Blood is not thicker than water.

Ezekiel x Elise | Centro Icarus| 14.10.2021

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    Ezekiel Crain
    44|Preside Besaid
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    Centro Icarus|scrittura letale
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    Camminava con decisione lungo quei corridoi che ormai conosceva meglio delle sue tasche. Ezekiel era consapevole del fatto che trascorreva più tempo lì che a casa sua, rendendo di fatto il Centro la sua vera casa. Aveva la capacità di sentirsi a suo agio ovunque fosse, Ezekiel, a scuola, a casa, nel mondo accademico -quando lo frequentava- ma era innegabile che lì, dove l’aria era intrisa di progetti della Libra, si sentisse totalmente sé stesso: lui, la sua particolarità letale e altra gente che, in qualche modo, stava vivendo lo stesso disagio che lui aveva vissuto in passato. Era casa per lui e per ogni ora che trascorreva a Besaid sentendosi a suo agio, sentiva di dover ringraziare Naavke per averlo accolto in quel mondo che altrimenti Ezekiel non avrebbe mai conosciuto. C’era una cosa che in molti non conoscevano e nemmeno sospettavano riguardo il tanto conosciuto e ben voluto preside del liceo di Besaid: conduceva una sorta di doppia vita in cui il lato segreto aveva la precedenza, sempre e comunque. Oltre il suo aspetto affabile, addirittura simpatico, con i genitori dei suoi alunni, Ezekiel celava l’uomo che seguiva con lealtà i principi della Libra, quei principi che nella sua ottica volevano rendere liberi da qualsiasi inibizione ed insicurezza chiunque fosse condizionato dalle proprie particolarità. Chi meglio di lui poteva comprendere cosa volesse dire essere prigionieri della propria particolarità? Addirittura Ezekiel aveva temuto di esserne divorato, come se un’ombra oscura potesse impossessarsi di lui e negargli il libero arbitrio nell’usare quella particolarità tanto letale che, adesso, dopo lunghi anni di autogestione, era riuscito a placare più per inerzia e rassegnazione che per reale determinazione. Lui se l’era dovuta vedere da solo. Aveva dovuto comprendere da solo quanto veramente potesse essere letale la sua particolarità, scoprirne le sfumature, capire come funzionava. Poco più che ragazzino si era ritrovato quasi a diventare come uno scienziato pazzo, sperimentando tutti i casi in cui avrebbe potuto uccidere una persona semplicemente scrivendo il suo nome su un pezzo di carta. All’epoca avrebbe tanto voluto qualcuno con cui parlarne, qualcuno che lo guidasse, ma ancora non c’era la Libra e non c’era il Centro Icarus. Gli stolti probabilmente non avrebbero mai compreso la grande utilità di quel luogo, che accoglieva ragazzini bisognosi -consapevolmente o inconsapevolmente- di una guida, di risposte. Non aveva esitato neanche un attimo quando Naavke gli aveva proposto di divenirne il coordinatore e, per unire l’utile al dilettevole, aveva iniziato ad individuare o consigliare ai reclutatori quei ragazzini che nella scuola di Besaid potevano essere accolti nel loro Centro. Aveva ricoperto quel ruolo e si era immediatamente impegnato a farlo funzionare, si era impegnato a far funzionare sé stesso in quel contesto che adesso aveva un posto ritagliato a posta per lui. Ne aveva tratto vantaggio per sé e, soprattutto, per l’intera organizzazione che in effetti iniziava a pullulare di carne fresca. Da sottolineare, pero’, che Ezekiel non considerava meri numeri tutti i ragazzi che bussavano alla loro porta o che venivano portati dai reclutatori. Il suo istinto genitoriale che non aveva mai potuto mettere in pratica, si riversava sui giovani, spingendolo a conoscerli uno ad uno, per nome e cognome, per età e per vissuto che si portavano sulle spalle. Ezekiel era quasi una sorta di enciclopedia dei ragazzi che approdavano al Centro e, se la sua vita lavorativa andava tanto bene, la sua vita sentimentale si rovinava in maniera direttamente proporzionale al suo successo, ma questo era un altro discorso. Agathe, la sua ex moglie, ormai era una storia chiusa, o almeno così pensava Ezekiel, mentre la sua psicologa non era esattamente della stessa idea, tanto che spesso e volentieri lo invitava a parlare di Agathe durante le loro sedute.
