Just a tiny oversight

Kos x Henrik || Villa Havbølger

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    Con lo skate sotto ai piedi Kos sfrecciava lungo la strada, una mano nella tasca del cappotto e l'altra a reggere un lecca-lecca nella bocca. Era inafferrabile, o almeno così si credeva. Con la testa persa a pensare ai capelli biondissimi di lillemor poco ci mancò che investisse una vecchietta, mancandola di appena qualche centimetro grazie a una sterzata che l'avrebbe potuto mandare k.o. ma non lo fece, costandogli solamente una brutta storta per via dell'atterraggio fortuito mirato a scampare l'uccisione della suddetta signora. «Mi scusi tanto signora, sta bene? » Chiese zoppicando verso di lei, lo skate che intanto continuava di qualche metro la sua corsa per poi arrestarsi con un tonfo contro la vetrina di un negozietto di oggetti dell'usato. I centottanta e passa centimetri di Kos, piegati sui centotrenta circa della vecchietta, facevano pensare l'incontro tra un gigante e un lillipuziano, rendendo dal di fuori la situazione alquanto buffa. Si accertò che stesse bene, («braccia, fronte, min Gud* il femore è integro?»), aiutandola ad attraversare la strada prima di tornare alla tavola, malconcia quasi quanto la sua caviglia, che si stava pericolosamente gonfiando. Di norma non lo faceva mai, gli piaceva assaporare ogni istante di ogni dolce che gli capitava in bocca, ma quella volta con un ultimo morso spezzò il lecca- lecca buttando via la stecchetta di plastica nel cestino più vicino, cercando poi con le dita la sigaretta dietro l'orecchio. Non la trovò. Doveva essergli caduta e la cosa, insieme alla caviglia quasi certamente contusa, rischiò di metterlo di malumore. E ci sarebbero riuscite se non si fosse trattato di Kos, che affrontava la vita cercando sempre di guardare verso il sole e di tralasciare le parti in ombra. La sigaretta? Avrebbe comprato una nuova stecca, tanto neanche le fumava mai davvero: gli piaceva averle lì, dietro l'orecchio o a portata di mano, per ricordarsi di avere il controllo, di poterle privare del loro mortale potenziale; per quanto riguardava la caviglia beh, non era poi troppo lontano dalla sua destinazione, e sapeva che in casa Havbølger c'erano ben più di qualche benda e dell'acqua ossigenata su cui contare. C'erano divani spaziosissimi dove stravaccarsi e infinite quantità di cibo a disposizione, nonché una piscina riscaldata e via dicendo. Insomma, lì si sarebbero presi cura di lui. Non tanto Isak, che alla fin fine, da qualsiasi punto lo guardavi, non era proprio un asso nell'assistere gli altri, ma piuttosto pensava ai domestici e in particolare a Marisol, l'unica di loro intorno alla quale Kos non si sentisse in imbarazzo. Gli aveva sempre fatto un certo effetto, infatti, che nell'enorme villa di Isak vi fossero così tanti dipendenti quando invece, dalle sue parti, una persona in più e la casa sarebbe esplosa. Saltellò su un piede provando su quali dei due fosse meglio sostare e quale invece avrebbe spinto lui e la tavola, finendo per scegliere di darsi la spinta con quello dolorante. Non era il massimo ma se lo sarebbe fatto andare bene.
