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Rapheal e Egon

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    Si domandava spesso che fine avessero fatto i compagni che aveva dovuto lasciare oltremare quando era stato richiamato in Norvegia dal suo governo. Erano passati già due anni, o forse tre, iniziava a perdere il conto. Gli capitava di pensarci però, di interrogarsi sulla loro sorte, ben sapendo di non avere molti modi per contattarlo. Le telefonate erano abbastanza rare da quella parte del mondo, non c’era molto tempo per riconnettersi alla vita di tutti i giorni, quella che vivevano le loro famiglie, dall’altra parte del mare. Di certo non voleva privare qualcuno di quegli uomini e donne della compagnia della loro famiglia per quei pochi minuti al telefono di cui potevano disporre. Lui non aveva avuto molte telefonate da fare a quei tempi. Non aveva memoria della sua famiglia e aveva preferito non contattare gli amici dell’università. Aveva preso quella missione come un modo per ricominciare, per costruirsi una nuova vita. Aveva cercato di concentrarsi soltanto sul suo ruolo, su ciò che poteva e doveva fare. Finiva spesso con l’impuntarsi sulle cose, del tutto incapace di mollare la presa fino a che non fosse giunto ad un punto accettabile. Però, alcune volte, anche lui aveva bisogno di una pausa, di staccare il cervello e di concentrarsi soltanto sulle persone a cui voleva bene. Era con quell’idea quindi che, qualche giorno prima, aveva scritto a Egon. Era da qualche settimana che i loro lavori incredibilmente impegnativi non gli permettevano di incontrarsi e di trascorrere un po’ di tempo insieme. Si erano conosciuti proprio al di là del mare e avevano sviluppato quel genere di rapporto fraterno che soltanto rischiare la vita insieme poteva generare. Avevano trascorso tantissimi mesi nello stesso accampamento, a pregare silenziosamente che quella e le giornate successive sarebbero trascorse per il meglio, senza feriti, senza perdite, in tranquillità. Purtroppo non sempre le loro preghiere venivano esaudite, ma era una cosa che avevano dovuto mettere in conto, sebbene abituarsi fosse tutta un’altra cosa.
    Era stato felice di ritrovarlo lì, in quella piccola cittadina sperduta nel nulla, quando il Governo aveva scelto di spostare il suo lavoro in quella sede. Era stato un po’ come ritrovare una parte della sua famiglia, come sentirsi di nuovo a casa. Strano come, invece, della sua vera famiglia non sapesse assolutamente nulla. Era possibile che alcune di quelle persone avessero già incrociato il suo cammino nel corso dei mesi che aveva vissuto lì, eppure nessuno ancora si era avvicinato a lui per dirgli che si ricordava di lui. Quindi Raphael aveva evitato di pensarci, rimandando i problemi al momento opportuno e concentrandosi invece su ciò che sapeva, su coloro che conosceva e sulle cose che poteva controllare. Il lavoro non gli offriva molto controllo purtroppo, il pronto soccorso era sempre un luogo in cui non si sapeva cosa aspettarsi e dove arrivavano pazienti con i problemi più disparati e anche la Divisione per cui lavorava in segreto non gli aveva ancora dato le risposte che avrebbe voluto. Poteva quindi solo accontentarsi di cercare di incastrare tutti i suoi impegni e trovare un po’ di tempo libero. Si era informato sui turni dell’amico per quella settimana e si era dato da fare per trovare, in mezzo alle sue ore libere, del tempo anche lui. Quella settimana si sarebbe tenuta una sorta di festa al pontile, vicino alla spiaggia, e con tutte le novità degli ultimi tempi sentiva proprio il bisogno di godere di una serata tranquilla, all’insegna del cibo, della musica e di qualche chiacchiera tra amici.
    Si erano dati appuntamento direttamente nei pressi del pontile, così che ognuno dei due potesse sentirsi libero di proporre di andare via nel momento in cui si fosse sentito troppo stanco o annoiato. Raphael aveva grandi aspettative per quell’evento, come avveniva più o meno ogni volta in cui sentiva aria di festa nei paraggi, ma era anche possibile che quelle aspettative sarebbero state deluse, rivelando una semplice sagra di paese senza troppe attrazioni. Ormai era abituato all’idea delle feste che aveva visto per le strade di Oslo e ancora non aveva imparato a fare le dovute proporzioni con quel paesino. Aveva indossato abiti semplici: un paio di jeans, una camicia chiara, una giacca e delle scarpe comode. Voleva sentirsi a suo agio, senza troppi fronzoli o l’obbligo di apparire più elegante di quanto non si sentisse davvero. Era convinto che, anche Egon, non si sarebbe preoccupato di infiocchettarsi per quell’occasione.
