Be my mistake and turn out the light

Beat x Lys | Sera

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    Tra un cornicione e l'altro Beat correva come ci fosse qualcuno a inseguirlo, saltando da un palazzo e atterrando sulla terrazza del successivo nonostante gli facesse male ogni muscolo e osso del corpo. Ma non voleva mollare, Beat, che a pensarci si sentiva di essersi arreso in tutte le cose possibili e su quella dunque no, non voleva proprio lasciare la presa. A ogni stretta però, oltre al dolore ogni volta in una parte diversa appariva anche un'immagine distinta e più difficile da sopportare di qualsiasi giuntura scricchiolante. Per mitigare le conseguenze dei tre mesi di coma Beat si issava su pali della luce ignorando i richiami del proprio corpo, così come calpestava più forte il cemento per scacciare ricordi su ricordi di qualcosa che non si sapeva spiegare ma che c'era stato, da qualche parte sospeso nel tempo, fra lui, Lys e la morte. Di nuovo quel terzetto, di nuovo loro: sembravano non riuscire a sciogliersi mai. Ricordare era come fare a botte, ogni ultimo istante passato in quel sogno con Lys era un pugno nello stomaco ogni giorno più forte, ogni giorno più frequente. Era iniziato come una specie di continuo del coma e capitava quando Beat dormiva, sogni fatti di parole dolci e sguardi tristissimi che diventavano incubi al colpo di una pistola o al passaggio di una lama su una gola bianchissima. Il collo di Lys ormai lo vedeva in continuazione, che fosse giorno o notte non importava, Beat si vedeva accanto a lei a dirle cose che non era sicuro sarebbe riuscito a ripetere nel presente, non con quella mancanza di filtri così disarmante. La vedeva starsene lì a dire il suo nome sempre con il punto di domanda alla fine, come se si aspettasse qualcosa che lui non poteva darle.
    Beatbeatbeatbeat. Beat? Fu quando di fronte agli occhi gli si pararono quelli enormi e blu di Lys che Beat perse la presa con le mani e cadde per terra, atterrando sul fianco e su una spalla che scricchiolò malamente. Rimase lì qualche secondo girandosi con lentezza sulla schiena, una smorfia a tirare il viso e una mano a tastare la clavicola al di sotto della felpa. E lì si mise a pensare, riverso sull'asfalto come un insetto capovolto, alle cose che avrebbe voluto dirle, a come sarebbe stato se fossero stati soli al mondo.
    Semplice. Vivo. Così sarebbe stata quella vita, quell'amore che consumava senza lasciare niente ma loro, il centro, la materia prima di tutto quanto. Tutto sarebbe iniziato e finito con quei due che si sarebbero logorati un po' ovunque e su ogni superficie:
    su letti,
    su tavoli,
    al Bolgen,
    nei camerini di tutti i negozi,
    sopra e dentro le auto,
    affondando in granelli di sabbia o fra steli d'erba fitta e alta,
    nelle cabine telefoniche,
    nei campi da calcio e sotto i loro spalti.
    Fino a fondersi con il pavimento.

    E sotto gli spalti si trovava Beat dopo essersi alzato dall'asfalto lercio solo per finire, tre ore dopo, sdraiato su un altro tipo di pavimento, quello più ruvido e meno rovinato del sottoscala di un campo da calcio in cui imperversava un'accanita partita di calcio universitario, qualcosa a cui Beat importava meno di niente ma non era quello il motivo per cui era lì. Il suo perché era a bordo campo e riusciva a vedersela di fronte anche da nascosto lì sotto, sdraiato con la schiena per terra e la faccia in alto non scorgeva scarpe e gambe di dozzine di persone ma solo lei, lei che sorrideva grande, i capelli tirati in alto in una coda strettissima, lei che saltava in una nuvola di glitters multicolori. Dopo la caduta Beat era tornato in una casa deserta, si era fatto una doccia veloce e quando ne era uscito aveva sostato per guardare il livido che si stava già formando, una macchia grande e scura sulla pelle. Così affascinato si perse lo squillo del telefonino, salvo poi trovare due messaggi che dicevano ci vediamo dopo, e per un attimo trattenne il respiro che poi rilasciò pochi istanti dopo, sonoramente. Era Kris, chi altri se no?