    E infatti resistette per tutto il tragitto, fino a quando le case cominciarono a cambiare e a farsi più grandi e più separate fra loro, come se insieme all'agiatezza dovesse per forza farsi spazio la solitudine, e quando sostò davanti a casa Havbølger ancora una volta fu proprio quella la sensazione: di una casa enorme piena di cose costose ma vuota di tutto il resto. Vuota d'amore, pensò mentre ne varcava la soglia. Aveva salutato il giardiniere ed era stato accolto da una domestica, ormai lo conoscevano da quelle parti e lo facevano passare senza indugi, ma di Isak o Marisol nemmeno l'ombra. «Isak?» Troppo basso, in quel mastodontico ingresso non l'avrebbe sentito proprio nessuno sussurrare così. Avanzò a disagio, quella parte della casa l'aveva fatto sempre sentire un po' così, come se i suoi capelli rosa, le sneakers e lo skate sottobraccio fossero le cose più sbagliate da avere lì dentro. Sperò tanto che la madre non fosse in casa e nemmeno Gree: per una volta Isak aveva ragione, quelle donne erano fuori di testa. Entrare nel salone fece già un altro effetto, sopratutto perché vi trovò proprio colui che stava cercando. «Santiddio Isak, non mi hai sentito chiamare? » Si lasciò cadere su uno dei due divani, posò lo skate per terra e vi posizionò i piedi sopra muovendoli appena di qua e di là come faceva sempre quando era soprappensiero.« Ti devo dire una cosa, tu intanto tira fuori il libro di letteratura che poi iniziamo a studiare. Inizi a studiare. Devi metterti sotto se vuoi restare nel gruppo, l'ha detto il prof. » Si vedeva che era distratto dal modo che aveva di guardare per aria, verso un punto impreciso nel soffitto. Era candidassimo, neanche l'ombra di una ragnatela, nemmeno negli angoli. Altroché casa sua o la sua libreria. Quella situazione di idillio mentale perdurava in realtà da diverse settimane, da quando aveva per la prima volta posato gli occhi curi su Anastasija Morgenstern. Da quel giorno non ci aveva più capito niente. «Penso di piacerle, sai? Spero di piacerle, perché a me intriga da matti.» Confessò con un sorriso dolce e lievemente imbarazzato Kos, che sdraiato e con la testa reclinata sulla schienale del divano ancora fissava qualcosa nel soffitto perfetto. Aveva già scritto una dozzina di post it su lillemor, piccole note, dettagli che aveva notato come il riflesso del caffè nei suoi occhiali da sole o frasi che le avrebbe voluto dire, prima o poi. «Le cose sono migliorate, ora prendiamo il caffè regolarmente insieme ogni Mercoledì. L'unica cosa è che non mi ha ancora mai visto... pensi sia un problema?» Solo allora abbassò lo sguardo su Isak, o almeno quello che credeva essere Isak. In effetti l'aveva a stento guardato in faccia. Era decisamente troppo distratto. Non immaginava neanche di essersi appena confidato con Henry.
    Maledetti gemelli!

    *"mio Dio" in norvegese

    Edited by Dead poets society - 27/1/2022, 23:31
     
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    Henrik era seduto al suo posto, sulla panca davanti al pianoforte. Non un rumore era percepibile intorno a lui. Il silenzio che avvertiva nella casa era come quello che ascoltava durante la notte, quando si svegliava troppo presto o riemergeva da un sogno inaspettato, e cominciava a vagare nella sua abitazione sentendo il rumore delle ciabatte che sferzavano il pavimento, in un andirivieni mirato a conciliare il sonno. Il programma era di procedere una nota alla volta con tutte le note dell’ottava di mezzo al centro della tastiera del piano, passare poi all’ottava superiore e successivamente a quella inferiore. Era necessario procedere in questo modo proprio per avere una migliore stabilità all'accordatura del pianoforte. Non aveva mai accordato un piano da solo, ma c'era sempre una prima volta a tutto. Non era una cosa che aveva mai sognato di fare - no, neanche nelle sue visioni - perciò l'attività lo stimolava più di quanto un compito banale lo entusiasmasse solitamente. Eppure aveva quasi paura a toccare quei tasti, quasi potesse rendersi partecipe a rovinare il suono del suo strumento. Non c'era quasi nulla che non potesse essere recuperato dopo, anche se avesse fatto un movimento sbagliato, la sua famiglia avrebbe potuto chiamare qualcuno che svolgesse quell'attività di professione, ma lui voleva sentire sua la responsabilità dello strumento, artefice in parte di un pezzetto della sua bellezza.
    Spinse il pedale di destra, posizionò i due cunei adiacenti alla prima corda che cominciava ad accordare. Cominciò dal La centrale, per raggiungere la frequenza perfetta del La a 440 Hz. Si fermò, girando la caviglia in senso orario, rilasciando il pedale ritmicamente e suonando il La. La, la, la. Era troppo basso? Sistemò la frequenza tornando sulla nota, finché non tu troppo alta e dovette calibrarla ancora. Ed ecco il suo La perfetto. Era tanto vicino così ad avventurarsi oltre sulla seconda nota, che avvertì un rumore. Si voltò alle sue spalle, e nel farlo spostò male il piede rilasciando il pedale del pianoforte. La distrazione, il rumore improvviso, gli avevano fatto fare un movimento sbagliato e nel muovere il piede doveva aver perso la frequenza corretta. Ci riprovò. La, la, la. Sentiva la nota stonata, come prima.