    Il rapporto tra Ezekiel e la psicologia è tanto interessante da non poter essere affrontato in questa sede, basti sapere che non puo’ e non vuole farne a meno. Gran parte della sua consapevolezza è dovuta ad anni e anni di terapia che, tuttavia, funziona solo a metà, poiché non puo’ rivelare alla sua dottoressa di far parte della Libra, in quanto essa vive ed opera in completo segreto. Anche questo, comunque, è un altro discorso. Ciò che interessa al momento è che Ezekiel, in quel momento, stava attraversando le stanze degli uffici per giungere alla sala principale. Solitamente questa era adibita ad incontri di psicoterapia per i ragazzi ma, in quel preciso istante, era più simile ad una comunissima sala di ritrovo in cui i ragazzi potevano chiacchierare tra loro o leggere un libro individualmente, se preferivano. «Elise.» Fu lì che incontrò una delle ragazze a cui ultimamente stava prestando più attenzione del dovuto. In quel caso, infatti, Ezekiel aveva imboccato la sala principale per uscire dal Centro Icarus e tornare a casa. Quel pomeriggio aveva sbrigato alcune pratiche e, una volta accertato che i reclutatori avessero tutto sotto controllo, aveva ben pensato che il suo lavoro per quel giorno fosse terminato. Eppure si trattenne non appena incrociò i grandi occhi scuri di Elise. Nulla di sconveniente animava le sue intenzioni, semplicemente era quell’istinto genitoriale che pensava di trovare terreno fertile per essere messo in pratica. «Mi fa piacere che tu sia qui, non ti vedevo in giro da un po’ di tempo.» Le sorrise, poiché il suo non era un rimprovero, più una riflessione accorata, più o meno come farebbe un padre che non sentiva il proprio figlio da qualche giorno. Difficile spiegare cosa Elise avesse precisamente scatenato in lui, ma Ezekiel sapeva che non appena l’aveva incontrata aveva immediatamente posto la sua ala protettiva su di lei, per quanto lei si volesse lasciare proteggere, dal momento che di fronte a sé si trovava una ragazza che, si era bisognosa di una guida, ma era anche riuscita a sopravvivere con le proprie forze. «Come stai? Hai bisogno di qualcosa?» Ezekiel sapeva che Elisa aveva un tetto sulla testa e un lavoro -che a lui non piaceva del tutto-, eppure sentiva di volersi sempre mettere a disposizione per lei nel caso volesse qualcosa, anche solo parlare, anche solo raccontargli la sua giornata. Lui l’avrebbe ascoltata, come il buon padre che non era mai stato.
