This sunset lamp is the murder weapon

Emma x Sirius | 5 gennaio 2022 | tarda mattina

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    Emma Walsh
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    Un altro anno era appena trascorso ed Emma, come sempre, si rifiutava di fare un bilancio dei suoi 12 mesi appena passati. Sapeva già la risposta: pessimi. Se proprio voleva essere sincera, almeno con sé stessa, doveva convenire col fatto che l’anno appena trascorso era decisamente migliore di quelli trascorsi in passato, da quando colui-che-non-deve-essere-nominato le aveva spezzato il cuore per sempre. Ecco si, se Emma avesse riacquistato almeno la metà della positività che l’aveva sempre contraddistinta, si sarebbe affacciata al nuovo anno con uno spirito diverso da quello che l’accompagnava ormai da un bel po’ di tempo. Non che fosse una musona, questo mai, ma doveva ammettere che qualcosa in lei si era incrinata da tempo e adesso doveva imparare a convivere con la nuova sé stessa. A farsi carico inconsapevole di questa nuova Emma è il suo frequentante Damien, troppo definirlo un compagno o una dolce metà, ma è sicuramente qualcuno che lei riesce a tollerare al suo fianco. Damien ha su di sé le stranezze e la freddezza che in Emma è stata provocata in precedenza sempre da colui-che-non-deve-essere-nominato. Per quanto si sforzasse ad eliminarlo dalla sua vita, era incredibile come sua azione e suo pensiero fossero messi in atto riservandogli sempre un pizzico di amarezza e di rabbia. Non voleva, Emma. Non voleva che quell’uomo fosse ancora in un angolino del suo cuore e la osservasse con un sorriso beffardo ogni qualvolta tentava di divertirsi o di voltare pagina, non voleva essere così debole dinanzi ad una delusione d’amore che, in tutta sincerità, non era né la prima e né l’ultima persona che affrontava una cosa del genere sulla faccia della terra. Non aveva alcuna esclusiva, sua sorella Tess, dopo averla vista soffrire per mesi e mesi ad un certo punto le ha detto di smetterla, basta lacrime, basta dolore, doveva tornare alla vita. Ed Emma non poteva darle torto. Tess le era stata accanto durante uno dei peggiori momenti della sua vita, ma proprio per questo si era stufata di vederla sempre chiusa in casa, con un muso lungo e gli occhi pieni di lacrime.
    Il trasferimento a Besaid, però, non segnava il suo ritorno alla vita. Si era spostata da Dublino a quella cittadina norvegese solo per seguire Damien nel suo nuovo lavoro. Emma si era trascinata fin lì un po’ come l’impeto del mare trascina le pietruzze che riposano inermi sulla riva. Non era sicura di quel trasferimento, ma era lì, quasi apatica ad ogni avvenimento che la circondava. Era un po’ come se si fosse rassegnata alla vita, doveva vivere perché questa era la regola, ma non aveva alcun entusiasmo. Di conseguenza la Emma di ora, la sua allegria, è solo una pallida copia di ciò che era in passato. In pochi riuscivano a cogliere questa differenza, era impercettibile. Si trattava dell’assenza del solito luccichio nei suoi occhi, delle sue battute sagaci che avevano lasciato il posto a frasi di circostanza. Erano piccole cose che solo suo padre e sua sorella potevano notare.