    Si guardò intorno nel grande salone della sua casa. Si era immaginato tutto? Nonostante le notti non gli lasciassero molta tregua, il giorno era sempre stato il tempo per sé, e viveva il suo tempo giornaliero lontano dai condizionamenti altrui, o di quelli che gli erano imposti per via del suo potere. Proprio per quel motivo aveva una concezione particolare del tempo che viveva molto più saggia di un ragazzo della sua età: il tempo per lui era fondamentale, non pensava mai che domani fosse un altro giorno.
    Doveva essere stata la porta di casa, che si era aperta e richiusa per far entrare qualcuno dei domestici, se ne convinse con una scrollata di spalle sfoderata tra sé e sé. Perciò si sedette di nuovo, toccando con mano la superficie liscia e lucida della panca sul piano, con l'altra corse ai suoi capelli, in un gesto confuso con cui voleva tornare a raccapezzarsi attorno alla sua piccola impresa. Chiuse gli occhi e respirò una, due, tre volte, fino a sentire di nuovo il nulla, per permettersi di tornare a sentire bene la corda e il suono intonato. Ci riprovò, e stavolta raggiunse l'intonazione che voleva. Si spostò più in là, tornò a sistemare i cunei, e allora gli fu impossibile non sentire il rumore di passi strascicati sul pavimento venire in sua direzione. Rimase immobile, quasi assopito, nel vedere la figura di Kos fuoriuscire dall'arco dell'ingresso della sala, così tanto inaspettato che il cuneo gli scivolò tra le mani e finì oltre le corde, al buio del fondo del pianoforte. Rimase a fissare il suo imprevisto con le mani a mezz'aria finché non fu al centro della stanza, e il ragazzo non si lasciò cadere su un divano, posando il suo skateboard a terra per cominciare a muoverlo con i suoi piedi, da una parte all'altra, sul parquet immacolato di casa Havbolger. «Santiddio Isak, non mi hai sentito chiamare? » Ah. Era per quello che la visita di Kos gli era nuova. Sorrise, con il suo sorriso divertito che entrambi i gemelli concordavano nel vedere più giusto sul volto di Isak, il sorriso delle marachelle. Per lui era una delle associazioni più belle che potessero fargli, essere scambiato per il fratello. Si erano divertiti per anni i due ragazzi a scambiarsi l'uno al posto dell'altro a lezione, da bambini e da adolescenti, finché non erano stati scoperti, e da quella volta avevano dovuto inventarsi mille motivazioni per giustificare di essere davvero chi dicevano di essere ad ogni occasione. All'università Henrik aveva cominciato a farsi crescere i capelli e portarli più lunghi di Isak, poi avevano concordato entrambi che stessero meglio entrambi l'uno il bellissimo riflesso dell'altro, con i capelli portati corti di una lunghezza accettabile da poter essere ancora considerati tali, né corti né lunghi. Qualche volta Henrik era stato distinguibile come il fratello malato, quello su cui era possibile vedere due dita di occhiaie sotto gli occhi e il fisico smagrito e nodoso, tanto da essere recriminato per questo ed essere chiamato da un certo bullo di loro conoscenza - di tutto il suo gruppo - la brutta copia di Isak. « Ti devo dire una cosa, tu intanto tira fuori il libro di letteratura che poi iniziamo a studiare. Inizi a studiare. Devi metterti sotto se vuoi restare nel gruppo, l'ha detto il prof. » Kos era una bella persona. Era così una bella persona che aveva spalleggiato Isak prendendosi i cazzotti anche per lui, solo per difendere l'onore poco integro di Henrik, tanti anni prima. Così buono da tenere ad Henrik per quello che era e a non considerarlo la copia di nessuno. « Ciao anche a te. » Disse, imitando il tono di voce di Isak quando lo si prendeva dal piede sbagliato. Che avesse la testa per aria era palese, probabilmente non