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Henrik ft. Morgana | incontro n°x dei dead poets society | 27.12.2021

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    A volte immagino una donna che scrive. Una donna bella, ma non di quella bellezza comune che piace alla gente, no; bella in una maniera particolare, sottile, una bellezza che trapela dai suoi occhi sapienti, dal suo sguardo calmo e profondo, che sotto l’apparente tranquillità nasconde un’energia e un dinamismo degni delle impetuose onde del mare. Uno sguardo concreto come la terra che però si slancia all’astratto del cielo. Uno sguardo risoluto e deciso ma al contempo inquieto. Uno sguardo che cela pensieri e misteri. Uno sguardo antico.
    Questa donna scrive, china sulla scrivania di legno scuro che stona con il chiaro dei mobili e delle pareti bianchissime della stanza illuminata dal sole. La finestra è spalancata sul mare azzurrissimo che laggiù, in quel punto e in quel luogo dell’orizzonte dove vanno a finire pensieri e preghiere, squarcia il cielo porpora del tramonto. Le onde sussurrano una dolce melodia che sale fin sù in quella stanza, un rifugio elevato appunto, e avvolge l’anima di una pace ovattata. La salsedine invade i polmoni, l’aria, il cielo. Se ne impregnano i capelli, ne è satura la pelle. Sale e mare. La donna è vestita di bianco, una veste leggera di lino. Guarda le onde, immobile, muta, e il suo sguardo attraversa l’abisso. Lo osserva, lo spia, lo respira. La donna scrive il mare nel suo diario di pagine bianche.


    Henrik si svegliò all'improvviso, come gettato da altissime onde del mare in un muro d'acqua silente. Qualche volta quel volto veniva a lui in sogno e lui non poteva farci niente per impedirlo, per evitare di vedere davvero. Era passato tanto tempo dal momento in cui si chiedeva cosa succedeva ai visi che sognava. Qualche volta ci si incastrava di più rimanendo dentro ai suoi sogni, qualche volta rimaneva pensoso a riguardo, e qualche volta gli lasciavano solo un ricordo. Era qualcosa che permeava nella sua anima, lo lasciava frastornato. Per Henrik era difficile vivere una vita come i suoi coetanei perché gli sembrava una vita in un riflesso, perché lui ne viveva contemporaneamente tante e tante di più.
    La donna del sogno lo veniva a trovare spesso. Era successo tanto tempo prima quando era un ragazzino, l'aveva vista per la prima volta e nell’ultimo anno l'aveva sognata ad intermittenza, di continuo. Da allora l'aveva vista in ottantasei sogni diversi. Henrik sapeva già che qualcosa sarebbe successo, ma non sapeva ancora cosa. Per una volta era una bellissima consolazione sapere di non sapere ancora tutto. Aveva attribuito tante volte un senso a sogni che non si erano realizzati, e a vite che aveva sfiorato senza che entrassero in collisione con la sua. Per quel volto non sapeva cosa avrebbe potuto attribuire, ma aveva smesso di chiederselo per non tormentarsene. Per fortuna non tutte le cose potevano basarsi sull’incertezza e le ombre della sua mente potevano sembrare lontane quando tornava alle sue certezze. Il suo studio, la fisica, il rigore della musica, i tasti del pianoforte. I suoi affetti. Erano tutte le cose a cui teneva. Ma più di chiunque altro avrebbe voluto mettere in pausa quel potere almeno per dormire meglio buone ore di sonno prolungate e smettere semplicemente di pensare - che era una cosa che non faceva mai, e mai avrebbe imparato a fare neanche se avesse potuto scordare il suo potere, senza alcun dubbio probabilistico, era qualcosa da poter definire certo.
    Si diresse al bagno attiguo alla sua camera e si sciacquò il viso, senza guardarsi allo specchio, per prepararsi alla giornata. Nella sua vita le routine di corso accademiche si erano alternate agli incontri con il gruppo dei lettori, i dead poets society, e a tutti i fuori programma a cui il professor Morgenstern li faceva partecipare per catturare la loro attenzione, per farli appassionare a qualcosa che - come diceva lui - sarebbe stato sempre senza tempo e senza scadenza, il piacere di una lettura per il piacere di sognare. Henrik era riuscito a trovare un ambiente che potesse dargli uno spazio per pensare, ma in maniera diversa da quello che faceva sempre lui. Aveva cominciato a trovare divertente il professore di letteratura, e riusciva ad ascoltare davvero quello che dicevano i colleghi in università senza stravolgere le loro frasi, purché parlassero davvero di quello che gli interessava - ed era diventato incuriosito dal suo stesso cambiamento, che piano piano sembrava farlo interessare a quel mondo. Ed eccolo lì, vestito, per correre in sede universitaria. Le lezioni erano in pausa, causa festività: solo i gruppi extra curriculari continuavano ad incontrarsi per portare avanti il loro ciclo di incontri. L'aria post natalizia aveva reso l'ambiente circostante festivo e gioioso, tutta Besaid era a festa come tutte le città dei dintorni - come se fosse una città come le altre - e perfino in università non mancavano le decorazioni degli studenti del primo anno che avevano tracciato i loro auguri su festoni appesi alle porte e nelle file e file di luci posizionate attorno all'edificio. Il