    Riuscì a trovare parcheggio nei pressi dell’ingresso, sorridendo soddisfatto davanti a tanta fortuna. Si era aspettato di trovare il pontile invaso dagli abitanti della città, invece forse aveva fatto male i conti e aveva dato un appuntamento prematuro, ma poco male, avrebbero avuto più tempo per familiarizzare con la zona prima che venisse invasa dalle persone. Raphael era uno a cui piaceva la folla e che si trovava abbastanza a suo agio con le persone, ma aveva come l’impressione che invece Egon non amasse stare in luoghi troppo affollati. Appoggiato con la schiena alla sua auto e con le mani nelle tasche, iniziò quindi ad attendere l’arrivo dell’amico. Osservò il suo telefono due o tre volte, preoccupato di ricevere un messaggio di disdetta che fortunatamente non arrivò. Si accede una sigaretta ed espirò una boccata di fumo contro il cielo stellato sopra la sua testa. Quella città a volte gli metteva un po’ di malinconia. Era come se sapesse che c’era qualcosa che gli sfuggiva, dei ricordi importanti che avrebbe dovuto riacquistare e che invece continuavano a rimanere sopiti, ancora e ancora. Solo un rumore di passi poco distante lo riportò alla realtà, facendogli riabbassare il capo. Sorrise nel vedere la figura familiare di Egon che si muoveva verso di lui. -Ce l’hai fatta! - mormorò, staccandosi dall’auto e allargando le braccia in direzione dell’amico, per poi abbracciarlo appena, buttando a terra la sigaretta e spegnendola con la suola della scarpa. Sicuramente c’erano metodi e luoghi più idonei per quello, ma lui non aveva mai detto di essere un cittadino modello. -Sai, credo di aver fatto qualche errore riguardo l’orario. - ammise, lasciando che le sue labbra si curvassero nell’ombra di un sorriso un po’ dispiaciuto. -La festa non è ancora iniziata, ma questo vuol dire che ce ne staremo tranquilli ancora per un po’. -aggiunse, dando una leggera pacca sulla spalla all’altro, per poi fargli cenno di seguirlo verso il pontile.
    Si incamminò sereno, quasi fischiettando mentre camminavano uno di fianco all’altro. -E’ da troppo tempo che non ci vediamo. Che cosa mi sono perso? - domandò, sinceramente curioso di sapere come fossero andati quei giorni. Sapeva che l’altro non se la passava molto bene, conosceva i suoi problemi con l’alcol anche se evitava di farglielo presente spesso. Era certo che Egon sapesse che era lui lì, se lui avesse bisogno del suo aiuto, ma nessuno apprezzava essere pressato.
     
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    Ciò che provava poteva riassumersi con una sola parola: sorpresa. Nonostante non fosse la prima volta che lo sentisse o incontrasse, quando Egon aveva letto il messaggio di Raphael, prima ancora di esserne felice, ne fu sorpreso. Attorno a sé si era costruito una vita da perfetto eremita, costellata solo da persone con cui doveva inevitabilmente collidere, da Bella a Sybilla a quelle conoscenze fatte al pub, ma una volta tornato a casa e chiusa la porta alle sue spalle, Egon tornava un uomo solitario che tendeva a non instaurare alcun legame profondo con il prossimo. Il motivo? Non voleva che gli altri si affezionassero a lui e, di conseguenza, non voleva deluderli. Convinto com’era di fare del male alle persone che entravano nella sua vita, si era deciso ad allontanarle tutte, una dopo l’altra, da suo fratello, alle sue sorelle, alle ragazze come possibili interessi amorosi, alle persone che potevano divenire nuove amicizie. Era da solo, gli piaceva stare da solo e non aveva alcuna intenzione di cambiare la situazione. Trovava un certo conforto nella solitudine, come se fosse l’unica cosa che potesse comprenderlo e l’unica cosa a cui lui non poteva fare del male. La cosa che più odiava di sé stesso, per Egon, era il fatto che questo male lo procurava inconsapevolmente, non si rendeva conto della sofferenza che dava agli altri, diversamente almeno avrebbe potuto controllarlo, lo avrebbe potuto trattenere, invece accadeva così senza alcun preavviso. Dunque, il messaggio di Raphael lo aveva sorpreso. Egon conservava un ottimo ricordo del suo commilitone, con cui aveva condiviso gli orrori della guerra che tanto avrebbe voluto dimenticare. Raphael aveva ascoltato il suono degli spari e delle bombe, esattamente come lui. Raphael aveva visto le persone morire, proprio come lui. Raphael era presente quando il suo amico Andrew gli era morto tra le braccia a causa di un attentato. Raphael sapeva tutto e con lui Egon non doveva riflettere per scegliere le parole giuste che avrebbero reso più comprensibile l’esperienza della guerra, quella guerra che non aveva né vincitori e né vinti e che faceva più danni che altro. Ancora doveva abituarsi all'idea che una persona tanto affine a lui come il suo commilitone si trovasse a Besaid, per una frazione di secondo provò quel senso di conforto che non provava più da anni. Era quasi sollevato nel sapere che lì ci fosse una persona che lo conosceva, che sapeva quello che aveva passato e con cui, quindi, non doveva indossare una maschera per nascondere quello che realmente provava. Il che poteva sembrare anche un ragionamento poco macho, ma Egon aveva abbandonato il machismo già da un bel po’, da quando si era ritrovato a doversi prendere cura dei suoi fratelli a cui non poteva mica insegnare che piangere era un reato. Quello, poi, sarebbe stata la vita ad insegnarlo e non perché versare lacrime era un reato, ma semplicemente perché era inutile.