    Lasciandosi trascinare con l’inerzia che ormai la contraddistingueva, Emma si era recata in un negozio per la casa, lì a Besaid. C’erano ancora tante zone della città a lei sconosciute, oltre al fatto che l’appartamento in cui abitava con Damien era troppo spoglio per i suoi gusti. In casa c’erano ancori scatoloni del trasloco pieni, sia lei che Damien erano già troppo presi dal lavoro e trovare un po’ di tempo per svuotarle era diventata un’impresa. Emma, però, aveva comunque bisogno di qualcosa che personalizzasse il suo spazio, che rendesse quella casa più sua. Non sapeva cosa cercava, i suoi obiettivi ben definiti si erano annebbiati dopo l’avvento di colui-che-non-deve-essere-nominato, in egual maniera non sapeva come diamine arredare il nuovo appartamento. Aveva girato per gli scaffali del negozio, aveva preso in mano, osservò e poi lasciò al proprio posto padelle, candele, strani aggeggi per impastare la pizza in maniera facile e veloce, poi la sua attenzione era stata attirata da una lampada che illuminava la stanza con la luce del tramonto. La prese, sempre per un motivo a lei sconosciuto. Avrebbe comprato quella lampada, senza sapere nemmeno dove l’avrebbe messa. Si stava dirigendo a pagare l’aggeggio del tramonto, quando si fermò dinanzi ad un uomo. «Sirius?» Colui-che-non-deve-essere-nominato e lei lo nominava. La coerenza. Non era sicura fosse lui, poteva essere un modo strano in cui il ricordo dell’uomo la perseguitava anche lì a Besaid, per questo col dito indice gli puntellò il braccio, come ad assicurarsi che fosse il suo peggiore incubo in carne ed ossa. «No, non sei reale.» Scosse la testa quasi affranta, sconsolata, perché Sirius non era scomparso sotto il tocco del suo dito indice ma era ancora di fronte a lei, ben saldo. Se voleva prendersi la sua vendetta quello era sicuramente il momento giusto per tirargli in testa la lampada del tramonto.

    non ho riletto ma il no sense mi ha soddisfatta :fiore:
     
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    Era stato un attimo, veloce ed indolore, un attimo fatale che aveva ridotto in pezzi l'antico vaso che invece avrebbe dovuto portare in salvo. Era stato un errore farsi il caffè nella tazza di Bella, un colossale errore che gli era costato mezz'ora di recupero cocci a cui si era aggiunta anche un'altra mezz'ora nel tentativo di rimettere insieme ogni pezzo. Un'operazione totalmente inutile, nemmeno a dirlo. Con un sospiro, Sirius aveva gettato tutto, pulito il pavimento ed eliminato le prove del misfatto: non sapeva quanto sua sorella tenesse a quella tazza - sperava poco - ma sapeva che avrebbe dovuto pensare al peggio e tentare di riparare il riparabile. Indossò un maglione, un paio di jeans ed una giacca che lo tenesse al caldo dal freddo di quella giornata e poi si diresse verso la porta di casa, iniziando a pensare a dove effettivamente potesse trovare una tazza simile, se non identica. Non faceva mai grandi spese, anche perché non avendo un vero e proprio lavoro si sentiva quasi sporco a sperperare tutto il suo denaro: la maggior parte di ciò che aveva era da imputare al periodo in cui effettivamente aveva lavorato, periodo durato troppo poco ma che gli aveva permesso di metter da parte qualcosina che di tanto in tanto gli tornava utile.
    Ok, mi pare che in centro ci sia un negozio piuttosto fornito. Sì, dovrebbe essere di fianco alla tabaccheria. pensò fra sé e sé, mentre camminava a passo svelto. Sirius aveva l'abitudine di ripassare le cose prima di farle, l'aveva sempre fatto, era sempre stato piuttosto preciso in ciò che faceva: queste sue caratteristiche probabilmente l'avrebbero reso un buon medico qualora se ne fosse dato la possibilità ma ormai, chissà, c'erano troppe cose che erano cambiate e troppo a cui pensare.
    La chiacchiera con Sibylla di qualche tempo prima aveva introdotto un piccolo tarlo nella sua testa: stava davvero facendo dei sacrifici? Quello che aveva era davvero ciò che gli bastava o si stava precludendo la possibilità di esser felice? Nella sua testa conosceva già la risposta ma sapeva ch'era più facile mentire a se stessi, accontentandosi di ciò che si ha e continuando a punirsi per qualcosa di cui, in effetti, non si ha nemmeno colpa. Erano... quanti? Dieci? Quindici? Erano passati davvero troppi anni da quando aveva smesso di pensare e farsi domande di quel tipo, forse per esser più felice. La sua vita non era poi troppo distante da quella di un tempo se non considerava l'assenza di una carriera da medico, le messe ed i suoi bizzarri abiti da lavoro. Era sempre lo stesso Sirius, ma con un colletto bianco ed una tunica.