Natale in casa loro non era mai stato così colorato, non lo sarebbe mai stato in ogni caso se ci fossero stati solo lui Isak e i suoi, ma l'atmosfera natalizia l'avevano portata Gree e sua madre con il calore della loro tradizione culturale e i piatti tipici di un posto tanto caldo e lontano da quello che Henrik aveva sempre conosciuto. Henrik era un ragazzo più sano adesso, ma non poteva ancora definirsi robusto, e per come era nato era praticamente un miracolo che fosse in piedi da solo per conto proprio. Era avvoltolato tutto in una sciarpa rossa - regalo di Gree di due giorni prima, appunto - che gli copriva il viso fino a farlo sembrare un bandito, conciato per le feste - aveva detto lei sorniona - e una felpa bianca, sotto un paio di pantaloni da tuta grigi che lo facevano sembrare a metà tra uno sportivo non troppo attento all'abbigliamento e un nerd disinteressato. In tasca un pacco di fazzoletti immancabili, che con un briciolo di snobismo non lo facevano mai sembrare particolarmente tagliente come un pacchetto di sigarette, ma per forma e spessore potevano anche essere confusi e nascosti per tali - se gliene fosse importato, cosa che in realtà non gli aveva sfiorato tanto spesso la mente. Sulle spalle uno zaino nero contenente due libri - il libro che dovevano leggere per quel ciclo di incontri e il tomo di cosmologia che avrebbe iniziato l'anno successivo, ma che pensava, visto che era in pausa dai corsi, che potesse essere un buon modo per cominciare a leggere di qualcosa che ancora non conosceva abbastanza. Il freddo secco rendeva tutto sospeso in un'aura immobile che sembrava che potesse essere possibile vederci il tempo passare attraverso, muoversi tra loro, più veloce di quanto il freddo riusciva a far muovere lui e tutti i ragazzi che si muovevano attorno. Attraversò il polo universitario superando un paio di professori in completo scuro e cappotto - che lo fecero pensare ai pinguini in fase di muta velocissimi rispetto alle altre specie di uccelli simili. Un paio di mesi appena e tutti sarebbero tornati a indossare vestiti più leggeri, e colori vivaci, che in inverno sembravano sparire con la scelta dei vestiti più pesanti e dei cappotti ingombranti. A lui i colori piacevano, ma non era capace di abbinare un bel niente. Era Isak che sapeva vestirsi con stile, o almeno, quello che lui metteva in dosso non era mai fuori luogo, seppur potesse sembrare agli occhi di tutti fuori contesto - così lui cercava di mantenersi in quella che pensava fosse la norma - ma non gli riusciva comunque ad occhi obiettivi - indossando al massimo proprio come quel giorno una sciarpa rossa cremisi che lo riparava completamente.
    Si diresse in aula, perso nella constatazione di pinguini e colori sgargianti da indossare, nell'aula designata per l'incontro del giorno, e si rese conto di non essere il primo. Il secondo banco della terza fila era occupato da una ragazza. Ma non era una ragazza qualunque.
    Si fermò, rimanendo immobile davanti all'ingresso, e mise a fuoco la sua figura, sbattendo le palpebre, che erano l'unica cosa che veniva fuori dalla sciarpa attorcigliata e dalla massa di capelli mossi imbiancati del nevischio che continuava a scendere anche quella mattina. Si disse che era sveglio, perché sapeva perfettamente di aver compiuto quello che faceva quando si buttava giù dal letto e doveva testare di non essere intrappolato in un sogno: ruotava una minuscola trottola che portava ovunque e che era l'ultimo oggetto che sfiorava prima di andare a dormire. Il suo lancio gli permetteva di capire se fosse sveglio o no. Raramente si trovava incerto nel capire in quale dei due mondi che attraversava fosse, ma quando non riusciva a capirlo allora aveva capito di poterlo testare ruotando l'oggetto, e aspettando che cadesse. Perciò per quella mattina, che aveva compiuto il suo rituale quotidiano, sapeva esattamente che non poteva trovarsi in un sogno. Aprì gli occhi più di quanto gli fosse possibile, con i suoi occhi enormi centrò la figura della donna del sogno, e respirò. Aveva previsto Henrik che era solo nel suo destino di doverla incontrare, ma non aveva pensato di poterla incontrare sul finire del duemilaventuno. La ragazza si voltò a guardarlo, e quella fu la prima volta che i loro sguardi si incontrarono davvero, anche se lui l'aveva già vista tantissime volte. Si agitò, sapendo di sapere tantissime cose di lei, ma nessuna che avesse un senso compiuto. Tanti sprazzi di ricordi che aveva visto gli passarono nella mente e lui si sentì cedere, lo stomaco tutto ingarbugliato si contorse, e pensò che gli sarebbero voluti altri cinque minuti per cadere come uno stolto, ma così, più o meno, non accadde. La porta che aveva alle sue spalle si aprì, ed entrò un altro compagno di corso, finendo dritto addosso ad Henrik che era rimasto in piedi scioccamente davanti all'apertura delle porte antipanico, finendogli addosso, e finendo lui steso diritto sul pavimento. L'urto con il terreno sembrò risuonare nell'aula universitaria deserta finendo per fargli sembrare tutto ancora più disastroso di quanto fosse. Si sedette, e il suo collega fece lo stesso, tirandosi su e passandogli una mano sulla spalla.