    Accompagnato da questi pensieri, si diresse verso il luogo dell’appuntamento con Raphael, tentando di apparire meno triste di quanto in realtà fosse. Insomma, era un amico che aveva visto poche volte, non era mica carino mostrarsi con quell’espressione, come se gli fosse morto il gatto, anche se Egon gatti non ne aveva e né ne voleva. Ci mancava solo che rendesse miserabile anche la vita di quelle povere creature. Parcheggiò la sua moto, l’unico bene materiale di cui non si era liberato, nei pressi del pontile, mentre già vedeva del fermento di persone vicino la spiaggia. Una festa. La tipica festa che Egon odiava, anche se in realtà odiava ogni tipo di festa, ma per Raphael era disposto a chiudere un occhio e per una sera si era obbligato a sopportare qualsiasi idiozia avessero detto le persone intorno a lui. Era il tipico contesto sociale da cui Egon si teneva bene alla larga, animato com’era per il suo odio verso il genere umano. Tuttavia voleva vedere Raphael e nemmeno un paio di babbei con in mano un drink qualsiasi avrebbero potuto fermarlo. Lui, dal canto suo, si era un po’ impegnato a bere di meno, dopo la strigliata di Sybilla, ma non era sicuro di farcela. In qualsiasi caso avrebbe lasciato quel pensiero da parte e, una volta sceso dalla moto, guardandosi intorno per cercare Raphael, appurò che c’era ancora poca gente a quella festicciola, per fortuna. Probabilmente si sarebbe riempito nel giro di pochi minuti, ma se fosse rimasto in quella maniera a lui non sarebbe dispiaciuto affatto. Individuò l’amico poggiato su quella che, immaginava, fosse la sua auto, con una sigaretta tra le labbra. Egon, con un sorrisetto, lo paragonò ad un novello James Dean e si avvicinò a lui schiudendo, finalmente, le sue labbra in un sorriso. Era molto raro vederlo sorridere, ultimamente gli capitava solo in compagnia di Bellatrix. -Sai, credo di aver fatto qualche errore riguardo l’orario. - Continuò a sorridere persino quando l’amico lo abbracciò, in un contatto fisico a cui Egon ormai non era più abituato, tanto che non riuscì a fare lo stesso gesto, ma sperava che Raphael lo comprendesse abbastanza da intuire che era comunque felicissimo di vederlo. Nella situazione in cui versava un volto amico non poteva che fargli bene. Gli mise una mano sulla spalla, pero’, quando fu sciolto l’abbraccio. Il massimo dell’affetto fisico che poteva mostrare. «Sono a Besaid da qualche anno e ancora non ho capito quando, secondo loro, è meglio iniziare a far festa. Comunque sai che non mi dispiace se stiamo un po’ tranquilli.» Il commento di insofferenza nei confronti del genere umano non poteva mancare ma, in questo caso, era in risposta alla riflessione dell’amico che Egon seguì verso il pontile, con il suo senso dell’olfatto che ormai aveva imparato a riconoscere a distanza l’odore dell’alcool, in quel caso birra. Potè sentire l’acquolina in bocca, impaziente di avere il boccale in mano e, al contempo, si fece anche schifo per un pensiero come quello, dopo che a casa aveva già bevuto una bottiglia di birra, prima di incontrare Raphael. Bastava poco per far scomparire il sorriso dalle labbra di Egon e, come si può notare, la causa della sua tristezza è sempre lui stesso. -E’ da troppo tempo che non ci vediamo. Che cosa mi sono perso? - Fortunatamente adesso al suo fianco c’era Raphael che gli impediva di cadere per l’ennesima volta nel suo baratro fatto di solitudine e oscurità. L’amico era di buon umore, era tranquillo. Egon lo ricordava come l’ottimista del gruppo, mentre combattevano una guerra che non era loro. Spesso era lui quello che riusciva a spillargli un sorriso, proprio come aveva fatto quel giorno. Il poliziotto si strinse nelle spalle, rendendosi conto che non aveva proprio nulla di bello o interessante da raccontargli: «Il lavoro