All my tears be washed away.

Astrid e Maggie / Casa Olsen, ore 7:45 del 2 aprile 2021

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    It don't matter where you bury me
    I'll be home and I'll be free
    It don't matter anywhere I lay
    All my tears be washed away

    x x x

    Paura.
    Astrid aveva una paura che le raggelava l'anima. Si era risvegliata da quello che avrebbe potuto essere un sogno ma che, purtroppo, non era altro che la realtà: aveva visto così tante persone morire e poi, quasi come per magia, le aveva riviste poggiare i piedi per terra, eccezion fatta per Beat ed Eira, gli unici due che erano stati di fretta trasportati all'ospedale. Lei era rimasta lì, su quella spiaggia, con uno sguardo vacuo, il cuore attanagliato da sentimenti che le sconquassavano tutto il corpo. Nel futuro, quello che aveva visto sarebbe successo ancora, ad altri, a lei, non lo sapeva, ma sarebbe successo ancora.
    Morire per tornare a vivere ancora una volta ma in maniera diversa, con delle nuove consapevolezze che ancora non riusciva a comprendere del tutto. Era così che era nata Besaid? Tutti dovevano abbandonare qualcosa di sé per riuscire a vivere davvero, lì, in quel posto unico al mondo che ormai era diventato la sua casa? Ma soprattutto, perché soltanto loro avevano visto quelle cose? Una parte di lei si sentiva tranquilla nel pensare che, nonostante tutto, quelli che contavano per lei stavano bene, erano tutti sopravvissuti. Si sentiva grata per quella fortuna e sperava, di cuore, che anche Beat potesse riprendersi al più presto: più in là, si disse, sarebbe andata all'ospedale a tener compagnia a Lys. Lys. Tutti i suoi problemi con Paul le sembravano così stupidi guardando cos'era successo, cosa avrebbe potuto perdere. Lo sapeva Astrid, l'aveva sempre saputo sin da quando le parlava di quel ragazzo tedesco conosciuto per caso: sarebbe stato lui la sua rovina ed, allo stesso tempo, il suo più grande amore. Per qualche motivo, tutte le persone importanti per lei finivano con l'impelagarsi in relazioni che non portavano mai equilibrio nelle proprie vite: era stato così per Lys, era stato così per Rem. Famiglie legate le loro da un'inspiegabile ma distruttivo magnetismo. E lei? Lei che ruolo aveva? Bella cos'era diventata ormai per lei?
    Non era tutto "passato", non le aveva mai davvero detto addio. Sentiva il cuore pesante ogni volta che pensava a lei, ogni volta che la sua mente ritornava ai giorni felici che avevano passato insieme. Ricordava i suoi sogni, tutto ciò che avrebbe voluto costruire insieme a colei che considerava il suo più grande amore: ci aveva creduto davvero, aveva davvero pensato che insieme avrebbero potuto avere quel futuro visto nel suo sogno, quella casa, quella stanza per la bambina che aveva sempre desiderato. Si era detta alle volte che forse sarebbe stato meglio per lei trovare un uomo, che era troppo difficile riuscire ad adottare per una coppia di due donne, eppure non ce l'aveva mai fatta, non era mai riuscita a costruire un legame davvero profondo con qualcuno di sesso maschile. Per certi versi, la sua amicizia con Magnus era forse la relazione più profonda che avesse mai avuto con un uomo. A lui aveva parlato di ciò che voleva, si era confidata più volte, aggiungendo di essere una stupida a credere davvero di poter riempire quel piccolo vuoto che aveva sempre sentito con l'amore. "Che sciocchezza, lo so." eppure era ciò che desiderava, più della carriera, più di qualunque altro desiderio materiale.
    Rivedere Bella in quel contesto, per quanto irreale, l'aveva scossa ben più di quanto non volesse ammettere e l'aveva portata a camminare verso l'unica persona a cui aveva iniziato a pensare con più insistenza, ormai da qualche tempo. Non aveva più cercato relazioni, aveva scelto di lasciarsi andare, lasciare che le cose fluissero liberamente senza porsi limiti, ed eccola lì, col volto sconvolto, i capelli ed i vestiti pieni di sabbia, che bussava alla porta di una casa ancora dormiente. Che ore erano? Come le era venuto in mente di disturbare alle 7:45? Era ancora presto, probabilmente Maggie non era ancora nemmeno in piedi! O forse stavano preparando la colazione? Lily a che ora aveva la scuola? Forse in virtù della festa quel giorno non ci sarebbe dovuta andare. Lei non doveva lavorare, lo studio era chiuso, Helen gliel'aveva ricordato proprio a pranzo. Avevano mangiato un panino insieme, nella unica mezz'ora libera fra un paziente e l'altro. Quanto lavorare in quei giorni, sembrava proprio che tutti avessero un problema che solo loro due potevano risolvere. E a lei? Chi pensava a lei?
