Your skin clings tight to your narrow frame.

Darko&Maeve | sera | casa

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  1. ƒiordaliso
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    I’m falling apart, I’m barely breathing. With a broken heart.

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    Your echoes are born in a static air,
    And silence suggests you've lost your care.
    These blinding lights emit your sight,
    Whilst burning hopes bind you tight.

    ***

    Aveva imparato a riconoscerne subito il sorriso: due labbra sottili che si allargavano non appena gli occhi si posavano sulla sua sagoma, anche in lontananza, anche quando entrambi erano camuffati e avvolti dentro giacche pesanti per riscaldarsi dal freddo norvegese che, anno dopo anno, sembrava farsi sempre più intenso, sempre più pungente. Neanche se n'era accorto e perfino il tempo aveva osato mutare, perfino il cielo ogni volta che gli capitava di guardarlo; se ne stava lì, in alto e sulle loro teste, ricordando al mondo intero di non esser solo, che anche se alla luce del sole era impossibile guardarle, miliardi di milioni di stelle se ne stavano lì intorno fluttuando in onde di fuoco e luce, ritornando ad apparire solo quando qualcuno alzava nel buio lo sguardo per ripescarle dal mare buissimo che si estendeva all'infinito. Un po' come quelle stelle dalle forme e nomi a lui sconosciuti, Mumù era apparsa per davvero in una notte limpida: non al luna park, non durante quello strano incontro che non avrebbe mai immaginato lo avrebbe portato a tanto. Lì l'aveva vista per la prima volta, ma il momento in cui aveva davvero realizzato che esistesse, che fosse parte di lui, che se aveva la sua stessa voglia c'era un motivo... quello era avvenuto solo dopo. Darko, come tutti lo vedevano, quello che tutti conoscevano, era solo il ritratto di un uomo ben cresciuto che sembrava non potesse esser scalfito da niente, neanche dai suoi stessi errori, soprattutto da quelli. Era stato intenso, il momento in cui aveva realizzato cosa gli stesse accadendo, il modo in cui, anche dopo averla udita solo tre volte, la voce di Malia gli era entrata sotto pelle per piantarsi acutissima nella sua testa, ora impossibile da scacciar via, da sostituire con qualcosa che potesse anche solo essere frutto di una stupida immaginazione. E la portata di quelle sensazioni che lei gli aveva lasciato addosso era quasi del tutto indescrivibile, inafferrabile, a tenersela fra le dita aveva paura di scottarsi o farsi male. Eppure, nonostante il terrore di rimanere incastrato di nuovo dentro il flusso di ciò che non poteva controllare di sé, Darko temeva ancor di più qualcosa altro: ferire lei. Non aveva saputo mai niente di bambini, non aveva mai neanche immaginato di poter avvicinarsi ad essere un qualcosa che fosse anche solo simile alla figura di un padre. E allora si era domandato come avrebbe fatto a comprendere e imparare la tenerezza di una presa o di uno sguardo, il giusto tono della voce da usare per dire "no" o, al contrario, "sì". E poi, con sorpresa, si era reso conto che alla fine avrebbe potuto essere anche un gioco di squadra e che Mumù diventava sempre più complice e sempre meno estranea. A guardare il cielo di notte si riconosce subito la stella polare, quando la si vede. Darko aveva imparato a guardare e ritrovare in Mumù ciò che per anni non aveva saputo vedere.
    D'altro canto, era altrettanto consapevole del fatto che il pacchetto non comprendesse solo il piccolo uragano di energia che, senza alcuna vergogna, gli aveva posto innumerevoli e stranissime domande riguardo i più disparati argomenti, ma anche la figura più fredda di sua madre, Maeve.
    Maeve, che in otto anni non gli aveva mai rivelato l'esistenza delle stelle.
    Maeve, che al liceo non faceva altro che guardarlo.
    Maeve, che quella notte nel bosco si era rivelata essenza, un po' luce, mai polo nord, ma una di quelle stelle che le danzano intorno.
    Maeve, che sembrava provare rancore verso di lui e che restava sempre qualche passo più indietro e al contempo prontissima a sfilargli Malia da sotto al naso, forse per paura che qualcuno potesse portargliela via.
    Maeve, che altre volte invece, quando credeva che lui non guardasse, sollevava timidamente l'angolo destro delle labbra all'insù e, magicamente, sorrideva.
    Maeve che da qualche mese era diventata solo Mae, che chissà per quale assurda ragione aveva accettato di concedergli parte di quella magia che, fino all'incontro al Luna Park, Malia aveva riservato forse solo a lei.
    Mae, che quella sera bussò alla porta di casa sua con lo sguardo di chi ha paura che la sua stella si spenga nella stretta delle proprie dita, se non viene cercata e guardata nel modo giusto.