    « Scusa, non ti avevo visto qui dietro! » Henrik annuì spostandosi e rigirandosi per riprendere il suo zaino. Ma lei era finita proprio lì davanti a lui, e gli stava porgendo lo zaino nero che aveva lasciato cadere, rivolgendogli un sorriso divertito. Si perse per quei secondi nei suoi occhi scuri nel raccogliere lo zaino dalle sue mani, e sentì che era fatta, e lo sapeva. Il tempo che contava in quei sogni in cui l'aveva vista si dissolse, e nulla poteva più valere. Sapeva che nell'istante in cui l'avrebbe incontrata nulla nella sua vita avrebbe più avuto senso.


    :gentleman:


    N.B. riferimento al mio adorato Nolan immancabile


    Edited by wanderer. - 11/9/2022, 18:58
     
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    Per la prima volta in tutta la sua giovane vita, Morgana stava trascorrendo il periodo natalizio in totale pace. O solitudine. Quello dipendeva dai punti di vista. A Londra, solitamente, quando iniziavano a spuntare le decorazioni natalizie in strada sua madre iniziava, in egual modo, ad infilarla nei photoshoot natalizi che proponevano le varie testate di moda. Per Morgana quello non era mai stato un periodo di festa, ma un periodo di lavoro costante, come sempre. Inusuale per lei, trascorrere il Natale in totale pace, senza sua madre che le diceva di sbrigarsi perché doveva andare di qua e di là, a qualche evento in cui le avrebbero rifilato un uomo dello showbusiness che Morgana neanche conosceva e su cui i tabloid avrebbero sicuramente inventato una relazione. Assurdo come, fino a qualche mese prima, Morgana vivesse per quel genere di cose. Le piacevano. Un flash proveniente da una fotocamera era notorietà assicurata per lei che all’epoca considerava come l’unico modo per poter vivere. Si domandava se lei fosse veramente quella persona, quella ragazza alla ricerca disperata di attenzioni effimere che si dissipavano non appena qualcuno proponeva un gossip più succoso di quello che proponeva lei. Aveva pensato parecchio, in quei giorni, se e quanto le mancasse quel mondo, quella Morgana, e si era risposta: no. Non le mancava nulla di tutto quello che aveva vissuto. Il problema, però, stava nel capire chi fosse adesso che tutti i flash dei paparazzi e i lustrini dei suoi vestiti erano svaniti, quasi come per magia. Era una scoperta di sé stessa che faceva giorno per giorno, in maniera neanche troppo forzata, semplicemente Morgana tentava di sopravvivere in quella nuova vita e scopriva un nuovo aspetto di sé man mano che tentava di superare i vari ostacoli che le si mettevano davanti.
    Tutta quella solitudine, però, era troppo anche per lei. Le piaceva stare nel suo guscio senza nessuno che la disturbasse, ma il clima natalizio aveva quella fastidiosa tendenza a rendere le persone più socievoli e per questo Morgana aveva deciso di partecipare a quel gruppo di lettori. Come si chiamava? I Dead Poets Society forse? In qualsiasi caso era da un po’ che le era stato suggerito di parteciparvi ma lei, intimorita all’idea di conoscere nuove persone che potevano rivelarsi pessime compagnie, aveva temporeggiato continuamente. Voleva andarci, era curiosa perché dopotutto i temi trattati la appassionavano. La letteratura è sempre stata qualcosa che ha attirato la sua attenzione e solo da quando è a Besaid può esternarlo senza sentirsi giudicata. Uscì dalla sua stanza del campus, coprendosi il più possibile sia perché faceva freddo e sia perché voleva passare inosservata. Se c’era una cosa che le dava sollievo era che lì, in quella cittadina, ancora nessuno l’aveva riconosciuta, forse a Besaid qualche foto sua non vi era mai arrivata e quindi poteva beatamente continuare a vivere nell’anonimato. Non sapeva se era il caso di portarsi qualche libro dietro, non aveva idea di cosa si sarebbe letto quel giorno, per cui decise di sfidare la sorte e di non portarsi nessun libro dietro, al massimo avrebbe ascoltato chi leggeva o si sarebbe fatta dare il libro da qualche collega. Il tragitto dai dormitori fino all’aula in cui si teneva il corso non fu lunghissimo, Morgana impiegò poco meno di mezz’ora ma questo la fece preoccupare comunque perché temeva di arrivare in ritardo. Preferiva essere sempre in anticipo perché odiava arrivare a lezione già iniziata, quando tutti i presenti in sala ti puntavano gli occhi addosso non appena aprivi la porta e qualcuno continuava ad osservarti finché non ti mettevi seduto al tuo posto. Quando entrò in aula, Morgana, era praticamente l’unica. Ancora nessun essere vivente si aggirava in quel luogo. Poco male, pensò, facendo spallucce e sedendosi un po’ dove l’avevano portata i suoi piedi, senza ponderare bene la sua scelta. Nemmeno qualche secondo trascorse, prima che la porta si aprisse di nuovo e mostrasse quello che, per un momento, le parve un tenero pupazzo di neve, con una sciarpa rossa a coprirgli metà del viso e con una felpa bianca che giustificava il paragone appena nato nella mente di Morgana. I loro sguardi si incrociarono, più per casualità che per volontà, e la ragazza quasi si domandò se il ragazzo appena entrato l’avesse riconosciuta. Che la sua fama, adesso, fosse venuta a presentarle il conto? Non aveva voglia di parlare con qualcuno che le iniziava a dire quante belle fossero le foto in cui pubblicizzava un profumo mezza nuda, ma sostenne lo sguardo almeno finché lo sconosciuto non ebbe quel piccolo incidente che fece volare via il suo zaino. Quando si dice un’entrata ad effetto con comparsa.