     
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    Elise non aveva mai avuto una vera casa, eppure aveva dato a diversi luoghi quel ruolo nel corso degli anni. Le mura dentro cui era cresciuta non rispondevano all’immagine che i libri, i film e i suoi compagni di scuola davano di una casa. Non c’erano bei ricordi nascosti tra le crepe di quelle pareti logorate dal tempo, solo memorie che lei aveva cercato di sopprimere, per dimenticare quello che aveva vissuto, quello che aveva fatto. Solo una persona sapeva ogni cosa di lei, persino quel segreto più recondito che aveva sempre cercato di oscurare. Ed era stato lui a portarla in una nuova casa, in un luogo in cui si sentiva al sicuro, anche dopo tutti quegli anni. Non aveva mai chiesto apertamente a Eyr perché l’avesse portata al centro Icaro, ma si era data molte risposte in merito. Sapeva che a capo di quel gruppo c’era il padre di lui, ma era convinta che non si trattasse soltanto di quello. L’amico l’aveva aiutata a cercare di controllare la sua particolarità, ad accettarla e farla diventare una parte di sé. Purtroppo la cosa non aveva funzionato, ma era più di quanto chiunque avesse mai fatto per lei. Le aveva insegnato a sentirsi a casa dentro quelle mura, in mezzo a quel via vai di persone che, come lei, avevano tante cose da nascondere. Era quindi in quel luogo che andava a rifugiarsi alcune volte, quando sentiva di essere sul punto di crollare, di perdere il controllo. Non era mai stata brava con i sentimenti, con le emozioni. Preferiva mostrare solo ciò che le persone si aspettavano, senza che dovesse necessariamente trattarsi della realtà ed era del tutto incapace di essere di conforto a qualcuno. Detestava provare le emozioni degli sconosciuti sulla sua pelle, sentirli insinuarsi al di sotto di essa dandole il voltastomaco. Forse per questo il caso si era divertito tanto nel darle una particolarità che tanto odiava e che la costringeva a stare male per questioni di cui neppure era a conoscenza. Trascorrere del tempo in un ospedale era per lei una continua fonte di fastidio e ancora si chiedeva perché continuasse a far visita a Karen, a stare così male per lei. Sua madre non meritava la sua compassione e neppure la sua vicinanza, eppure una parte di lei si era sempre sentita in colpa per quello che aveva fatto ad Harald, per averglielo portato via. Era un pensiero stupido, del tutto autodistruttivo, ma non riusciva comunque a strapparselo di dosso.
    Se ne stava seduta con le ginocchia piegate verso il busto e piedi sulla sedia, il capo seminascosto tra le braccia e lo sguardo verso in direzione delle sue gambe. Era da diversi minuti che la nausea non accennava a scemare il che, ne era sicura, voleva dire che i suoi occhi erano oramai divenuti neri, come quelli delle creature demoniache che mostravano sempre nei film. Era così che si sentiva anche lei: una creatura in grado soltanto di distruggere e fare del male. Di solito non le importava granchè, si lasciava scivolare addosso l’opinione delle altre persone, andando avanti soltanto con le sue idee, ma quella volta era diverso. Eyr le aveva detto delle strane cose al cimitero e lei non era ancora riuscita a dimenticarle, continuavano a risuonare nella sua mente, andando sempre più a fondo. Perché non riusciva a separarsi da lei? Perché non la lasciava morire da sola? Era con quei dubbi in testa che la voce di Ezekiel la raggiunse, in maniera del tutto inaspettata, facendola quasi sobbalzare sulla sedia. Sollevò il capo, mantenendo tuttavia le gambe nella posizione che aveva assunto, cercando però di mascherare un po’ della sua agitazione. -Ezekiel. - lo salutò, con l’ombra di un sorriso. Sebbene fosse chiaramente un suo superiore avevano instaurato con gli anni un ottimo rapporto e lei aveva abbandonato molto presto le formalità. Solo quando lui continuò a parlare si rese conto che, in effetti, era da qualche tempo che non si faceva vedere al Centro, troppo presa dal suo lavoro e dalle sue faccende personali. -Sono stata un po’ impegnata. - rispose quindi. La scomparsa di Agnes aveva creato qualche problema al Lust. Qualcuno aveva cercato di sostituirla, ma nessuno era come lei. Allungò le gambe verso il pavimento quando lui le chiese come stava, voltandosi in maniera più diretta verso di lui, mettendo in mostra gli occhi completamente neri. Parlare di ciò che la turbava, quando si avvicinava il momento di sfogare il suo potere, non era mai una buona cosa. Spesso anche solo il raccontare quello che sentiva contribuiva a riempire il pozzo nero dentro di lei, eppure, se tirata in ballo dentro quelle mura, era più difficoltoso per lei dire di no.
