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Darko&Maeve | sera | casa

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  1. ƒiordaliso
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    I’m falling apart, I’m barely breathing. With a broken heart.

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    ***


    E domani?
    Se lo sarebbe chiesto spesso, anche dopo. Si sarebbe posto miliardi di domande senza poi davvero trovare una risposta giusta, precisa, adatta a cancellare quei punti interrogativi che progredivano nell'apparirgli sotto al naso, davanti agli occhi, dentro al cranio. C'era un'invasione di quesiti che non sembravano volergli dare pace, non dopo quella sera, non dopo quelle intuizioni e le affermazioni di Mae, la paura che le leggeva ora nello sguardo, l'impronta d'espressione che, lo seppe immediatamente, non lo avrebbe mai più abbandonato, neanche nel sonno più profondo.
    C'erano uomini, al mondo, che con il loro ego e tossicità guastavano l'aria, la terra, l'acqua. C'erano uomini che credevano d'esser fuoco, tempesta, vetro appuntito. C'erano uomini e basta, al mondo, e quello era un problema. Il problema di Maeve, che non sapeva come e se potesse chiedere aiuto. Il problema di chi quegli uomini li aveva messi al mondo, non volevano vederne la natura tossica. Il problema di chi specchiandosi non ci vedeva proprio nessuna somiglianza con sè stesso, eppure questa esisteva profondamente. E infine il problema di chi minimizzava ogni cosa: che vuoi che sia? Passa, passerà. Indossa solo qualcosa che ti copra di più, saluta di meno, sorridi di meno, esci di meno. Sebbene Darko non ci avesse mai prestato attenzione -un altro dei problemi- ora, dopo aver posato lo sguardo sulla foglia tremante che era Mae, riconosceva ogni sfruttamento, ogni irrispettoso commento, ogni carezza violenta e, più di tutto, detestava il modo in cui lo faceva sentire. Perché dall'impulsività che lo aveva sempre caratterizzato partivano scintille e spinte di un motore che lo avrebbero voluto in direzione della macchina, dentro la macchina, fuori dalla macchina e dentro casa dell'uomo che pensava d'esser fuoco e poter quindi render cenere due occhi gentili e puri come quelli di sua moglie, come quelli della madre di colei che credeva fosse sua figlia. L'impulsività però scemava via ad ogni più piccolo movimento di Mae nel suo salotto, lì in piedi a trattenersi, a cercare di mantenere pezzi messi insieme con la colla, l'avanzo dell'impasto per i biscotti che usava per trascorrere i suoi pomeriggi liberi insieme a Malia, per tenerla distante da quello che credeva non avrebbe visto o vissuto, perché un po' di zucchero e dolcificante le avrebbero dato la parvenza che sarebbe bastato quello nella vita, per essere felici. Ma Darko lo sapeva, Mumù sarebbe cresciuta, Mumù avrebbe imparato a tirare le parole di bocca a Maeve, avrebbe saputo di lei ogni cosa, conosciuto ogni sfumatura, ne avrebbe prima o poi imparato ogni livido così differente da qualsiasi altro. E allora avrebbe iniziato a porsi le stesse domande che trotterellavano ora nella mente di Darko, e che sarebbe accaduto? Forse avrebbe imparato che non l'unico modo per difendersi è nasconderlo, perché la vergogna dentro casa è più sostenibile rispetto all'urlo che raggiunge l'esterno. Meglio il silenzio, meglio il dolore, meglio la paura, purché non si tramuti in vergogna. A domani ci pensiamo domani. fu gentile, fu pacato, le si avvicinò senza toccarla, senza sfiorarla ancora. Restò lì vicino, non un passo di più, non uno di meno. Udì con attenzione tutto quello che Mae sembrava volesse tirar fuori, con la speranza che riversasse tutto su quel pavimento, al sicuro, un guscio di speranza in un mondo di dispersione. A labbra serrate la guardava, ora, cercando di mettere insieme gli ennesimi pezzi di puzzle che di lei trovava, che lei gli permetteva di avere fra le mani. E li maneggiava con cura, Darko, incerto sul da farsi, incerto sullo stato emotivo che si stava dispiegando dentro il petto d'entrambi, da una parte forse una sconosciuta leggerezza, un masso che cascava per terra, e