da poliziotto è sempre monotono. Non faccio inseguimenti emozionanti con la macchina e non consegno i cattivi alla giustizia. Mi occupo solo di scartoffie. E questa è una mia giornata tipo. Le scartoffie. » E se qualcuno era a rischio depressione, ascoltando il racconto di Egon sarebbe definitivamente diventato depresso, non c’erano dubbi. Non ci voleva uno scienziato per capire che non era contento di fare quel lavoro e che, in tutta sincerità, nemmeno lui sapeva cosa avrebbe voluto fare veramente. Ma preferiva tenersi tutto per sé piuttosto che tediare Raphael, non era carino dire una cosa del genere ad un amico che non vedeva da molto tempo. «Faccio anche la guardia del corpo per Bellatrix Doyle, la conosci? Questo lavoro è decisamente più entusiasmante.» Non è che fare la guardia del corpo lo entusiasmasse, era il poter trascorrere del tempo con Bella che lo entusiasmava, e questa era la pura verità, non importava quanto riuscisse a nasconderla a sé stesso. Guardò gli sparuti gruppi di persone che popolavano il pontile, ancora troppo poche ma già una folla per Egon, che iniziava a necessitare di alcool per poter gestire quell’evento sociale. Puntò poi gli occhi su Raphael, decidendo che era meglio concentrarsi su di lui: «Questa è la mia vita noiosa, spero che tu abbia qualcosa di meglio da raccontarmi. Come ti stai trovando a Besaid?», una domanda che non gli aveva posto via messaggio perché preferiva sentire dal vivo cosa avesse da dire Raphael a riguardo. Sperava solo che non gli fosse toccato il suo stesso destino: l’esercito lo aveva mandato lontano solo perché iniziava ad essere un peso morto che non sapevano come impiegare. Quello era uno dei pochissimi casi in cui Egon poneva una domanda essendo realmente interessato alla risposta, di solito dialogava con le persone perché doveva, non perché voleva, ma in quel caso parlare con Raphael per lui non era altro che un piacere genuino.

    Edited by behati. - 18/12/2021, 14:55
     
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    Lui e Egon erano sempre stati molto diversi, sin dal primo momento in cui si erano conosciuti. Entrambi lontani da casa, immersi completamente in una guerra più grande di loro, avevano comunque trovato un modo per cogliere alcune somiglianze e donarsi un po’ di sostegno nei momenti più difficili. Era terribile vedere qualcuno di caro spegnersi tra le proprie braccia e questo l’amico purtroppo lo aveva scoperto sulla sua pelle, senza più poterlo dimenticare. Il tempo trascorso lontano da casa, immerso in una guerra che nessuno aveva voluto, lo aveva segnato molto, rendendolo più chiuso, più taciturno. Raphael però non si era arreso e aveva continuato a scrivergli qualche messaggio anche quando erano giunti in Norvegia, ognuno preso dal suo nuovo lavoro e dalla sua nuova vita. Non era semplice con le vite impegnative che facevano riuscire a mantenere vivi i rapporti, ma con certe persone il medico si sforzava di riuscirci. Certo, non riusciva a sentire le persone tutti i giorni, a volte neppure tutte le settimane, ma non sembra era fondamentale scriversi spesso, a volte bastava soltanto cercare di far sapere agli altri che si pensava a loro. Lui, nel suo piccolo, pur con quella sua parvenza di persona scanzonata e un po’ sopra le righe, faceva il possibile per stare accanto a quelle poche persone a cui teneva davvero. Quando aveva sentito quindi di quel piccolo evento a Besaid, aveva scritto immediatamente al poliziotto, cercando di organizzare una serata insieme, senza troppi pensieri, immersi nel cibo e nella musica bizzarra. Sarebbe invece entrambi rimasti ben lontani dall’alcol, per evitare che l’amico potesse essere indotto in tentazione. Aveva vissuto un periodo molto buio e ancora non si poteva dire che si fosse ripreso del tutto.
