✨🎃Halloween 2021 ad Hogwarts!🎃✨

Evento di Halloween del Forum!

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  1. Paraortometa
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    Notte di Halloween, note di mostri, fantasmi e cose segrete. Notte di paura e di liberazione. Una notte che Mariell e Jeanny amavano. Nulla era proibito, nulla era eccessivo. Ancora di più se quella notte la festa non era a Besaid o dintorni, ma era a Hogwarts. Niente maschere, niente giochi, solo lei, solo loro e la magia. Gli anni passati là a studiare, a nascondere la sua vera natura, a fare in modo che non notassero chi loro fossero davvero. Ma non quella sera, no in quel la notte in cui tutto era concesso. La carrozza la aspettava. Aveva deciso di entrare in grande stile, aveva lasciato agli altri di usare treno, passaporte e vascelli putridi. Si sistemò per l’ultima volta i lunghi capelli della parrucca, un tocco speciale per una notte speciale, si sistemò il mantello nero e uscì nella notte luminosa di stelle e carica di magia di ogni genere. Poteva sentire palpitare la dolce paura di Halloween mentre saliva sulla carrozza nera, dai dettagli rosso acceso come i cuscini di velluto dell’interno. I due grifoni che la trainavano partirono silenziosi, salendo in cielo sempre più su, sempre più in alto, bucando le nuvole come fatte di fresca panna impalpabile e volando sotto un cielo infinito di stelle verso la loro destinazione. Mariell si rilassò, ancora in possesso del suo corpo, anche se avrebbe lasciato volentieri poi il controllo a Jeanny. Lei era l’animale da feste. La carrozza si inclinò lateralmente e poi verso il basso, segno che dopo il lungo, ma piacevole viaggio la loro destinazione era vicina. Le finestre del castello, sede della famosa scuola di magia, erano illuminate e davano allo stesso, sebbene ancora lontano e molto più in basso della carrozza, un’aria spettrale estremamente affascinante. File di luci e zucche segnavano i percorsi nelle zone esterne, probabilmente brulicanti di persone che erano appena giunte o già si davano alla pazza gioia. I grifoni, guidati probabilmente dall’istinto o da qualche incantesimo a lei sconosciuto, si diressero verso una zona poco distante dal campo da Quidditch, atterrando silenziosamente come erano partiti. Scese, avvolta dal largo mantello e coperta, nascosto il volto dal cappuccio. Elfi domestici spintati dal nulla si diressero alla carrozza, occupandosi premurosi dei grifoni. Mariell chiuse gli occhi, fece un bel respiro, lasciando lo spazio a Jeanny, che sorrise come a ringraziare silenziosamente l’altra personalità. Camminò spedita, seguendo le altre persone, scivolando tra di loro e con loro fino ad arrivare all’entrata e poi da lì alla Sala Grande, inondata di suoni, colori e musica. Le note delle Sorelle Stravagarie erano trascinanti, quasi quanto la loro voce, cosa che potè apprezzare totalmente mentre superava l’ingresso, alzando gli occhi verso il cielo stellato della volta della stanza, reso spaventoso e in tema da lente zucche che ghignavano volando sopra le loro teste mentre strisciante nebbia si muoveva lenta sia a livello del terreno che sopra le loro teste. Le ricordò un animale lento e maestoso, placido proprio per la sua consapevolezza di essere eterno e intoccabile. Ancora nascosta dal suo mantello, Jeanny si diresse verso il cappello parlante. Lo conosceva, sapeva già anche la risposta, la stessa che anni prima aveva dato alla giovane e quasi tremante Mariell quando varcò per la prima volta quelle mura. Attese paziente il suo turno, una cosa rara per Jeanny, liberandosi del mantello quasi fosse un’entrata in scena, pochi secondi prima di muoversi al cappello per il verdetto. Molti la osservarono, e lei sorrise divertita. Aveva ottenuto il suo effetto. Il cappello ci mise poco, ricordandosi di lei e smistandola nei Serpeverde. Jeanny era dietro a quella scelta, ma anche Mariell alla fine era furba e dalla mente sveglia.
    Si diresse a uno dei tavoli del rinfresco, i tacchi degli stivali a risuonare leggeri sul pavimento, coperti dalle note ora basse e percussive della musica. Si soffermò, come indecisa su cosa ordinare, quindi sorrise all’elfo domestico che indossava un calzino bucato come se fosse una sciarpa o una cravatta al collo, atteggiandosi a “maître de sale.”