    L'aveva incontrata proprio su quegli spalti un'oretta dopo il messaggio e lì si erano seduti a mangiare popcorn e a smezzarsi una coca cola corretta alla vodka. Così li aveva trovati pochi minuto dopo Paul, che Beat aveva visto arrivare insieme a Lys attraverso uno dei corridoi più in basso tra una fila di sedili e l'altra. Li aveva guardati scambiarsi un bacio veloce, poi gli occhi azzurri non si erano spostati sull'amico che si avvicinava ma erano rimasti sulla ragazza che si stava allontanando verso il centro del campo. L'avevano seguita per un po' sperando che si voltasse, e quando l'aveva fatto lo stomaco di Beat si era contratto a tal punto da pizzicare. Gli occhi di Lys l'avevano cercato e trovato, la mano che si alzava a muovere un paio di dita in quell'accenno di saluto al quale il ragazzo rispose alzando di poco il mento e abbozzando un sorriso a metà che, nonostante ogni dettaglio di lei era come uno zoom sulla sua cornea, non era sicuro avrebbe visto da così lontano. A metà partita gli fu chiaro di non riuscire a concentrarsi né su Kris né tantomeno sulla partita in corso, quindi scambiò brevemente qualche parola con la ragazza e si defilò in cerca di un posto tranquillo per fumare in pace. Sotto gli spalti, con le scarpe delle agente a battere sopra du lui, Beat era steso per terra e stava fumando una canna ormai quasi alla fine quando avvertì dei passi far vibrare il pavimento sempre più vicini. Alzò leggermente la testa facendo leva sul collo incrociando così uno sfavillio azzurro famigliare. «È già finita?» Le sopracciglia inarcate, la voce roca risuonò stranamente forte nonostante i rumori provenienti da sopra le loro teste, mentre Beat si tirava a sedere piano e con una smorfia quando toccò alla spalla sinistra raddrizzarsi. Rimasto con la canna incastrata mollemente all'angolo della bocca, il ragazzo si prese qualche istante per far scorrere gli occhi cerulei dalle caviglie sottili alle ginocchia compatte, dalle gambe sode al ventre al collo - quel collo che continuava a sognare pieno di sangue - alle spalle alle labbra di Lys. Avrebbe voluto prenderla e baciarla seduta stante, abbracciarla fino a sciogliersi con l'asfalto, fino a confondersi con le luci dei lampioni riflessi al suolo.
    Ma gli amici non si comportavano così, e chissà se lo erano poi ancora. Già, chissà se come lui:
    chissà se come lui ricordava tutto;
    chissà se come lui aveva voglia di sentire pelle e ossa scontrarsi;
    chissà se come lui l'aveva visto, lì nel dolce incubo sulla spiaggia;
    chissà se come lui sentiva il corpo in fiamme ogni volta che si avvicinava;
    chissà come era cambiata la sua vita in quei tre mesi di presente assenza;
    chissà, amava Paul?
    Chissà se avrebbe mai più chiesto, con un filo di voce, Beat?
    Poi seguirono un sorriso storto e una nuvoletta di condensa. Cominciava a tornare il freddo.
    «Stai bene così.» Accennò col mento alla divisa dalla gonna cortissima, da dare le vertigini a chiunque. Figurarsi a Beat.

    Edited by Dead poets society - 1/6/2022, 21:36
     
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    Te lo ricordi quanto saltavo in alto? Più o meno così. Schiena dritta, gambe e braccia tese, gli angoli delle labbra tirati su come una le due estremità di una barca di legno che cerca di restare a galla, occhi color cielo non più così distante, da lassù. Te lo ricordi quando riuscivamo a guardarci per ore senza mai sentirci invasivi? Te lo ricordi quando, da laggiù, chinavi il capo da un lato e cercavi di sbirciare sotto la gonna anche se conoscevi alla perfezione ogni centimetro del mio corpo? La voglia sulla parte alta della coscia, la cicatrice a forma di stella cometa poco sopra il gomito, il tatuaggio sole/luna sull'avambraccio, il rossore sulla pelle dopo ogni allenamento. Te lo ricordi quanto bene ci conoscevamo, Beat?
    Così come ora, così come quando mi volto a cercarti e ti vedo sfuggire e scendere di fretta gli scalini perché, forse, conosco il tuo dolore proprio come conosco il mio. Te lo ricordi qual è stato il più grande errore che abbiamo mai compiuto?
    Io si, mi sono distratta mentre volevo tornare a posare i piedi per terra e sono caduta.



    «È già finita?»
    Incredibile quante risposte avrebbero potuto esserci ad una domanda sola. Le sentiva fluire tutte in un solo ramo, una direzione diversa da ciò che si aspetta, una strada ripercorsa mille volte anche al buio. Parole che scivolavano via dalle labbra la cui reale intenzione sarebbe stato possibile scorgere solo negli occhi, due iridi che fingevano di non conoscere le sfumature di colore che, così simili, si ritrovavano troppo spesso a rimirare avendosi di fronte. Ma se le labbra e la lingua potevano mentire, bè, gli occhi di certo non avrebbero mai potuto riuscirci. E così Lys lo aveva guardato, Beat, parlandogli a voce e con lo sguardo, dicendo cose totalmente diverse, significati che prendevano forme a piacere solo perché sempre in disaccordo, cuore e mente che si affliggono per raggiungere un compromesso che mai sarebbe giunto, e questo forse lo sapevano entrambi, la cheerleader e quello sciocco sprovveduto che, da quando aveva incontrato, mai era riuscito ad allontanarsi da lei più di tanto, neanche quando saltava per aria da un tetto all'altro, neanche quando il suo sangue le aveva sporcato i palmi delle mani sul ciglio di una strada.
