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Candy x Ethan | tarda mattina | 10.01.2022

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    Candy Cane
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    I bambini le erano sempre piaciuti. Ma non è una grande rivelazione, se non le fossero piaciuti Candy non avrebbe mai scelto un lavoro in cui doveva stare a contatto con dei marmocchi per almeno sei ore quasi ogni giorno! Adorava il suo lavoro e adorava i bambini, svolgeva la sua professione come se fosse un piacere e non una scocciatura, il che la portava spesso a stare sveglia fino a notte fonda per sistemare gli ultimi progetti o gli ultimi disegni che voleva mostrare ai piccoletti il giorno dopo. Ultimamente, però, tentava di non fare troppo baccano in casa, dal momento che la stava condividendo con la sua amica e collega Bea e, beh, la convivenza le stava piacendo e non voleva che la ragazza fuggisse via a gambe levate. Vivere con Beatrice non aveva portato cambiamenti traumatici nella sua vita anzi, Candy era contenta perché adesso tutto le sembrava più colorato, gli arcobaleni si erano quadruplicati e gli unicorni avevano iniziato a figliare senza sosta. Insomma, ordinaria amministrazione per il suo punto di vista che era talmente zuccheroso tanto da rischiare il diabete.
    Un preambolo per dire che difficilmente Candy rimaneva scossa da qualche avvenimento, non dopo che aveva lasciato la Reservoir e suo fratello aveva deliberatamente scelto di rimanere lì, mollando tutta la famiglia Cane. Quello era l’unico avvenimento che, quando ci ripensava, era in grado di farle nascere un’ombra di tristezza negli occhi. In qualsiasi caso il potere degli arcobaleni era troppo forte per concederle di rattristarsi per più di dieci minuti. Tuttavia quella mattina, a scuola, era accaduto qualcosa che l’aveva turbata più del solito, più del dovuto. Ormai faceva la maestra da abbastanza tempo e non s’impressionava affatto per qualche uscita stramba che potevano fare i bambini. Era normale, era anche giusto così. Facevano i capricci, spesso parlavano troppo, spesso non si concentravano. Ma quello faceva parte del loro essere bambini. Reputava non normale, anzi, che qualche bimbo non facesse i capricci o non parlasse più del dovuto. Nella sua classe, Candy, s’impegnava affinché regnasse una certa sintonia in cui tutti i bambini andavano d’accordo fra loro. Non era facile, ma non si perdeva d’animo quando accadeva che una giornata si rivelasse meno proficua delle altre, c’era sempre il giorno successivo per recuperare! Con Jake però la questione era un po’ diversa. Lo aveva notato sin dal primo giorno, Candy, non perché le stesse antipatico dal momento che per lei tutti i bimbi erano uguali, ma perché aveva captato qualcosa nei suoi occhi, forse paura, forse tristezza, forse preoccupazione. Non sapeva di cosa si trattasse, ma sapeva per certo che quel bimbo doveva aver vissuto qualcosa di particolare. Naturalmente Candy non stava lì a ficcare il naso negli affari altrui, nonostante il suo secondo nome fosse Curiosità, ma nel suo lavoro era ben conscia che esistesse una linea di demarcazione che non bisognava mai superare. Quando, però, Jake aveva fatto a botte con un suo compagno solo per alcuni colori che lui non aveva, Candy aveva deciso che era necessario il suo intervento. Durante i suoi anni di carriera non le era mai capitata una situazione del genere ma prima di iniziare ad allarmarsi decise di fare quello che le sembrava più giusto: convocare i genitori del bambino. Al telefono, quando aveva risposto il padre di Jake, aveva mantenuto un tono di voce calmo. Solitamente quando un genitore riceveva una telefonata dalla scuola del figlio poteva preoccuparsi, quindi tentò di essere il più calma possibile, evitando di mettere troppa enfasi nelle sue parole, com’era solita fare.