    La vetrina del negozio non aveva tazze: Mi tocca entrare? si chiese, spingendo lo sguardo un po' più in là, vedendo di fianco a delle grosse teiere in vetro un'intera parete con delle tazze. A quanto pare sì. Si avvicinò alla porta a vetro che segnava l'ingresso, attivando la fotocellula che ne permise l'apertura: c'erano oggetti a perdita d'occhio, alcuni di cui non conosceva nemmeno l'utilità. La gente tendeva a riempirsi le case di oggetti, quasi come a voler riempire il vuoto che spesso era presente nelle loro vite: un pensiero triste ma col quale - purtroppo - Sirius non poteva che concordare. Senza degnare di troppe attenzioni tutta quella miriade di cianfrusaglie, decise di andare direttamente al sodo, cominciando a cercare una tazza che fosse simile a quella di sua sorella: aveva scattato una foto ai cocci, sperando di ritrovarne una che fosse quantomeno simile. Detestava quando gli altri toccavano le sue cose ed eccolo lì a rimediare ad un errore che lui stesso biasimava agli altri.
    Fortuna tuttavia volle che riuscisse proprio a trovare la stessa identica tazza: la sua giornata era salva. Recuperò la scatola e si diresse verso la cassa, rendendosi conto di non sapere in realtà dove diavolo fosse. Era uno di quei negozi in stile IKEA, quelli per cui devi fare tutto il giro - obbligato - prima di poter davvero pagare. Fu durante la ricerca dell'uscita che, di fianco ad un grosso cesto pieno di peluche, si ritrovò immobilizzato. Erano anni che non si ritrovava faccia a faccia con Emma, da quando era successo quello che era successo. L'indicibile, quello che non sarebbe mai riuscito a perdonarsi. Il volto di quella ragazza attraversato da mille emozioni era un ricordo indelebile che di tanto in tanto tornava a fargli visita persino in sonno: non poteva dimenticare quello che le aveva fatto né tantomeno, purtroppo, poteva tornare indietro o cambiare scelta. Era stato per lei quanto per lui un fulmine a ciel sereno e forse anche per questo aveva scelto di lasciare tutto, di lasciarle i suoi spazi e permetterle di andare avanti nel posto che più considerava come casa, nella loro Irlanda. Non avrebbe mai potuto mai nemmeno immaginare che lei potesse varcare la soglia di un negozio a Besaid: perché era lì? Era in vacanza? E come ci era arrivata? Avrebbe voluto chiederle tutto, ma il suo dito che tamburellava sul suo braccio gli suggeriva che forse era meglio non bombardarla di domande. «Sono reale.» disse solo, con gli occhi in quelli di lei, ben più magnetici dei suoi: gli erano sempre piaciuti e, più di tutto, del suo viso gli era sempre piaciuta la fossetta che si creava attorno alle labbra quando sorrideva. A guardarla in quel momento, si chiese se gli sarebbe mai stato concesso di poter rivedere quel sorriso rivolto verso la sua direzione: era troppo da chiedere.