    Ancora appoggiato alla sua auto, con una sigaretta tra le labbra, notò la figura familiare dell’amico rivolgere un sorriso nella sua direzione, uno dei pochi. Lo abbracciò, anche se l’altro sembrò un po’ spaesato davanti a quel gesto d’affetto, incapace di ricambiare in maniera altrettanto tranquilla, limitandosi a una leggera pacca sulla spalla. -Sono proprio dei tipi strani, in effetti. - aggiunse, come se lui non fosse stato originario di quel luogo. Aveva letto il nome della cittadina sulla sua carta d’identità, eppure non ricordava che pochi dettagli di quel luogo. Di certo non poteva definirla casa, come invece avrebbe fatto con Oslo. Aveva molti più ricordi della capitale, una vita vera a cui si era aggrappato negli ultimi tempi, cercando di non rimuginare su ciò che poteva aver perduto. Egon, quanto meno, faceva parte della sua vita dopo la perdita della memoria e di questo era molto grato. Non avrebbe sopportato il pensiero di dover convivere con un altro vuoto da riempire. Si mossero quindi verso il pontile, assaporando quei primi momenti di calma, prima che un fiume di persone invadesse l’area. Chissà quale doveva essere l’ora di punta in quelle occasioni. Non era sicuro di volerlo scoprire quella sera. Gli domandò qualcosa sulla sua vita, sul suo lavoro, qualche aggiornamento su ciò che era capitato negli ultimi giorni. Sorrise appena nel sentirgli dire che il suo lavoro da poliziotto era molto noioso e che non c’erano inseguimenti avvincenti all’orizzonte. Gli avevano dato da sistemare un po’ di scartoffie, tenendolo quindi alla scrivania più di quanto Egon potesse sopportare. -La guardia del corpo, eh? - chiese, con un sorrisetto malizioso e divertito sul volto mentre osservava l’amico. Lo sguardo acceso di curiosità. -Siamo sicuri che ti limiti solo a questo? Visto che sembra un lavoro entusiasmante? - chiese ancora, citando le parole dell’altro, lasciando alcune parole sott’intese che però erano particolarmente evidenti in quel suo sguardo vispo.
    -Sì, conosco la signorina Doyle. - mormorò poi, annuendo appena, mentre spegneva la sua sigaretta. -Non di persona, sia chiaro, ma ho sentito parlare di lei. E’ nella politica, giusto? - domandò, cercando di riportare alla mente alcune informazioni che aveva sentito in giro. Lavorare in ospedale gli permetteva di ascoltare un sacco di chiacchiere interessanti. Riusciva sempre a restare informato sugli ultimi sviluppi. -Io? - domandò poi, puntando un dito in direzione di se stesso, cercando di decidere da dove cominciare. -Bene. Direi che tutto sommato è un posto tranquillo, per essere una cittadina piena di persone con poteri paranormali. - disse, ridacchiando appena, mentre gettava un veloce sguardo in direzione della gente che iniziava a muoversi sul pontile, per poi rivolgere di nuovo l’attenzione verso l’amico. -Certe volte è molto impegnativo gestire il Pronto Soccorso. - spiegò, questa volta in modo un po’ più serio, con un sorriso un po’ triste sul volto. Gli era capitato di vedere tante cose in quei mesi, non sempre tutte piacevoli. -Certi giorni, in certi orari, si scatena il putiferio. Arrivano così tante persone che non sappiamo più dove farle accomodare. Però quando la calca passa e torna un po’ di pace, sono felice di quello che faccio. - terminò, suonando forse più sentimentale di quanto avrebbe voluto.
    Si guardò intorno, notando un piccolo chiosco che stava iniziando a cuocere degli hot dog e lo indicò con il capo all’amico, invitandolo a seguirlo in quella direzione. Tutti quei profumi che iniziavano a invadere l’aria gli stavano facendo salire una certa acquolina. Si mesero in fila dietro una giovane coppia, attendendo il loro turno. -Ho incontrato una donna, qualche giorno fa. - rivelò, senza sapere neppure lui perché quel pensiero gli fosse tornato alla mente proprio in quel momento. -Si chiama Willow, è un’interprete. - spiegò, come se quelle poche informazioni potessero spiegare abbastanza sulla donna, senza il bisogno che aggiungesse altro. Non avrebbe potuto dirgli dove esattamente si erano incontrati, avrebbe dovuto inventare una mezza verità se l’altro glielo avesse chiesto. Non poteva parlare del suo lavoro nella Divisione Governativa con chi non vi svolgeva un ruolo. -Ti avevo parlato del fatto che io sono nato qui no? - aggiunse quindi, grattandosi appena la punta del mento con aria pensierosa, mentre cercava le parole più adatte per andare avanti. -E sai che questo posto tira brutti scherzi alla memoria di chi se ne va. - continuò, portando avanti il discorso in quel modo tutto suo, fatto di cose dette e non dette, di un filo logico che non era certo che gli altri riuscissero a seguire. -C’è qualcosa in lei di molto familiare, come se l’avessi già conosciuta in passato. Ma non ho voluto chiedere a riguardo. - mormorò, con voce appena più bassa, velocizzando il ritmo delle parole, mentre finalmente arrivava il loro turno al chiosco. Ordinò un hot dog e dell’acqua frizzante, attendendo che l’amico scegliesse poi per sé. In pochi minuti tenevano entrambi in mano un panino fumante, che per qualche istante li allontanò dalla loro conversazione. Raphael ne fu felice, non avrebbe saputo cosa aggiungere, su quella Willow, anche se era stato proprio lui a tirarla in ballo. -Beh, mi dicevi di questo lavoro con la signorina Doyle? - domandò ad un tratto, di punto in bianco, per evitare che la conversazione potesse vederlo di nuovo come protagonista.
