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Athena x Ares

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    The Fourteenth of the Hill.

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    Athena Astra Drakos
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    «No, Erik, trovo impossibile questa eventualità» adamantina, la voce di Athena stava ascoltando minuti interminabili di parole dall'altra parte di una cornetta pesante contro l'orecchio ingioiellato.
    Prendeva appunti saltuari mentre Elna, la sua assistente con il naso a punta e grandi occhiali rotondi cercava di tradurre con un dizionario di greco quello che la giudice stava scrivendo.
    «Va' Elna, non preoccuparti, a domani» mormorò Athena, posando una mano dalle dita lunghe ed affusolate sulla cornetta.
    L'assistente sorrise da un orecchio all'altro e chiuse il dizionario con un leggero puff. Slegò i vaporosi capelli biondi e sussurrò entusiasta un: «Grazie Giudice Drakos, a domani»
    Chinò poi il capo alle sue spalle, dove un maestoso grifone riposava come una statua impressionante.
    Se non fosse stato per la sua leggera iridescenza aurea e le piume che si muovevano soffici all'aria estiva che entrava dalla finestra aperta alle sue spalle, sarebbe potuto essere preso per un magnifico arazzo di tempi leggendari.
    La prima volta che Elna l'aveva visto era svenuta.
    Da allora aveva fatto progressi immensi e persino imparato a concedere alla creatura i suoi spazi. Comunque tendeva a non avvicinarsi mai troppo.
    Impegnata, Athena accennò solamente col capo all'assistente mentre ascoltava in lontananza il ticchettio delle sue splendide e costose scarpe allontanarsi ed espirò piano.
    Il grifone parve imitare il gesto della sua nobile padrona, riacquattandosi sul parquet con la stessa maestà di un leone.
    «Passo domani Erik, così potrò dare un'occhiata. Sì.. grazie. A domani e no, non pesare Pantheras, lo farò io stessa» disse la giudice, ponendo finalmente fine ad una delle tante interazioni a cui era sottoposta quotidianamente.
    Cullata nella sua solitudine, volse lo sguardo glaciale all'animale evocato che brillava muto alle sue spalle.
    «Sarà una serata lunga, Thyelas. Non capisco perchè continuano a scambiarti per maschio» ragionò Athena con sincerita contenuta, mentre la creatura muoveva il capo d'aquila con eleganza.
    «E' così evidente che non..» aveva cominciato a dire quando una delle guardie giurate irruppe rumorosa nell'ufficio ordinatissimo della donna, facendola scattare in piedi.
    L'uomo si teneva il naso con una mano mentre l'altra era già corsa alla fodera della sua pistola d'ordinanza.
    «Giudice Drakos! C'è un pazzo in corridoio!» sbraitò la guardia in tono lamentoso mentre sangue gocciolava dal suo naso evidentemente rotto. Gemette mentre cercava di contenere il dolore, probabilmente impressionato dal suo stesso sangue.
    Athena si sfilò le scarpe dal tacco alto ed il suo grifone le si avvicinò alle spalle, provocando un mugolio da parte del poliziotto che arretrò spaventato.
    «Zitto» ordinò Athena in un sibilo mentre Thyelas la seguiva sino all'uscio della propria porta.
    Quello che vide fu solo un uomo alto e bruno che sbraitava contro un paio di altre guardie che lo invitavano alla calma.
    Athena aggrottò le sopracciglia, infilò nuovamente le scarpe dopo aver relegato la minaccia a qualcosa di evidentemente gestibile e si avvicinò col Thyelas al disturbatore.
    La sua andatura sicura incuteva sempre un certo timore e rispetto in chiunque ed era grata a se stessa per questo.
    «Che sta succedendo qui dentro?» tuonò la giudice, spalancando gli occhi quando si ritrovò Ares dinanzi agli occhi di ghiaccio.
    «Impossibile» esalò soltanto un attimo dopo, incredula.