    Attese il padre di Jake nell’aula in cui solitamente i professori facevano la pausa, in quel momento vuota perché solo Candy si era presa un’ora libera dalle lezioni proprio per quell’occasione. Seppur si stava dimostrando estremamente professionale in quella situazione, Candy era pur sempre Candy ed era particolarmente agitata. Insomma, come si diceva ad un genitore che suo figlio forse doveva essere seguito meglio a casa? Non aveva mai avuto casi di quel genere e temeva di offendere tanto il genitore in questione quanto arrecare danno al bambino che forse si sarebbe visto limitato nella sua libertà. Aveva le mani sudate e faceva avanti e indietro per tutta la sala professori guardandosi le sue scarpine, sempre troppo colorate. Andiamo, quale genitore l’avrebbe presa sul serio vedendola tanto colorata? Tentò di non pensarci finché non cozzò con una persona che era appena entrate nella sala. «Oh mi dispiace, la solita mia distrazione…» Alzò lo sguardo, di molto siccome il tipo in questione era molto più alto di lei, e si ritrovò dinanzi ad un uomo che non aveva mai visto in vita sua. Fece un passo indietro, siccome nel piccolo scontro gli era rimasta troppo vicina. Si lisciò i vestiti e si schiarì la voce. «Spero di non averle fatto male…» Il leggerissimo imbarazzo di Candy era dovuto non al fatto di essersi scontrata con qualcuno, per quanto era distratta era una cosa che le capitava giornalmente, ma perché aveva il vago presentimento di chi fosse quella persona e andargli contro di certo non era un buon biglietto da visita. «Lei deve essere il padre di Jake, immagino.» Ecco, non solo l’uomo doveva sentirsi dire da Candy di prestare più attenzione al figlio, ma doveva sentirselo dire proprio da chi poco fa non aveva prestato alcuna attenzione prima di andargli addosso. Non era un buon inizio. Non nella testolina di Candy almeno. «Posso offrirle una tazza di caffè? Assicuro che questa macchinetta lo fa ottimo, fino al mese scorso ne avevamo una che faceva un caffè terribile.» Stava tergiversando e, come suo solito, aveva iniziato a parlare troppo di cose che non interessavano a nessuno. Doveva andare al dunque e invece indicò all’uomo la macchinetta del caffè poggiata sul mobile vicino, nemmeno fosse una commessa che doveva convincere un cliente a comprare il prodotto dell’anno!
     
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    Se da ragazzino qualcuno gli avesse detto che avrebbe finito con il crescere un figlio da solo, non ci avrebbe mai creduto. Neppure riteneva possibile l’idea di divenire padre. Era avvenuto quasi per caso, esattamente come era nata la sua relazione con Mina, un’oasi di pace in mezzo a un’esistenza scombinata, che gli aveva fatto credere, per pochi mesi, che ogni cosa potesse essere sistemare. Mina era stata il suo faro, la sua guida in quella nuova vita di cui aveva sperato di poter godere a lungo. Avevano sottovalutato l’entità della sua malattia, e sopravvalutato, invece, il tempo che restava loro a disposizione. Si era quindi ritrovato solo, di nuovo, senza quasi rendersene conto, con quel piccolo fagottino da accudire e poco tempo per vivere il suo dolore. Si era dovuto rimettere in piedi in fretta, mettendo da parte le sue emozioni per curarsi di quelle di un’altra persona e forse per questo, nonostante fossero passati alcuni anni dalla morte di Mina, faceva ancora fatica ad accettarlo. Continuava a chiedersi, in alcune occasioni, se ci fossero delle cose che avrebbero potuto cambiare per permetterle di avere più tempo. Lei era sempre stata più brava di lui nel gestire i problemi, nel dare un ordine alle cose. E quando era arrivata quella telefonata dalla scuola, in cui lo informavano che c’erano stati alcuni problemi con Jake, il suo pensiero era volato di nuovo a lei: le cose sarebbero state diverse se lei fosse stata ancora con loro? Si domanda spesso se stava compiendo le giuste scelte, se si stava comportando nella maniera migliore per suo figlio. C’era forse qualche problema di cui non si era accorto? Aveva litigato con qualcuno dei suoi amichetti? Il lavoro gli portava via tantissimo tempo e temeva di essersi perso qualche segnale. Avrebbe fatto meglio a chiedere a sua madre, visto che lei aveva sempre avuto un sesto senso per certe cose.