    «Hm-hm.» mugugnò piano, Lys, scuotendo appena il capo e lasciando che la coda di capelli castani fluttuasse da un lato all'altro. Ad ogni passo un battito cardiaco accelerato, una tempesta di globuli rossi e bianchi che fa le capriole per raggiungere ogni centimetro del suo corpo, sottopelle e dentro la muscolatura allenata, quasi a volerle entrare nelle ossa proprio come facevano gli occhi di Beat in quell'istante. «Stai bene così.» si sbilanciò lui e lei sorrise a labbra larghe, i denti bianchissimi e dritti che si mostrarono a lui mentre le guance si rigonfiavano appena sugli zigomi del viso sporco di glitter colorati. Una trottola istintiva le smosse l'ossatura, i fasci di luce che attraversavano le scalinate sotto al quale si erano rifugiati andarono ad illuminarla a scatti: l'azzurro degli occhi vispi, la linea del profilo di quelle ginocchia salde, l'ombra dell'ombelico scoperto oltre il bordo del top azzurro, l'osso della clavicola che sbucava dal colletto. Lys si fermò solo dopo aver permesso a Beat di rubarsi un po' di quella luce e, quando lo fece e i talloni si piantarono sul pavimento ruvido, sospirò e ricordò tutto quello che ormai non avrebbe potuto cancellare più. «Da cosa ti nascondi?» chiese lei, sorvolando sul complimento cui, pur avendolo apprezzato forse più del dovuto, non rispose a parole. Che lui la vedesse, che lui la guardasse e osservasse completamente, quello era per Lys come una virgola in un frase che senso compiuto non potrebbe avere altrimenti, una spinta al punto che, altrimenti, metterebbe a tacere una comunicazione forse mai davvero pronta a morire.
    Sollevò per un momento il capo, distaccando lo sguardo dal viso ombrato di Beat per posarlo in direzione delle scalinate sopra di loro, catturando così le sagome dei piedi di chi sedeva a qualche metro dalle loro teste. Mentre tornava ad abbassare il viso lasciò che le iridi chiare si soffermassero per qualche istante ancora nello scorcio di cemento attraverso il quale poteva vedere cosa accadeva nel campo, riconoscendo i corpi in movimento delle sue compagne di squadra intente a chiacchierare durante la breve pausa. Era arrivata all’allenamento in ritardo, aveva aspettato che Paul tornasse da lavoro e si era fatta accompagnare da lui, aveva voluto farlo perché sentiva il terreno sotto i piedi inclinarsi sempre di più, dalla serata sulla spiaggia e la conversazione affrontata con Paul in ospedale non era stata di certo una delle più facili da gestire. Si era trascinata addosso una strana pesantezza da quel giorno, incapace di leggersi dentro per davvero e fino in fondo così da comprendere quali fossero i reali sentimenti che albergavano dentro di lei, nel cuore, nello stomaco, nella gola. Divisa in due, aveva cercato con tutte le forze di restare aggrappata al proprio lato razionale, cercando di convincersi però che fosse anche fatto di sentimenti. Aveva soffocato tutto il resto, forse soffocando se stessa, forse soffocando quello che invece avrebbe voluto lasciar fiorire, come un seme che da dentro la cassa toracica cerca in tutti i modi di trovare una via di fuga tra le costole così da permettersi di divenire petali e foglie. Aveva cercato spesso lo sguardo di qualcuno, di Paul, cercando di ricordarsi cosa fossero insieme, cosa avessero creato, cosa potessero divenire camminando l’uno di fianco all’altra. Ma allora perché il pensiero di Beat era così forte da spaccare ogni parete sul quale vi erano appese foto di Lys e Paul? Lys avrebbe potuto giurare di vedere il cemento sgretolarsi ai suoi piedi per mostrarle cosa c’era dall’altro lato del muro che, ogni notte, la divideva da chi un tempo aveva significato tutto: respiro, sorrisi, musica, notti e stelle, alberi e foglie, pelle d’oca sulle cosce scoperte durante le sere più fresche d’estate. Quando tornò a posare lo sguardo su Beat le gambe erano già in movimento pronte a permetterle di raggiungerlo, il sorriso a labbra strette ancora sul viso, lo sguardo ora dolce, più intimo, perché se oltre il cemento c’era il mondo reale e dal quale nessuno avrebbe potuto scorgerli, lì sotto e all’ombra dei piedi di coloro che ora non avevano alcun volto, Lys si sentì ammorbidire ad ogni passo nel ritrovarsi di fronte a lui. Si accovacciò dinanzi alla sagoma di Beat e, braccia posate sulle proprie ginocchia strette l’una contro l’altra, chinò il capo da un lato. C’erano migliaia di cose di cui avrebbe voluto parlare, miliardi di argomenti che avrebbero potuto affrontare, eppure più lo guardava e più il cuore si stringeva al ritmo di un solo ed unico pensiero: era vivo. Tutta la paura contro cui si era rannicchiata standosene seduta su una sedia di legno scomodissima in quell’ospedale si era trasformata nel ricordo di qualcosa che un tempo aveva messo da parte, eppure restava in bilico sulle sue spalle anche in quel momento di breve silenzio ricolmo di respiro, vapore acqueo e condensa, vedeva il proprio mischiarsi a quello di Beat e, nonostante l’aria fresca che avrebbe voluto gelarle le gambe, cullava le sue speranze volendo rimischiare le carte in tavola. Allungo le braccia per posare i palmi delle mani sulla punta delle scarpe consumate di Beat, stringendo poi con lentezza le proprie dita attorno al tessuto ruvido che avvolgeva i piedi di lui. «Hai abbandonato il tuo +1 di sopra?» domandò, sfacciata, inarcando piano le sopracciglia con aria piuttosto divertita. Che menzogna, pensò riferendosi a se stessa e al modo in cui reagiva; come poteva sostenere anche solo l’idea che Beat potesse essere felice con qualcuno che non fosse lei? Scacciò via il pensiero, abbassando di sfuggita lo sguardo per poi voltare il capo verso il campo e inspirare piano. Sapeva che c’era il peso di cose non dette nell’aria, si chiedeva se Beat avesse notato il modo in cui si era distaccata da lui e al contempo la difficoltà con cui provava a continuare ogni giorno in quella direzione. Una stanchezza che le faceva tremare i muscoli del cuore ogni volta in cui lo vedeva, perché dopo averlo perso una, due, tre volte, ora era lei a cacciarlo via. Eppure, sotto quegli spalti, sotto le suole sudicie delle scarpe che continuavano a sbattere per terra imperterrite e al ritmo di una musica che ora Lys proprio non riusciva ad udire poiché coperta dal suono dei battiti del proprio cuore, un flagello che si imponeva di trascinarsi dietro, ecco, proprio lì e in quel preciso istante, Lys avrebbe solo voluto cedere, aprirsi in due, mostrarsi a Beat per quello che in realtà era, pensava, sentiva ogni volta in cui lui la guarda e basta, la sfiorava per sbaglio, le parlava dicendo cose appuntite che dentro di lei però prendevano tutto un altro significato.