    -Vorrei sapere che cosa succede dentro la mia testa. - rispose, come se fosse la frase più normale da dire in risposta a un semplice “come stai”. Con Elise raramente le cose erano come uno se le immaginava. Non le interessava comportarsi come la gente avrebbe voluto, non quando era El. Quando vestiva i panni di Rose, invece, era tutta un’altra faccenda. Si divertiva a scindere quelle due parti di se stessa, a vivere come se si trattasse davvero di due persone completamente diverse. Questo non era un fatto nuovo per l’uomo che aveva davanti, così come non lo erano le sue strane risposte e il suo modo di guardare le cose, sempre da una strana prospettiva. -Karen sta morendo e io non sono sicura di quali siano le mie emozioni a riguardo. - continuò, dicendolo con estrema calma, come se in fin dei conti la cosa non la riguardasse davvero. Non chiamava mai la donna con il suo appellativo, il fatto che l’avesse messa al mondo agli occhi di Elise non faceva di lei necessariamente una madre. Non erano mai state unite e lei aveva sempre parlato di Karen in maniera distaccata. Non erano molti i racconti della sua infanzia che condivideva con qualcuno che non fosse Arden o la sua ristretta cerchia di amici più intimi. C’erano dei confini che non superava, non se non era certa di poterlo fare senza timore. -Non ci siamo mai volute bene, eppure.. è come se mi dispiacesse, certe volte, - continuò, confusa, perdendosi per un momento ad osservare un disegno sul tappeto, qualunque cosa potesse distoglierla da quel mare di emozioni. -Altre invece vorrei che fosse già morta, almeno non dovrei più pensarci. - continuò, con un sospiro, riportando i piedi sulla sedia e andando a posare il mento sulle sue ginocchia. Sapeva che quello non era il genere di pensieri che si poteva esprimere in pubblico, non quando il soggetto era la propria madre, ma davanti a Ezekiel sentiva di potersi concedere di essere onesta, almeno sotto quel punto di vista.
    -Tu invece? Perché sei qui? - domandò, riportando lo sguardo sull’uomo. Le serviva interrompere il fiume di pensieri, concentrarsi su qualcosa di diverso. E poi qualcuno una volta le aveva spiegato che era sempre bene interessarsi del proprio interlocutore.
     
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    Ezekiel Crain
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    Divenire padre non era il suo sogno nel cassetto né era la sua ambizione primaria, eppure Ezekiel si rendeva conto che l’avere un figlio, o comunque qualcuno di cui prendersi cura, avrebbe giovato a sé stesso. E per quanto si trattasse di un ragionamento che urlava ‘egoismo’ da tutti i pori era innegabile che avesse anche dei risvolti positivi per gli altri. L’idea della Libra, quindi, di avvicinare ragazzini scapestrati e con particolarità problematiche per dar loro un ordine nel caos, uno scopo nella confusione, era pienamente condivisa da Ezekiel che poteva mettere in pratica il suo istinto paterno almeno all’interno del Centro Icarus. Tentava di mantenere un certo distacco, Ezekiel, tra lui e i ragazzini giunti al centro però non poteva negare che per qualcuno sviluppava un affetto particolare, come con Elise. La ragazzina dalla particolarità negativa quanto la sua, con quell’espressione spesso corrucciata o distante, era riuscita ad entrare nelle grazie di Ezekiel che, a sua volta, aveva esteso una grande ala protettiva su di lei. Non sceglieva il suo successore prediletto, sapeva che in linea di sangue nessuno mai avrebbe potuto portare avanti il nome dei Crain. In qualsiasi caso era rimasto solo lui perché il suo fratellastro Abel portava comunque un altro cognome. Il punto era che se mostrava particolari attenzioni per qualche ragazzo del Centro lo faceva in maniera disinteressata, il che era un grande passo avanti per una personalità egoista come la sua.