    Solitamente non si prodigava per gli altri, non perché forse snob – cioè si, a Londra era snob – ma a Besaid si sentiva ancora a disagio nell’iniziare una conversazione con qualche sconosciuto, quindi se ne teneva alla larga. In quel caso, però, lo zaino nero era finito più o meno vicino a lei e non poteva veramente evitare di porgerlo al ragazzo tanto simile ad un pupazzo di neve. Gli sorrise allungando il braccio con lo zaino verso di lui e, quando Morgana notò nuovamente quegli occhi che sembravano volerle dire di conoscerla, lei educatamente disse: «No, non ci conosciamo.» Non usò un tono di voce antipatico, di quelli che aveva usato per tanto tempo, al contrario era quasi rassicurante nel dire al ragazzo di star tranquillo, loro non si erano mai visti e non c’era nulla di cui preoccuparsi. «È la prima volta che vengo qui.» Aggiunse facendo spallucce, come a voler spiegare meglio la frase che aveva detto poco prima.
     
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    Henrik non si poteva definire una persona insicura per natura, né da sé stesso né dagli altri. Era difficile che pensasse di non essere in grado di affrontare una situazione, forse non gli era capitato neanche molto spesso di non sentirsi all'altezza di qualcosa. Più che non capacitarsi delle sue abilità, semplicemente non ci pensava affatto: quello che faceva quando ci metteva la testa funzionava sempre, quello che diceva quando pensava, aveva un significato. Le persone che lo conoscevano non sapevano bene cosa aspettarsi da un ragazzo come lui che era sempre stato più cauto e maturo degli altri, con una testa che pensava in continuazione ed andava sempre avanti, con mille idee che affioravano nella sua mente, e mille tasselli che puntualmente avvicendava per far combaciare tutti gli spigoli del puzzle che solo lui poteva vedere. Henrik veniva completamente confuso rispetto a tutti gli altri studenti, oppure preso di mira da quelli più sensibili o che intercettavano la sua natura particolare. Era per quello che spesso involontariamente decideva di non dare nell'occhio, nascondersi e camuffarsi quanto più gli fosse possibile. Però non era un comportamento dovuto ad un sentimento di smarrimento, ma da indole di sopravvivenza. A lui piaceva, particolarmente, passare per sbadato quando non lo era, piaceva mimetizzarsi in confronto a mille e più persone, ai compagni di corso, ai musicisti con la voglia di farsi notare. A Henrik piaceva fare le cose per bene senza farsi notare troppo, anche quando era l'unico a capirci qualcosa del tutto. Se lo si interpretava come insicurezza avrebbe potuto soprassedere: andava bene così. Ma era difficile per lui non spiccare completamente. Era un bel ragazzo, era particolarmente intelligente. La sua apparente apatia passava però come stranezza. Un ragazzo come Henrik è difficile da immaginare preda dei bulli, ma lo era stato. Lui aveva solo scrollato via tutto con una mano a lisciarsi le spalle, a rialzarsi quando era stato offeso, a schivare quando era stato attaccato. Nessuno sapeva, non poteva pretendere la comprensione dove non ce ne era. Henrik era stato per molto tempo la metà malata di Isak, adesso che riusciva a migliorare e superare la fase cattiva della malattia che lo attanagliava funzionava tutto in maniera diversa. Il suo nuovo mondo, la sua realtà quotidiana, diventava splendente, strideva con il confronto dei giorni bui che aveva passato al chiuso, persiane sprangate, delle notti sulla terrazza a guardare i punti fermi delle stelle, di Isak con un sacco a pelo o una coperta rimediata alla bell'e meglio per passare la notte vicino a lui, sul pavimento della camera.
    Adesso dopo anni vedeva la ragazza che lo aveva visitato tante volte in sogno, sia per tediarlo che per scaldargli il cuore. Era stata un'emozione troppo forte per uscirne indenne, ed ecco che il caso aveva voluto la peggio facendogli fare anche la figura dell'imbranato. «No, non ci conosciamo.» La ragazza lo guardò. Lui le guardò la lunga linea corrucciata che comparve disegnata sulla fronte, come se si stesse chiedendo perché la sua espressione era volta a chiedersi qualcosa di insolito, a confermare che loro due non si erano mai incontrati prima di allora. Era vero. Per quanto lui l'avesse vista tantissime volte, non si erano mai incontrati su quella linea temporale, lui e lei, Henrik e la ragazza ancora senza nome. Aveva vissuto e sentito avvenimenti della sua vita come se fossero i suoi, ma gli mancava una parte di chiarezza, uno specchio che potesse rifletterla ed identificare davvero chi fosse.
    Ed ecco che per la prima volta forse per davvero, Henrik si sentì confuso, e tremendamente insicuro. Avrebbe voluto avere la forza di non curarsi delle conseguenze, quella che aveva sempre, la sua maschera personale nei confronti del resto del mondo. Adesso che era lì ad un palmo dal suo viso, cosa avrebbe dovuto fare?