    Con le dita ancora strette attorno alle scarpe di Beat, Lys cercava da qualche parte dentro di sé la forza di risollevarsi e tornare alla partita, tornare oltre il muro di spalti che li separava dal resto, dal futile, da quello che li faceva sentire costretti dentro una bolla fatta di tutte quelle cose in realtà annodate e complicate alle loro vite così da impedire loro di vedere oltre, di guardare al semplice.
    «Se fosse stato necessario… - lo avrei fatto di nuovo.
    Si ammutolì dopo esser tornata a guardalo in viso, ora seria. Serrò le labbra e scosse appena il capo in maniera quasi impercettibile. Forse era persino inutile dirlo, Beat lo sapeva.

    Te lo ricordi quando non volendo perdere te ho invece perso noi due, Beat?
     
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    Aveva un sorriso largo, Lys, ingenuo e furbo insieme, che ogni tanto saltava su un riso veloce e agitato proprio come lei che, proprio come lui, ferma non ci voleva mai stare. «Da cosa ti nascondi?» Beat ci pensò su, piegò la testa in basso grattandosi il collo e poi non disse nulla, ma con la mano afferrò la canna dall'angoletto delle labbra in cui trovava appiglio e si picchiettò la fronte. Della cenere grigio bianca scivolò in basso, sui jeans, altra volò via. L'angolo delle brutte abitudini, così chiamava uno dei due stipiti appuntiti di quella porta che si ritrovava a metà faccia, di solito il destro; sigarette, canne, fili d'erba, pillole, se lo incontravi per strada potevi star certo che una di queste ciondolasse o fosse incastrata lì, in attesa. Così piegato, con il pollice premuto sulla pelle dalla parte del polpastrello come a prendere le impronte, lei avrebbe intravisto la sua bocca, la sigaretta, una mano, uno sbuffo di fumo. Si picchiettò nuovamente la testa e la rialzò, spostando il peso del collo leggermente a sinistra mentre si stringeva nelle spalle. Non poteva fuggire dai pensieri, neanche lasciando che dozzine di piedi li calpestassero con il proprio rumore. Da lì in poi, Beat non si sarebbe perso nessun gesto, nessun sorriso, nessuna delle cose che Lys gli avrebbe riservato lì sotto, coperti dagli spalti e, ancora una volta, in un mondo tutto loro. Era rassicurante sapere che fossero ancora in grado di compiere quel piccolo miracolo, di isolarsi e fare come se fossero le ultime due persone sulla faccia della terra e quello fosse il loro ultimo giorno. Era bello e spaventoso insieme pensare che al di fuori, nella vita di tutti i giorni, forse non sarebbero potuti più esistere. Doveva accontentarsi? Lys che avanzava, Lys in piedi che lo sovrastava e lui che alzava il mento per non perdersela; Lys che sfacciata tornava a parlare e lui che sentiva le proprie labbra stiracchiarsi in mezzo ai denti. Sì, pensò, averla così era meglio di niente. «Con il tuo, il mio +1 è in buone mani.» Accennò con le iridi agli spalti sopra di loro. Da qualche parte fra quelle scarpe c'erano anche quelle di Paul e Kris. «Dovremmo provare a combinarli insieme, che dici?» Tornò a guardarla, blu che anche a distanza pareva mischiarsi, e per un momento l'idea rimase sospesa e quindi possibile. Perché no? In fondo era quello che volevano, era quello che lui voleva. Ma lei? Poi le labbra aprirono un sorriso più ampio, e mentre la testa scuoteva l'aria quell'ipotesi perdeva consistenza e veniva spazzata via. Scherzava, era evidente no? Che bugia, pensò buttando quel che restava della canna e spingendosi con il busto all'indietro, i palmi della mani poggiate sull'asfalto dietro di lui a sorreggere il peso di quel corpo che non sembrava voler mollare la presa. In fondo erano già due le volte che era stato lì lì per morire, e in entrambe in qualche modo c'entrava lei. Il pensiero gli provocò un brivido lungo la colonna vertebrale, che invece di placarsi venne accentuato dalla vicinanza che tra loro, d'improvviso, si dimezzò. Non guardarla non era mai stata una vera opzione, d'altronde di sguardi si era trattato la primissima e anche l'ultima volte che si erano visti. Anche adesso che non era più sua, Beat guardava spesso Lys. Non lo faceva mai di sfuggita, i suoi occhi si posavano su una parte del sul corpo e non la mollavano più. Beat era così, senza freni. Stavano tutte lì, nelle pupille nerissime, le parole che volevano dirsi. Stavano stipate dietro ciglia folte e iridi sfumate e le vedeva, Beat, chiare come la pressione delle mani di Lys sulle sue scarpe rovinate, evidenti come le fossette da stuzzicare, in rilievo come l'impronta delle sue dita sul petto. E se lui forse immaginava tutto quello in lei, riusciva Lys a scorgere i movimenti che, in sequenza, avrebbe voluto svolgere?