dall'altra un peso che gli finiva sullo stomaco, fra le dita delle mani che, alla ricerca di qualcosa da stringere, si richiudevano su loro stesse per scontrarsi debolmente contro i palmi ruvidi. Invece non è successo, mi ha stretto il collo finché quasi non respiravo e poi mi ha colpita. confessò di nuovo Maeve, e Darko abbassò lo sguardo sul pavimento fra i loro piedi per qualche brevissimo istante, la ricerca di un affanno che altrimenti non voleva rendere sonoro tramite il respiro, per restare esattamente lì dov'era, per assicurare lei che lui stesse ascoltando. E lo stava facendo, vedeva l'uomo afferrarla per la gola, stringere fino a lasciarle i segni delle dita sulla pelle chiara. Quando sollevò lo sguardo, però, Darko era calmo, le labbra chiuse, il capo chino da un lato. Poi si è scusato e siamo andati tutti a letto. Ho aspettato finché non ho sentito il suo respiro farsi pesante, ho messo Malia in macchina e siamo venute qui. aggiunse quindi infine, spiegando il motivo per il quale si era ritrovata a quell'ora sull'uscio di casa sua con la piccola Malia in braccio. Quella rabbia di poco prima continuava a navigargli nelle vene, toccava cuore, testa, piedi, e punta delle dita, smuoveva ogni cosa dentro. Non erano mai stati più vicini di così, non fisicamente, mentalmente, forse emotivamente. Avvertiva il bisogno di farle sapere che era al sicuro, che lì dentro non sarebbe accaduto niente di ciò che aveva imparato a conoscere come quotidianità, che Malia nell'altra stanza era cullata da sogni tranquilli, poteva avvertirlo anche a distanza. Eppure quelle vibrazioni di terrore che da lei lo raggiungevano erano quasi tattili, il tremore che ancora continuava a scuoterla come se ci fosse un filo d'aria tra quelle pareti che nasceva e terminava solo attraversando lei e nessun altro oggetto. Forse una delle folate si scontrò con lei in maniera violenta e senza che Darko potesse avvertirla, perché la vide accartocciarsi su sè stessa e prendere posto sul divano che per tutto quel tempo sembrava aver evitato. Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace di tutto. Te lo giuro non lascerei mai che succedesse qualcosa a Malia, lo sai vero? Non possiamo stare qui, se lo venisse a sapere...Non posso coinvolgerti ancora di più. Mi dispiace Darko, di tutto. con il volto fra le mani, Mae sembrò cedere completamente alla disperazione e, per un momento, Darko sospirò, forse sollevato. Non perché la vedesse stare male, anzi, perché comprese che la madre di sua figlia avvertisse d'essere al sicuro, almeno per qualche momento. La vide uscire dalla posizione di difesa e attenzione in cui da troppo tempo si era costretta a restare, sgusciando dalla corazza del finto va tutto bene dietro al quale si era nascosta, anche con lui, sin dal primo momento. Si curvò verso il basso, afferrando un pacco di cleenex dalla mensola più inferiore del tavolino e lo posizionò di fianco a Maeve, sul tessuto scuro del divano, dopodiché si sistemò di fianco a lei posando una delle mani sulla spalla con estrema cautela e lentezza. Maeve... mi dispiace. sussurrò piano Darko nella sua direzione, sincero. Lo sguardo grigio non si staccò neanche per un momento dalla guancia di Mae, cercando con lei un contatto visivo che giungeva ad intermittenza fra le lacrime. Lo so che non permetteresti mai che qualcuno le faccia del male. aggiunse, il tono della voce serio. Se c'era qualcosa che di lei aveva imparato ad amare sin da subito era proprio l'amore per Malia nel quale la vedeva nuotare con maestria, un mare dolciastro di purezza e innocenza, di sacrificio. Era quello che sapeva le aveva rese così speciali sin da subito, entrambe, nonostante il tempo trascorso separati, nonostante l'omissione di quello che Darko avrebbe potuto godere sin da qualche anno prima ma di cui Maeve l'aveva privato. E quello andava bene, con quello avrebbe potuto conviverci, e lo aveva saputo sin da subito, sin dal momento in cui le aveva viste assieme e aveva saputo che, più che mamma e figlia, Maeve e Malia erano come un'anima spaccata in due che continua a vivere scambiandosi ossigeno anche da lontano.