    «Grazie.» Borbottò. Si ricompose, si rimise in piedi e drizzò bene la schiena. Si schiarì la voce, e si avvicinò prendendo il suo zaino tra le mani, quello che era finito giù vicino al banco di lei, perché aveva deciso di indossarlo solo da un lato della spalla. Indugiò le mani sul tessuto in pelle dello zaino, tastandone la superficie liscia, come se potesse suggerirgli cosa fare: doveva appellarsi a tutto in quel momento. Doveva capire perché era stata messa sul suo destino. «È la prima volta che vengo qui.» Gli disse, interrompendo il suo flusso di pensieri, e anticipando inconsapevolmente una frase buttata a caso da parte di Henrik. «Scusami, ero sovrappensiero. » Cercò di articolare, come se dovesse almeno in parte una spiegazione alla sua espressione assorta. Restò con gli occhi a mezz'aria, sviò per guardare la cattedra e con la coda dell'occhio, il ragazzo che lo aveva travolto che conosceva solo per cognome, che aveva preso posto e indossato un paio di cuffie wireless, che per sua fortuna nascondevano la loro conversazione al suo udito. Si scostò la sciarpa rossa dal viso, snodando il groviglio che aveva attorcigliato attorno al collo. Le rivolse un sorriso, gli uscì fuori un pò imbarazzato, il sorriso sghembo che accomunava alla perfezione i gemelli Havbolger, e quando tornò sui suoi occhi ci mise tutto l'impegno possibile per far sì di guardarla come se fosse una persona qualunque - ed era molto difficile considerato il pregresso dei suoi ricordi. «Infatti non ti ho mai visto al club. Chi ti ha invitato, Morgenstern? » Non sapendo nulla di come fosse arrivata a lui proprio ai dead poets society tirò in causa il professore, che oramai era diventato la persona più amata e odiata da Henrik per una serie lunghissima di motivi che poteva elencare listata nella sua mente. Adesso tra questi motivi si annoverava anche il fatto che avesse fatto spuntare lei al corso.
    Il club dei dead poets society manteneva la sua piccola esclusività basando l'accesso dei propri membri su invito. Lui era stato invitato da Kos, quando l'amico aveva scoperto quanto tempo dedicava a leggere e quante pagine aveva girato per passare il tempo nelle proprie notti insonni. La ragazza era per lui sconosciuta nel contesto di Besaid, nel suo ruolo universitario, e non sapeva neanche perché si trovasse lì.
    Però sapeva che amava leggere. Aveva letto con lei tantissimi libri, l'aveva vista scrivere, aveva visto utilizzare la stessa penna tra le sue dita sottili, vergare con l'inchiostro pagine di appunti piene di citazioni sulla letteratura inglese. Il suo cervello fece velocemente l'associazione che mancava: doveva essere iscritta ad un corso frequentato direttamente da Morgenstern e finita lì per suo volere. Se ne convinse, nell'arco di quella manciata di secondi, e si sedette accanto a lei, aspettando la sua risposta.
    Lasciò lo zaino accanto alla sua sedia, quasi come avrebbe fatto Isak per marcare la sua posizione ed indicare che nessuno poteva sederglisi accanto, ma lui voleva solo farsi spazio e scoprire lei con naturalezza. Tirò fuori il paio di libri che aveva con sé dallo zaino, posandoli sul banco. Mise subito via il libro di cosmologia che aveva fatto capolino sopra l'altro, allontanandolo come se si stesse mettendo in mezzo tra loro, e rivelò il libro che aveva anticipato il professore all'incontro prima. Per quel ciclo stavano rileggendo tutti i volumi di Dickens. Per quel giorno, aveva portato con sé "Grandi Speranze". «Ti posso prestare i miei libri se hai bisogno. In generale. Oggi ho solo questo con me. » Gli ci volle qualche minuto di più per accorgersi che non aveva portato nulla con lei, osservando la sua figura priva di una borsa abbastanza grande da portare qualcosa di voluminoso come libri o laptop o altri quaderni. Gli sembrò un modo gentile per offrirsi disponibile senza essere invadente, e si convinse che poteva riuscirci, era una frase normalissima tra colleghi universitari. Fu come se avesse annuito tra sé e sé, e decise di prendere meglio posto, abbandonando la sciarpa rossa e la giacca che lo aveva nascosto fino a quel momento a casaccio sopra lo zaino, rimase con la felpa bianca e le mani nascoste nelle tasche ai lati di essa.
    « Non so se ti hanno già detto come funziona. Qualche volta seguiamo assieme dei racconti che ci porta il professore, spunti di conversazione, analogie tra scrittori e punti in comune... altre volte ci da dei libri da leggere e poi li commentiamo. » Aggiunse. Poi aspettò di nuovo il suo turno. Tra il pensiero di essere naturale e di sentirsi a suo agio si maledisse per la sua indecisione, e si chiese una domanda sola, con veemenza inaudita per i suoi dialoghi interiori. La domanda giusta era solo una: cosa avrebbe fatto Isak al suo posto?
    Intercettò il suo sguardo, ed indugiò appena, prima di rivolgerle una frase. Era arrivato il momento che attendeva da anni, e non poteva farne a meno, doveva farle una domanda semplicissima che avrebbe cambiato tutto. Si buttò, e glielo chiese, proprio come se fosse stato Isak a parlare per lui, il fratello che conquistava chiunque. «Come ti chiami?» Nella fretta di pronunciarsi si era scordato di aggiungere il suo nome per presentarsi, ma si morse l'incavo della guancia subito dopo per impedirsi di rincorrersi nelle parole.