     
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    Per quanto Ares semplicemente odiasse riconoscere una qualsiasi forma di affinità tra sé stesso e l’uomo che si faceva chiamare suo “padre”, sarebbe stato impossibile negare il fatto che fossero in grado di suscitare le stesse identiche reazioni in chiunque si ponesse sul loro cammino con il fine di ostacolarli. Bastava una semplice occhiata, un rapido e dominante movimento delle sopracciglia per sottintendere una minaccia, una qualche dolorosa ripercussione nel caso in cui l’oppositore avesse deciso di andare contro la propria volontà. Alle volte Ares non lo faceva neanche consciamente, anzi, si trattava ormai del suo modo di fare, di offrirsi al prossimo. Proprio per questo motivo non aveva avuto granché modo di spiegarsi o trovare una qualche intesa con le guardie giurate che sostavano a protezione dell’ufficio della sua vecchia amica. Un momento prima stava affermando di dover necessariamente incontrare la giudice Drakos anche se no, non aveva un appuntamento e no, non avrebbe aspettato di prenderne uno, e un attimo dopo il suo pugno si era abbattuto sul naso di una delle guardie che avevano cercato di afferrarlo per le braccia per trascinarlo via. In sua difesa, la sua reazione era stata del tutto inconscia, frutto di un allenamento che lo aveva portato a considerare ogni tentativo di avvicinarsi a sé una possibile minaccia, ma questo non significava che si sentisse pentito o che avrebbe esitato a farlo nuovamente.
    «Ero perfettamente calmo finché non mi avete messo le mani addosso!» sbraitò Ares nella direzione della guardia che stava cercando di ammansirlo come avrebbe fatto con un cane, ottenendo così il risultato opposto rispetto a quello desiderato. Le sue sopracciglia si stavano aggrottando sempre più e i suoi occhi sembravano baluginare minacciosi mentre adocchiava gli uomini in divisa che si erano schierati dinanzi a lui. Se non fosse stato per l’improvviso arrivo di Atena, probabilmente Ares non si sarebbe trattenuto ancora a lungo. I suoi occhi si spostarono immediatamente sulla figura che aveva parlato e il cui tono di voce era per lui incredibilmente famigliare, facile da riconoscere e apprezzare proprio come aveva fatto un tempo. L’angolo delle sue labbra si sollevò in una piega divertita nel sentire la sua esclamazione finale. Eh già, rivedersi proprio lì, a Besaid, dopo anni e anni di lontananza, sarebbe dovuto essere impossibile.
    «Succede che volevo vederti, ma gli uomini qui presenti si sono rifiutati di recapitare il mio messaggio perché eri “impegnata” e hanno cercato di trascinarmi via con la forza» spiegò l’uomo, senza mostrare alcun pentimento per le proprie azioni. Mostrò soltanto un attimo di esitazione prima di continuare a parlare, questa volta con tono non più tanto sicuro e immediato «Hai tempo da dedicare ad un vecchio amico?»
     
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    Athena non avrebbe mai pensato, ultimo pensiero fra gli ultimi, che Ares Maleros avesse mai messo piede a Besaid. Torreggiante in quel corridoio troppo stretto per un'indole come la sua, sostava come fuoco imperituro dinanzi a lei.
    La fiamma era rimasta la medesima di quando erano stati più giovani insieme.
    Gli occhi di Athena si rischiararono di una gioia calda, che pensava non avrebbe mai più provato dopo la morte di Telathe.
    Ares, dinanzi a lei, rappresentava un passato che la giudice aveva creduto di non meritare più neppure di ricordare.
    Avevano trascorso dei bei tempi insieme.
    Da allora Athena aveva seguito sporadicamente il destino del compagno di gioventù, senza mai realmente intrecciarsi ad esso.
    Era cambiata molto dai loro lunghi pomeriggi trascorsi nell'entroterra di Atene, dalle sere trascorse in famiglia e la spensieratezza di quei giorni.
