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Darko&Maeve | sera | casa

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  1. scarecrow!
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    Stringere Malia era diventata una questione di sopravvivenza da quando l'aveva sollevata e messa di peso sul sedile posteriore dell'auto, ingranando la retromarcia per lasciarsi la villa alle spalle. Erano le dieci di sera. Un gesto, quello, che non aveva e mai avrebbe fatto se non si fosse trattata di un'emergenza, se non pensava che corresse meno rischi in quella macchina senza protezione piuttosto che in casa, con Rikke. Era iniziato tutto come iniziava sempre, con una stupidaggine. Sin dal primo passo sul parquet Mae aveva capito che qualcosa sarebbe successo, ormai lo riconosceva dalla cadenza delle falcate e dal modo in cui il marito si chiudeva la porta d'ingresso alle spalle. Non l'aveva accompagnata dolcemente, l'aveva sbattuta tanto che il riverbero aveva viaggiato attraverso le pareti arrivando fino a lei, fino a farle tremare le ossa. L'aria era tesa mentre cenavano. Rikke a capotavola, Mae da un lato e Malia dall'altro. In silenzio. A Mae andava bene così, meno parlavano e meno rischiavano di sbagliare, di scatenare qualcosa. Lo stridore del coltello sul piatto le ricordava il vociare delle volpi di notte mentre Rikke stracciava la carne di vitello che gli aveva fatto trovare pronta nonostante anche lei fosse reduce da un duro turno all'ospedale. Un grido che somigliava al pianto trattenuto di un bambino.
    Erano al dolce quando il pretesto, qualcosa a che fare col fatto che sarebbe stato Jona, il padre il un'amichetta di Malia, ad accompagnarla a scuola il giorno dopo visto che sia Mae che Rikke dovevano arrivare a lavoro un'ora e mezza prima del solito, innescò la miccia che lo fece esplodere come una bomba che non lascia superstiti. Aveva fatto in tempo a trascinarlo nell'ingresso, scegliendo la paura di farsi male senza poter sopportare che fosse Malia a finire nel mezzo, ad essere testimone di qualcosa di così lontano dall'amore da far credere che lì non ce ne fosse mai stato. Era così? Davvero non era mai esistito affetto in quelle quattro mura? Non era possibile, Mae giurava di averlo vissuto sulla pelle, nelle carezze dei primi anni, nei sorrisi sopra i bicchieri di vino. Cosa era successo, poi?
    Nell'abitacolo la temperatura scendeva a sfiorare lo zero mentre Mae guidava senza meta, gli occhi appannati da lacrime che non scendevano ma se ne stavano intrappolate lì, dietro le folte ciglia e il sorriso largo allo specchietto retrovisore, a Malia. «È tutto ok, è tutto ok, è tutto ok.» Lo ripeteva a Malia ma era come dirselo ad alta voce per non crollare. Si mordicchiava le labbra mentre pioggia mista a neve iniziava a cadere fitta. Azionò l'aria che ci mise un po' a scaldarsi, a sciogliere le articolazioni intorpidite, a riscaldare il corpo infreddolito. Solo la guancia ardeva, lì dove Rikke l'aveva colpita si sarebbe formato un livido. I tergicristalli facevano avanti e indietro come la macchina, come la mente di Mae che frenetica cercava un nome, un appiglio a cui aggrapparsi. Non aveva nessuno che sapesse, nessuno che le avrebbe accolte senza pretendere una spiegazione, senza farsi un'idea di quanto sbagliato fosse che una madre forzasse la figlia fuori casa con quelle temperature a quell'ora di notte. Le cose con Elias avevano finalmente raggiunto un equilibrio, il fratello aveva appena iniziato a riconsiderarla e non poteva deluderlo, così come non voleva irrompere nella vita di Lars, Frida o degli altri amici dichiarando, per la prima volta, di avere un problema. Perché sì, Mae non aveva mai dato segno che qualcosa potesse non andare, che certe parti della sua vita non fossero correttamente impilate come voleva dare l'impressione che fossero. Il lavoro, Rikke, Malia, a sentirla andava sempre tutto benissimo. E perché non avrebbe dovuto? A furia di ripeterlo a sé e agli altri Aveva finito per convincersene. Lanciò uno sguardo nello specchietto e non intercettò più gli occhi grandi che la guardavano confusi. Malia si era addormentata, la testa piegata in avanti sul petto, la cintura di sicurezza a segarle la guancia. Si sentì inondare dal malessere, Mae, e strinse più forte le dita intorno al volante per farle smettere di tremare. Era bloccata, girava in tondo, testa, macchina, cuore, senza sapere come e dove rifugiarsi.
    O da chi.