    Edited by wanderer. - 11/9/2022, 18:58
     
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    Morgana aveva compreso di avere una particolarità da solo qualche mese. Aveva capito che questa entrava in funzione non appena aveva un contatto fisico con qualcuno, il che non faceva altro che incentivare la sua totale avversione verso ogni tipo di contatto fisico, strusciamenti, baci, abbracci e per carità! Prima della Grecia odiava il contatto fisico perché era snob, dopo la Grecia odiava il contatto fisico perché la faceva sentire a disagio. Che poi ci fosse di mezzo un potere che lei non sapeva spiegarsi e su cui non aveva la minima idea di come fosse nato, era un altro discorso. Lo aveva accettato, cos’altro poteva fare? Ne aveva preso quello che, secondo lei, era il lato positivo: l’imposizione di nessun contatto fisico con il prossimo. Morgana non aveva bisogno d’altro per convincersi che quella novità, forse, non era poi così male. In virtù di ciò, quindi, fece bene attenzione a non sfiorare neanche per sbaglio il ragazzo sconosciuto, quando gli porse lo zaino che gli era caduto dalla spalla. Naturalmente non poteva sapere se anche lui avesse una qualche particolarità, ma onde evitare di ritrovarsi con un potere letale, Morgana preferì evitare ogni tipo di possibile contatto fisico. Dopotutto erano gli sguardi che riuscivano ad essere abbastanza eloquenti. Non le sfuggì l’occhiata del ragazzo, come a volerle dire che la conosceva già da tempo, per questo Morgana si affrettò a dire che no, non si erano mai visto prima di quel momento.
    In un’altra circostanza si sarebbe limitata a rimanere sulle sue, ma il suo istinto, quello che ultimamente le suggeriva di stare alla larga dalle nuove conoscenze, in quel caso le suggerì di non fuggire, non ne aveva motivo, quindi Morgana rimase al suo posto, informando il ragazzo che quella per lei era la prima volta in quel piccolo circolo letterario. E che tutto avesse dell’assurdo in quella conversazione appena nata lo dimostrava il fatto che lo sconosciuto si fosse giustificato dicendole che fosse sovrappensiero, come se fosse necessario dire una cosa del genere. Era strano e le stranezze ultimamente andavano d’amore e d’accordo con Morgana. «Si, lui.» Annuì leggermente con la testa per rispondere alla domanda del ragazzo che in quel momento sembrava tanto simile ad un pupazzo di neve. Era stato il professore a dirle di partecipare, notando la sua passione per la letteratura e, forse, notando anche quanto non si fosse inserita nel resto della sua classe. Ma quest’ultima era, appunto, un’ipotesi di Morgana. «Esiste qualcun altro che può invitare la gente in questo club?» La sua domanda, per quanto potesse sembrare antipatica, in realtà era pura curiosità di sapere se in quel luogo gli studenti o altri soggetti che non fossero professori potessero invitare i ragazzi nei club che più piacevano a loro. Era tipo la scuola di Harry Potter? Morgana osservò lo sconosciuto in ogni suo movimento, come se fosse pronta a scappare da un momento all’altro nel caso questo avesse fatto un gesto minaccioso nei suoi confronti. Ormai da tempo pensava questo: tutti potevano farle del male all’improvviso e lei si teneva pronta nel caso succedesse davvero. Certo, quella era una visione del mondo influenzata da ciò che le era successo, ma era difficile farle cambiare idea per adesso. Le si illuminarono gli occhi quando vide che il ragazzo tirò fuori una copia di “Grandi Speranze” di Dickens. «Si parlerà di questo oggi?» Domandò allo sconosciuto, indicando il libro col dito indice, in un gesto non esagerato, come se temesse di attirare l’attenzione di tutta l’aula. Dickens, per quanto le piacesse, non era decisamente tra i suoi preferiti, ma quel libro le era particolarmente rimasto nel cuore. Dopo l’entusiasmo iniziale, o quello che per lei era entusiasmo, Morgana informò il ragazzo di non avere nulla con sé: «Non ho nessun libro con me, non avevo idea di come si sarebbe svolto il tutto. E comunque, nel dubbio, mi sarei portata tantissimi libri.» Non era per vantarsi, quell’osservazione era più a titolo informativo, dovuta al fatto che lei reputava degni di una discussione tantissimi libri in suo possesso, quindi nell’indecisione li avrebbe messi nel suo zaino più o meno tutti.
    Nonostante apprezzasse la disponibilità del ragazzo, Morgana preferì non essere troppo espansiva sul condividere il libro durante la lezioni, per i motivi che ormai ben si sanno. Avrebbe dato uno sguardo alle pagine, certo, ma da questo a condividere per un’ora intera un libro con uno sconosciuto non se ne parlava. Era ancora troppo presto, a suo avviso, in realtà non sapeva se in futuro sarebbe mai riuscita a fare una cosa del genere senza sentire dentro di sé il peso opprimente del rischio che si nascondeva dietro l’angolo. Quello stesso peso che si fece più pressante quando, dentro di lei, iniziò una guerra perché non sapeva se dire o meno il suo nome allo sconosciuto. E si stava preoccupando troppo, Morgana se ne rendeva conto. Non vi era nulla di strano in quella domanda, era così che si svolgevano le comunissime conoscenze sociali, eppure per lei anche pronunciare il suo nome la faceva sentire in pericolo, esposta. «Morgana.» Uscì dalla sua bocca quasi come se si vergognasse di chiamarsi a quel modo, anche se in realtà non si trattava di questo, quel tono di voce era dovuto più alla sua insicurezza, quella stessa insicurezza che Morgana non aveva mai avuto a Londra. Si schiarì la voce «Tu?» Si faceva così, giusto? Quando si conosceva qualcuno si scambiavano i rispettivi nomi, è da quelli che parte una conoscenza. Morgana stava semplicemente facendo una cosa normale, né più e né meno.