aveva neanche visto che Henrik - o chi per lui - stesse armeggiando vicino al pianoforte - che non era mai rientrato negli interessi del gemello a dirla tutta. Aveva preso a fissare il soffitto e a lanciare sguardi assorti, pensoso e chiacchierone, con un bel sorriso stampato sul volto grandissimo sotto gli occhi scuri allungati e felici. « Tanto per iniziare il libro lo tiri fuori tu, io l'ho lasciato in armadietto. » Lo canzonò sornione, proprio come aveva visto fare al fratello. Quante volte Isak avesse lasciato i libri sotto l'armadietto non lo sapeva più, adesso che studiavano in corsi diversi, ma non era assolutamente impensabile immaginare il fratello lasciare parte dei suoi possedimenti in giro, lo faceva sempre anche con oggetti di relativo valore, figurarsi un libro di testo. Si sedette sull'altro divano grigio, il divano lungo ad elle, calciando le scarpe poco più lontano da loro e sdraiandosi direttamente sul lato lungo, con le braccia dietro la testa e le le gambe per aria, divaricate, una a raggiungere il grembo del povero Kos. Sì, glielo aveva già visto fare parecchie volte, non era difficile immaginare che tormentasse in maniera amichevole l'amico anche per quel giorno. « Ok, raccontami. » Sussurrò, accomodando meglio la testa sul cuscino dietro di sé. «Penso di piacerle, sai? Spero di piacerle, perché a me intriga da matti.» Questa gli era nuova. Non sapeva che Kos stesse vedendo una ragazza, non ricordava che fosse stato più con nessuna dopo esser stato con Izzie. Amavano tutti quella ragazza, era stato difficile per loro pensare di immaginare Kos con qualcun altro, anche perché tutti loro continuavano a frequentare Izzie nel loro gruppo - era piuttosto difficile evitarla, era esuberante e carismatica, un Isak al femminile, impossibile da ignorare. Era stata lì a casa loro il giorno prima, Gree non ne avrebbe mai fatto a meno che fosse o meno la ragazza di Kos. «Uhm. Come è che hai detto che si chiama?» Abbozzò, dubbioso. Non sapeva se suo fratello avrebbe potuto mai tenere a mente il nome della ragazza o fosse già suo conoscente, ma da come ne parlava poté intuire che nessuno di loro l'aveva mai vista - e questo confermava perché non avesse sognato Kos con nessuna nuova persona e fosse tutto un mistero, anche per il destino che gli capitava spesso di incontrare nella notte, mostrargli pezzi del futuro dei suoi conoscenti. «Le cose sono migliorate, ora prendiamo il caffè regolarmente insieme ogni Mercoledì. L'unica cosa è che non mi ha ancora mai visto... pensi sia un problema?»
    Kos incrociò il suo sguardo, con la testa spostata proprio in sua direzione, aveva abbandonato il soffitto per guardare davvero lui, e Henrik aggrottò lo sguardo, alzandosi seduto con le mani sul bracciolo della seduta del divano. Non lo sapeva, ma in quella espressione così naturale era in realtà identico ad Isak, perciò non aveva importanza che avesse scordato di stare ad impersonare lui, perché si accigliò alla stessa maniera, sbattendo le palpebre vicino al viso di Kos lo guardò in tralice, e si fermò. «Come fate a prendere il caffè insieme senza vedervi?» Sbottò, perplesso. Che stesse parlando di una realtà virtuale gli sembrò difficile ma non era da escludere. Immaginava Kos una persona più romantica nel senso proprio del termine, gli sembrava inusuale che si stesse accontentando di fare sosta caffè con una ragazza appoggiandosi al web, ma forse si sbagliava, questa persona doveva piacergli tanto da potergli permettere di esporsi in una maniera diversa. Se avesse dovuto permettersi di esprimere una probabilità, non avrebbe stimato che la relazione con Izzie lo avesse turbato tanto da cercare appoggio a vie differenti, ma poteva sbagliare anche lui.