    Pensare, pensare, pensare. La mente di Astrid macinava parole su parole nel tentativo di riempire il fracasso che facevano i suoi pensieri. Dimenticare. le urlava una piccola vocina nella testa, troppo flebile per essere udita ma allo stesso tempo così rumorosa da non poter essere ignorata. Avrebbe dovuto percorrere la via di casa, mettersi a letto e dormire fino al giorno seguente, provare almeno a dimenticare. Invece aveva camminato per un'ora, giungendo nell'unico posto che in quel momento aveva inconsciamente sentito come sicuro. Quanto tempo era passato? Doveva bussare ancora? No, forse doveva andarsene. Si voltò appena, guardando la strada: era deserta, ma c'era abbastanza luce, dopotutto era arrivata la primavera, le ore di luce non erano più così poche ed il freddo iniziava a sentirsi molto meno. Sì, dovrei andarmene. Poteva farcela da sola, in fondo se non sapeva perché si era ritrovata lì poteva tranquillamente fingere non fosse mai accaduto. Era una donna adulta ormai, poteva gestire problemi, poteva gestire uno stato d'animo. Nonostante tutti quei pensieri e quel barlume di raziocinio, i piedi di Astrid non si staccavano da terra. Aveva così paura di quello che era successo che il suo corpo le impediva ogni movimento.
    E poi uno scalpitio: passi, qualcuno stava venendo ad aprire la porta. Accuratamente, avevano controllato dallo spioncino chi fosse a quell'ora e dopo una manciata di secondi avevano aperto: le pieghe del cuscino erano ancora stampate sul volto di Maggie. Sembrava stanca. «Maggie scusa, io...» Io cosa? Cosa dirle, come giustificarsi se non dicendo l'unica cosa che aveva in mente? «Ho paura.» Ed in quel momento si frantumò. Si rannicchiò sulle ginocchia, poggiò il viso su di esse e sentì a poco a poco il volto farsi più caldo e bagnato dalle lacrime che aveva trattenuto per troppo tempo. Cercava di piangere solo per sciocchezze, per qualche film, qualche storia particolarmente triste, non per ciò che davvero contava: in quei casi, i suoi dotti lacrimali si ostruivano. Più facile trattenere tutto ed accollarsi solo i problemi degli altri. Dare consigli magari, gestire tutto con dovizia di particolari ed essere la migliore delle psicologhe. «Mi dispiace se sono qui, non sapevo dove andare, ci sono arrivata senza neanche rendermene conto.» mormorò, con la vista un po' appannata dalle lacrime che non accennavano a smettere di scendere nello stupore di una donna che, sveglia da poco, si era ritrovata dinanzi una scena che non avrebbe saputo nemmeno descrivere dall'esterno. «Sono stata in spiaggia, alla festa.» iniziò a spiegare. «E li ho visti morire, tutti, Lys, Beat, Eira...» Nomi che forse non avrebbero significato nulla per Maggie se non forse qualche citazione a racconti ed aneddoti raccontati da Astrid stessa di tanto in tanto. «E anch'io sono morta. Non so come sia stato possibile. È Besaid, è così che sono nate le particolarità.» Era un fiume in piena ormai, il velo era caduto e con esso tutte le sue inibizioni. «Morire per tornare a vivere con questi doni, queste maledizioni Forse Rem aveva ragione, forse anche suo padre aveva ragione. Non erano dei doni come aveva sempre pensato e sperato, era solo ciò che presto li avrebbe condotti alla morte. «E poi c'era lei» La stessa lei di cui non aveva mai parlato se non come "una storia seria finita male". «e quelle persone mi hanno mostrato cosa sarebbe potuto succedere se anch'io avessi scelto di morire.» Scelta giusta la sua? Non lo sapeva, non lo sapeva più. «Ma non l'ho fatto, forse ho sbagliato. Ho scelto di vivere e sono tornata. Però ora ho paura, non voglio che succeda ancora, non voglio vedere più nessuno morire.» Non in quel modo, non davanti a lei. Non avrebbe retto di nuovo.
