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Darko&Maeve | sera | casa

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  1. ƒiordaliso
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    I’m falling apart, I’m barely breathing. With a broken heart.

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    Where the rooms are a collection of our lives,
    This is a place where I don't feel alone.

    ***


    C’erano cose di cui con Mae non si poteva parlare, quindi restavano silenti. Alcune di quelle cose avevano forme umane, nomi ben precisi che Darko non credeva di saper pronunciare: quando lo faceva, però, si stupiva addirittura d’esserci riuscito. Altre cose, invece, erano del tutto astratte: intoccabili con le dita, inguardabili con gli occhi, impronunciabile con labbra, lingua, voce. Far parte della vita di Maeve era come esser chinati ore ed ore sui pezzi di un puzzle per cercare di metterli insieme nel modo corretto così da ammirarne l’opera finale e completa. Darko conosceva però ancora solo quella sensazione di frustrazione all’interno del quale si sentiva perso e si chiedeva se mai avesse raggiunto quel traguardo, se avesse mai potuto drizzare la schiena per contemplare, con stupore e soddisfazione, l’incastro dei tasselli che avrebbero preso la forma di un quadro. Ne avrebbe fatto parte? E se non fosse stato possibile, si chiedeva, avrebbe almeno potuto occuparsi della cornice che avrebbe mantenuto tutto in un solo e compatto pezzo di vita e arte?
    Quando Mae si presentò sull’uscio di casa sua, quella sera, Darko pensò che avesse perso qualche altro pezzo del suo puzzle, come se la donna si fosse sfaldata da sola perdendo per strada tutti i progressi compiuti per costruirsi. Avrebbe guardato sul sentiero che collegava la porta di casa al cancelletto esterno per accertarsi che non ne perdesse altri anche solo camminando.
    Si era fatto carico del peso addormentato di Malia, che ad occhi chiusi si lasciò afferrare dalle braccia salde di Darko mentre questo lasciava entrare Mae all’interno dell’abitazione, luci fioche e sul tono d’arancia che illuminavano il lungo e stretto ingresso su cui si affacciavano diverse porte. Sistemò la sua Mumù sul proprio materasso, nella camera da letto, lasciando che la luce di un lume sul comodino non le annebbiasse il sonno, spaventandola nel caso in cui si fosse svegliata ritrovandosi in un luogo a lei sconosciuto, ancora. Era tipico, per Darko, che al calar del sole non illuminasse mai troppo la casa, non amava le luci forti e pungenti, così si accertava che i toni restassero dalle sfumature calde. E fu forse proprio per quel motivo che, a primo impatto, non aveva notato poi davvero qualcosa di insolito nella figura di Maeve: certo, non era esattamente abituato a vederle le gambe avvolte in un paio di leggings neri o i capelli maldestramente fermi nell’esausta stretta di un elastico dello stesso colore, ma la parte visiva che lo aveva colpito di lei veniva lasciata in secondo piano se messa a confronto con il fatto che, in una qualunque tarda serata come un’altra, se l’era ritrovata sull’uscio di casa senza esser stato prima avvisato. Era quasi un rito, tra di loro: dopo l’incontro al Luna Park non vi era mai stato nessun altro casuale incontro, tutto era sempre stato schedato, programmato. Sembrava quasi che il tempo scandisse, nella vita di Mae, solo al suo comando.
    Quando le domandò se ci fosse qualcosa di sbagliato, avvicinandosi a lei con l’offerta di un bicchiere di vino rosso nella mano e una bottiglia di birra nell’altra, Mae accettò di buon grado il bicchiere, afferrandolo e mandando giù in fretta il liquido rossastro che fino a quel momento aveva danzato dolcemente nella conca trasparente che Darko le aveva allungato. «È tutto ok.» aveva proferito parola solo in quel momento, si rese conto Darko e forse Mae stessa che, non appena aveva richiuso le labbra, aveva lasciato che un’espressione di ansia mista a panico le si spalmasse sul viso dalla pelle liscia. «Mi dispiace... » aggiunse dunque, dopo essersi frettolosamente guardata le gambe e, forse, aver notato d’esser uscita di casa con indumenti che di solito indossava solo dentro. La seguì con lo sguardo, Darko, mentre lei riprendeva a muoversi con più energia di quella che le aveva visto addosso fino a poco prima. Restò sul posto, girandosi su sé stesso per seguirla con le iridi azzurre mentre, consapevole ora al cento per cento che ci fosse qualcosa di cui lei sembrava non voler parlare ma che, forse per paura, forse per necessità, l’aveva spinta a chiedergli asilo per qualche istante, forse qualche ora, senza pronunciar parola alcuna. «Mi