    Izzie* potrebbe essere temporaneo vediamo ahahha
     
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    Incapace di concentrare attenzione e pensieri su altro che non fosse Anastasia e il ricordo del loro ultimo incontro, Kos non fu neanche vicino a notare che avesse sbagliato gemello, per altro cosa stranissima per lui, a cui di solito veniva facile prestare molte attenzioni a chi gli stava di fronte. Onestamente? In quel momento nella stanza avrebbe potuto esserci Margot Robbie in persona- crush atomica di sempre - e non se ne sarebbe neanche accorto, Kos, che con la testa rivolta al soffitto lasciava dondolare la mente al ritmo dello skate quasi ne seguisse l'andamento irrequieto. Uscito dalla sola vera relazione che avesse mai avuto, solo recentemente il ragazzo dai capelli rosa si era buttato nel pericolosissimo mondo del dating, trovandolo a dir poco eclettico e prendendo da esso varie spunti di discussione per le sue nottate da sonnambulo radiofonico. Nell'ultimo anno infatti gli era capitato di tutto, dalla ragazza che al primo appuntamento l'aveva invitato a conoscere mamma papà e nonna, alle amiche che allo speed dating si erano presentate insieme. Era bello così il mondo, vario e grandissimo; ed era ancora più bello viverlo in un'epoca e un'età in cui riuscivi comunque a sentirtelo nel palmo della mano, con i confini stretti tra pollice e mignolo. Per un attimo la mente sfiorò il ricordo di Izzie. La rottura non era stata una passeggiata anzi, per un po' di tempo l'aveva vissuta con il malumore a far da cielo ad ogni nuova giornata e i pensieri cupi a sbiadire quel sorriso che tutti credevano incancellabile. È che l'aveva amata, a un anno di distanza ne era ancora sicuro. Sapeva che ce ne sarebbero state altre, l'amore era per Kos quel "che move il sole e l'altre stelle", ma era stata la prima e l'unica fino ad allora e, per questo, indimenticabile. Sapete le classiche storie che nascono tra i banchi del liceo e finiscono tra le aule universitarie quando il mondo cambia, il tuo modo di vedere il mondo si evolve e tu, pur restando quasi lo stesso, diventi qualcun altro? Ecco, erano loro: un super classico. E come tutti i cliché anche loro erano finiti, concordando che ormai non si arricchivano più l'uno con l'altra e che forse era meglio restare amici. Quella era stata la parte più difficile, quella a cui stavano ancora lavorando: come si è amici con qualcuno che si ha amato? È possibile? Ne avrebbe sicuramente discusso in una delle puntate del suo show, se solo una di quelle notti avrebbe preso il coraggio di aprirsi sulla questione. Per ora restava nella sua testa e stava a lui cercare una risposta senza l'aiuto da casa. La voce sfacciata di "Isak" fu lo strappo che ci volle per riportarlo al presente, abbassare lo sguardo e osservare l'amico con interesse. «Ok, raccontami? » Ripetè stranito. Che praticamente lo smorzasse sui libri con la scusa di averli lasciati a scuola non era una novità, pensò mentre nella mente cercava di acchiappare il ricordo dell'ultima volta che Isak avesse usato i suoi volumi ma non ci riuscì. Seconda o terza liceo, forse, non poteva esserne sicuro, ma che accettasse senza borbottii, occhi all'indietro o battute maligne di starlo ad ascoltare ecco, quello si che era strano. Accavallò la gamba sull'altra e strinse le labbra. Forse aveva litigato con Gree. Si, doveva essere per questo che era fuori fase. Un giorno si giuravano amore eterno e l'altro lo passavano a rincorrersi come cane e gatto, non li avrebbe mai capiti davvero. Si passò una mano fra i corti capelli tinti di rosa, avrebbe lasciato perdere l'argomento. «Sei veramente impossibile.» Sbottò di slancio mentre le dita continuavano a grattare la nuca rasata, il piede che spingeva lo skate per toglierlo di mezzo e dedicarsi a far ondeggiare l'altro polpaccio, ancora accavallato. Non si ricordava neanche il suo nome o faceva finta, in entrambi i casi era tipico Isak. «Non so davvero come ho fatto a farmi incastrare in quella sfida