    Perdona gli errori, non ho ancora riletto :')
     
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    Era stata una settimana abbastanza pesante per lei, con tante udienze da gestire e nuovi casi da visionare per decidere come dividersi il lavoro all’interno dello studio. Quando Sylvia Pettersen, la madre di Olga, le aveva scritto per chiederle se Lilian quella sera potesse dormire da lei, non le era quindi sembrato vero. Per quanto adorasse trascorrere il tempo con la sua bambina, che ormai si avviava verso l’adolescenza, certi giorni sentiva comunque la necessità di staccare e di prendersi del tempo solo per sé. La zia Rory era partita per qualche giorno, insieme ad altre signore attempate della città. Le era sembrato di capire che andassero alle terme, o forse a una spa, non aveva ben compreso. Sua sorella andava e veniva senza dare troppe notizie sul suo conto, forse troppo presa da Ivar e dal lavoro per aggiornarla, quindi quella sera si sarebbe goduta del tempo in solitudine. Aveva organizzato un programma dettagliato della sua avvincente serata: un bel bagno caldo, con la vasca piena di sali da bagno per rigenerare le energie, una bella pizza e un film, o magari una serie tv da guardare tutta d’un fiato, ancora non aveva deciso. Quello che sapeva era che aveva tutta l’intenzione di trascorrere un sacco di ore in pigiama, finalmente. Alcuni amici avevano provato a invitarla alla festa sulla spiaggia, ma aveva gentilmente declinato, affermando di avere altri impegni. Un po’ di baccano, in lontananza, era arrivato persino sin lì quando aveva aperto le finestre, per osservare la luce della luna senza che il vetro della finestra le facesse da ostacolo. Chissà che cosa avevano organizzato quell’anno per stupire i cittadini, un po’ le dispiacque di non averci fatto neppure un salto. Chissà se Astrid invece era lì, a divertirsi insieme a qualche amico, o magari a qualcuno di speciale. Era da qualche giorno che non si sentivano, forse quella sarebbe stata un’occasione per incontrarsi fuori dai soliti posti. Aveva per caso sbagliato? Era meglio infilarsi addosso qualche vestito carino e muoversi verso la spiaggia? Quel pensiero svanì in fretta, quando il ragazzo delle consegne suonò alla porta con la sua pizza. Da quanto tempo non riusciva a godersene una in santa pace? Qualche mese forse? E poi, in fin dei conti, non aveva intenzione di rincorrere una relazione. Lilian aveva la precedenza e lei aveva così finito per mettersi in secondo piano, per lasciare andare tante occasioni.
    Era quindi tornata sul divano, con il suo cartone della pizza, pronta a terminare tutta la nuova stagione di Grey’s Anatomy, senza che nessuno potesse disturbarla. Si era addormentata così, con il telecomando tra le mani e la testa appoggiata contro il bracciolo del divano, senza neppure rendersene conto. Fu un rumore sordo a svegliarla e a farle notare di aver trascorso tutta la notte lì e che ormai le prime luci dell’alba stavano lasciando il posto al sole. Si sollevò lentamente, ancora frastornata da un sonno non troppo quieto. Le era parso di sognare qualcosa, forse un incubo, ma per fortuna non lo ricordava. Si grattò la base del collo con aria assonnata, guardandosi attorno. Aveva davvero sentito quel rumore? Si avvicinò a una delle finestre, stropicciandosi gli occhi e lasciandosi andare a uno sbadiglio, scostando appena la tenta per osservare l’esterno, nei pressi dell’ingresso. Si destò soltanto quando le parve di riconoscere il profilo ormai familiare di Astrid che, con aria frastornata, si guardava attorno. Con passi veloci raggiunse quindi la porta. Neppure si ricordò di essere ancora in pigiama, di avere probabilmente la faccia di una che era appena stata buttata giù dal letto e i capelli in disordine. Si limitò ad aprire la porta, prima che lei potesse decidere di andare via. -Astrid? - domandò, come se non fosse del tutto sicura di ciò che stava vedendo. La sua voce suonò ancora impastata dal sonno, per quanto avesse cercato di svegliarsi e di pensare lucidamente. Era strano vederla lì, a quell’ora del mattino. Perché era mattino vero? Che ore erano esattamente? Non aveva controllato. Spalancò gli occhi, finalmente sveglia e ben più reattiva, quando l’altra mormorò di avere paura, mentre scivolava verso terra, rannicchiandosi sulle ginocchia e coprendosi il viso con le mani, iniziando a piangere. -Ehi. - mormorò, piegandosi piano, verso di lei e posando una mano sulla sua spalla. -Che cosa è successo? - domandò, preoccupata.
