. Gli aveva permesso di restare lucido, di non abbattersi, di credere che forse tutte quelle cose avevano comunque uno scopo più grande.
    Cercò di mettere da parte la paura e di concentrarsi su ciò che potevano gestire e organizzare. Parlarono di come coordinarsi, di cosa poteva essere loro utile per portare a termine entrambi i compiti. Annuì quando lei confermò che serviva soprattutto far parlare il paziente, fare in modo che dicesse qualcosa così che per lei fosse possibile intuire la lingua che usava. Sperava che sarebbe stato possibile svegliarlo e che l’operazione non li obbligasse a tenerlo incosciente per tutto il tempo. Sottoporre qualcuno a un dolore troppo elevato in stato di veglia solo per sentirlo parlare non rispondeva alla sua etica. Doveva assicurare le migliori cure possibili, a chiunque. In quel caso quindi non si sarebbe fatto remore nel tenerlo addormentato, anche a costo di mandare all’aria l’intera missione. Il suo dovere di medico, per lui, veniva prima di qualunque altra cosa e temeva che il Governo questo già lo sapesse. Era per questo che avevano chiamato proprio lui? O era solo perché erano a corto di personale? Un flash legato al suo passato lo distolse da quei pensieri e ne aggiunse degli altri. Improvvisamente non era più sicuro di sapere chi fosse la donna che aveva davanti. C’erano dei tasselli legati al loro passato che non riusciva a ricordare. Si erano già conosciuti, chissà quanto tempo avevano trascorso insieme e ora si ritrovava a guardarla, cresciuta ma non per questo troppo cambiata, almeno a livello esteriore. Avrebbe voluto avere il tempo di concentrarsi su quanto aveva visto, di chiedere, ma si conosceva. Sapeva che qualunque deviazione dalla sua missione principale lo avrebbe soltanto fatto confondere e gli avrebbe fatto perdere la giusta concentrazione. Era per via del loro comune passato che erano stati scelti entrambi? O era solo uno strano scherzo del destino? Se lo chiese per un momento, poi si maledì per averlo. Cercò di convincersi che, se fosse stata una cosa importante, qualcuno gliel’avrebbe senza dubbio raccontata.
    La sua espressione mutò per il resto del tempo che trascorsero insieme, troppo impegnato a combattere tra tutti quei pensieri contrastanti per potersi sforzare di essere gentile e sorridente. In un’altra situazione probabilmente avrebbe preso la cosa di petto e avrebbe chiesto, ma non voleva che la sua risposta potesse destabilizzarlo. Se gli avesse detto qualcosa che non voleva sentirsi dire? Se sapere la verità avrebbe cambiato ogni cosa? No, non potevano permetterselo. Si sforzò di tenerla lontana, di cancellare quanto aveva visto e di porgere all’agente Ness tutte le domande necessarie, lasciando Willow fuori da quella sua conversazione. Era più semplice se non la guardava, se fingeva di essere da solo sul sedile posteriore di quell’auto. Era un atteggiamento infantile, lo sapeva, ma in fondo dubitava che lei potesse conoscerlo davvero. Se anche lei aveva avuto un posto nella sua vita quando era un ragazzo, lui ora non era più quello di una volta. Era certo che la guerra lo avesse cambiato, non solo nel fisico ma anche nella psiche. Certe cose ti scavano dentro e lasciavano un solco così profondo che era impossibile riappianarlo. Si mossero verso l’interno dell’edificio mentre il fastidio lo accompagnava passo passo. Era arrabbiato per ciò che aveva visto e quella rabbia si fuse con quella dovuta alle condizioni in cui avrebbe dovuto operare. Non conosceva i mezzi e non aveva a disposizione abbastanza personale, non proprio quello che si era aspettato quando aveva accettato di lavorare per il Governo. Credeva che almeno le risorse sarebbero state opportune, invece per certe faccende continuavano ad andare al risparmio.