    Con una certa apprensione aveva quindi chiesto al suo capo di potersi prendere un permesso di un’ora per potersi recare a scuola il prima possibile. Avevano delle consegne urgenti da portare a termine, ma Jake era senza dubbio più importante. Avrebbe recuperato quel tempo il prima possibile, magari dedicando qualche ora al lavoro dopo cena, una volta messo il figlio a letto. Non sarebbe stata la prima volta dopotutto. Anzi, ultimamente capitava molto più spesso di quanto avrebbe voluto. Aveva sempre meno tempo per lui, troppo impegnato nel portare a termine il lavoro per potersi ritagliare del tempo per giocare insieme o ascoltare con attenzioni tutti i suoi racconti. Forse era stato proprio quello il problema, ma non era semplice riuscire a gestire tutto. Avevano bisogno di soldi e non poteva quindi lasciare quel lavoro, non ancora. Sperava un giorno di poter aprire uno studio tutto suo, così da poter disporre del suo tempo in maniera più autonoma, ma quel giorno era purtroppo ancora lontano.
    Aveva varcato da soglia della scuola con una certa agitazione, non sapendo bene che cosa aspettarsi da quella telefonata. Non aveva capito molto del problema o forse, troppo preso dall’ansia, non aveva ascoltato con attenzione. -Scusate, avrei appuntamento con la maestra Cane. - aveva detto a un uomo che aveva incrociato vicino all’ingresso, probabilmente un collaboratore scolastico, e quello gli aveva indicato di proseguire per il corridoio sulla destra e poi prendere la seconda porta a sinistra. Con passo spedito si era quindi mosso in quella direzione, notando il silenzio che aleggiava nella scuola a quella particolare ora della mattina. Le lezioni erano ancora in corso e tutti i bambini erano nelle loro aule. Un leggero sorriso gli spuntò sul volto nel riconoscere la porta di quella che era stata la sua classe, quando era piccolo, ma lo ricacciò indietro, cercando di concentrarsi sul motivo di quella sua visita. Non era lì per caso o per rivangare il passato. Raggiunse la sala e spalancò la porta, senza ricordarsi di bussare. Per poco non travolse una donna che si trovava proprio lì vicino a che si scusò per essersi messa nella traiettoria. -Mi perdoni, avrei dovuto bussare. - mormorò lui, in tutta risposta, dispiaciuto per quel piccolo inconveniente che andava aa aggiungersi a una giornata già turbolenta. Fece per aggiungere qualcosa, ma la domanda di lei lo fermò. -Sì, sono io. - rispose, collegando quindi solo in quel momento un volto alla voce che aveva sentito dall’altro capo del telefono. Quindi era lei l’insegnante di suo figlio? Pensandoci bene non aveva mai chiesto di incontrarla da quando era iniziato l’anno scolastico. -Ethan Löfgren. - si presentò quindi, allungando una mano in direzione della donna e prendendosi quindi del tempo per osservarla meglio.
    Sembrava molto giovane. Jake doveva averglielo accennato nei suoi racconti, ma non ci aveva prestato molta attenzione. Chissà perché nella sua testa era convinto che la maestra di suo figlio fosse una donna molto simile all’insegnante che aveva avuto lui, ai suoi tempi. Quella nuova immagine, quindi, lo disorientò un po’. -No, la ringrazio, ma non ho molto tempo. Purtroppo devo tornare a lavoro il prima possibile. - le disse, con un leggero sospiro. Forse non avrebbe dato un’ottima impressione con tutta quella fretta, ma in quel momento gli interessava soltanto capire che cosa fosse capitato a suo figlio e non fare la conoscenza della sua maestra. -Che cosa è successo? Per quale motivo mi avete chiamato? - chiese quindi, un po’ preoccupato. Non gli era mai capitato che ci fossero dei problemi con Jake, quindi per lui era una situazione nuova e anche abbastanza spaventosa. Aveva avuto dei problemi con alcuni bambini? Aveva disegnato o detto qualcosa che non doveva? Cercò di passare in rassegna tutte le possibili idee del caso, senza tuttavia riuscire a darsi una risposta. Davvero non riusciva a capire che cosa potesse essere accaduto.
     
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    Come descrivere il rapporto di Candy con i genitori dei suoi alunni? Inutile dire che lei tende ad andare d’amore e d’accordo con tutti, ma talvolta si è anche trovata dinanzi a genitori che dubitavano delle sue capacità d’insegnante semplicemente perché si basavano sul suo aspetto esteriore, troppo sbarazzino e colorato per corrispondere alla visione che solitamente si ha di un’insegnante. La soddisfazione, per Candy, era stata grande quando si era resa conto che, in alcuni casi, era riuscita a far cambiare loro idea. In altri casi, quando invece l’idea non cambiava, se ne faceva una ragione e procedeva nel fare al meglio il suo lavoro. Era una persona troppo solare per essere oscurata dai pregiudizi altrui.