    Ares, invece, era fiorito più o meno come previsto. Indomito, selvaggio, impulsivo e caotico.
    Era cresicuto in prestanza, imbrunitosi e marcatosi come un bell'uomo nella sua vigorosa virilità guerriera, figlia di tempi ben più antichi di quello.
    Così Athena lo ascoltò parlare mentre la guardia giurata alle sue spalle continuava a tirare su un misto di moccio e sangue col naso rotto.
    Thyelas, la sua fiera grifone si avvicinò ad Ares, estensione della sua creatrice e chinò il capo piumato in segno di saluto. Chiuse gli occhi glauchi come quelli della giudice e poi si posizionò alle spalle del compagno.
    Il caos cessò, l'Ordine tornò nuovamente nel suo Tribunale.
    «Ares.. seguimi» riuscì solamente a dire Athena, vagamente colta alla sprovvista mentre si girava ed accennava ai suoi uomini, adesso rassicurati.
    Sapeva di dover essere apparsa fredda agli occhi del vecchio amico d'infanzia, tuttavia non era mai stata perfettamente a proprio agio con i convenevoli, ancor meno se avessero implicato una qualche fisicità.
    «Starò bene, lasciate il minimo di sicurezza per quel che mi riguarda, vi ringrazio» aggiunse, in qualche modo convinta che Ares, per quanto guerreggiante di animo ed aggressivo d'indole, non avrebbe mai fatto alcunchè di pericoloso in sua presenza.
    Thyelas scortò l'amico di un tempo nello spazioso ufficio che le apparteneva: era prevalentemente in legno, colmo di libri di Legge ed ampie finestre, oltre le quali Athena avrebbe potuto scorgere i maestosi cieli stellati durante le notti interminabili di lavoro.
    Non che vivesse per molto altro, in effetti.
    «E' così inaspettato vederti» disse dopo una pausa un po' scomoda, in greco, accennando un sorriso a quelle parole come a voler dimostrare che non v'era astio fra loro nonostante il suo comportamento di poco tempo prima.
    «Oh, accomodati pure!» aggiunse, accennando col capo corvino al divano su cui solitamente passava ore ed ore a studiare i suoi casi più complessi su cui emettere un giudizio.
    «Quanti anni sono passati? Forse più di due decenni, non è così?» ragionò la Giudice, accomodandosi relativamente distante dal compagno per sondarne i lineamenti familiari. Si concesse un attimo prima di raggiungerlo, versandogli del whiskey che aveva spesso per i suoi ospiti d'alto rango.
    Lei non beveva da anni, tuttavia gli offrì ciò che aveva e tornò a donargli attenzione.
    «Come stai?» soggiunse poi, ponendogli forse la domanda più complessa di tutte.
     
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    Quando i suoi occhi incontrarono quelli della vecchia amica, Ares poté accorgersi immediatamente di essere stato riconosciuto. Lo sguardo di Athena, dapprima freddo e imperioso, si era colorato di una luce leggermente più calda, simile ma non identica a quella che l’altra gli aveva sempre rivolto in passato. Athena era cresciuta per diventare una magnifica donna ed era ovvio che avesse perduto i tratti distintivi della giovinezza, quel calore che soltanto una ragazza spensierata avrebbe potuto donare all’amico di sempre. Quel pensiero riuscì a provocargli un sentimento di inevitabile nostalgia, ma anche di estrema curiosità. Cos’era rimasto della ragazza che conosceva e cosa, invece, era cambiato?
    Una delle prime differenze era sicuramente il peculiare animale da compagnia che l’altra portava con sé. Non lo sorprendeva che si trattasse di un volatile, vista la predilezione che Athena aveva sempre mostrato per quella categoria, ma rimase per un attimo sconvolto ad osservarne le dimensioni e il portamento. Era in tutto e per tutto speculare alla sua padrona, cosa che avrebbe potuto sembrargli a tratti spaventosa.