     
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    L'idea che esistesse un destino scritto della vita di ognuno che Henrik potesse visionare in sogno disturbava le sue idee sul caos e la generazione della materia in maniera irrimediabile. Si chiedeva spesso se fosse stato diverso, se avesse avuto un carattere più semplice o fosse stato meno interessato alla fisica, se avrebbe abbracciato il suo potere diventando un vero e proprio indovino divertendosi a farsi circondare da persone interessate a saperne di più su di loro, sul futuro, sulle possibilità della vita che li attendeva, oppure se fosse stato meno retto di come era, se si sarebbe lasciato andare al disordine interiore delle notti in cui vedeva cose che potevano realizzarsi, dolci o tremende, ai suoi cari, agli sconosciuti, o a se stesso.
    Aveva sognato tante volte l'incubo che aveva afflitto la ragazza che aveva di fronte, chiedendosi se l'avesse scalfita o ne sarebbe uscita indenne. Lì con il suo atteggiamento schivo e la fronte corrucciata non poteva che chiedersi se stesse bene oppure fosse assente, se stesse vivendo o no una vita a metà anche lei dopo quello che aveva provato, un pò come le mille vite spezzettate che viveva Henrik nella sua vivendo gioie e dolori degli altri prima che potessero capitare davvero, e sentendosi in colpa per quel tormento.
    Rispose alla sua domanda, la ragazza, con un cipiglio incuriosito assunto sul volto. Il professor Morgenstern era colui che aveva sempre il veto finale per l'accesso al club, ma i membri più anziani potevano tendere un invito a qualcuno di meritevole e sottoporlo all'iniziazione del professore. Era esattamente ciò che era successo a lui quando era stato invitato da Kos tanto tempo prima ad unirsi al gruppo. Perciò le rispose, spiegandole a sua volta quando lei gli aveva posto la sua domanda, pronto, sulla sedia che aveva occupato accanto a lei, con una mano stretta attorno al bordo del banco, a ricordarsi di tenersi in allerta, o di constatare che lo fosse, le nocche bianche in evidenza sulla pelle chiarissima di Henrik. « Sì, qualche volta possiamo invitarli noi, o meglio, possiamo suggerire a Morgenstern un nome. » Si strinse nelle spalle, con un gesto come a scrollare via l'immagine che la selezione in quel club fosse così dura, quando in effetti il gruppo era disegnato perché fosse piccolo e ristretto a poche persone che amassero la letteratura in ogni sua forma, e che sapessero parlarne portando spunti di conversazione davvero interessanti al loro tavolo. In realtà era a tutti gli effetti una cerchia esclusiva. « Un mio amico mi ha suggerito così. » Mormorò, senza dire nulla su Kos, quasi come se non sapesse di poter invadere troppo la conversazione con un altro spunto con l'immagine di una persona che probabilmente lei non conosceva ancora. Spiò il suo sguardo senza voltarsi troppo, nel frattempo che apriva lo zaino e disponeva a casaccio i libri sul banco, il tomo di Dickens si spostò tra loro a far capolino come libro del giorno e comparve nella conversazione quando lei mostrò di riconoscerlo e conoscerlo davvero con una espressione che sembrò ad Henrik familiare, come quando si sente parlare di un vecchio amico in una conversazione e spunta un sorriso caloroso sulle labbra di chi riconosce il suo nome perché sa del suo valore. Nel lasso di tempo in cui si erano seduti qualcuno dei ragazzi del club aveva cominciato a spuntare dietro l'aula designata per la lezione del giorno, che mano a mano andava a popolarsi qua e la con le file dei banchi che venivano occupate in qualche punto sporadico, a casaccio. La vide indicare il libro per chiedere informazioni su di esso, sulla tematica del giorno e di cosa avrebbero affrontato, aggiungendo che avrebbe voluto saperne di più per decidere cosa portare con lei. Sicuramente il fatto che l'avesse invitata il professore stesso a quegli incontri la rendeva una candidata ideale ad avere il suo banco tra loro, e non avrebbe dubitato del fatto che così non fosse, tuttavia lo fece ridere pensare che lei volesse specificare quanto fosse propensa a prendere in considerazione l'idea di portare con sé tantissimi volumi per partecipare alla riunione.