     
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    Ancor più che uscire di casa, Egon sentiva di prendere una boccata d’aria fresca proprio quando incontrava qualcuno di cui si fidava e, soprattutto, qualcuno che comprendesse almeno un po’ ciò che lui stesso aveva vissuto. Per quanto lui e Raphael fossero diversi, l’esperienza diretta della guerra li aveva uniti in quel tacito accordo secondo cui i loro occhi avevano visto gli stessi orrori e, per questo, avrebbero avuto qualcosa a legarli per il resto della vita. In effetti Raphael era, forse, l’unico essere umano con cui Egon aveva piacere a parlare, la sua asocialità si affievoliva fino a rendergli piacevole il tempo trascorso in compagnia dell’ormai suo ex commilitone. Persino l’abbraccio che si scambiarono non lo infastidì più di tanto, proprio lui che da tempo aveva abbandonato qualsiasi contatto fisico che potesse dimostrare affetto. Besaid, per entrambi, era popolata da gente strana semplicemente perché non aveva condiviso le loro stesse esperienze. Quando Egon e Raphael si incontravano era come se si formasse una bolla attorno a loro che voleva tenerli lontani dal mondo reale, quel mondo in cui, almeno Egon, faticava a riadattarsi. Se non avesse avuto problemi di questo tipo di certo non sarebbe andato da Cornelia Blackthorne, è ovvio. Mentre si muovevano verso il pontile, i due uomini iniziarono ad aggiornarsi sulle rispettive vite. Egon non nascose il suo disappunto nell’essere poliziotto, mentre rese palese quanto il lavorare con Bellatrix lo entusiasmasse di più. Decisamente. Un dettaglio che non sfuggì a Raphael e che fece altre domande a riguardo. -Siamo sicuri che ti limiti solo a questo? Visto che sembra un lavoro entusiasmante? - Egon sorrise, diamine come gli mancava essere scherzoso e avere quel piglio ironico che adesso stava avendo Raphael. «Sono una persona seria io, nessun pensiero o azione poco professionali sfiorano mai la mia mente.» Anche lui assunse uno sguardo vispo perché, di fatto, lui per Bellatrix provava qualcosa. Non sapeva cosa e non sapeva con che intensità, ma sapeva per certo che in sua presenza riusciva a divenire un essere umano, si avvicinava di più al vecchio Egon socievole ed affettuoso che era stato. «Sì, lavora in politica. Se la conoscessi, però, vedresti che ha una personalità totalmente diversa da quella che immagineresti per un politico. È più…umana Lungi dal voler rivelare il lato più personale di Bellatrix, essendo un personaggio pubblico, Egon non riuscì comunque a trattenersi dal tessere una piccola lode per quella donna.
    L’essere ben predisposto a parlare di Bella lo fece quasi spaventare, tanto dal chiedere a Raphael qualcosa di lui, del suo lavoro, della sua vita, per distogliere i pensieri da colei che, in fin dei conti, era la sua datrice di lavoro e niente più. -Bene. Direi che tutto sommato è un posto tranquillo, per essere una cittadina piena di persone con poteri paranormali. - Egon si guardò le mani, pensando alla sua particolarità con cui poteva guarire determinate ferite. Forse si sarebbe sentito più utile in Pronto Soccorso e non dietro la scrivania di una centrale di polizia. Forse quella particolarità gli sarebbe stata più utile mentre era un soldato e non mentre stava in quella cittadina apparentemente tranquilla come Besaid. «Vorrei poterti dare una mano, sembra che il tuo posto di lavoro sia molto più movimentato del mio. Ma non penso di avere le competenze giuste, a parte un potere che a mala pena riesco ancora a capire.» La sua vita era costellata di strade sbagliate che aveva preso sin da quando si era reso conto di essere divenuto come suo padre. Dal divenire militare in poi, Egon è stato scontento ed è cambiato in maniera palese. Ma questo è un altro discorso a cui era inutile pensare mentre nell’aria si diffondeva un buon profumo di cibo che gli fece venire l’acquolina in bocca. Ancor di più, però, a suscitare il suo interesse fu ciò che Raphael disse di quella donna, Willow. Mentre la coppia davanti a loro andava via, i due amici avanzarono per ordinare cibo, e birra per la felicità