    Staccare le mani dal suolo, spingersi verso di lei, prenderle il viso, scendere sul collo e premere le vertebre come le stesse risvegliando anima e corpo, arrivare dove è lecito e spingersi oltre, spingersela contro le gambe, il petto, le labbra e il cuore.
    Ma invece restò fermo. Le guardò le mani e i polsi, l'angolo del gomito, le clavicole scoperte e il collo che come sulla spiaggia era sottile e bianco ma per fortuna nessuna traccia di sangue.
    Sapeva che in quel momento il suo cervello stava scattando una foto di loro due sotto uno stadio, circondati da persone che non potevano vederli e con un serpente di mare luminoso sopra di loro. Li stava immortalando proprio come si scattano foto dei posti che si visitano perché si sa che sarà breve, non ci si resterà a lungo. Beat sapeva che, indipendentemente da quello che sarebbe successo, lui avrebbe sempre potuto riportare alla mente quelle immagini, non sarebbero mai sbiadite, anzi, con il passare del tempo avrebbero acquisito più pienezza e sapore. Era pieno di diapositive del genere nella sua testa. Per anni le aveva evitate facendo lo slalom fra quei pensieri o anestetizzandoli con droghe e alcool per ammortizzare il dolore, la malinconia che ne conseguiva. Si era messo al riparo così, pensando che intanto avrebbe imparo ad accettarlo, a fare i conti con le cose che erano andate a quel modo. Aveva funzionato, per un po' c'era stata solo la notte a far da collagene ai pezzi di sé, fino a quando il sole non era spuntato di nuovo e aveva illuminato tutto e non c'era stato più modo di nascondersi. Lys non era infatti un sole pallido coperto di nuvole no, Lys era il sole di mezzogiorno che annienta le ombre, manda in fumo l'asfalto e trapassa lo smog di intere città. E allora capite come fosse impossibile ignorare ancora le foto che aveva in testa, ricordi di un passato che in effetti non aveva mai davvero imparato ad accettare ma aveva solo schivato, come un coinquilino particolarmente scomodo con cui non si vuole avere nulla a che fare.
    Il sole si fece serio tutto a un tratto e Beat corrugò lievemente le sopracciglia, come contagiato. «Se fosse stato necessario… Il finale si perse fra le labbra piene, tra la brezza leggera che iniziava a smuovere loro capelli e vestiti, e Beat tornò di nuovo all'istantanea di una macchina a rovescio nel momento che aveva preceduto l'accartocciarsi delle loro vite. Lì c'era Lys, la stesa di adesso, con i brillantini illuminati dalla luce fuori ritmo dei lampioni; tre amici cantavano a squarciagola e ballavano alzando il volume al massimo per farlo uscire fuori dai finestrini abbassati, come le braccia e le mani che sbattevano nel vento, come i capelli impazziti sulla fronte.
    Poi la foto di una torre, della torre, la città ai loro piedi e loro sopra a tutto. A lui di Berlino piaceva quella cosa, che quando ti affacciavi dalla balaustra di notte, oltre la distesa nera c’erano le luci, tantissime luci come un enorme presepe, e sapevi che di là c’erano delle persone, che camminavano, parlavano, si affacciavano alla balaustra come te e vedevano anche loro le luci, dall’altra parte, e allora era impossibile sentirsi soli. Faceva sperare, quel luogo. Fino a che l'onda di un lago spazzava e spegneva una a una le luci, la canna della pistola premuta sul cuore un istante prima del buio.
