Every time I don’t, I almost do

Fabian ft. Charlotte | Istituto Mordersønn | 05.05.2022

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    Il tempo aveva aiutato a porre rimedio come non aveva previsto al defluire delle problematiche personali che aveva incontrato. Un altro anno passato per lui era significato imparare meglio a gestire il suo potere: le persone che vedeva erano adesso più riconoscibili delle altre, aveva imparato con la sua vista a distinguere i contorni delle auree, cosa che non avrebbe mai immaginato possibile, dalle altre, cercando quindi di evitare di fermarsi ad osservare troppo le persone con un alone scuro a circondarli. Fabian era diventato attento a pensare con tranquillità come ordinare i suoi pensieri a riguardo, e aveva deciso infine di evitare di cacciarsi troppo nei guai intercedendo per i familiari correlati a tutti coloro che richiedevano la sua assistenza perché in grado di vedere cosa lui potesse fare, ovvero che potesse riconoscerli. Nulla di più, nulla di meno. L'ultimo anno era passato tra impegni quotidiani e quelli calcistici, alternando un ritmo di vita pieno dedicato esclusivamente al benessere della squadra. Gli ci era voluto molto tempo altrettanto per rendersi conto che la spirale di quotidianità aveva assorbito qualsiasi cosa fosse rimasto in lui. Tutto era passato e scivolato via lontano da qualsiasi sconvolgimento, se non un unico episodio che l'aveva fatto a lungo riflettere su quanto la permanenza in quella città potesse significare: Arden, la sua relazione più lunga e significativa da quando abitava a Besaid, se non l'unica a tutti gli effetti, aveva deciso di lasciare la città definitivamente. Si erano salutati a fatica, non sapendo bene come prevedere il futuro se non conoscendo la solita storia di chi abbandonava quel luogo. Era stato quell'episodio forse a spingerlo a considerare un taglio netto con il suo passato, come se il cerchio si fosse richiuso e lui avesse avuto una chiusura definitiva a quel rapporto che non aveva mai lasciato andare del tutto. Solitamente canzonava Amy che se non ci fosse stata lei ancorata a quella cittadina avrebbero potuto andare da qualsiasi parte nel mondo senza dispiacersi, cosa importava d'altronde, chi avrebbe lasciato indietro? Ma la donna faceva più fatica di lui e aveva in effetti tantissime ragioni per restare lì, e persone da conservare nella sua vita.
    Il suo collega Roy, l'allenatore tecnico della squadra, lo aveva canzonato per mesi, successivamente alla grande festa di inizio stagione calcistica avvenuta ad agosto dell'anno prima, inneggiando al fatto che fosse sparito con Charlotte, la sua misteriosa invitata, e tanto aveva detto e tanto aveva insistito che aveva deciso di rinunciare alle avance verso la donna in favore dell'allenatore effettivo. Tante volte si era ritrovato con il suo numero tra le mani chiedendosi poi che cosa potesse farsene, sarebbe valsa la pena di chiamarla? Avevano passato una bella serata assieme, inaspettata, scambiandosi informazioni che alla fine non potevano essere classificate né come convenzionali né fuori dall'ordinario. Avevano dialogato come due adulti liberi che si conoscono e confrontano le proprie opinioni, ma Fabian non sapeva cosa avrebbe potuto dirle di più che potesse avere un senso. Aveva sospirato un sacco di volte, aveva provato a comporre il numero e poi lasciato lo smartphone sul comodino, su una panchina, sul letto gigantesco che occupava da solo ogni notte. Alla fine aveva memorizzato il numero senza decidersi a chiamarla, per tutte le volte che non lo faceva, c'era quasi, ed era stato quasi sul punto di selezionare l'icona di partenza della chiamata, senza colpo ferire.