    Quando lo vide Mae non reagì. Se non fosse stato per i comandi impartiti non sarebbe stata in grado di muovere un passo, figurarsi mettere Malia a letto. Quando fu il momento di lasciarla andare oppose una resistenza debolissima, stringendo per un attimo le dita intorno alla giacca bagnata di neve della figlia per non lasciarla andare. Era colpa dell'istinto primordiale a non volersene separare per proteggerla, salvarla anche da chi era palese non volesse farle alcun male. I riflessi irrigiditi di Mae dovettero arrivare alla stessa conclusione perché lasciarono poco a poco la presa, gli occhi puntati sulla schiena di Darko e sul faccino di Malia addormentato sulla sua spalla. Così sembravano quasi un dipinto, come se si fossero sempre appartenuti. Non capiva come potesse pensare cose così inutili quando non riusciva a fare un passo, a parlare o a articolare altri pensieri che spiegassero a Darko il motivo della sua visita o cosa volesse da mangiare. Riuscì solo a scuotere la testa, Mae, e quel lento movimento sembrò costarle una fatica immensa mentre faceva scivolare le mani tra i gomiti piegati e il corpo, sotto il seno a sorreggersi. Forse era stanca dall'ora passata a girare senza una meta nella neve e nella paura, forse era sotto shock, ma proprio come in auto Mae non riusciva a sbloccarsi.
    Erano quasi due ore che cercava di non tremare più. Solo quando Darko le tirò il lembo della giacca reagì con un sussulto, muovendo gli occhi su di lui e vedendolo davvero per la prima volta. Aprì le braccia indolenzite dall'ansia e si lasciò sfilare la giacca, seguendolo in soggiorno con passi lenti e meccanici. Era approdata davanti le grosse vetrate che davano sul buio, una parete nera in cui Mae riusciva ad intravedere qualche albero e lucina non troppo distanti. Era stata condotta lì e lì rimase per tutto il tempo che l'uomo impiegò a fare quel che stava facendo qualche metro più indietro e che Mae non vide né sentì se non distrattamente, come se il tintinnio di bicchiere e bottiglia provenisse da molto lontano e il tappo che saltava fosse l'abbaiare di un cane nelle vicinanze. Vicino ma non lì. Come Rikke, di cui sentiva comunque il fiato sul collo mentre la afferrava per la gola. Afferrò il bicchiere di vino con entrambe le mani come se avesse paura che una non sarebbe bastata a sorreggerne il peso, quindi lo bevve quasi tutto d'un fiato chiudendo gli occhi. Abbassando testa e bicchiere Mae strinse le labbra per acchiappare eventuali residui rossi lì sopra, poi si costrinse a sollevare lo sguardo in quello di Darko per la prima volta da quando aveva fatto il suo ingresso in casa. Quasi vacillò sotto la spinta di quegli occhi così intensi. La stavano studiando in cerca di qualcosa, li sentiva bruciare sul viso amplificando il dolore della parte colpita dalle dita di Rikke. Avrebbe voluto trovare lo spazio di un abbraccio tra quei gomiti sporgenti come aveva fatto Malia, per cercare un po' di calore e fermare i brividi. Ma lei non era Malia, non era una bambina ed era abbastanza sicura che l'uomo la odiasse. Il sentimento era reciproco, comunque. Allora perché era andata proprio lì? Perché era il padre di sua figlia, non avrebbe mai fatto loro del male. Ne era sicura? «È tutto ok.» Ripeté come se non avesse sentito la battuta o le sue domande, iniziando ad appiattirsi i capelli con le dita della mano libera. Erano uscite di casa con quello che avevano addosso, Malia già in pigiama verde e giallo e Mae con un maglione a righe e i capelli chiusi in una coda sfatta, cadente, con ciuffi penzolanti di qua e di là. Non era da lei e non era in lei, iniziava a rendersene conto e per questo tentò di porvi rimedio sistemando alcune ciocche dietro l'orecchio. Abbassò lo sguardo sulle proprie gambe. Erano fasciate in un paio di leggins neri che usava in casa. La sensazione più bella era disfarsi della divisa da infermiera e infilarsi in quei morbidi vestiti caldi sulla pelle, solo che in quel momento non sentiva più la stessa gioia nell'indossarli, solo un profondo imbarazzo. Quella sensazione bruciò come il segno rosso sul viso e la chiazza sul collo, riscuotendola brevemente dal torpore catatonico in cui era affondata. «Mi dispiace... » Iniziò allora a muoversi evitando accuratamente di guardarlo mentre poggiava il bicchiere sul tavolino basso di fronte al divano, lisciando poi più volte le pieghe del maglione con i palmi delle mani. Sembrava aver capito solo in quel momento dove si trovasse, come se Darko avesse schioccato le dita e l'avesse svegliata. Era agitata. «Mi dispiace moltissimo essere arrivata così senza preavviso, stavamo cenando e no...stavamo facendo un giro e...» Si bloccò di botto. E cosa? Non sapeva cosa dire. Osservava le gambe dell'uomo come se fosse a loro che rivolgeva quelle scuse. «Non volevo disturbarti a quest'ora, mi dispiace.» Ripeté senza riuscire a guardarlo, superandolo poi per dirigersi verso dovunque avesse messo la sua giacca. «Ce ne andiamo subito.» Trovato finalmente il cappotto, Mae iniziò a infilarlo lasciando che penzolasse solo da un braccio mentre avanzava a passi svelti verso la camera da letto. Da quando Darko era entrato di prepotenza nelle loro vite Mae non era riuscita a scacciarselo dalla mente, dove trovava posto sempre più di frequente tra un prelievo e una somministrazione e l'altra. Era qualcosa che non riusciva a spiegare, un pensiero fisso che poteva avere solo a che fare con il fatto che fossero letteralmente legati da Malia. Doveva essere quella la ragione. Però si ritrovava a pensare che avrebbe voluto sentirsi sempre così, al sicuro, e che fosse triste che uno pseudo sconosciuto riuscisse lì dove il marito falliva miseramente. Con la mano sulla maniglia della porta Mae era pronta a spingere per aprila, ma chiuse gli occhi solo per un secondo. Il respiro nelle orecchie era forte come il cuore che pompava, mentre nella mente sentiva di nuovo le mani di Rikke chiudersi su di lei come una tenaglia per animali. Non potevano tornare lì.
     
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