    Nel ricevere quel saluto elegante, Ares lo ricambiò con un – non altrettanto aggraziato – cenno del capo, la sua attenzione che tornava sul volto dell’amica. Avvertì un moto di soddisfazione farsi strada nel suo petto quando la sua presenza venne finalmente accettata e spostò lo sguardo in direzione delle guardie con un atteggiamento trionfante, come se volesse sbattere loro in faccia un “Ve l’avevo detto che avrebbe accettato di vedermi”.
    Ares seguì il volatile fin dentro all’ufficio di Athena, senza dimenticare di guardarsi intorno per cogliere quello o quell’altro dettaglio. Era abituato a vedere interni così eleganti e spaziosi, ma il fatto che gli ricordassero l’ufficio di suo padre non gli permetteva di godersi il lusso senza coltivare ricordi e pensieri negativi.
    «Non ho pubblicizzato chissà quanto il mio arrivo in città, perciò è ovvio che non ne fossi a conoscenza» asserì Ares, il quale si era aspettato che l’altra si sarebbe sorpresa nel vederlo piombare nel suo ufficio.
    «Si, anno più o anno meno…» concordò, mentre allungava il braccio per afferrare il bicchiere di whiskey. Lo sollevò nella direzione dell’altra come per ringraziarla e poi ne bevve un sorso, godendosi il calore che gli infiammò la gola per qualche istante.
    «Come al solito, non è cambiato molto a parte che mi sono lasciato parte della mia famiglia alle spalle. Tu invece? Ti vedo bene… E’ una carica che ti si addice, quella di giudice».
     
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    Ares non parve stupito del fatto che lei non avesse avuto idea del suo arrivo eppure Athena si ritrovò a bacchettarsi mentalmente per quella mancanza.
    Intenta a versargli da bere, ella pensò a quanto tempo era passato da quando i due si erano seduti insieme, soli, a parlare della vita.
    Da lontano la Giudice aveva seguito la carriera di Ares, un po' grazie ai suoi contatti, un po' merito della fitta rete di intrecci e relazioni che suo padre aveva tessuto con meticolosa attenzione nel corso degli anni. Come un ragno paziente, Ander Drakos aveva costruito un impero che aveva permesso lei ed i suoi fratelli e sorelle di spostarsi, vivere nell'agio, abbracciare successi ed attutire ogni caduta.
    La propria era stata quella che aveva costretto i Drakos a lasciare la Grecia e di conseguenza Ares con lei.
    Athena porse il bicchiere al compagno di fanciullezza e si accomodò. Thyelas si alzò maestosa e cominciò ad analizzare silenziosa quello che anche ai suoi occhie era divenuto tutt'altro che uno sconosciuto, estensione dell'animo di Athena.
    «Ti stupirebbe sapere quanto Besaid può essere al tempo stesso piccola come un beato villaggio e caotica come una metropoli. C'è qualcosa nell'aria di questa città che la rende impensabile e straordinaria» spiegò la donna, indicando col capo la sua fiera grifone femmina, intenta a gonfiare le piume e stiracchiare le ali che le si acquattarono contro il torace leonino.
    Sapeva che la presenza di Thyelas non era assolutamente un qualcosa di normale, eppure Athena aveva imparato a convivere con quella realtà e con quel cambiamento che aveva coinvolto la sua vita quand'ebbe messo piede a Besaid.
    La sua tanto amata solitudine era mutata in qualcosa di nuovo.
    «Oh, Ares» esalò la giudice con l'ombra di un sorriso sulle labbra rosse.
    «Sono sicura che puoi fare meglio di così» l'incoraggiò. «Sono vent'anni che non parliamo perciò proverò a chiederlo di nuovo» Athena si sedette un po' più sporta sulla comoda poltrona ove spesso si era recata in preda a dilemmi o pensieri in merito ai casi a lei assegnati.