    Il sorriso di Henrik e la sua espressione si colorarono nell'osservare la ragazza e il suo entusiasmo, che lui ricambiò, da avido lettore che era sempre stato. Si chiese in quel momento Henrik quanto di quello che stesse vivendo sarebbe potuto essere modificabile, quanti impatti avessero le conseguenze delle azioni che si verificavano, quanto sarebbe potuto venire fuori da una decisione presa in quel momento e che sogni avrebbe fatto un domani riguardo a lei dietro cui verteva tutto da così tanto tempo. « Cosa ti piace leggere? » Mormorò, rimanendo a guardarla. « O forse dovrei chiederti cosa non ti piace leggere? » Era divertito Henrik, sapendo come sapeva in realtà anche degli altri componenti del club quanto tutti loro amassero leggere, e tuttavia sapendo ancora più intimamente di lei della sua passione, perché la conosceva nel profondo in quelle volte che aveva visto quanto tempo vi dedicasse tra le pagine. Chiese una domanda al contrario che non fosse mutuamente esclusiva, perché lo incuriosiva sapere adesso che poteva saperne di più dalla diretta interessata. « Stiamo affrontando il ciclo Dickens adesso. Poi proseguiremo con Hardy. » Aggiunse, per completare l'argomento 'ciclo dei libri' di cui si sarebbero occupati agli incontri. Henrik faceva difficoltà a trovare qualcosa che non gli piacesse leggere, in generale aveva una vasta curiosità per qualsiasi argomento e una opinione per tutto, che fosse buona o dissacrante non aveva motivo di scoraggiarlo, era comunque una lettura che avrebbe analizzato minuziosamente. I libri erano l'unica fonte di distrazione che aveva trovato, con cui poteva immergersi in vite altrui esattamente come tutti gli umani comuni, per non pensare troppo e prendersi meno sul serio. Era stato fondamentale che questi l'avessero trovato e lui avesse trovato loro.
    Quando si decise a chiedere il nome della ragazza poté finalmente dare un nome al suo volto, e acquisire il primo e più importante tassello di informazione che gli mancava. Non la guardò, spostando la sua attenzione verso il rumore della porta antipanico che lo aveva accolto nell'aula, che fece entrare un compagno di corso di cui aveva imparato a conoscere il nome nel club, Steve Olevson. « Come Morgaine delle fate. » Sussurrò, zittendosi, concentrando tutta la sua attenzione nel ragazzo che gli passava accanto sfilando vicino per sedersi dietro di lui. Poche storie interessavano Henrik più di come era fatto il mondo che li circondava, miti e leggende avevano il loro fascino ma erano meno affascinanti della teoria di formazione del loro universo. Quando i miti erano pervasi da un significato che richiamava racconti che intrecciavano religione, paganesimo, e la stessa capacità di credere nell'esistenza di un destino, che lui vedeva con il suo potere, riuscivano a catturarlo e a farlo pensare. Così era stato per tutti i tomi che aveva conosciuto e divorato del ciclo arturiano, e del personaggio cardine della storia, Morgana. Così si spiegava un mistero che l'aveva incuriosito per anni e adesso lo portava ad un epilogo. Non ebbe il tempo di chiedersi se andasse bene a lui che quel nome fosse associato ad un epiteto, né se quel nesso lo mettesse in imbarazzo. Era un nome glorioso di una figura potente, che per la sua storia e la vita che stava seguendo sembrava proprio voler suggerire che quel destino dovesse essere imboccato, non aveva scampo. Si voltò, fece vagare lo sguardo sulla sua figura per potersi presentare, per rimediare al nome che non aveva pronunciato non pensando di doversi presentare.
    Il ragazzo appena entrato appoggiò lo zaino sul banco, si sporse in avanti e passò una mano sul braccio di Henrik, a spezzare il momento di tensione e intervenendo sulle sue parole, mai pronunciate. « Ciao Isak, come va? » Si voltò Henrik, sbattendo le palpebre al nome pronunciato. Rimase inebetito per un pò, prima di pronunciare un saluto affrettato e di rispondere al suo come va con cortesia, piegandosi di lato in una risata gentile con il ragazzo che l'aveva scambiato per il fratello. L'idillio si ruppe definitivamente al momento in cui il professor Morgenstern entrò in aula, e cominciò a salutare i ragazzi posando la sua solita borsa contenente libri che spuntavano da ogni angolo visibile sotto le fibbie non chiuse di cuoio, sorridendo all'aula con il suo solito tono affabile. « Ciao ragazzi. Oggi diamo il benvenuto ad un nuovo membro del club che ho scovato io stesso. Vi chiedo di salutare Morgana Byrne e di accoglierla tra noi. » La decina di ragazzi presenti nell'aula applaudì il nuovo ingresso, Henrik si voltò a guardarsi intorno scoprendo che Kos non fosse ancora arrivato quel giorno, e si morse l'incavo della guancia rendendosi conto che il momento era passato e non aveva avuto modo di intervenire chiedendosene il perché.
    Si voltarono tutti a seguire la lezione, con il professor Morgenstern che intavolava la discussione su Dickens e l'ultimo libro che dovevano commentare che aveva portato assieme a lui. Henrik non ci aveva pensato, ma fu allora che guardando il profilo di Morgana si rese conto che su tutto quello su cui avrebbe potuto avere influenza, tutto quello che sapeva in veste di Henrik Havbolger non sarebbe andato bene. Henrik era il ragazzo che non voleva risaltare, che sapeva stare al suo posto, che era intelligente come pochi e usava le sue doti solo per non spiccare troppo e salvarsi quando non era impegnato a passare in secondo piano. Per parlare con Morgana, in quel momento, chi era meglio che fosse presente, Henrik o Isak?

    Edited by wanderer. - 11/9/2022, 18:58
     
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