    Elise, quindi, era l’emblema di una figlia per Ezekiel, nonostante non se ne prendesse cura a 360° come farebbe un padre in piena regola. Vederla lì, sola, seduta rannicchiata su sè stessa come se dovesse proteggersi dal resto del mondo, spinse Ezekiel ad avvicinarsi a lei e appurare come stesse. Se quello facesse parte o meno del suo ruolo nel Centro poco gli importava, non era lì solo per sistemare e firmare scartoffie su una scrivania, era lì perché credeva fermamente nel progetto della Libra e avrebbe fatto qualsiasi cosa per farlo funzionare. La ragazza dalla figura esile sussultò quando Ezekiel attirò la sua attenzione, era talmente preda dei suoi pensieri che nemmeno lo aveva visto avvicinarsi a lei. L’uomo era un bravo osservatore, ma anche un ingenuo si sarebbe reso conto che l’animo di Elise era turbato da qualcosa o da qualcuno. Non solo per quelle sue pupille completamente nere, ma anche per quella sua aria assorta che dava sempre l’impressione che Elise volesse trovarsi in un altro posto, in un altro mondo, in un’altra era. -Sono stata un po’ impegnata. - Annuì, scrutandola. Quanti impegni potesse avere una giovane ragazza come lei, Ezekiel non poteva immaginarlo. Immaginava, però, che alla sua età non doveva averne molti, di regola. Ma si sa che Elise era l’eccezione che confermava la regola. Aveva intuito abbastanza della vita della ragazza per sapere che non era stata facile e, di conseguenza, tutta la spensieratezza riservata ai suoi coetanei, a lei non l’aveva nemmeno sfiorata. Capiva perché Elise gli stesse tanto a cuore: si rivedeva in lei sotto certi aspetti, lui da giovane era stato proprio come lei, torturato dalla sua particolarità e dalle sue dinamiche familiari che non erano mai state lineari e né tanto meno tranquille.
    Ezekiel fece un mezzo sorriso, colmo di amarezza, quando Elise gli confidò di voler sapere cosa stesse succedendo nella sua testa. «Benvenuta nel club.» Il sarcasmo nella sua risposta celava la consapevolezza che anche lui, nella sua testa, aveva un caos che difficilmente riusciva a comprendere e che non riusciva a decifrare nonostante l’aiuto della dottoressa Laine. Si sedette su una sedia vicino ad Elise, pronto ad ascoltarla in qualsiasi cosa gli avesse detto. Se c’era una cosa che ammirava in quella ragazza era il suo dire qualcosa che non ci si aspettava. Avrebbe potuto rispondere al suo “come stai?” in miliardi di modi banali e prevedibili, eppure aveva scelto di essere sincera. Una rarità di questi tempi. -Karen sta morendo e io non sono sicura di quali siano le mie emozioni a riguardo. - Ed ecco, poi, il motivo di tanta confusione all’interno della testa della giovane ragazza. Ezekiel rimase in silenzio per una manciata di secondi, mentre Elise con calma esternava il suo tormento. L’uomo non giudicava la ragazza. Lui era veramente l’ultima persona che poteva giudicare i rapporti familiari altrui. Lui che aveva quasi reso cieco il suo fratellastro e che non parlava con sua madre da secoli. No, Ezekiel non poteva proprio dare lezioni sulla famiglia, nonostante in lui vi fosse quell’istinto paterno che gli impediva di lasciare lì da sola Elise, con i suoi dubbi e con i suoi occhi completamente neri. «È normale…per quanto possa essere normale qualsiasi cosa che graviti attorno a noi e alle nostre particolarità.» Quello era il succo della questione: nonostante lì dentro fossero tutti dotati di particolarità più o meno distruttive, rimaneva il fatto che tutti avevano in petto un cuore che batteva. Erano umani, e in quanto tale racchiudevano in loro i tormenti tipici