    Un respiro, due respiri, tre respiri. Cercò di placare il tremore alla mano che aveva iniziato a farsi sentire quando l’agitazione era salita. Non era un bene, doveva calmarsi. Chiuse gli occhi per un momento, nel più perfetto silenzio, mentre attendeva che l’infermiere lo raggiungesse all’interno della sala operatoria dove avevano già portato il paziente. Nessun nome, niente che gli permette di capire di chi si trattava. Che cosa avrebbe appuntato sul suo quaderno se le cose fossero andate male? Soggetto ignoto, nazionalità ignota, fori di arma da fuoco e tagli profondi sulla pelle, il resto era ancora tutto da scrivere. Le parole preoccupate di Willow lo raggiunsero proprio in quel momento e lui cercò ancora una volta di tagliare corto, di allontanarla e impedirle di raggiungerlo in quella bolla sicura che stava cercando di creare attorno a sé. Attese il suo aiutante poi cercò di liberare le ferite dagli indumenti e di iniziare prima di tutto a igienizzarle per evitare che potessero infettarsi. Non sapeva che cosa fosse accaduto, nessuno gli aveva descritto le dinamiche di quell’arresto, quindi cercò di costruirle da solo, all’interno della sua mente, come meglio avrebbe potuto. Gli sarebbe stato utile avere delle informazioni in più per decidere come agire, qualche esame più accurato che gli desse indizi sulla gravità di quelle ferite, invece avrebbe dovuto improvvisare, proprio come aveva fatto sulla terra rossa e sulla sabbia. Notò i movimenti dell’uomo prima quasi impercettibili, poi più attenti, segno che si era svegliato e che ora era vigile, lì con loro, anche se non voleva mostrarsi collaborativo. Cercò di parlare con lui, di metterlo a suo agio, per quanto possibile, anche se non era certo che parlasse o almeno capisse la sua lingua. Riuscì ad estrarre il primo proiettile, l’unico di cui avesse la certezza, ma gli servivano delle scansioni per essere sicuro che non ce ne fossero degli altri. Le avviò velocemente, sfruttando il macchinario che avevano sopra la testa, sperando che non impiegasse troppo tempo. Continuò a parlare, raccontando tutto quello che avrebbe dovuto fare, passo passo, sperando così di riuscire a instaurare un contatto con quell’uomo e ottenere almeno un po’ della sua fiducia. In risposta ottenne soltanto una vampata di fuoco che ustionò la sua mano e anche quella del suo assistente che non riuscì a rimanere fermo nella sua posizione. Si domandò quanto quell’infermiere sapesse della loro missione. Era un ospedale riservato solo al Governo? O visitavano anche delle persone comune? Di sicuro il fatto che fossero a Besaid faceva sì che quanto meno avessero un po’ di dimestichezza con le particolarità, sicuramente più di quanta ne avesse lui, che si era trasferito soltanto da poco più di un anno. Le trovava affascinanti, un intero mondo da scoprire, ma alcune volte lo facevano impazzire.
    L’infermiere tremava, troppo per poter continuare a procedere ed essere di vero aiuto, quindi lo invitò a lasciare la sala e cercare di medicarsi. Entrambi sapevano che se fosse uscito non sarebbe tornato, non sarebbe riuscito a rimettersi a lavoro con le dovute medicazioni e non aveva nessun collega da mandargli in cambio quindi, una volta uscito, Raphael se la sarebbe dovuta cavare da solo. Ma il pensiero di avere accanto qualcuno che tremava e rischiava di combinare dei grossi guai era ancora meno allettante, secondo il suo punto di vista. Appena l’altro lasciò la stanza si prese un momento per analizzare la situazione, cercando aiuto da parte dell’ultima persona che era rimasta in quella sala assieme a loro. Sperò che Willow fosse in grado almeno di avvicinarsi al tavolo e avvicinargli ciò che gli serviva, senza svenire alla vista di una ferita aperta davanti ai suoi occhi. Lei, in quel momento, era la sua unica possibilità. Fortunatamente la mascherina chirurgica coprì l’ombra di un sorriso quando lei rispose prontamente alla sua richiesta, senza dare nell’occhio e senza stupirsi. Sapeva bene che le sale operatorie non erano il luogo dove lei operava di solito, ma cercò comunque di comportarsi in maniera assolutamente naturale. Intercettò la scatola dei guanti e la portò vicino al tavolo, accorgendosi solo in quel momento che anche lui era stato ferito. -La ringrazio. - mormorò, cercando di mantenere un tono di voce calmo e tranquillo. Era sicuro che l’uomo sapesse di essere riuscito a ferirlo, ma non voleva dargli alcuna soddisfazione. In quel momento qualcosa sembrò mutare nello sguardo e nella postura della donna, come se una molla fosse scattata dentro di lei, dandole una botta di grinta aggiuntiva. Si mosse verso i lavabo, lavandosi le mani e preparandosi a tornare vicino a loro. La guardò con sorpresa, colpito da tutta quella voglia di mettersi in gioco. Lui si sarebbe accontentato della scatola di guanti e avrebbe cercato di fare del suo meglio da solo, invece lei aveva deciso di assisterlo, non soltanto per ciò che le era stato richiesto, ma per tutto ciò che poteva essere necessario.