da te, però...» Staccò finalmente il palmo dalla testa, anche i pochi capelli che aveva bisognavano di una tregua. «Devo ammettere che senza non so se avrei mai neanche pensato di poter avvicinare una come Anastasia. Quindi, in un certo senso, grazie Isak per essere il solito stronzo di sempre.» Gli sfoderò uno dei suoi sorrisi migliori, largo e da bella presa in giro, dondolando la testa sul collo per poi lasciarsi trascinare ancora una volta dall'invisibile spinta che lo portava a guardare verso l'alto con aria trasognata. Era successo a una delle cene in cui il gruppo di "poeti" si riuniva a scadenza regolare per parlare di politica, letteratura, attualità e ovviamente poesia di fronte a un pasto sostanzioso e fin troppo vino disponibile. Era lì che l'aveva vista per la prima volta, accompagnava il professore come fossero parenti o amici di vecchia data e quando l'aveva presentata tutte le teste di erano rivolte verso di lei. Quella rosa di Kos era girata dalla sua parte dal primo momento in cui aveva fatto ingresso, rigida e con l'aria di aver sempre qualcosa di maleodorante sotto al naso. Gli era piaciuta da subito ed era rimasto ad osservarle le guance per tutta la serata, immaginandosi come doveva essere sfiorarle con i polpastrelli. E a quel punto la voce di Isak era giunta come se lo stesso richiamando dalla terra con quella sfida ridicola e insensata che, forse per spirito di rivalsa, Kos aveva finito con l'accettare piuttosto in fretta. Forse c'entravano dei soldi, non lo ricordava, ma sapevano che non erano quelli a interessare l'amico - che di soldi ne aveva persino troppi. No, quel che Isak faceva era per puro intrattenimento e Kos avrebbe dovuto saperlo, lo sapeva, ma aveva accettato comunque: l'idea di conoscere Anastasia valeva la pena di non pensare alle conseguenze, di solito disastrose quando ci si metteva di mezzo Isak. E sotto quella spinta Kos l'aveva avvicinata, desideroso più che mai di provare all'amico che si sbagliava, poteva riuscire a conquistare una donna bella e fatta come lei. Il guaio, e avrebbe dovuto prevederlo, è più la conosceva, più voleva saperne di più, era come se le informazioni che sbottonava a fatica non bastassero comunque mai. Era incantato. «Come fate a prendere il caffè insieme senza vedervi?» Fu a quel punto che qualcosa lo turbò tanto da fargli abbassare lo sguardo ancora una volta, la stessa sensazione di prima a lambirgli le sinapsi del cervello come a volergli suggerire qualcosa di ovvio che però ancora non vedeva. Toccò a lui crucciare fronte e sopracciglia con gli occhi scuri puntati in quelli chiarissimi dell'amico. C'era qualcosa che...«Sei strano oggi, non è che...» Le parole collassarono a metà strada. Aveva afferrato cosa ci fosse di sbagliato in tutta quella situazione e glie lo si lesse nello sguardo. «Dannati gemelli omozigoti...» Sussurrò incredulo. Dopo un secondo di immobile stasi Kos scavallo le gambe per staccare la schiena dal divano e buttare il peso del busto in avanti, i gomiti affondati nelle ginocchia ossute e in faccia uno sguardo indecifrabile, quasi trionfante. «Henrik, non è vero? » Tese un braccio in avanti per spingere la gamba dell'amico con impeto. A smascherarlo era stata proprio quell'ultima domanda. Henrik non poteva saperlo ma, quando Kos aveva accettato la sfida, la prima battuta che il gemello aveva fatto era stata proprio: "se vinci è solo perché stai tentando di sedurre una cieca. E anche con questo vantaggio il se è grosso come una casa." Tra tutte le cose a cui Isak poteva non prestare alcuna attenzione quella gli sarebbe rimasta impressa, Kos ne era certo, anche solo per le prese in giro che poteva riversargli addosso. Con i palmi premuti contro le tempie Kos scuoteva ancora la testa, anche se un sorriso incredulo gli storpiava già metà viso. «Questa è una vera mossa alla Isak, non dirmi che è riuscito a corrompere anche il tuo cuore? Eri la mia ultima speranza.» Sghignazzò lanciandogli un cuscino in faccia.
    Incredibile, davvero incredibile.