dispiace moltissimo essere arrivata così senza preavviso, stavamo cenando e no...stavamo facendo un giro e…» prese a raccontare Mae, muovendo appena il capo evitando di guardarlo, chiaramente alla ricerca della cosa giusta da dire o forse solo la più sensata, quella che non avrebbe rischiato la raffica di domande che, invece, temeva potessero arrivare da Darko. Chinò la testa bionda stringendo ancora la bottiglia di birra fra le mani mentre osservava Mae questa volta sotto il fascio di luce del faretto più diretto che, dal soffitto, ora andava ad illuminarla in viso: un’isoletta rosa compariva sulla parte laterale del viso, vicino l’orecchio; appena più in basso, sul collo, Darko intravide due piccoli segni più scuri dalla forma ovale. Serrò immediatamente le labbra, prendendo a camminare nella direzione di Mae e quindi del tavolino che le stava di fianco alle gambe per posare la bottiglia di birra ancora mezza piena, ora come se fosse vuota e non avesse più alcuna funzionalità senza l’alcol al suo interno, poiché ciò che in quel momento passava nella mente di Darko non era assolutamente sedabile, non con qualcosa di così materiale. Per un breve momento, mentre si chinava con la schiena in direzione del tavolino in maniera lentissima, come se la bottiglia di birra gli pesasse non solo fra le dita, ma sulle braccia, sulle spalle, sulla testa e sui piedi, le ginocchia gli avrebbero ceduto se solo si fosse abbassato di più? Quando tornò dritto, ruotò il capo di lato, verso di lei, puntando lo sguardo sulle palpebre basse di Mae che, ancora, non aveva alzato le proprie iridi su di lui più di una volta da quando era entrata e che, ora gli fissava allarmata le gambe e i piedi, come se, a guardare in basso, lo avrebbe fatto anche lui e, forse, non si sarebbe accorto dei segni rossi sul viso. «Non volevo disturbarti a quest'ora, mi dispiace. Ce ne andiamo subito.» continuò Mae, questa volta riuscendo a scollare i piedi dal pavimento per dirigersi al di fuori del grande salone e ritrovarsi quindi nell’ingresso dove Darko aveva appeso le giacche quando erano entrate. Maeve. sussurrò piano, non per timore e non per non abusare del proprio tono di voce in una situazione in cui, lo sapeva, avrebbe dovuto mantenere una calma. Qualcosa, semplicemente, si smosse dentro di lui in maniera tanto lenta quanto scaltra, restando silenziosa. Si voltò per seguirla a passo cadenzato fermandosi sull’uscio della porta che divideva la stanza dal corridoio dove, in piedi mentre gli dava le spalle già coperte dalla giacca pesante, Mae sostava sulla porta della camera da letto di Darko. Maeve. pronunciò di nuovo il suo nome per intero dopo settimane di nomignoli, prese in giro del tutto affettuose forse anche a propria insaputa e, nel farlo, qualcuno avrebbe potuto pensare che i due stessero tornando indietro, verso un tempo successivo al bosco e antecedente al luna park. Restando sulle porte di quel corridoio illuminato dal calore dei faretti, però, Maeve e Darko probabilmente non erano mai davvero stati più vicini. Lasciati guardare. disse, sollevando appena il mento mentre con lo sguardo restava fermamente aggrappato alle spalle di lei, la figura del suo corpo già normalmente minuto ora gli appariva decisamente più piccolo, anche più sottile e fragile di quello di Malia che già diversissime volte aveva avuto l'occasione di stringere fra le proprie braccia. Compì un passo in avanti senza ancora avvicinarsi eccessivamente a lei, lasciandole lo spazio che era fermamente decisa a tenersi stretta addosso dandogli le spalle. Non sapeva d'essere vicinissimo ai propri sentimenti, alle proprie sensazioni che, solo qualche istante dopo, gli si sarebbero riversate tutte addosso senza che lui potesse davvero far qualcosa per reprimerle. Credeva, Darko, che il proprio orgoglio avrebbe combattuto qualsiasi ferita, persino o forse soprattutto quelle non a lui inflitte. Quando raggiunse Maeve sulla soglia della camera da letto che restava ancora nascosta ai loro occhi dalla porta socchiusa, Darko si affiancò alla figura della donna posando il proprio sguardo sul suo viso ombrato, nascosto alla luce dalle ombre che, in piccoli ciuffi, le ricadevano sul viso mentre cercava ancora di nascondersi da lui, forse intrappolata nella tempesta di pensieri che si fortificava dentro di lei mentre cercava la forza di compiere una scelta o anche solo un passo in una qualsiasi direzione avrebbe potuto sbloccarla da un tepore scomodo che ormai conosceva bene.
    Sollevò una mano in direzione della sua spalla minuta, Darko, stando attento a non posar troppa pressione su di lei mentre tentava, lievemente, di farla voltare verso di lui.