    Ma se la sua vita sentimentale poteva essere definita, come sempre, un gran bel disastro, nulla poteva essere considerato più sconvolgente della novità impellente che aveva bloccato la cittadina: il Sykdom. La stagione calcistica stava arrivando quasi alla conclusione per quel 2021-2022 e i Vikings erano arrivati secondi al campionato: un risultato straordinario per arrivare finalmente al coronamento dell'obiettivo di quattro anni a quella parte di lavoro e investimenti compiuto da Fabian. Eppure l'ultima partita era stata sospesa dal comitato, in attesa che potesse farsi chiarezza su quanto stesse accadendo, per cercare di limitare i danni e le possibili propagazioni della malattia. Fabian non aveva pensato di essere spaventato, aveva immaginato che non sarebbe arrivato a lui, semplicemente perché lo sentiva sulla sua pelle, come un istinto primordiale a cui non sai dare un nome, sai solo che ne puoi capire il significato. E invece non era affatto vero. Curiosamente un componente della sua squadra, il giocatore Henrik Stevenson era stato colpito da un malore diffuso nei due giorni precedenti, che corrispondevano a quelle che voci di corridoio avevano diffuso in quei giorni: perdita di conoscenza e di memoria. Quel giorno l'articolo sul giornale del Besaid Daily aveva definitivamente sancito i timori di Fabian: era il 5 Maggio, e il giornalista che portava avanti gli aggiornamenti di prima battuta della nuova, nuovissima emergenza sanitaria recitava chiari i sintomi e il nome attribuito a quel virus, e come poterli contrastare.
    Fabian non ci pensò su due volte, poter intervenire per fare qualcosa era l'unica cosa che gli era concessa. Si recò a casa di Henrik, deciso a non ammettere repliche dall'attaccante, stabilirono modalità sicure per poterlo portare con sé in auto senza che fosse contagioso per lui e d'altronde anche per la squadra. Una volta nell'abitacolo con lui si premurò di indossare i guanti e a non far toccare neanche a lui nulla che potesse essere prendibile. Così avvolto in una coperta alla bell'e meglio si decise di partire alla volta del Mordersønn Institute.
    Dopo mesi passati ad escludere un qualsiasi motivo sensato atto a chiamare Charlie, Fabian si ritrovò a cercare in rubrica il nome della donna segnato e salvato indelebile sulla memoria digitale del dispositivo. Aspettò di arrivare fin proprio al centro cittadino, al di sotto dell'imponente edificio a quarantasette piani noto come unico centro avanzato pronto a fronteggiare un tipo di crisi di quel calibro. Arrivò fin dritto all'edificio basso della reception che permetteva di accogliere i pazienti e i cittadini nell'istituto, e fu fermato dalla consueta sorveglianza posta a sentinella dell'edificio, e dal portinaio addetto del turno che chiedeva i suoi documenti. Passò i suoi e quelli di Henrik, e spiegò brevemente la situazione, prima di essere scortato da una serie di segnali luminosi fino al parcheggio designato per loro con il suo suv nelle strisce bianche sull'asfalto, ed essere accolto dai medici che si incaricarono di analizzare il caso del calciatore.
    Entrarono tutti all'interno dell'edificio, dove Fabian cominciò ad abituarsi ai colori bianchissimi dei mobili e alle superfici in acciaio, in una linea continua che si alternava ai vetri tra un ufficio e l'altro, non sapendo bene dove andare fintanto che Henrik cominciava ad essere allontanato per esami di routine. Si sedette alla prima sala d'aspetto dove era stato portato, dopo aver scambiato due parole con la segretaria. Era rimasto tutto il tempo con il suo telefono in mano, deciso a chiamare Charlotte per una motivazione che proprio non aveva immaginato. Alla fine si fermò alla segreteria, guardando dritta negli occhi la donna dietro il bancone e il suo schermo di ultima generazione grandissimo su cui faceva viaggiare le informazioni che digitava. « Ehm... Può chiedere di Charlotte Lien Haugen? Sono Fabian Crawley. » Fece una pausa, nel frattempo che la voce potesse assestarsi e la segretaria potesse compiere il suo lavoro. Borbottò tra sé e sé le successive parole, non sapendo poi bene come pronunciarsi oltre, e sperò poi che non fosse sentito da nessuno. « Ci siamo conosciuti secoli fa, ma dovrebbe ricordarmi. »