    L’esperienza, però, le aveva anche insegnato a decifrare un po’ i genitori dei suoi alunni. Non che sapesse come fossero fatti lanciando loro una prima occhiata, ma dal loro modo di fare Candy percepiva se questi fossero presenti o meno nella vita dei loro figli, se a loro interessasse veramente qualcosa di quello che combinavano i loro marmocchi a scuola o se venivano ai colloqui solo perché era un loro dovere. Quando, però, si trovo dinanzi a Ethan Löfgren, Candy non riuscì ad incasellarlo in nessuna delle categorie appena citate. Dovette alzare un bel po’ lo sguardo per incrociare gli occhi del genitore che le era involontariamente andato addosso. Conoscendosi, Candy non si aspettava un inizio di incontro più professionale, ci doveva essere sempre qualche suo danno di mezzo! -Mi perdoni, avrei dovuto bussare. - Sembrava impenetrabile, quell’uomo. Dai suoi occhi, Candy potè intuire ben poco, ma riuscì a capire immediatamente che non sarebbe stato facile poter entrare in sintonia con lui. Era una fortuna che Candy non si arrendesse mai dinanzi a quelle che le sembravano sfide a tutti gli effetti. Strinse la mano dell’uomo, al momento delle presentazioni, facendogli un enorme sorriso: «Che piacere conoscerla!», sembrava una frase di circostanza, ma in realtà a Candy piaceva davvero conoscere i genitori dei propri alunni, era un po’ come sapere qualcosa in più sui suoi piccoli marmocchi. «Candy Cane.» Si presentò a sua volta, non badando più all’effetto strano che poteva creare il suo nome, volutamente uguale a quello che normalmente avevano alcuni bastoncini di zucchero. Tutta colpa dei suoi genitori e della loro fantasia assurda. Alla sua età, comunque, aveva superato quella fase di imbarazzo legata al suo nome e se n’era fatta una ragione, ormai poco le importava cosa pensassero coloro che venivano a sapere come si chiamasse.
    È un tipo che va dritto al punto. Fu questo il primo pensiero della maestra, non appena l’uomo rifiutò il caffè e le fece intendere che non poteva stare lì per molto tempo. Oltre al voler andare via per impegni che a Candy non era dato conoscere, si percepiva anche un’impazienza nel voler sapere il motivo di quella convocazione e, forse, un po’ di preoccupazione. Come biasimarlo? Chiunque provasse affetto per il proprio figlio voleva assicurarsi che stesse bene. La maestra lasciò da parte il caffè, era dotata di troppa empatia per prolungare quella piccola tortura genitoriale. «Ecco, signor Löfgren, l’ho chiamata qui oggi perché volevo parlare di alcuni comportamenti che Jake ha in classe…», rimase con la frase in sospeso per vedere se l’uomo dicesse qualcosa, magari anche lui aveva già intuito quello di cui si stava per parlare, ma vedendo che non l’interruppe, Candy andò avanti: «…è diventato aggressivo, ultimamente. Oggi ha fatto a botte con un suo compagno e, mi creda, lavoro con i bambini da abbastanza tempo e so che qualche capriccio è normale, ma forse con Jake c’è qualcosa di più.» Questa volta rimase in silenzio per lasciare che il papà assorbisse quella notizia. Era una delle poche volte che Candy non abusava del suo essere troppo chiacchierona, sapeva che quella era una situazione delicata e si stava impegnando per dosare le parole, una dopo l’altra.