    Del taglio che aveva sul sopracciglio se ne ricordò solamente quando increspò la fronte dopo aver aperto la porta, iniziò a bruciare tanto quanto lo fu il senso di sorpresa nel ritrovarsi dinnanzi la figura esile di Mae sugli scalini di fronte casa, fra le braccia il corpo addormentato di Malia che sembrava iniziare a pesarle addosso, la vedeva scivolare giù mentre la guancia morbida di lei si strofinava lentamente contro la pelle arrossata della spalla di Mae. Fu istintivo avvicinarsi immediatamente alla figura dell'altra per privarla del peso di Mumù, così andò ad allacciare le mani attorno al corpo della piccola per sollevarla e tirarsela contro, stringerla nella presa salda mentre, un passo indietro, si faceva da parte per far passare Mae. Con il corpo di Mumù sostenuto fra le braccia, Darko non proferì parola e spinse piano la porta con un piede per richiuderla dietro la figura di Maeve che, dandogli le spalle, avanzò di qualche passo nell'ingresso per poi fermarsi di nuovo, piantandosi a poca distanza da lui con lo sguardo che, forse per pura curiosità o forse per vergogna, girovagava ovunque evitando di posarsi immediatamente sul viso di lui. «Che ci fai qui?» sussurrò quindi lui puntando gli occhi chiari sulla schiena di Mae e avanzando verso di lei per superarla, indicando poi col mento la porta in fondo al corridoio per farsi seguire in direzione della camera da letto. Fu solo dopo averla superata a passo silenzioso che Darko captò finalmente il viso dell'altra illuminato dalle luci fioche del corridoio: si stringeva le dita contro le braccia in una presa ferrea, gli occhi e le guance arrossate. Si fermò per un istante di fianco a lei, il corpo di Mumù ancora ben saldo fra le braccia. La guardò con le sopracciglia increspate, le pupille ora sull'attenti cercavano tutto quello che il fisico di Mae, in quel momento, comunicava. Sollevò piano il mento, rilassando poi lo sguardo mentre, un'ultima occhiata in direzione del volto di Maeve, le diede nuovamente le spalle per avanzare verso la stanza da letto all'interno del quale si addentrò per posare Mumù sul letto e avvolgerla fra le coperte prima arruffate sul materasso. Si accinse ad accendere il lume sul comodino, convinto del fatto che, nel caso in cui si fosse svegliata, probabilmente sarebbe stato meglio darle modo di prendere subito familiarità con il posto. Prima di uscire si accertò che fosse ben coperta e, una volta fuori, socchiuse la porta. Nel corridoio Maeve non aveva mosso né un dito, né tantomeno un piede. «Hai cenato? Vuoi che prepari qualcosa?» chiese solamente, avvicinandosi a lei e, con fare del tutto naturale, si offrì di aiutarla a sfilarsi la giacca afferrandone il lembo.
    La condusse nella zona giorno, una grandissima stanza di forma rettangolare dove la cucina era separata tramite un isolotto dal divano sistemato di fronte la tv, le vetrate a muro che davano sulla terrazza e il giardino riflettevano gli interni e lasciavano il buio di fuori a far da pareti. Per quanto fosse una persona caotica, Darko aveva imparato a tenere ordine almeno all'interno dei propri spazi: la casa, di per sé, non era arredata con particolare gusto, ma per quanto fosse strano, riusciva a mantenerla ordinata la maggior parte del tempo. Era facile ritrovare qualche canotta o maglia sparsa sul divano o in giro per il bagno, il frigo che scarseggiava di cibo e abbondava di bibite di ogni genere, eppure mai si sarebbe concesso di lasciare, per esempio, gli attrezzi da palestra in disordine o il telecomando della tv nel posto sbagliato o incastrato fra i cuscini del divano. Aprì quindi il frigorifero e tirò fuori una bottiglia di birra e una di vino, sistemandole sull'isolotto appena prima di afferrare un bicchiere dalla credenza per versarvi dentro un po' di liquido rossastro per Mae e poi aprirsi la birra con le mani facendone saltare via il tappo. Con il bicchiere e la bottiglia di birra fra le mani fece quindi il giro dell'isolotto e si avvicinò all'altra, lo sguardo ora incuriosito, a dirla tutta, anche piuttosto preoccupato. Lo porse a Maeve e, quando lo prese, avvicinò la birra alle labbra per berne un sorso, lo sguardo ancora immobile sul viso di lei alla ricerca di qualsiasi cosa. «Maeve, mi piace da matti l'idea che morissi dalla voglia di vedermi, ma qualcosa mi dice che non è esattamente così.» si pronunciò Darko, il viso serio nonostante l'accenno ironico della voce. «Malia sta bene?» chiese, abbassando il mento verso la sagoma di Maeve. Sospirò, più che altro contrariato da ciò che dentro provava, l'interesse inspiegabile nei confronti della donna che aveva davanti e che avrebbe voluto detestare, piuttosto. E ad ogni passo avanti però si ricordava di tornare indietro, ad ogni più piccola concessione che avesse a che fare con lei, ecco che Darko voleva privarsene di nuovo, perché sì, era la madre di sua figlia e al contempo la donna che gliel'aveva portata via, non solo in maniera fisica, ma anche e soprattutto sentimentale. Era stato un ragazzino e questo lo sapeva ancora benissimo, ma era stato quello un motivo così sensato agli occhi di Maeve da arrivare persino ad omettergli della gravidanza? «Tu stai bene?» domandò quindi dopo qualche istante, restando terribilmente serio. A saperlo, cos'aveva scelto lei cancellandogli la memoria, cos'avrebbe fatto Darko? Quanto si sarebbe pentito di parole che non ricordava di aver mai pronunciato? Ma lei aveva scelto per entrambi e, otto anni dopo, il futuro che li aveva visti separati tornava ad unirli nel presente e, forse, proprio quel percorso intrapreso li avrebbe ricondotti al punto di partenza.
    Chissà se l'avrebbe saputa amare.
    Chissà se l'avrebbe saputa trattenere senza finire per perderla.
    Chissà che non fosse proprio Maeve la sua stella polare e Mumù fosse quel raggio luminoso che gli dava la possibilità di poterla guardare e cercare di notte.
     
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4 replies since 21/2/2022, 18:53   180 views
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