    La lunga treccia che le legava i capelli dondolò al suo fianco come un grosso serpente ed i suoi occhi cerulei parvero guardare oltre quelli di Ares, oltre il suo viso e quei tratti che aveva riconosciuto dopo così tanto tempo.
    «Come stai?» chiese di nuovo, incuriosita, indugiando un attimo prima di tornare al suo posto.
    Alla sua domanda poi, ella lasciò schioccare placida la lingua contro il palato, preparandosi a raccontare.
    «Dopo la Grecia ho vissuto in splendide città. Mio padre ci ha condotti sempre in luoghi nuovi per lavoro ed i miei fratelli e sorelle non ne sono mai stati troppo contenti» spiegò. «A me invece la prospettiva di conoscere, imparare, vivere altrove ha dato un nuovo respiro» commentò, volutamente menzionando la Grecia solo con un leggero accenno, sorvolando. «L'intera famiglia si è spostata molto e benchè sparsi nel mondo, adesso, li sento sempre vicini. Il potere del denaro, suppongo» ammise la Giudice, accavallando le gambe.
    «Ho studiato Giurisprudenza in Inghilterra, poi mi sono arruolata ed ho passato sei anni nell'esercito. Da quel momento in poi è stato un continuo divenire sino alla mia carriera attuale. Mi occupo perlopiù di casi penali e da quando sono qui ho capito di possedere abilità che..» esitò, non sapendo se sarebbe stato un argomento più o meno digeribile per Ares. «in qualche modo mi distinguono dal resto» concluse, mantenendosi vaga.
    Ci sarebbe stato così tanto da dirgli, eppure Athena aveva il sospetto che il giovane che aveva conosciuto un tempo doveva essere cambiato, doveva aver vissuto esperienze che, come lei, dovevano averlo mutato in qualcosa di nuovo.
    Era decisa a conoscerlo nuovamente, a viverlo prima di spingersi oltre o di raccontare veramente se stessa.
     
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    Lo sguardo di Ares seguì ogni movimento del grifone di Athena, lasciandosi studiare e studiandola a sua volta. Si trattava ovviamente di una magnifica creatura la cui esistenza non doveva essere naturale, ma in qualche modo collegata all’essenza dell’altra, a quello che avrebbe potuto definire il suo “potere”. Perché Ares aveva scoperto, al suo arrivo in città, che Besaid nascondeva in sé dei segreti straordinari e più volte si era domandato perché nessuno ne fosse a conoscenza al di fuori di essa.
    «Me ne sono reso conto qualche giorno dopo essere arrivato… È sicuramente una realtà diversa da quella a cui ero abituato, ma non mi dispiace affatto» sancì con tono deciso l’uomo, perfettamente soddisfatto delle sue nuove abilità e del potere che esse gli garantivano. Ares aveva sempre ambito alla forza, in qualsiasi ambito, e la città stessa sembrava averlo capito perché aveva soddisfatto quel suo desiderio donandogli un qualcosa di straordinario, affine alla propria personalità.
    Un sorriso divertito e per niente sorpreso si affacciò sulle labbra del greco nel sentire il tono di voce della vecchia amica, desiderosa di ascoltare qualcosa in più rispetto a un misero riassunto degli ultimi anni della sua vita. E Ares avrebbe potuto darle ciò che voleva: avrebbe potuto raccontarle di tutte le sue avventure, delle missioni svolte, del denaro guadagnato, ma dentro di sé sapeva che la questione più impellente era un’altra. Ares non riusciva a smettere di chiedersi cosa fosse successo a sua sorella, dove si trovasse e perché fosse svanita senza lasciare traccia. Dunque rimase ad ascoltare il racconto dell’altra mentre sorseggiava il suo whiskey e la studiava con quel suo sguardo intenso, quasi rossastro, in attesa che anche il proprio turno venisse.