    Faccia a faccia, ora Darko la vedeva.

    Si costrinse a serrare le labbra per qualche secondo, le narici si allargarono piano sotto la pressione del suo respiro appesantito; lo sguardo, quello, pronunciò mille parole, immagini, pensieri; quello, s’incollò alla pelle arrossata di Mae e lasciò vagare fibrillazioni di rabbia e sentimenti di ingiustizia lungo ogni vertebra e nervo che avesse in corpo. Il pensiero, poi, volò direttamente a Mumù stesa sul suo letto, appesantita da sonno e, chi poteva saperlo? Da quello che aveva visto? Da quello che aveva subito? Scosse il capo, frettoloso, la mano ancora posata sulla spalla di Mae come se a staccarsene perdesse il filo di pensieri e il ragionamento che, anche se non avesse voluto fosse vero, rendeva tutto reale e non aveva bisogno poi di troppe spiegazioni. Fu quasi istintivo, Darko spinse piano con la mano libero la porta della camera da letto e controllò che Mumù stesse dormendo prima di ritirarsela contro e chiuderla. Dopodiché diede le spalle anche a Maeve e si diresse nuovamente verso la cucina, facendo segno a lei di seguirlo. Una volta all’interno della sala e dopo aver lasciato a Mae lo spazio e il tempo di tornare nella stanza, Darko chiuse anche quella porta, voltandosi a guardarla con espressione seriosa. Ce l’hai in casa, il pezzo di merda? chiese schietto, sollevando il mento per indicare lei e i segni rossi sul viso mentre, intrecciando le braccia al petto, si avvicinava a lei di nuovo. Maeve, alza le mani su Malia? chiese ancora a bruciapelo in un impeto di protezione e rabbia che non avrebbe neanche saputo spiegare a parole ma che provava solo da quando aveva conosciuto loro. Non lo avrebbe mai ammesso consciamente, non in quel momento almeno, che il senso di protezione non si rivolgeva più solo nei confronti di Malia, bensì anche in quelli di Maeve. Ma Darko, che mai in tutta la sua vita aveva avuto cura di qualcosa più che di se stesso, anche se in tutti i modi maldestri che esistessero, si ritrovava in una situazione di totale ignoranza con lei e Malia; ignoranza intesa non come qualcosa di cui non aveva alcuna conoscenza, ma come qualcosa di cui ne ignorava, almeno fino a quel momento, la completa esistenza. Si era chiesto, un paio di volte, se sua madre e suo padre si fossero mai sentiti a quel modo nei suoi confronti, lo stesso modo in cui si sentiva lui quando voleva solamente che a Malia accadessero cose bellissime.
    Non ci tornate a casa stasera, Maeve. Mi hai sentito? affermò senza voler effettivamente avere una risposta ma pretendendo che lei annuisse, che almeno per quella volta lasciasse definire a lui lo scorrere del tempo. Sciolse il nodo di braccia incastrate dinanzi al petto e prese a camminare in direzione della cucina, posando i palmi aperti delle mani sulla superficie liscissima dell’isolotto bianco. Lasciò cadere la nuca verso il basso, chiudendo gli occhi qualche istante mentre cercava una soluzione che, lo sapeva benissimo, anche dopo averla trovata non avrebbe risolto tutto alla velocità della luce. Parlami, Maeve. sussurrò allora quando tornò in superficie col viso e le iridi andarono a cercare il volto scarno di Maeve. Da quanto va avanti? chiese poi, sospirando piano mentre si drizzava nuovamente e lasciava andare l'isolotto con le mani per girarci intorno e, così, tornare al centro del salotto davanti al divano, laddove Maeve sembrava essersi piantata di nuovo. A guardarla, nuovamente così piccola e con quella macchia che ora sembrava ingigantirsi sulla sua guancia, Darko pensò a come, già una volta, avesse perso qualcosa a cui aveva tenuto da pazzi, impedendo a sé stesso anche solo di assimilare quello che fosse accaduto, distaccandosi da un lutto che, alla fine, era rimasto solo un lutto, neanche suo. La perdita di Silje era stata chiusa in una scatola di cartone e posta via insieme a tutti quei giorni spesi a distruggersi, insieme ai sensi di colpa che, altrimenti, lo avrebbero divorato dall'interno per quell'unica ragione: lo sapeva, -lo aveva sempre saputo- avrebbe potuto fare tanto altro affinché, quella mattina di qualche anno prima, Silje si svegliasse ancora una volta per lui. Non avrebbe permesso che accadesse lo stesso a Maeve.

    Per Maeve ci sarebbe stato.
     
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4 replies since 21/2/2022, 18:53   180 views
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