    Faceva ancora fatica a distinguere i suoi dai ricordi di Lys, era da quando era uscito dall'ospedale che provava a scendere a compresso con quello che era successo sulla spiaggia o nei tre mesi passati in una prigione mentale, un loop che per gli altri era coma ma per lui come la vita vera, a come era possibile che fosse ancora lì. «E rischiare di nuovo...Rischiare Max?» Scosse il capo. Non se ne parlava, doveva promettergli che non l'avrebbe fatto mai più. Abbassò gli occhi sulle mani di Lys fino a che entrambe le proprie non lasciarono l'asfalto per spingersi in avanti, oltre gambe e ginocchia, e le raggiunsero sul dorso. Le sensazioni di Lys transitavano lentamente da lei a lui con un dolce pizzicore sotto pelle. Le avrebbe volentieri strappato di dosso anima e vestiti e Beat accennò un sorriso, ma la malinconia crepitava tra le labbra chiuse. «A volte penso di essere ancora lì, che niente sia reale e stia di nuovo nella mia testa.» Era davvero uscito dal coma o faceva tutto parte del piano? A preoccuparlo e spaventarlo era che una parte di lui non si pentiva, non rimpiangeva di aver premuto il grilletto. Aveva provato pace. Era da troppo che non erano stati così vicini e sereni nello stesso tempo. Senza la sofferenza a far da collante. «Kris, il Bolgen, Paul, mi sembra tutto sconosciuto.» Alzò gli occhi azzurri verso l'alto, sopra, a guardare le suole della gente dal basso. «Ma questo...» Sembra sempre giusto. Abbassò lo sguardo sulle loro mani le une sopra le altre e strinse leggermente. Non trovò le parole ma forse non servivano, Lys avrebbe capito. Mosse il pollice su e giù sul suo dorso senza lasciare la presa, sporgendosi un altro po' verso di lei e sussurrando, quasi ci fosse il rischio che qualcuno li ascoltasse. «Che cosa ti ricordi di quella sera?» Le mani di Lys sotto le sue erano l'unica certezza che aveva. Quelle, unite, erano come una presa in cui si infilano due spine. Ma persino adesso che il suo corpo lui poteva trattenerlo, bloccarlo, aggrapparvisi con le dita, persino adesso Lys era lontana, la sentiva scivolare via e la cosa lo terrorizzava. Lasciò la presa su di lei, spingendo di nuovo il peso del corpo all'indietro, sulle mani che ora tornavano lontane, sull'asfalto dietro di lui. Paul quasi non gli parlava, Lys era più rigida intorno a lui, come se avesse paura di sbilanciarsi e fare un casino. Lo capiva, davvero, Paul era il suo migliore amico e sopperiva l'idea di ferirlo bevendo un po' di più. Però...«Che è successo quando non c'ero?» Chiese a bruciapelo e gli costò una fatica immensa. La paura di una risposta gli faceva battere il cuore come all'impazzata.

    Perché non la smettiamo di avere tanta paura di perderci a vicenda e stiamo insieme e basta?
     
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    Non aveva mai avuto paura di guardare né di essere guardata. Aveva incrociato una miriade di sguardi tutti diversi durante la propria vita, mai aveva rinunciato alla sensazione che ciò le aveva sempre regalato. Però aveva compreso che, al mondo, c’erano solo due tipi di persone, uno di questi decisamente più raro dell’altro: c’erano quelli che non reggevano il peso di una tale indagine silenziosa e poi c’erano quelli che sfidavano tempo e spazio pur di intromettersi nell’anima di qualcuno tramite lo sguardo. Beat, come Lys, guardava e voleva esser guardato, e quando due persone di questo tipo s’incrociano, creano una fetta di spazio all’interno del quale ci s’infila dentro un intero universo che sembra risucchiare tutto e annullare qualsiasi legge fisica o la gravità, crea una quinta dimensione, forse una sesta, perdercisi dentro è la più totale delle follie, al tempo stesso la più magica delle sensazioni. E con una piroetta Lys s’addentrò in quel ramo di universo tutto loro, l’incrocio di un paio d’occhi che si mischiano e creano la connessione che, a quel punto, anche senza vederla sarebbe comunque esistita, se ne sarebbero accorti anche tenendo per qualche secondo gli occhi chiusi. Riuscì a riconoscere i contorni di lui anche mentre lo guardava seduto avvolto nell’ombra delle scalinate che li sovrastavano, pretenziose, appesantite da corpi che di loro forse proprio non sapevano niente, da universi che come quello che loro due creavano guardandosi non avevano proprio nulla a che fare. E allora con lentezza ecco che si avvicinavano, prima a parole, poi con movimenti più lenti ma decisi del corpo, come di chi potrebbe resistere agli stimoli del cuore ma non vuole, allora ci prova con silenzio ed eleganza, ci gira un po’ intorno fino a raggiungere almeno un piccolo fazzoletto di pelle, un pezzo di stoffa da stringere fra le dita, premere i polpastrelli contro qualcosa che richiami l’odore o il sapore di ciò che non si vuol lasciare andare da anni. «Con il tuo, il mio +1 è in buone mani. Dovremmo provare a combinarli insieme, che dici?» udì le parole di Beat venir fuori leggere, avvolte in un involucro di cartapesta, a scioglierne la corteccia ci sarebbe voluto ben poco, soprattutto dopo che, abbassato lo sguardo su di lui per incrociare quello azzurro di Beat, Lys si rese conto della malinconia che accompagnava quella frase e di quanto, effettivamente, sperasse ci potesse anche solo essere una piccola parte di verità, forse un’ipotesi che detta a voce alta come aveva fatto Beat poteva anche sembrare ilare, dentro