dell’animo umano. Erano umani e tanto bastava, questa poteva essere la giustificazione per ogni loro turbamento. L’uomo non era tipo da rimanere senza parole, ancora doveva nascere chi sarebbe riuscito a farlo rimanere zitto, per questo continuò a parlare, addentrandosi con discrezione in quel momento già abbastanza delicato. «Sei una giovane ragazza che non ha dentro di sé cattivi sentimenti, nonostante la tua particolarità. Ha una coscienza e hai un cervello, spesso queste due cose servono soltanto a mandarci in confusione e a renderci più fragili.» Ezekiel sollevò il dito indice e prima si indicò il petto, all’altezza del cuore, e poi la fronte, come ad indicare la coscienza ed il cervello di cui aveva appena parlato. L’uomo ne era convinto: essere intelligenti era una piaga dell’anima. Essere superficiali o poco svegli, invece, era la propria salvezza. Determinate cose non catturavano l’attenzione di un occhio meno attento e, di conseguenza, si poteva procedere con la propria vita senza avere il cruccio della sofferenza. Più volte avrebbe voluto essere un povero stupido e invece no, il destino lo aveva dotato di un’intelligenza tale da comprendere il grande rischio che comportava andare in giro con una particolarità come la sua. Sospirò, non sapendo se le sue parole stessero facendo effetto e se Elise voleva veramente sentirle: «Se non sai cosa fare, però, è perché non ti ascolti abbastanza. Dentro di te hai già la risposta, stanne certa.» Posò i suoi occhi scuri sull’esile figura di Elise.
    Non l’avrebbe abbracciata e né le avrebbe fatto un qualsivoglia gesto fisico d’affetto, non era da lui, eppure sperava che potesse percepire quanto gli stesse a cuore la sua tranquillità. «Ora, però, non farmi sembrare più serio di quanto non sia!» Smorzò lievemente la grande tristezza che aleggiava tra loro due, ben sapendo che non era abbastanza per lenire qualsiasi cosa stesse provando Elise nel suo animo. -Tu invece? Perché sei qui? - Fu lieto, però, che Elise stesse provando a concentrarsi su altro ponendogli quella domanda. Sapeva che era un modo per distrarsi dalla sua vera preoccupazione, almeno per qualche minuto. Ezekiel era lieto di poter essere utile ad Elise in qualche modo, anche solo per aiutarla ad alleggerirla da quel peso che sembrava troppo per una ragazzina come lei. «Sono qui per l’unica ragione attorno cui gira tutta la mia vita: il lavoro. Ho dovuto sistemare delle noiosissime scartoffie, avessi saputo che tu eri qui a far niente ti avrei chiamata per darmi una mano.» Non sarebbe stata la prima volta. In passato Ezekiel aveva chiesto aiuto ad Elise e ad altri ragazzi per rimettere in ordine quello che era il grande caos del suo studio. Poteva farlo perché non era lì che teneva i documenti più importanti relativi al Centro Icarus, quelli si trovavano al sicuro, diligentemente messi a posto da Naavke. «Come te la cavi col falsificare le firme? Oggi ho firmato talmente tante cose che mi sarebbe servito qualcuno di esperto.» Sgranchì la mano, facendo finta che fosse indolenzita. Era chiaro che stesse scherzando, eppure la sua deficienza poteva essere abbastanza utile per stemperare l’aria pesante che si era creata nel loro piccolo angolino. «Elise, non torturarti la mente. Sei ancora troppo giovane, c’è tempo.» Tornò serio per riallacciarsi al discorso che avevano intrapreso poco fa. Il loro discorso era caratterizzato da un’estrema limpidezza tra loro, un rapporto tanto indecifrabile quanto palese, quasi simile a quello tra un padre ed una figlia, fatta eccezione per il fatto che a legarli non era il sangue.