    «Che ci fai qui?» chiese, avendo un attimo di dubbio nel porle quella domanda. L'ultima volta che l'aveva vista era con un uomo, gli era sembrata felice, non forse come quando stavano insieme, ma felice tutto sommato. La loro storia, per quanto sopra le righe e disastrata alle volte, era fra i suoi ricordi più preziosi e sapeva che anche per lei doveva esser lo stesso. Forse l'odio che provava per lui era riuscito ad annebbiare anche quella bellezza? Possibile, alle volte le persone lo fanno. Si lasciano andare ai sentimenti e non sanno più distinguere il bello dal brutto. «Come stai?» le chiese, sperando di cuore che non lo mandasse a fanculo, reputando purtroppo molto papabile quell'ipotesi. Alle loro spalle tuttavia c'era una donna che non aveva per nulla a cuore quella conversazione, che con un colpo di tosse aveva iniziato a batter le unghie smaltate sul bordo del grosso carrello che aveva, nella trepidante attesa che smettessero di ciarlarle dinanzi: «Scusi... Emma, se ti va possiamo parlarne fuori, magari dopo aver pagato queste cose.» fece, indicandole la cassa con l'indice ed avviandosi verso quest'ultima con evidente soddisfazione della donna alle loro spalle. Per certi versi era decisamente meglio uscire da lì prima di fare scenate strane che, sperava, non ci sarebbero state in ogni caso.
    Pagò rapidamente, infilò in una busta la tazza senza farsela incartare ed uscì dal negozio, facendo un passo verso il tabacchino che stava lì vicino: prese il primo pacchetto di sigarette disponibile, lasciò lì il pezzetto di plastica che lo chiudeva e se ne portò una alle labbra, accendendosela una volta fuori con un accendino comprato proprio per l'occasione. Si sedette su una panchina esattamente di fronte al negozio da cui era uscito e si volse a guardare la donna che, con la sua lavalamp in mano, lo guardava a sua volta: «Ti trovo bene comunque.» le disse soltanto, lasciando fluire un pensiero sincero dalle sue labbra, piuttosto convinto che lei l'avrebbe trovato persino offensivo. Il tempo passava ma ferite come quelle, purtroppo, non smettevano mai di bruciare del tutto.

    Edited by Nana . - 8/2/2022, 00:36
     
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    Se qualcuno le avesse detto che a Besaid avrebbe rivisto Sirius, Emma non ci avrebbe mai creduto. Insomma, quante probabilità c’erano che lei si trasferisse in una cittadina sconosciuta della Norvegia e qui trovasse proprio il suo ex che l’aveva fatta soffrire? Zero. Zero probabilità. Eppure sembrava che al destino piacesse accanirsi in maniera particolare proprio con lei, evidentemente pensava che il suo cuore non era ancora abbastanza spezzato. In realtà il periodo dell’assoluta tristezza era ormai passato da un pezzo, Emma aveva versato lacrime che, una volta asciutte, avevano lasciato spazio solo ad una rabbia mai espressa. La cosa peggiore, assurda, fuori da ogni senso logico, era che quell’incontro stava avvenendo in un anonimo e tranquillissimo negozio della casa. Tra cucchiai di legno, vasi per piante e bicchieri in vetro soffiato colorato, Emma aveva incrociato lo sguardo di Sirius. «Sono reale.» E se prima a lei sembrava che il meteo della sua anima fosse un po’ nuvoloso ma tollerabile tutto sommato, a quelle parole si scatenò un temporale. Non sapeva dire quanto tempo avesse impiegato a reagire dopo quella scoperta, Emma sapeva solo che dentro di sé si divise in due, da una parte voleva buttare la lampada sulla testa di Sirius con tutta l’intenzione di fargli molto male, dall’altra poteva approfittare di quell’occasione per insultarlo. Vi era anche una terza possibilità, e cioè andare via ed ignorarlo, ma non sarebbe egualmente soddisfacente. Almeno non per lei. Strabuzzò gli occhi quando l’uomo le domandò cosa ci facesse lì. E non sapeva se intendesse cosa ci facesse lì in quel negozio o cosa ci facesse a Besaid, ma in qualsiasi caso avrebbe inteso male una generica domanda di Sirius solo per il gusto di dargli contro. «Cosa