     
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    Il rumore delllo skateboard di Kos sul pavimento rimase ad aleggiare tra loro, lì a cullarli per un pò, gli piacque così tanto da fissarcisi, come faceva di solito Henrik quando si ritrovava ad ascoltare i suoni ripetuti, ad incantarsi su dei rumori perpetui tanto da concentrarvisi e perdersi in essi. Era fatto così. Lo si poteva osservare talvolta dal di fuori, imbambolato per molto tempo, a portare la sua attenzione su un qualcosa dimenticandosi del contesto attorno. Così steso sul divano grigio restò con un piede penzoloni oltre il bordo, nel vuoto, e uno per metà addossato al povero Kos, ignaro della beffa che il gemello buono gli stesse tirando. Come non tutti sapevano, il lato insolito di Henrik consisteva proprio in quello, nell'essere restio a compiere passi troppo scontati agli occhi degli altri, nel muoversi nell'ombra lontano dalla pazza folla, e dar meno credito di quello che in realtà fosse lui per davvero, nel bene o nel male. Tra i due era Isak a beccarsi sempre i rimproveri da Marisol, per aver lasciato indumenti a casaccio in giro per casa, per non aver rispettato gli impegni presi, per non essere stato puntuale all'unica cena che da anni a quella parte riuscivano a organizzare alla presenza di loro padre, quando non era troppo impegnato ad andare in giro per lavoro, o a dare priorità a tutto fuorché la sua famiglia. Ma qualche volta aveva dato grane anche Henrik, non certo soltanto perché erano tutti spaventati per la sua salute, qualche volta il ragazzo perfetto sbagliava anche lui, o combinava qualcosa di insolito, e allora cambiava tutto. Ma era difficile rendersi conto che ne fosse capace dall'esterno, senza conoscere davvero lui. Ridacchiò senza girarsi completamente verso Kos, convinto di poter essere scoperto se si fosse azzardato a voltarsi troppo vicino al ragazzo. Guardò la sua espressione colpita, Kos sembrò disorientato alla richiesta di una spiegazione alla storia che gli stesse raccontando. O Isak doveva saperne molto di più sulla vicenda, oppure era innaturale per Kos dover sentirsi chiedere di più da lui, ma per quanto fosse stupito e cominciasse ad incuriosirsi sulle cose che non sapeva, Henrik non voleva forzare troppo la mano all'amico. Lo osservò grattarsi la testa, e stava quasi per rivelargli che fosse proprio lui, Henrik, che poteva lasciar stare e raccontargli quando gli pareva quello che avesse voluto, ma poi cambiò idea quando Kos riprese a parlare, rimase rapito dalla sua frase e dal modo in cui lo vide arrovellarcisi su grattandosi la nuca sui capelli rosa. « Lo so. » Sentenziò, in risposta alla sua affermazione, e in effetti in quel momento voleva rispondere anche lui quanto i gemelli fossero nella loro identità veramente impossibili, entrambi, e non solo Isak, ma anche lui, che in quel momento faceva viaggiare la sua fantasia sull'oggetto dei desideri di Kos chiedendosi chi fosse la misteriosa ragazza. Qualcosa nel nome che aveva pronunciato non gli fece presagire nulla di buono, e in effetti si rese conto presto del perché. Il nome ad Henrik era conosciuto solo per un motivo, perché l'unica Anastasija che aveva conosciuto era la cognata del professor Morgenstern, e il fatto che avesse lasciato intendere che fosse una relazione che non aveva mai pensato di approcciare senza la spinta di Isak la diceva lunga.