     
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    Si sentiva al sicuro all’interno dei confini dei luoghi dove si svolgevano gli incontri del Centro Icarus. Le sembrava quasi di aver trovato una famiglia. Una strana, troppo grande e tratti chiassosa famiglia, ma pur sempre un posto dove trascorrere il tempo era per lei meno pesante. Lì non doveva nascondere i timori relativi alla sua particolarità. Nessuno la giudicava, nessuno la riteneva pericolosa. Anzi, era stato lì che, per la prima volta, qualcuno aveva cercato di aiutarla a dominare la sua particolarità, a ottenerne il controllo, anche se purtroppo le cose non erano andate come avrebbe sperato. Aveva imparato che non era possibile controllarla in tutto e per tutto, che avrebbe comunque sempre perso la ragione nei momenti in cui l’accumulo di emozioni negative si faceva troppo forte, ma almeno aveva capito come prevenire quell’istante, come capire in tempi ragionevoli di essere sul punto di arrivare al suo limite. Aveva appreso come leggere le sensazioni che provava, come interpretare tutti i segnali che la particolarità che le mandava, così da non ritrovarsi del tutto impreparata quando il peggio stava per arrivare. E quella, nonostante tutto, era una grande conquista. Non lo accettava, continuava ad arrabbiarsi e a sforzarsi di fare di più, ma prima o poi anche lei sarebbe stata costretta ad ammettere che quello era il massimo a cui potesse ambire e che doveva imparare ad accontentarsi. Difficile farlo per chi, come lei, dalla vita non aveva avuto molte soddisfazioni e cercava quindi di prendersi tutto il possibile, giusto o sbagliato che fosse, senza guardarsi indietro.
    La risposta sarcastica dell’altro catturò la sua attenzione, facendo tenere il capo sollevato un po’ più a lungo. Quali pensieri turbavano lui? Che cosa gli era accaduto? Se lo era chiesta spesso, anche se non aveva mai posto domande come quelle a voce alta. C’erano cose che non le piaceva chiedere, perché lei non avrebbe voluto che qualcuno lo facesse con lei. Ezekiel prese posto in una sedia poco distante, facendole intendere che la sua non era una stata una domanda buttata lì tanto per dire e che era pronto ad ascoltare, a restare, se lei ne avesse avuto bisogno. Arricciò appena le labbra quando si sentì dire che la confusione che provava era normale, che i vari elementi che componevano un essere umano contribuivano a mandarlo in confusione e alla sua fragilità. Uno sbuffo leggero e l’ombra di un sorriso divertito, tuttavia, comparvero sul suo volto nel sentirsi dire che non c’erano sentimenti cattivi dentro di lei. -Oh, ci sono così tanti pensieri e sentimenti cattivi nella mia mente. Non ne hai idea. - disse, scuotendo appena il capo, come se quello bastasse a rendere tutto più vero e credibile. Aveva fatto delle cose orribili nel suo passato, ancora ne avrebbe fatte, forse, se ne avesse avuto l’occasione. -Non sono una brava ragazza. - mormorò ancora, con una certa decisione. Non si era mai ritenuta tale, neppure quando qualcuno aveva provato a dirglielo. -Forse, in passato, quando ero una bambina. Ma non lo sono più da tanto tempo. - continuò, per niente spaventata dall’idea di ammettere una verità di cui lei era ormai particolarmente convinta. Aveva accettato da tempo il suo ruolo, sapendo di non poter tornare indietro. Come si poteva considerare qualcuno buono, privo di sentimenti cattivi, se quel qualcuno in passato aveva ucciso delle altre persone? Era quello il segreto più recondito che portava dentro di sé, quello che solo una persona conosceva in tutti i dettagli.