di Egon, poi il poliziotto tornò sul discorso: «Dovresti chiederle qualcosa, invece. Non ho idea dei brutti scherzi che Besaid fa alla memoria, ma ho idea di quanto siano inutili e nocive quelle domande che ci teniamo per noi, arrovellandoci per mesi e mesi su quale potrebbe essere la risposta.» Prese in mano il suo panino fumante e la birra gelida, alzando la bottiglia in segno di brindisi e bevendone un sorso, per poi ricominciare a parlare. «Lo so che sembro troppo serio e sentimentale, ma sappiamo quanto la vita possa essere breve, meglio non temporeggiare più del dovuto.» Aggiunse, guardando poi l’amico e tentando di capire come e quanto questa Willow attirasse la sua attenzione. Gli piaceva? Inutile dire che se un uomo inizia a parlare di una determinata donna è ovvio che nel 70% dei casi abbia un interesse per lei. Egon, comunque, si faceva gli affari suoi, perché era fatto così e perché la vita da militare non aveva certo contribuito a renderlo più estroverso di quanto non fosse. «In fin dei conti, al peggio, potrebbe dirti che non vi siete mai visti e che la tua sensazione è sbagliata. Non penso crollerebbe il mondo.» Forse andare da una psicologa lo stava rendendo troppo un dottor Stranamore che credeva di poter dare consigli agli altri senza, di fatto, avere la minima esperienza con i rapporti interpersonali, dal momento che era divenuto un orso eremita. Fece spallucce quando il discorso tornò su Bella: «Non ho molto da dire su di lei. È una delle poche persone che tollero in questo mondo, compreso te, ovviamente.» Sentiva dentro di sé che, in realtà, aveva molto da dire su Bellatrix ma non riusciva ad esternare a parole ciò che veramente pensava di lei. Diede un morso al panino, sentendo immediatamente lo stomaco brontolare di riconoscenza. Non metteva qualcosa sotto i denti dal giorno prima poiché il troppo alcool che ingeriva gli dava sempre la sensazione di essere sazio. «Posso solo dirti che non mi tratta come un suo dipendente, ma come un suo pari. Willow, invece, come l’hai incontrata?» In ciò che gli aveva raccontato Raphael mancava quel dettaglio fondamentale che, in realtà, serviva ad Egon per distogliere l’attenzione da lui e Bella.
     
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    Vide un sorriso comparire sul volto dell’amico e la sua attenzione a quel punto si fece ancora più esplicita. Da quanto non lo vedeva sorridere? Negli ultimi tempi sembrava essersi cucito addosso quell’espressione seria e cupa che lo abbandonava davvero di rado. Era quindi strano e piacevole al tempo stesso vederlo lasciarsi andare, anche se solo per pochi istanti. Sorrise anche lui, ascoltando con attenzione la risposta dell’altro, che cercò di apparire professionale nonostante fosse evidente che ci fosse qualcosa sotto. -Oh sì, certo, non ne dubito. - lo prese quindi in giro, mentre attendeva di ricevere altre informazioni sulla donna. Era diventato la guardia del corpo di un candidato politico. Quel pensiero per un attimo lo sorprese, per poi riprendersi subito dopo. In effetti Egon non avrebbe potuto rifiutare un ordine diretto, così come non poteva farlo lui. Erano imprigionati all’interno delle regole che loro stessi avevano accettato di rispettare. -E ovviamente parli così perché nessun pensiero poco professionale ha mai sfiorato la tua mente al riguardo. - gli fece il verso, prendendolo un po’ in giro. Se si era preso tutta quella briga di conoscerla, proprio lui che di solito evitava di stringere legami, doveva esserci qualcosa di più profondo di un semplice legame lavorativo. Qualcosa doveva averlo colpito sicuramente. Avrebbe prestato più attenzione a quella Bellatrix Doyle, dato che il suo amico gliene parlava così a cuore aperto. Magari era davvero qualcuno su cui puntare, qualcuno con delle buone idee che avrebbe potuto portare qualcosa di buono in quella cittadina sperduta. A pensarci bene non aveva mai dedicato troppa attenzione alla politica, preferendo farsi i fatti suoi e vivere la sua vita. Ma ora che faceva parte del Governo era importante avere una propria opinione, qualcuno da supportare.