    «Sei sempre stata un’intellettuale, perciò non mi sorprende affatto l’idea che tu abbia vissuto una vita da cosmopolita…» commentò divertito dopo che l’altra ebbe terminato, per poi proseguire da sé «La vita a New York è stata incredibilmente noiosa. Mio padre ha diseredato me ed Eris quando abbiamo compiuto diciotto anni e da allora ho cercato di farmi una vita mia. La mia carriera militare non ha funzionato granché, perciò mi sono messo in proprio…» un eufemismo per la parola “mercenario” «Ho viaggiato parecchio, spostandomi di qua e di là per vari incarichi, finché un giorno non sono tornato a casa ed Eris era sparita. L’unico indizio che ho su di lei è Besaid, nient’altro. E’ anche per questo che sono venuto qui da te oggi, per chiederti se l’avessi vista o sapessi qualcosa di lei».
     
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    Nonostante vi fosse oramai un abisso di differenze nelle vite dapprima intrecciate di Ares ed Athena, i due sembravano aver mantenuto la pura complicità di un tempo.
    Il temperamento intenso ed impaziente del suo compagno di fanciullezza parve dissiparsi il necessario per permettergli d'ascoltare le novità che avevano investito nel bene o nel male l'esistenza della giudice sino a quel momento. I suoi trasferimenti, movimenti professionali e di vita l'avevano spinta in giro per il mondo, avendone fatto di lei cittadina in piena regola.
    Athena spiegò i propri aggiornamenti, sorvolando su Telathe e la sua morte per quel momento, nascondendo ogni ombra del proprio passato e poi si dedicò ad una delle attività in cui più eccelleva in assoluto: l'ascolto.
    Per un istante di puro sentimento, Athena capì di voler fare in qualche modo bella figura dinanzi a quel vecchio amico che credeva l'avesse dimenticata.
    In qualche modo, ella voleva che lui fosse fiero di lei, di quello che fosse diventata e della potenza che aveva acquisito nel tempo.
    Così ascoltò Ares parlarle nella sua vita, di ciò che era avvenuto dopo la loro fanciullesca separazione: si era mosso anche lui, aveva viaggiato e vissuto una vita che gli era stata stretta sino a quando una rottura familiare aveva decretato definitivamente una separazione col mondo che avevano condiviso per decenni.
    Leander Maleros aveva diseredato sia lui che sua sorella Eris, sparita misteriosamente anni dopo la separazione della famiglia dalla Grecia.
    Le sopracciglia di Athena si accigliarono appena e la donna si eresse nella sua seduta confortevole. Thyelas aprì gli occhi chiarissimi come quelli della sua padrona e vi si avvicinò un po' così che la Giudice avesse potuto accarezzarle le grandi e soffici piume che le ricoprivano il capo rapace.
    «Da quanto non hai notizie di lei?» domandò Athena in greco, mantenendo la loro lingua madre per quello scambio così cupo, greve, ben diverso dall'idea che lei aveva avuto d'un ritrovo fra vecchi amici.
    Indagò nel suo sguardo, cercando di leggervi le emozioni che lo tingevano: era preoccupato? Quanto era grave la situazione?
    «Ovviamente farò il possibile per aiutarti, Ares» asserì la donna, ritrovandosi a riconoscere nuovamente in quel momento quanto si fosse persa e quanto estraneo fosse in realtà quell'uomo che aveva dinanzi rispetto al ragazzo di tanti anni prima.
    «E' possibile che tu abbia dei nemici e questi abbiano colpito lei?» chiese Athena senza particolare empatia od imbarazzo mentre rovistava nella vita privata del suo amico senza remore.
    Sapeva che Ares non l'avrebbe presa sul personale e, sinceramente, sul momento non aveva neppure pensato completamente al suo benessere. In qualche modo Eris era divenuta una momentanea priorità ed Athena sapeva che se avesse dovuto svolgere il proprio lavoro, avrebbe dovuto farlo mettendo da parte il giudizio personale e l'interiorità che spingeva per darle un ago in quella bilancia morale corrotta dall'affetto che provava per lui.