dannatamente veritiera. Scosse il capo, sorridendo appena mentre inarcava le sopracciglia con l’aria di chi vorrebbe avere torto o, almeno, vorrebbe saper fingere un po’ meglio. E poi? sussurrò appena, chinando il capo da un lato e accingendosi ad abbassarsi con il busto nella sua direzione, in bilico sulle caviglie mentre con le dita magre andava ad afferrare i piedi di Beat per stringerli piano. Il sorriso dolce, quello stesso che sembrò incresparsi appena sotto un moto direzionale del quale Lys non riusciva a conquistare il controllo. A dirsele, quelle cose, faceva un male indescrivibile, eppure le parole si formavano nella sua mente proprio per poi scivolarle giù lungo il viso, aggrapparsi alle sopracciglia, rimbalzare sulle guance e ritrovarsi nello spacco morbido e asciutto delle labbra, quelle carnose che mai restavano ferme davanti alla figura di Beat. Incontrollabili. Glielo disse, anche se cosciente che lui sapesse. Anche se consapevole che lui non condividesse esattamente lo stesso pensiero, lo stesso immaginario. Eppure era lì e lei lo aveva già riportato indietro una volta, un prezzo altissimo che aveva pagato e non di tasca sua, non solo sua almeno. «E rischiare di nuovo...Rischiare Max?» la trafissero quelle parole, Beat colpì nel punto giusto, scoprì una ferita che mai si era davvero rimarginata, non del tutto. E il pensiero delle braccia di Max strette attorno al proprio corpo presero vita nella testa di Lys, le ricordarono quanto volesse il solo attimo giornaliero in cui si rendeva conto d’avere la possibilità di specchiarsi nelll sguardo nocciola di sua sorella, sangue del suo sangue, i ricordi di una presa salda e ferma che l’aveva riportata fuori, nel mondo esterno, quando Lys da sola non avrebbe potuto farcela. Le aveva prestato gambe, braccia, mani, occhi, Max. Aveva dimezzato sè stessa con lei senza neanche pensarci un minuto, e di questo Lys ne era sempre stata grata, sempre lo sarebbe stata. Quando tornò a sollevare lo sguardo su Beat, lo vide approcciarsi con il busto nella sua direzione per allungare le braccia e posare i palmi delle sue mani sui dorsi scoperti e caldi di Lys, le cui dita sottili ancora se ne restavano aggrappate alle scarpe del ragazzo. Pensò a quanto fosse importante tenersi, aggrapparsi a chi c’era nella sua vita, a quanto fosse importante e bello poter sentire il battito del cuore di chi si ama sotto o sopra le dita, un intreccio di vita che si passa linfa da una parte a l’altra, avrebbe potuto giurare a sè stessa di vederlo lì, scivolare dai palmi aperti di Beat ai dorsi scoperti delle proprie mani, un fascio di luce che li teneva in piedi entrambi. Era quello, alla fine? Era quello il modo in cui l’universo prendeva vita fra di loro? E gli altri lo potevano vedere alla stessa maniera? Beat lo vedeva alla stessa maniera? Lo sentiva? Avrebbe voluto rispondere alla sua affermazione, la sua domanda, eppure Lys non riuscì a trovare le parole, neanche assecondarlo avrebbe avuto senso, Beat aveva scandito le parole che, lo sapeva benissimo anche Lys, avevano fatto centro, avevano colpito il cuore della questione, del motivo per il quale erano finiti già una volta, il motivo che avrebbe distrutto ogni cosa anche una seconda volta: il motivo per il quale Lys stessa avrebbe potuto perdersi di nuovo, forse per sempre. Lo guardò con le labbra serrate mentre si ritrovò ad inspirare profondamente per cercare di riportarsi alla realtà, sebbene sotto quegli spalti sembravano voler scappare via da essa. «A volte penso di essere ancora lì, che niente sia reale e stia di nuovo nella mia testa.» udì Beat pronunciare quelle parole, il busto ancora chinato in direzione di Lys, le dita delle sue mani che ora prendevano a muoversi, scivolarle su e giù sulla sua pelle di marmo, la pelle d’oca che piano e silenziosa si strofinava lungo tutto il corpo di Lys, persino sotto la stoffa della divisa da cheerleader. I capelli stretti nella coda alta sulla testa parevano voler tirare ancora, ne sentiva ogni singola radice elettrizzata e, in quel momento, a distanza così ravvicinata, si rese conto che per tutto quel tempo, sin dal primissimo momento in cui l’aveva incontrato per la prima volta, era stato solo lui quello in grado di farla sentire in quel modo. «Kris, il Bolgen, Paul, mi sembra tutto sconosciuto.» continuò Beat, sollevando appena il capo verso l’alto prima di tornare ad osservare lei, la congiunzione delle loro mani sopra le sue scarpe consumate. «Ma questo...» sussurrò lui, ancora. Fu incapace di trattenere a lungo il suo sguardo, stavolta, allora Lys si ritrovò ad abbassare le iridi sulle mani per sfuggire alla verità che, come per Beat, sentiva sgorgarle dentro, annegare i suoi polmoni per lasciarla in apnea. Non sapeva come ci era finita in quel casino, spaccata fra quello che voleva lei e quello che volevano gli altri, incastrata fra sentimenti che solo al buio era capace di definire, a cui dava dei contorni che al mattino prendevano forme completamente diverse e non riuscivano a segnare il posto adatto a lei, l’angolo nel quale avrebbe potuto trovare la calma per guardare le cose dalla prospettiva giusta. Stava facendo del male ad una miriade di persone, sé stessa compresa, Beat e Paul in primis. Eppure, la sola idea di compiere una qualche mossa che si distanziasse dalle impronte che avrebbe dovuto lasciare secondo il