    Forse però sotto certi aspetti aveva ragione. Non voleva ascoltarsi, non si fermava mai a cercare le risposte dentro di sé, continuando a correre per sfuggire a ciò che aveva dentro. Muoversi continuamente, impedirsi di pensare, era tutto ciò che le permetteva di restare a galla, di non pentirsi di ciò che si era lasciata alle spalle. Eppure in alcuni casi era importante fermarsi a riflettere, per quanto complicato e doloroso potesse essere. Forse scappava soltanto perché quelle risposte non le piacevano affatto e ignorarle era più semplice che affrontarle e dover decidere che cosa fare. -E se io non le volessi quelle risposte? Se ne cercassi di diverse? - domandò, rendendosi conto solo dopo che forse quello che aveva appena chiesto non aveva nessun senso e che non era possibile cercare risposte differenti. Esisteva solo un limitato numero di opzioni in quel caso e sarebbe stata costretta a prenderne almeno una. Corrucciò la fronte, abbastanza turbata da quello strano giro da parole e da ciò che stava emergendo da quella conversazione. Si rilassò soltanto quando lui si lasciò andare a una leggera battuta, strappandole un sorriso. No, nessuno dei due amava parlare di cose serie troppo a lungo. -E coinvolgermi in un lavoro noiosissimo? Non mi sembra un pensiero molto gentile. - mormorò, sfoderando un leggero broncio, per poi inarcare le labbra in un leggero sorriso. In realtà qualunque cosa sarebbe stata meglio piuttosto che crogiolarsi nei suoi pensieri e in faccende che non voleva risolvere. -Con le firme false sono molto brava e mi diverte parecchio. Quindi sì, per quello sono sempre disponibile. - disse poi, annuendo appena, giusto per rendere più evidente il suo pensiero.
    -Non si è mai troppo giovani per rovinarsi la testa e la vita. - si ritrovò a rispondere, con una certa ironia, anche se l’espressione sul suo volto era piuttosto seria. Forse era stato uno dei vecchi compagni di sua madre a dirglielo, uno di quelli più svegli che se l’era quindi filata piuttosto in fretta, prima che lei potesse incastrarli troppo a lungo. Aveva capito che non aveva intenzione di farsi rovinare la vita da quella donna e di avere a che fare con una bambina, era troppo presto per lui. Chissà che fine aveva fatto. Arricciò le labbra, presa da quei pensieri, poi voltò di nuovo il capo in direzione di Ezekiel, come presa da un’improvvisa illuminazione. -Sei mai stato innamorato? - chiese, senza che quella domanda avesse alcun tipo di legame su quanto avevano detto poco prima. Lei riteneva di esserlo. Anche se non avrebbe saputo dare un solo nome a quel sentimento. O forse un nome tra i tanti c’era ma era lei che non voleva dargli quella soddisfazione. Chissà se sua madre si era mai innamorata degli uomini che aveva conosciuto, chissà se tra lei e quel Karl, il suo padre biologico, c’era stato davvero qualcosa o se era stata una delle tante avventure. Chissà se aveva amato Harald, se aveva mai compreso che cosa accadeva dentro le mura della loro casa quando lei non c’era. Quel pensiero le provocò una nuova morsa all’altezza del petto, altra rabbia che ribolliva per esplodere. -Credo che non sia molto sicuro per te restare qui, con me. - ammise quindi, con un leggero sospiro. Sentiva l’oscurità dentro di lei farsi sempre più pesante e sapeva che cosa voleva dire. Si mise in piedi con un sonoro sbuffo, guardandosi attorno alla ricerca della porta corretta. -Forse è meglio se vado un po’ nella stanza del contenimento. - era così che la chiamava lei, la stanza dove Eyr aveva cercato di aiutarla a controllarsi, quella dove poteva sfogarsi e distruggere tutti gli oggetti al suo interno, per placare la rabbia e la voglia di ferire che guardava in faccia a nessuno, neppure ai suoi amici più cari. Sapeva di essere una creatura pericolosa e sentiva, proprio per questo, di meritare la solitudine.
     
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