    «Se fosse per me, ciò che farei sarebbe informare le autorità locali. Tuttavia ti chiedo, ora che siamo soli...» cominciò Athena, stavolta guardandolo dritto negli occhi mentre le carezze meditabonde su Thyelas si fermavano. «se ritieni sia meglio evitare per il bene tuo e di Eris» affermò, suggerendo fra le righe i rischi di una possibile inchiesta.
    Se Athena avesse aperto i canali ufficiali, la Giustizia avrebbe fatto il suo corso ed Ares ( e sua sorella ) avrebbero potuto pagarne il prezzo.
    Avrebbe dovuto forse chiudere gli occhi?
     
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    Ares non poté che sentirsi immediatamente cullato dai suoni che presero a fuoriuscire dalla bocca della sua interlocutrice e che appartenevano indubbiamente alla lingua della propria infanzia.
    Dentro di sé, il mercenario non aveva mai dimenticato la Grecia, luogo dove aveva vissuto il periodo più bello della sua vita, e parlare la sua lingua madre insieme a quella che era e sarebbe sempre stata una delle donne più importanti della sua vita riuscì a donare un pizzico di sollievo a quel cuore che ormai da anni non funzionava più come doveva.
    Se suo padre non si fosse messo in mezzo, se gli fosse stato concesso di rimanere ad Atene, forse Ares sarebbe stata una persona ben più felice rispetto a quanto non lo fosse adesso e persino degna del rispetto dell’altra, donna stimata che era stata capace di farsi strada su un cammino impervio e pieno di ostacoli.
    Ma ormai i dadi erano stati tratti e pentirsi delle sue scelte di vita non avrebbe risolto nulla, oltre farlo uscire da quelli che erano i dettami che aveva imposto a sé stesso dopo essere stato diseredato dalla sua famiglia.
    L’unica persona per la quale avrebbe vissuto, oltre sé stesso, era la sua sorella gemella. Non doveva dare conto a nessuno oltre loro due, nemmeno alla stessa Athena Drakos, per quanto ella rimanesse comunque di vitale importanza ai suoi occhi nonostante le loro immense diversità.
    « Non lo so precisamente… Ero impegnato in un incarico, sono tornato a casa dopo un bel po’ di tempo e lei non c’era già più. L’unico indizio che ho trovato è stata una cartina e qualche libro sulla Norvegia e questa cittadina, Besaid, perciò mi sono trasferito qui per cercarla » “e mai avrei pensato di trovare anche te” aggiunse nella sua testa, poiché la sorpresa per quello strano – ma lieto – incontro non accennava ancora a scomparire.
    « No, non penso sia stata opera di miei o suoi nemici, e nemmeno di eventuali nemici di mio padre » sancì il mercenario, che aveva avuto modo di pensare a tutte le possibili spiegazioni in quel lasso di tempo decisamente lungo « Ma non voglio che le autorità vengano coinvolte, preferisco indagare a modo mio ».
    Sua sorella non aveva mai avuto un temperamento chissà quanto “gentile” e Ares non aveva modo di sapere se ella fosse vittima o carnefice di qualsiasi cosa stesse succedendo, per questo non l’avrebbe mai esposta e soprattutto non si sarebbe mai fidato delle forze dell’ordine per ciò che riguardava lei.
     
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    Athena si ricordava di Eris.
    Simile ad Ares per carattere e percezione del mondo, era d'indole meno impulsiva, più precisa e focalizzata su diversi interessi. Suo fratello l'amava ed i due, da giovanissimi, erano stati inseparabili.
    In quel cordone di ricordi macchiati dalle nebbie un po' oscure e melanconiche della memoria, Athena comprese d'essere stata ben più parziale all'epoca di quanto non fosse divenuta nel presente.
    Giustificabile, considerato ch'era stata niente più d'una bambina. Tuttavia si era convinta che quelle memorie fossero state in qualche modo fortemente filtrate da una spenseratezza dissipatasi con il vissuto che era poi seguito.