    «Non l’ho chiamata per farmi gli affari suoi, non conosco la vostra situazione familiare, ma in qualità di insegnante di Jake vorrei solo consigliare a lei e a sua moglie di capire il motivo di questa aggressività. Io posso impegnarmi qui, in classe, ma a casa è vostro compito.» Candy parlava con un tono di voce calmo, lungi da lei fare la maestrina, non ci sarebbe riuscita nemmeno se si fosse impegnata con tutte le sue forze, ma stava comunque mantenendo una certa serietà. Era raro vederla così concentrata e seria, quel discorso e Jake le stavano a cuore, non ci voleva uno scienziato per capirlo. «Io posso darle qualche dritta, se vuole. Lavoro con i bambini da un po’ e potrei darle una mano, quanto meno aiutarla a capire qual è il problema di Jake, se ne ha uno.» Sorrise affabile, tutto pur di far capire all’uomo che l’aveva convocato per aiutarlo, non per rimproverarlo o per dargli lezioni di vita su come crescere i figli, anche perché lei di figli non ne aveva. Candy, poi, iniziò a prendere un foglio che era sul tavolino da caffè e si guardò intorno in cerca di una penna che trovò proprio vicino alla macchina da scrivere. In quella scuola si trovavano carta e penna un po’ ovunque: «Ecco, le scrivo il mio numero, nel caso volesse chiedermi qualcosa. Se non erro le mamme della classe di Jake hanno anche una chat di gruppo, se ha abbastanza pazienza puo’ farsi aggiungere anche lì, ogni tanto il confronto con i genitori puo’ essere positivo.» Porse al papà il foglietto un po’ stropicciato su cui aveva scarabocchiato il suo numero. Avevo usato quel modo antiquato di scambiarsi il numero, non pensando al fatto che lei avrebbe potuto dettarlo e Ethan avrebbe potuto appuntarlo direttamente sul suo telefono, memorizzandolo in rubrica, ma ogni tanto Candy si lasciava sopraffare dai vecchi metodi con carta e penna. «Sono vecchia dentro, uso ancora carta e penna!» Scherzò, infatti, non riuscendo a trattenere quel pensiero per sé. Si schiarì la voce, facendo morire quel sorriso e tornando seria: «Anche il rendimento di Jake si è abbassato, sono preoccupata, per questo sono a sua completa disposizione. Puo’ chiamarmi veramente a qualsiasi ora, solitamente preparo cartelloni per i bambini fino a sera tardi!» Una persona più maliziosa di Candy sicuramente avrebbe pensato che lei ci stesse provando con quel ragazzo di bell’aspetto, alto, decisamente figo, ma la maestra aveva in testa solo l’interesse del suo alunno, il pensiero di dare il suo numero per provarci era lontanissimo da lei. Nel mondo di Candy, fatto di arcobaleni ed unicorni, era tutto nella norma.
     
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    Guardò la maestra di sfuggita, senza curarsi troppo del suo aspetto o della sua età, preferendo domandare quanto prima che cosa fosse accaduto. Quella telefonata improvvisa lo aveva colto d sorpresa ed era quindi molto preoccupato dell’incolumità di Jake. Era per caso caduto e si era fatto male? No, probabilmente in quel caso lo avrebbero fatto arrivare dritto in infermeria, quindi doveva essere capitato qualcosa di diverso. Non aveva fatto i compiti? Non aveva studiato qualcosa? Cercò di fare mente locale su quanto era accaduto la sera prima. Aveva controllato il suo diario e i suoi quaderni, ma era possibile che comunque qualcosa mancasse all’appello, o forse suo figlio non gli aveva raccontato di qualche nota. Furono le parole della donna tuttavia a mettere un freno al flusso dei suoi pensieri. Comportamenti? Tra tutte le cose che avrebbe potuto sentire quel giorno quella era davvero l’ultima che si fosse aspettato. Inarcò appena un sopracciglio, puntando dritto lo sguardo su di lei e facendosi più attento. Aggressivo? Ma di che cosa stava parlando? Suo figlio non era affatto un bambino aggressivo e la notizia che lui avesse fatto a botte con un compagno di classe non gli piacque per niente. Corrucciò la fronte, mentre cercava di metabolizzare la notizia e trovare una risposta plausibile per qualcosa che a lui sembrava del tutto assurda. Era sicura di non aver sbagliato bambino? Era certa di non aver interpretato male lo scontro e che non fosse suo figlio la vittima piuttosto che il bambino che l’aveva iniziata? Cercò di argomentare dei pensieri all’interno della sua mente, qualcosa per mediare e venire a un punto, una spiegazione plausibile per quanto aveva appena sentito, ma le parole successive lo lasciarono impietrito. Lei e sua moglie. Serrò la mascella in maniera più netta e visibilmente irritata. In un attimo la sua volontà di essere civile e cortese era stata spazzata via dal ricordo di Mina e della sua assenza. La osservò con uno sguardo serio, come un animale ferito ormai pronto soltanto ad aggredire pur di sopravvivere. Solo in quel momento sembrò notare quanto quella donna fosse giovane e sentirle dire che lavorava con i bambini da tempo stonò quindi con quell’aria frizzante e un po’ sopra le righe. Che cosa ne poteva sapere lei? Era convinto che non sapesse che cosa voleva dire avere un figlio proprio, avere delle vere responsabilità.