    La vide tornare con una bacinella, dove lui avrebbe potuto lavarsi le mani, ma nel caso dell’ustione era meglio non toccare nulla. Togliere i guanti che portava in quel momento avrebbe soltanto rimosso più strati di pelle del dovuto e avrebbe reso anche le sue mani inutilizzabili. Si limitò quindi a pulire leggermente, per poi apporvi uno strato di crema per le ustioni, facendosi aiutare poi con una garza per tenere la pelle aderente al resto della mano. Controllò di nuovo il tutto poi allungò la mano ferita, affinchè lei la aiutasse a infilare almeno altri due guanti al di sopra di quello rotto, senza togliere quello che aveva sotto. Non disse nulla, fingendo che fosse tutto normale e che lei fosse esattamente nel posto che le competeva. Lei cercò di essere gentile e rassicurante. Forse una presenza femminile dal volto così dolce e tranquillizzante poteva davvero fare la differenza in una situazione come quella. Il paziente la osservò con aria un po’ sospetta, ma rimase fermo, senza più cercare di dimenarsi. L’uomo parlò di nuovo e lei sembrò farsi più attenta per cercare di ascoltare, ma a una distanza così ravvicinata era impossibile che la sua particolarità funzionasse visto che Raphael stava cercando di placare quella dell’uomo. Gli dispiacque di averla messa in quella situazione e di averla sottratta al suo lavoro. La guardò per un momento, come per chiederle se fosse riuscita a intuire qualcosa e se fosse tutto a posto, ma non attese una risposta, preferendo evitare di dare troppo nell’occhio. La mano continuava a fare male e sapeva quindi che neppure lui sarebbe riuscito a reggere a lungo, quindi era meglio fare in fretta e chiudere quell’operazione nel minor tempo possibile. Prese l’aspiratore, iniziando a pulire un po’ del sangue che aveva ripreso a fuoriuscire dal taglio dopo quel breve inconveniente e poi, dopo averlo disposto in una posizione ben precisa, indicò a Willow ti tenerlo fermo proprio in quel punto. -Bene, dove eravamo rimasti? - mormorò quindi, fingendo che nulla fosse accaduto e che fosse semplicemente tornato da una riposante pausa caffè. -Ah sì, come dicevo, ho bisogno di chiudere la ferita. Posso avere la sua collaborazione? - chiese di nuovo, insistente con lo sguardo su quello dell’uomo, sperando davvero che l’altro capisse e decidesse di non opporre resistenza. Era sicuro che il dolore dovesse essere forte, ma opporsi non avrebbe aiutato nessuno. Prese una siringa e gli diede un’altra piccola dose di anestesia, sperando così di tranquillizzarlo un po’.
    Riuscì a ricucire la ferita, mettendo in atto dei punti di sutura abbastanza stretti, affinchè la cicatrice, una volta richiuso il taglio, non fosse troppo evidente. Poi, scrutò i risultati delle scansioni che aveva fatto partire all’inizio dell’intervento, sollevato dal fatto che il colpo di calore non avesse mandato in malora ogni cosa. Non sembravano esserci altri corpi estranei, quindi non restava che sistemare le fratture, ma anche quelle sarebbero state piuttosto dolorose. Iniziava a sentirsi stanco, l’uso prolungato della sua particolarità lo debilitava quindi non poteva proseguire così ancora per molto. Osservò le flebo con l’anestesia e, senza dire nulla, le fece ripartire, attendendo poi che l’uomo si assopisse prima di proseguire. Prese un profondo respiro, stanco e provato da quanto era accaduto. -Spero che tu sia riuscita a capire qualcosa, mi dispiace di averti coinvolta. - disse, risollevando solo in quel momento lo sguardo su di lei, dopo tanto tempo. Lo aveva seguito passo passo, assistendolo in ogni modo possibile ed era stata una vera fortuna averla lì. -Penso di poter finire da solo ora, se vuoi iniziare ad ascoltare le tue registrazioni, non si risveglierà per un po’. - spiegò, lasciandola libera di allontanarsi se avesse voluto. A lui mancava probabilmente ancora un’ora di lavoro e non vedeva l’ora di poter interrompere e farsi medicare a dovere. La vampata avrebbe probabilmente lasciato una cicatrice a ricordo di quell’esperienza, un’altra da aggiungere alla sua ormai grande collezione. Ancora si chiedeva che cosa fosse accaduto, perché quell’uomo fosse finito proprio in quella cittadina. C’erano tante cose che non sapeva, tante che nessuno voleva dirgli e iniziava a dubitare di poter sopportare tutto quel silenzio. -Grazie ancora, sarebbe stato impossibile senza di te. - disse, e la guardò di nuovo. Una lunga occhiata che continuava a trattenere troppe domande. Forse avevano finalmente un po’ di tempo per parlare, ma lui non aveva le dovute energie per farlo. Ci sarebbe stato un giorno. E se non fosse capitato da solo, avrebbe trovato lui il modo di ottenere quel tempo.
     
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