    Ma si interruppe in fretta l'idillio, il viso trasognato di Kos tornò alla realtà non appena Henrik pose la domanda più giusta per l'occasione, facendo presente come fosse impossibile che prendessero il caffé insieme senza potersi vedere, e poi ci volle un attimo anche ad Henrik per ricordare la condizione della donna a cui non aveva poi dato chissà quanta della sua attenzione. « Eh già sono proprio io. » Annunciò, non sapeva neanche quanto fosse fiero in effetti, ma sicuramente divertito con una espressione a metà tra il sentirsi in difetto e una parte pronta a ridere alla rispettiva espressione turbata di Kos. « Hai ragione, non ho resistito. Ogni tanto ci piace ancora cambiare. » Aggiunse, mostrandogli un sorriso tutto denti, mentre si riprese la sua gamba vicino al petto dopo che l'amico l'aveva spostato di dosso reagendo alla stizza dell'imbroglio. Oramai i gemelli si scambiavano molto meno di posto rispetto al passato, ma era una attività che continuavano a fare, seppur molto di rado, qualche volta tentavano di scuotere i genitori con azioni particolari, forse ancora per cercare di attirare la loro attenzione quando sembrava che tutto quello che ottenessero fosse solo essere lasciati al caso. Erano pur sempre due ragazzi, per quanto adesso facessero più caso ai loro capricci che alle richieste verso i coniugi Havbølger. In università avevano ruoli diversi e avevano preso ognuno la propria strada, ma quando si scontravano con colleghi e vecchi compagni di scuola era capitato che entrambi avessero assunto i profili del gemello contrario quando non volevano essere trascinati in chiacchiere non richieste.
    « Ho ancora un cuore buono, mi sdebiterò, promesso. » Biascicò, evitando il cuscino per metà, avvertendo troppo tardi tra le labbra il fastidioso sapore del tessuto spiaccicato sul viso, mentre Kos gli rispondeva giustamente all'offesa ricevuta reclamando risposta delle sue azioni. A Henrik ci volle un attimo di più per riprendersi e riprendere un sapore gradevole tra lingua e palato. « Già che ci siamo.. intendi davvero Anastasija Morgenstern? » Scosse i capelli, passandosi la mano tra i riccioli castani. Pensò alla donna che ricordava dagli incontri dei dead poets society, lui era arrivato da meno tempo di Kos e l'aveva scontrata una volta sola in occasione di un invito posto dal professore. Non doveva averlo colpito così tanto da fissare troppo la sua attenzione su di lui, forse era stato preso da una lezione importante del corso che aveva reclamato tutto se stesso, mente ed anima, da averlo fatto deconcentrare.
    « Che strano... mi sembra di averla sognata tempo fa, adesso non ricordo, ricordavo di averla già vista quando l'abbiamo incontrata... ma io non ricordavo che non vedesse. » Si impuntò, ripetendo nella mente il momento in cui l'aveva incontrata, e lo sovrappose a quello che cercò di ricordare nella sua memoria. Henrik aveva visto Anastasija senza averla guardata con i suoi occhi, il suo potere poteva permettergli di scorrere qualcosa delle persone che lo circondavano, spesso le immagini raccontavano di vicende che non avevano alcun impatto su di lui, ma sulle persone che gli erano accanto. Guardò Kos cercando i suoi occhi verdi, diverse dalle iridi di Henrik, che lo misero a fuoco assottigliando il loro sguardo, proprio quando Henrik cominciava a pensare sul serio e guardava dritto in faccia a problemi molto complicati come poteva essere immaginare dati multivariati e trovarci una misura di concordanza per poterli guardare in prospettiva. Aspettò, perché non voleva affrettare le domande all'amico, a cui voleva davvero bene e voleva sembrare tutto in quel momento fuorché irrispettoso dei suoi sentimenti. Si strinse le gambe vicino al petto, rannicchiandosi seduto sul divano e poggiando la schiena allo schienale, cominciò piano a chiedergli per davvero come stessero le cose. « Kos, se non vuoi parlarmene stai tranquillo, ho improvvisato uno scherzo. Ma se vuoi posso sforzarmi di ricordare per te. » Glielo disse senza essere esplicito, Kos avrebbe capito sicuramente dopo un piccolo incoraggiamento. Il potere di Henrik andava al di là di ogni potere inteso come semplice, e le decisioni che poteva prendere nel rivelare quello che poteva vedere influenzavano la sua vita enormemente. Se poteva preferiva evitare di dare informazioni spiacevoli alle persone che gli volevano bene e a cui lui teneva, ma in quel momento sentì di poter chiederlo direttamente a Kos, che poteva raccontare qualcosa di più a lui rivelando forse qualcosa che era già nella mente di Henrik ma doveva essere messo assieme, tessere del puzzle di cui doveva ancora combaciare gli spigoli.
     
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3 replies since 10/1/2022, 21:42   133 views
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