    È così difficile amarmi? chiese poi lei d'un tratto. Sbucò di nuovo col viso dalle mani, lo sguardo arrossato e bagnato da un pianto che forse si portava dietro da giorni, da mesi. Drizzò piano la schiena, Darko, e a labbra chiuse andò ad afferrare un tovagliolo di carta per stringerlo fra le dita. Lo avvicinò al viso di Maeve per asciugare via le lacrime dalle guance, strofinò piano col pollice per cacciare via tracce di mascara da sotto gli occhi. Lo sai che non è colpa tua, vero? chiese allora, piano, chinandosi verso il tavolino per lasciar andare il tovagliolo sulla superficie. Quando tornò a guardarla, Darko continuava ad essere serio. Non c'è niente di sbagliato in te. A parte le orecchie forse, le ha ereditate anche Malia. constatò riferendosi alla situazione e cercando di farle aprire gli occhi, stuzzicando un sorriso nel pianto con il commento sulle loro orecchie. Un pensiero, quello, che si portò un'ondata di calore affettuosa dentro, si sparse nel petto al solo pensiero di qualcosa che le accomunasse e che, nonostante ci scherzasse sopra, avesse imparato ad amare, a trovare significativo, a sorridere ogni qualvolta una delle due, tra madre e figlia, si spostasse una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Un punto esclamativo che lo portava a riconoscerle, anche se gli stavano dando le spalle. Era strano, eppure lo faceva stare bene, lo faceva sentire parte di qualcosa che non aveva mai considerato. Non è ora di prenderti lo spazio che ti meriti? Di vivere la vita che ti meriti? domandò con un tono di voce che pareva più che altro un sussurro. Non devi decidere adesso, possiamo aspettare domani, possiamo decidere tutto domani. aggiunse poi, piano. Sospirò appena prima di drizzare la schiena e allargare le braccia verso la sua direzione, l'afferrò dolcemente fra di esse per tirarla gentilmente verso sè e chiudere quel corpo tremante in un abbraccio, con la speranza che la foglia potesse smettere di dondolare in tutte le direzioni, spinta da un vento che nessun altro avvertiva. E forse, in quella conchiglia di pelle calda e affetto, la pianta sentì d'esser protetta, avrebbe smesso di tremare? Non sei sola, non più. Non lo siete. E' chiaro? aggiunse al suo orecchio prima di lasciare un bacio sui capelli scuri. Sono qui per aiutarti, dimmi solo cosa ti serve. la implorò con tono flebile ma deciso, tanto quanto lo era stato quando le aveva detto che quella sera non sarebbero tornate in quella casa, non finché ci fosse stato lui ad aspettarle. Non avrebbe potuto permetterlo.
    Ammetterlo a parole sarebbe stato complicato, avrebbe suonato forse indecente, eppure era chiaro come il sole, soprattutto in quel momento, che Darko sentisse d'aver trovato una famiglia. Un po' scomposta, un po' improvvisata, un po' caotica, eppure era lì, ce l'aveva fra le braccia o sul materasso dietro una porta chiusa e con un lume acceso per non metterle paura. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per loro, per vederle stare bene, per vederle felici. Almeno in quel momento, al domani ci sarebbe stato tempo per pensarci, almeno qualche ora ancora, almeno qualche ora di pace ancora.
     
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4 replies since 21/2/2022, 18:53   180 views
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