    Le guardava ora con fastidio, a disagio per quella piccola Athena che aveva ignorato e duramente giudicato per così tanto tempo.
    Qualcuno avrebbe potuto attualmente definirla distaccata da se stessa e lei, in linea di massima, non avrebbe opinato quel giudizio.
    Thyelas continuava ad osservare il nuovo arrivato, sintonizzata in modo simbiotico con la sua creatrice e manifestazione più sincera del suo animo: era rilassata, curiosa, analitica, pensosa.
    «Non credo di voler necessariamente sapere quali siano in tuoi contatti qui» soggiunse Athena, comprendendo alla perfezione la richiesta di Ares di non coinvolgere le autorità locali per il momento.
    Era chiaro che lui avesse percorso sentieri ed intrapreso carriere a lei ignote, potenzialmente pericolose od illegali ed Athena, per quanto stranamente delusa da quella consapevolezza, non ne fu necessariamente sorpresa.
    Ares era sempre stato insofferente all'autorità, aggressivo col mondo intero e, sebbene l'avrebbe negato sino alla morte, estremamente emotivo.
    La carriera militare non avrebbe mai fatto per lui a lungo termine, tantomeno essere costretto in un ufficio come lei.
    Così la giudice si spallò sulla propria seduta, accolta dalla morbidezza pregiata dei cuscini alle sue spalle, dedicandosi ad un'attenta osservazione del suo compagno d'infanzia.
    «Sei cambiato, Ares» ammise, sempre in greco, con una punta di bonaria curiosità in più nella sua stranamente calda ammissione.
    Per quanto ben poco empatica, la giudice lesse durezza nel vissuto del suo compagno, delusione, una certa sfumatura di resilienza. Conoscendo Leander, suo padre, non si sarebbe stupita se Ares non fosse mai stato ascoltato veramente, compreso ed accolto.
    Era un ambiente complesso in cui crescere ed il privilegio spesso era pagato in amore mancato, insensate pressioni sociali, catene malsane che stringevano ancora Athena dopo anni.
    «.. e sono sinceramente sorpresa che i nostri destini si siano incrociati di nuovo» aggiunse come a sua discolpa a seguito dell'affermazione appena compiuta, stavolta regalandogli un sorriso di rado concesso a chiunque altro.
    Così Athena si alzò e ticchettò verso la propria maestosa ed asciutta scrivania.
    Raccattò un biglietto da visita di carta spessa e pregiata, impugnò la propria stilografica e vi scrisse brevemente delle lettere in greco e qualcos'altro.
    «Temo di doverti lasciare adesso ma tieni» e gli porse il biglietto.
    V'era scritto il suo nome "Ἀθηνᾶ" ed il suo numero di telefono privato.
    «Chiamami. Se hai bisogno d'aiuto per cercare casa qui ti posso passare il mio agente» commentò disponibile. «Cercherò di tenere gli occhi aperti per Eris» aggiunse la giudice, restando in piedi per invitarlo cortesemente a lasciare la stanza. Thyelas si alzò poco dopo, girando piano attorno ad Ares come una leonessa.
    Schioccò il becco e chiuse gli occhi in segno di tranquillità, abbandonando i due mentre trovava posto sul suo confortevole tappeto poco distante, regina in quelle stanze.
    «Grazie di essere passato» si congedò quindi Athena, accompagnandolo alla porta mentre posava distrattamente una mano alla maniglia aurea della porta.
    Lo vide dunque allontanarsi e schiuse le labbra rosse.
    «E Ares!» esclamò prima di chiudere la porta delle proprie stanze in tribunale. «Non prendere più a pugni le mie guardie giurate, per cortesia» concluse, accennando un sorriso prima di separarsi da lui. Accennò col capo e lentamente tornò nel proprio bozzolo d'intima solitudine.
     
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