ci faccio io qui? Cosa ci fai tu qui! Non dovresti essere rinchiuso in qualche monastero intento a pregare per te, per me, per tutti?» Nonostante non stesse urlando come avrebbe tanto desiderato fare, era impossibile non avvertire una scintilla di fastidio nella voce di Emma. Chiaramente si stava trattenendo a fatica dall’urlare improperi contro l’uomo che le aveva spezzato il cuore, dimenticando tutti i suoi buoni propositi, e cioè che all’epoca aveva reagito molto male e non aveva chiesto a Sirius nulla, niente di niente, su quella sua vocazione. Ignorò la domanda seguente su come stesse, serrando la mascella. Non voleva veramente rispondere a quella domanda, dopotutto era evidente come stesse: confusa, arrabbiata, probabilmente se sua sorella Tess l’avesse vista in quel momento le avrebbe consigliato di chiudersi in un centro psichiatrico. «Immagino tu sia tanto benevolo da non prendertela se non ti faccio la stessa domanda.» Continuò a parlare trattenendosi come se da lì a poco avesse scatenato un uragano, mentre si spostò verso la cassa perché ci mancava solo la signora che aveva fretta in quel momento! Fece un profondo respiro perché da qualche parte aveva sentito dire che quel genere di cose contribuivano a calmare i nervi e a rilassarsi. Una grandissima bugia. Emma aveva ancora intenzione di rompere la lampada sulla testa di Sirius e l’unica cosa che la tratteneva dal farlo era solo quel briciolo di buon senso che le era rimasto dopo la rottura della loro relazione. «Tenga pure il resto.» Fece un sorriso sfuggente alla cassiera, mentre pagava quella lampada che adesso non sapeva più nemmeno perché mai le era venuto in mente di comprarla. Uscì dal negozio, cercando con lo sguardo Sirius che era uscito prima di lei. Emma lo guardò e pensò che quel giorno avrebbe fatto meglio se fosse rimasta a casa sua. «Ti trovo bene comunque.» Chiuse gli occhi e li riaprì, sentendo il fumo della sigaretta di Sirius che le invadeva le radici. Non voleva fare una scenata, quindi strinse i pugni, mentre in una mano teneva quella benedetta lampada.
    Quella era la resa dei conti, non voleva perdere quell’occasione facendo l’isterica, dopotutto quel tipo di atteggiamento non le era mai appartenuto. «Mi trovi bene? Mi fa piacere, vuol dire che gli anni trascorsi tentando di razionalizzare quello che è successo tra noi mi hanno fatto bene.» E via una prima freccia. Emma aveva da parte un arco intero da usare contro Sirius. Si schiarì la voce, guardandolo negli occhi. Anche lei trovava bene Sirius, ma si sarebbe morsa la lingua invece che dirlo ad alta voce. Dopotutto all’epoca si era innamorata di quell’uomo anche per il suo bell’aspetto. «Lo so che dovremmo fare le persone adulte e, soprattutto, è passato abbastanza tempo da quello che è successo per metterlo da parte e ricominciare da zero.» Non pensava che avrebbe fatto un monologo, né pensava che si sarebbe messa a parlare tanto quando avrebbe rivisto Sirius. Nella sua testa la loro resa dei conti era completamente diversa. «Ormai me ne sono fatta una ragione, te lo assicuro. Ma…» Non sapeva come procedere. Sapeva cosa dire ma non sapeva come dirlo. Sospirò ancora. «Voi sacerdoti che opinione avete per quanto riguarda il senso di colpa? No sai, perché io ho un piccolo senso di colpa.» Che in effetti era una frase totalmente diversa dalle premesse che prima aveva fatto nel negozio. Lì sembrava che volesse divorare Sirius come una feroce leonessa, adesso invece era semplicemente Emma che si toglieva di dosso un enorme peso. «Il fatto è che, col tempo, ho capito di essermi concentrata solo sulla mia sofferenza e non sulla tua. Ecco.» Lo aveva detto. Finalmente. Non era un chiedergli scusa, era semplicemente un tassello che si aggiungeva nel puzzle della loro relazione e che, forse, la terminava una volta per tutte.
     
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2 replies since 16/1/2022, 10:40   80 views
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