    Il suo discorso si fece più lontano, quasi un fastidioso ronzio che riempiva il silenzio che avrebbe voluto attorno a sé. Chi credeva di essere quella donna? Perché non aveva vegliato meglio sui bambini, visto che era così brava, piuttosto che venire a fare la ramanzina a lui? Continuò ad ascoltare tutte quelle sciocchezze in silenzio, cercare di ritrovare la calma perduta, senza tuttavia riuscirci. Quando finalmente lei smise di parlare, infatti, l’espressione sul suo volto era ancora serrata e incollerita. -Io credo, Miss Cane, che dobbiate pensare molto più al vostro lavoro e molto meno alle vite degli altri. - fu la prima cosa che riuscì a dire, stringendo in maniera un po’ troppo forte il foglietto su cui lei gli aveva scritto il suo numero. -Non riesco infatti a comprendere come, qualcuno che si descrive così bravo con i bambini e con così tanta esperienza non sia neppure stato in grado di comprendere i motivi di questi eventuali problemi all’interno della sua classe. - continuò, con tutto l’intendo di addossare le colpe su di lei e sulla sua probabile scarsa attitudine all’insegnamento. In realtà in cuor suo sapeva anche lui che ci fossero dei problemi. Jake era divenuto più taciturno e lui non aveva avuto il tempo di controllarlo al meglio, troppo occupato con il lavoro per potergli dedicare tutte le attenzioni di cui necessitava. Sicuramente Mina avrebbe fatto un lavoro migliore del suo ed era questo il pensiero che premeva all’interno della sua mente, scatenando tutta quell’ira. -E mi viene anche molto difficile immaginare mio figlio nel modo in cui lo avete descritto, quindi mi chiedo inoltre se non abbiate per caso punito il bambino sbagliato. - continuò, ormai nel mezzo del suo discorso negazionista e preso soltanto dall’idea di andare via, così da abbandonare quella conversazione e quella sala il prima possibile. Si era convinto nella sua mente che lei avesse sicuramente commesso degli errori quel giorno e che ora volesse addossare le colpe su Jake senza alcuna motivazione. Il carattere pacato e serio che aveva conservato dalla morte di Peg sembrava aver lasciato il posto al ragazzino ribelle che non aveva accompagnato i suoi fratellini a quella festa, segnando la condanna di tutta la famiglia.
    -Pertanto, non ritengo di avere il bisogno di entrare in una sciocca chat piena soltanto di madri che non sanno come passare il proprio tempo, se non ficcanasando nella vita dei padri degli altri. - sbottò poi, ancora indispettito dal modo in cui era finito il suo tentativo di avere un rapporto con i genitori degli altri bambini. Alcune madri separate, conoscendo la sua situazione, avevano cercato di cogliere la palla al balzo per coglierlo all’amo, facendogli decidere di uscire da quello sciocco gruppo e tentare di cavarsela da solo. -E ora, se non avete altre calunnie da diffondere, vorrei riportare mio figlio a casa, dove nessuno certamente cerca di dipingerlo diversamente da ciò che è, e dove i suoi familiari si prendono davvero cura di lui. - pronunciò quelle parole guardandola dritta negli occhi, con la schiena rigida che lo rendeva forse ancora più alto e imponente di quanto già non fosse di suo. Avrebbe sicuramente parlato con suo figlio, magari in auto nel tragitto che li avrebbe condotti a casa dei nonni, oppure la sera a cena, dopo il lavoro. Ma questo non glielo disse, non voleva certo ammettere che qualcosa c’era davvero. -E mi auguro che la prossima volta che verrò convocato, se disgraziatamente questo dovesse succedere, abbiate delle argomentazioni ben più valide, o mi vedrò costretto a parlare con il preside e chiedere che mio figlio venga spostato in una classe dove i bambini vengono seguiti come deve. - terminò e solo allora la sua voce si fece appena più quieta e il suo sguardo meno affilato. Infilò il biglietto stropicciato che la donna gli aveva dato in una delle tasche dei suoi pantaloni, per poi fare un leggero passo all’indietro. Inclinò appena il capo, come a emettere un saluto. -Buona giornata Miss Cane. - la salutò, trovando infine una briciola dell’educazione che gli era stata inculcata negli anni, aspettando solo il suo congedo per potersene andare.
     
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3 replies since 26/1/2022, 21:39   112 views
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