    Scosse il capo, con un sorriso sereno, quando l’altro espose la sua volontà di aiutarlo, senza tuttavia sapere come fare. -No, usare troppo le particolarità porta sempre qualche problema, non abusarne, non pensarci neanche. - lo ammonì, sfoderando la parte più apprensiva, quella per cui contava soltanto la medicina e la vita delle persone. Certe volte tendeva a dimenticarla, a metterla in un angolo e cercare di non pensarci, ma tornava sempre a galla, prepotente come quando aveva deciso di prendere quella strada. -Ognuno di noi è importante e anche se a volte ci sembra di dover fare di più è sbagliato pensare di non fare abbastanza solo perché ci si trova in una situazione diversa. - continuò, sperando di essere riuscito a esprimere ciò che voleva. Egon aveva sicuramente il suo da fare e anche se potevano capitare momenti meno movimentati per la polizia non si poteva mai sapere quando le cose sarebbero cambiate. Inoltre non potevano certo lavorare tutti quanti in ospedale, oppure il resto del mondo si sarebbe fermato. -Sei riuscito a fare qualche progresso con la tua particolarità? - domandò poi, curioso, visto che l’altro aveva tirato in ballo l’argomento. Raphael poteva dire di essersi abituato abbastanza in fretta. Gli avevano dato una mano a comprenderla e lo avevano seguito in un primo periodo di addestramento, poi era toccato a lui. Ancora non sapeva che distanze potesse raggiungere, quanto a lungo potesse tenerla attiva, né su quante persone insieme potesse operare, ma continuava a sperimentare. Era curioso e voleva ottenere tutte le informazioni possibili, a modo suo. Sapeva che esisteva una struttura che studiava le particolarità ma non voleva addentrarsi in cose come quelle. Non voleva mettersi nelle mani di altre persone che non conosceva. Era rischioso: e se qualcuno avesse indagato dentro la sua mente? Se avesse scoperto che cosa faceva davvero? No, meglio restare nella sua cerchia ristretta e non dare troppo nell’occhio.
    Si strinse appena nelle spalle, continuando a camminare, mentre l’altro gli diceva di non conoscere la questione della memoria e dicendogli quindi di buttarsi con Willow, di chiederle che cosa era accaduto senza stare a chiedersi per mesi qualcosa che avrebbe potuto raggiungere in un altro modo. -Non so.- disse, inizialmente, assumendo un’aria pensierosa e rimuginando su quanto era accaduto. -Chi lascia la città per… circa un mese mi pare… perde ogni memoria su quanto accaduto in questo luogo.- disse, dandogli qualche spiegazione su come funzionavano le cose in quella città. -Da quanto mi è stato detto, questi ricordi non possono essere recuperati, se non attraverso piccoli e brevissimi momenti che la tua mente ricorda senza una precisa spiegazione. - continuò, sempre con quell’aria pensierosa che non lo aveva abbandonato per un solo momento. Non lo aveva ancora detto a nessuno, ma Egon era per lui la persona migliore con cui sbottonarsi. Raggiunsero lo stand dei panini e ordinarono le loro pietanze per poi accomodarsi a un tavolino poco lontano, continuando con le loro conversazioni. Gli chiese di più su Bellatrix anche se, a quanto pareva, non c’erano tanti aggiornamenti su quel fronte. Lei gli piaceva, era evidente, ma sembrava che dall’altra parte lei non ricambiasse allo stesso modo. -E hai provato a vederla fuori dall’ambiente lavorativo? - chiese, piuttosto curioso, dando qualche altro morso al suo panino e mandando giù un lungo sorso di birra, prima di decidersi a tornare sull’argomento Willow. -Ci siamo incontrati sul lavoro. C’era un paziente che parlava una strana lingua e lei è un’interprete, l’hanno chiamata per questo.- disse, raccontando a Egon una mezza verità. Il paziente esisteva davvero, parlava una strana lingua, lei lo aveva tradotto, ma non era in ospedale che si erano incontrati, bensì alla sede della Divisione Governativa per cui entrambi lavoravano. -A un certo punto c’è stato come una sorta di flash, delle immagini hanno invaso la mia mente: due ragazzi, poco più che adolescenti, che parlavano di cambiare le cose e la ragazza, mi è sembrata lei, solo più giovane. - spiegò, mentre raggiungeva ormai la parte finale del suo panino. Arricciò appena il labbro superiore, poco convinto di quanto stava per dire. -E’ possibile quindi che ci siamo conosciuti nella vita che non ricordo, ma non so perché sono andato via, né che tipo di rapporto avevamo. E non sono del tutto convinto di volerlo sapere, visto che molti di quei ricordi non li recupererò mai. - terminò, spiegando il fattore principale che lo tratteneva lì dov’era. -Forse è meglio che il passato resti il passato. - disse ancora, sollevando in aria il suo bicchiere di birra, come se quello fosse stato un brindisi, per poi terminarne il contenuto e con esso il panino. -Tu cosa ne pensi? - domandò, onestamente curioso. Teneva molto al parere dell’amico anche se l’altro non poteva ancora definirsi un esperto sulle questioni di cuore.

    Edited by 'misia - 13/6/2022, 08:24
     
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