    Astrid si scusò per essere giunta sino a lì, quasi senza rendersene conto, perché non sapeva dove altro andare. Era forse stata aggredita? Aveva bisogno di un aiuto legale? Qualcuno le aveva fatto del male? Lasciò che lei si prendesse il suo tempo prima di parlare, senza incalzarla con le domande. Sembrava spaventata, molto provata, non voleva turbarla più del dovuto. Era stata alla festa, ma le parole successive non erano certo quello che Maggie si era aspettata. Che cosa voleva dire che aveva visto delle persone morire? Chi erano quelle persone? I suoi amici? E come poteva essere morta anche lei se si trovava davanti a lei, sotto il portico della sua abitazione? -Cosa? Che intendi? Tu sei qui Astrid, non sei affatto morta. - disse, piuttosto in fretta. In realtà sapeva che, con la giusta particolarità, anche qualcuno che aveva perso la vita poteva presentarsi davanti agli occhi di un’altra persona, ma non voleva neppure valutare quell’ipotesi. Astrid era viva, non potevano esserci altre spiegazioni, lei non ne avrebbe accettate altre. Chiuse gli occhi per un istante mentre il pensiero di suo padre e della macchina che finiva dentro il fiume le davano un brivido lungo la schiena. Da quanto quell’incubo non tornava a farle visita? Le sembrava di esserne ormai uscita e invece quel pensiero tornava a farle visita, bruciando come la prima volta.
    Morire per tornare in vita. Quel pensiero la lasciò perplessa per alcuni momenti, confusa. Non si era mai posta delle domande sulle particolarità e sulla loro origine, aveva sempre pensato che fosse naturale, qualcosa che accadeva e basta, invece evidentemente, da qualche parte, esistevano delle risposte. -Lei? - domandò, confusa, senza collegare quella parola a ciò che Astrid aveva raccontato senza scendere troppo nei dettagli, a quella relazione finita male a cui aveva accennato in alcune occasioni. Avrebbe voluto farle altre domande, chiederle quali persone gli avessero mostrato quelle strane cose, perché mai avrebbe dovuto scegliere di morire, ma rimase in silenzio, lasciandola parlare ed esprimere le sue paure. Strinse appena una mano contro la sua spalla. -Vieni, andiamo dentro. Non c’è nessuno in casa, possiamo stare più tranquille all’interno. - le disse, invitandola a rialzarsi e a seguirla verso l’interno dell’abitazione, che se ne stava silenziosa alle loro spalle. -Posso prepararti una tisana? Un caffè? - si offrì, guidandola verso la cucina, mettendo a fare del caffè per lei. Non si era ancora svegliata completamente e aveva quindi bisogno di un po’ di caffeina per poter carburare al meglio. Posò sul tavola anche la torta di mele di zia Rory e qualche biscotto, in caso Astrid avesse avuto bisogno di mangiare qualcosa. -Sei al sicuro qui, ok? Tu sei viva e questa è l’unica cosa importante. - le disse, rivolgendo un sorriso sereno nella sua direzione. -Non pensare neppure per un momento di aver sbagliato nel scegliere la tua vita. - continuò, piuttosto decisa, mentre si sedeva accanto a lei, aspettando che il caffè fosse pronto. -So cosa provi, posso capirlo, almeno in parte. Quando ero ancora una bambina la macchina su cui io, mio padre e mia sorella viaggiavamo, è finita dentro il fiume per evitare un pirata della strada. - iniziò, rivelandole un evento del suo passato di cui aveva parlato con pochissime persone nel corso della sua vita. -Mentre l’acqua all’interno dell’auto saliva di quota, ho provato così tanta paura da essermi teletrasportata, senza neppure rendermene conto, nella mia vecchia casa, al sicuro, nella mia camera. - andò avanti, abbassando appena lo sguardo. Provava ancora vergogna per il modo in cui era scappata, per non aver neppure tentato di salvare suo padre. -Mio padre è morto quella sera ed era talmente tanta per me la paura di vederli morire, che non sono riuscita a restare. - rivelò, arricciando appena le labbra, per poi allungare una mano e cercare quelle di lei, facendosi più seria. -Nessuno vuole vedere coloro a cui tiene soffrire, è normale. Ma non devi pensarci, non concentrarti su quel pensiero o vivrai sempre nella paura. - terminò, cercando di rivolgerle un sorriso più dolce e sereno, sebbene neppure lei sapesse bene che cosa dire in un momento come quello.
     
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