    “Una burrobirra, grazie” gli chiese, annuendo come ringraziamento quando questo gliela porse, sull’imboccatura una sottile fetta di zucca arrosto come se fosse limone su una Corona. Sorrise, mostrando i canini appuntiti, una piccola modifica magica che aveva fatto prima di partire, per dare più impatto al suo vestito, una versione goth e moderna del tipico completo da vampiri che si era più volte visto nei film o descritto nei libri. Sotto una redingote nera in raso con dettagli rosso sangue e maniche a balze nello stesso colore indossava un gilet in seta nera e rossa, aderenti e lucidi legging a vita alta in latex nero e un foulard era appoggiato attorno al suo collo, a simulare la cravatta tipica del diciannovesimo secolo inglese e americano. Nella mano sinistra riposava un bastone da passeggio nero, di lucido legno dalla testa in argento a forma di teschio ghignante, gli occhi due rossi finti rubini incantati per rispendere ad intervalli irregolari come se fosse vivo. Dei lunghissimi capelli bianchi che digradavano a grigio e nero verso la punta, che lambiva i reni, completavano il suo vestito oltre a un trucco marcato e labbra rosso sangue. Vide qualcuno che conosceva, riconobbe, senza però disturbarli, i suoi amici della band, anche qualche amico di scuola. C’era il prefetto Corvonero, c’era quello che copiava sempre, ma molti non li conosceva. Si mosse languida sulla pista da ballo, sola e contenta di esserlo. Gli occhi su di lei, le orecchi sulle note delle Sorelle, i lunghi capelli a muoversi come onde in un mare pronto alla tempesta. Conosceva la canzone, e con gentilezza iniziò a mormorarla, cantarla, usando le note umane e poi le sue, quelle della mezza Veela che era in lei. Alle orecchie degli altri ragazzi e maschi la sua voce era tutto, era un faro per le lucciole, era il fuoco che bramavano. Lei vide i loro sguardi, i loro occhi su di lei. Scese di tono, tornò alle note umane, abbassando la cove mentre la canzone finiva.
    “Pecore, e io sono il lupo che non vi vuole.” Mormorò abbandonando la pista, usando il brusio della stanza per produrre un alone appena percettibile, una sorta di luce che si irradiava da lei rendendola ancora più particolare. “Avete disprezzato chi ero senza dirmelo apertamente, ora sapete, semplici… umani” mormorò uscendo dalla stanza. La notte era ancora lunga, e voleva urlarla al mondo magico. Non riprese il mantello offertole dall’elfo, voleva sentire il fresco della notte, voleva che vedessero che strana creature fosse, che i loro sogni o i loro incubi fossero pieni di lei, che la bramassero o temessero, non era un suo problema. Si diresse verso il lago, prima passando lungo la strada battuta da altri, poi verso il silenzio e il buio degli alberi. Sola, come voleva. Il lago era in vista, quando si rese conto di un rumore alle sue spalle, non vicino, ma sicuramente provocato da qualcuno che la seguiva. Strinse tra le mani la sua bacchetta, nascosta in una tasca della redingote. Tasso e capelli di Veela, undici pollici e mezzo, flessibile. Poteva schiantarla con facilità, o abbagliarla con un lampo e poi scomparire, ma non c’erano troppi rumori, non sapeva se sarebbe stato abbastanza forte. Decise invece di spegnersi, di diventare tutt’uno con la notte e nascondersi dietro uno dei grand i alberi che c’erano vicino al lago. Estrasse la bacchetta, aspettando di vedere che usccedeva. Passò quasi un minuto prima che i passi si fecero più vicini, lenti, come titubanti. Era una donna, anche se il corpo era coperto da un mantello simile a quello che aveva indossato prima lei. Era più alta di lei e sembrava cercarla, anche se non ne sapeva il motivo. Quello sarebbe stato da capire. Con un movimento veloce e preciso si mise alle sue spalle tentando di coglierla di sorpresa, puntandole, se ci fosse riuscita, la bacchetta alla gola. “Brutta notte per finire da sola in un bosco…” le avrebbe sibilato premendo leggermente la punta della bacchetta nella pelle, pronta eventualmente a schiantarla.
     
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