suo copione era quasi inarrivabile, inaccettabile. Se solo avesse smesso di avere paura, se solo avesse accettato l’idea che, forse, sarebbe potuta essere felice anche in maniera diversa da così, forse le cose avrebbero preso una piega del tutto differente. Eppure, dentro, c’era una vocina che continuava a bisbigliare alle sue paure per farle ingigantire e allora Lys, invece di spostarsi o muoversi, restava ferma ed inerme, sperando di divenire invece solo più piccina. Un totale controsenso, per una che cerca la grandezza e salta verso il cielo solo per toccarlo e farsi rimirare dal basso. Lo so, Beat. disse solamente, annuendo piano con il viso mentre tornava a sollevare lo sguardo nella sua direzione. Avrebbe voluto aggiungere una marea di altre cose, di ricordi, nozioni che grazie a quello che avevano condiviso lei aveva imparato, eppure allo stesso tempo qualcosa continuava a frenarla, un senso di colpa che altrimenti all’inizio non aveva provato. L’idea che esistesse anche quella sensazione legata ai propri sentimenti nei confronti di Beat la destabilizzava, il pensiero di Paul e il modo in cui l’aveva guardata in ospedale quella notte le era rimasto dentro come un calco sulla cassa toracica. Chi era, alla fine? Chi era Lys per davvero? Alzando lo sguardo per incrociare quello di Beat si ritrovò per un momento e in quell’attimo ci fu un respiro, l’apnea sembrò scomparire. Ho la sensazione che questo ci sarà sempre, fra me e te. aggiunse piano, sottovoce, cercando di rendere al meglio ciò che provava senza in qualche modo rischiare di tentennare troppo. Quando lo vide far scivolare via le mani dalla presa sulle sue, ne seguì con aria afflitta i movimenti, inspirando ancora una volta mentre accettava il distacco restando aggrappata alle sue scarpe per qualche secondo ancora, non distolse lo sguardo da quello blu elettrico di Beat. «Che cosa ti ricordi di quella sera?» domandò lui allora portandosi col busto nuovamente all’indietro mentre, strette le scarpe in una presa ora inconsciamente più ferrea, Lys le lasciava poi andare per darsi la spinta e rialzarsi. C’erano cose di cui non avrebbero dovuto mai parlare, erano gli stessi argomenti di cui al contempo sapevano perfettamente di dover parlare. Si morse lievemente il labbro inferiore con i denti, mentre in piedi di fronte a lui ora andava a posare le mani sui fianchi appena scoperti dallo stacco di stoffa fra top e gonnellina. Si voltò, ora lo sguardo pronto a rincorrere le figure che vedeva muoversi sul campo attraverso gli spazi aperti fra gli spalti che li sovrastavano. Confusione. volle tagliere corto, forse solo minimizzare. Si voltò nuovamente a guardarlo, ora di scatto, mentre per un momento il pensiero che lui potesse aver visto esattamente lo stesso prese vita dentro la sua testa. E come un uragano, qualcosa le smosse il petto e le guance e le iridi e Lys volle piangere, inspiegabilmente. Perchè dentro aveva ancora tutto, dietro le pupille c’era ancora Beat sulla torre e dietro le orecchie c’era il soffio della sua voce, e sotto le mani c’era la curvatura sporgente delle sue nocche magre, la stretta della sua presa intorno alla vita. C’era ancora tutto, dentro Lys. C’era persino la sensazione sbagliatissima di quel gesto, l’inganno nella richiesta che lui aveva osato avanzare. E se invece fosse stato vero? Non puoi davvero avermi chiesto di farlo, Beat. Non è così? Domandò con tono di voce appena agitato eppure del tutto malinconico, forse un po' incapace di credere che tutto potesse esser accaduto davvero. E poi la realtà che si sovrapponeva all'immaginario, la certezza che lui fosse stato sì, nello stesso posto, ma avesse vissuto un'esperienza forse totalmente diversa dalla sua. Cosa aveva visto, Beat, che lo aveva lasciato lì dentro per così tanto tempo anche dopo la fine della festa sulla spiaggia? Sciolse la presa delle mani dai propri fianchi scoperti, compiendo un passo indietro, un passo appena più lontano dalla sagoma di Beat ancora stesa per metà sul terreno sporco, fu la prima risposta fisica e naturale alla domanda successiva. «Che è successo quando non c'ero?» lo chiese a bruciapelo, il tono della voce incuriosito e forse intimorito di chi conosce già la risposta ma cerca disperatamente di non udirla. Scosse il capo, Lys, portando ad afferrarsi un polso con una delle mani mentre cingeva le braccia attorno al busto. Ho fatto quello che tu volevi facessi sin dall'inizio. Preferisco averti così che non averti affatto. confessò allora, del tutto sincera, chiara e diretta come forse con lui non lo era stata da quando si erano incontrati di nuovo. Scrollando poi piano le spalle, dopo un brevissimo istante in cui era stata in piedi ed immobile dinanzi a lui, lo sguardo nel suo, schiuse le labbra in un sorriso finto, di plastica, un battito di ciglia che volle scacciare via l'umidità dalle pupille, rimandar giù il groppo che sembrava esserle salito fino alla gola, piantatosi sui polmoni. Doveva tornare alla partita, doveva rimettere la maschera, doveva sorridere e lasciarsi lanciar per aria. Doveva tornare ad essere la Lys che gli altri volevano vedere, quella che lui voleva vedere. Dobbiamo tornare di là. aggiunse solamente, prima di dargli le spalle e prendere a camminare in direzione del campo.
    Dentro, tempesta e rimpianti.
     
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