    'misia :hero:


    Edited by wanderer. - 11/9/2022, 17:08
     
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    Il telefono non aveva fatto altro che squillare per tutta la mattina, facendole desiderare di prendere quell’apparecchio e lanciarlo dalla finestra. Era raro che perdesse la calma sul lavoro ma in momenti come quelli anche lei riusciva a raggiungere i suoi limiti. Erano mesi ormai che l’Istituto lavorava in segreto alla risoluzione del problema del virus che aveva preso ad aleggiare sulla città dopo la festa che si era tenuta sulla spiaggia e tutto era andato alla grande fino a che non era uscito quel maledetto articolo di giornale che aveva rivelato alcuni dettagli sulla faccenda. Il Mordersønn ovviamente non era stato citato, ma molte persone avevano reagito alla notizia cercando supporto nella struttura più rinomata per lo studio delle particolarità. Se avesse beccato quel maledetto giornalista in giro per le vie della città gli avrebbe fatto passare lei la voglia di riportare certe notizie prima del tempo. Purtroppo, tuttavia, al momento poteva soltanto cercare di affrontare il problema nel migliore dei modi e portare a termine la giornata il prima possibile e con il maggior risultato possibile. Dopotutto per Charlie non era ammesso perdere, in nessuna occasione. Terminò quindi di digitare l’ennesima parola del brano che stava preparando per il loro comunicato stampa e poi si fermò un momento, alzando al cornetta. -Sì? - chiese, ascoltando la voce di una delle ragazze della segreteria al piano di sotto. Arricciò appena le labbra, per niente contenta di dover parlare con l’ennesimo familiare di un paziente dell’ospedale cittadino, troppo preoccupato per i suoi cari, tanto da cercare di trovargli un posto all’istituto. -D’accordo, passalo sulla mia linea. Me la vedo io. - rispose, già per la quinta volta nelle ultime due ore. Prese un lungo respiro, raddrizzò la schiena, assunse un’espressione sorridente anche se nessuno poteva vederla e si preparò per la conversazione successiva. Anche se le persone dall’altra parte della cornetta non potevano vederla era importante che percepissero sicurezza e un tono di voce pacato, tranquillo e sicuro. L’apparenza faceva tutto e lei lo sapeva più che bene visto che aveva costruito su quello la sua carriera nell’Istituto. Erano pochi i colleghi che potevano dire di conoscerla davvero, ancora meno quelli che lo dicevano con cognizione di causa.
    Cercò di rassicurare tutte le persone che le vennero passate al telefono, chiudendo il prima possibile le conversazioni senza accettare ufficialmente nessuno di loro all’interno del programma. Tutti si aspettavano che loro avessero le risposte, ma a volte era semplicemente meglio far credere a tutti che non ci fosse nulla di cui preoccuparsi, che le cose si sarebbero risolte da sole, senza bisogno del loro intervento. Mise un punto sul suo nuovo comunicato stampa, rileggendolo velocemente ancora una o due volte prima di inviarlo al settore che si occupava dell’effettiva pubblicazione delle loro dichiarazioni pubbliche. Per fortuna Niko non si era ancora fatto sentire, ma qualcosa le diceva che non avrebbe preso bene quello che stava succedendo e che, con molta probabilità, avrebbe fatto querelare il giornale per aver fatto perdere loro tutto quel tempo sulla tabella di marcia. Premette il tasto inviò e si concedette un momento per prendere un lungo respiro. Era da venti minuti che il telefono non squillava, quindi forse il peggio era appena passato e lei si sarebbe potuta concedere almeno una piccola pausa caffè. Guardò l’orologio al suo polso, era lì da ore ormai e ancora non aveva avuto neppure un momento per alzarsi dalla sedia. Non che fosse una grande novità, ma iniziava a sentire il bisogno di sgranchire un po’ le gambe. Posò i palmi delle mani sul bordo della scrivania e si spinse appena all’indietro, ben determinata a recuperarsi un caffè, quando il telefono dell’ufficio squillò di nuovo. Sospirò indispettita, vedendo sfumare la sua occasione. -Sì? - chiese, con aria un po’ più scontrosa delle volte precedenti, fermandosi poi per capire che cosa ci fosse questa volta. -Miss Lien, qualcuno chiede di lei. - iniziò Natalie, una delle nuove ragazze della reception, che ancora provava un certo timore riverenziale nel rivolgersi a lei. -Chi? - domandò, con aria sospettosa, aprendo velocemente la sua agenda per accertarsi di non essersi dimenticata alcun appuntamento. La ragazza si portò una mano davanti alle labbra per coprire il resto del discorso. -Dice di chiamarsi Fabian Crawley e che vi conoscete. - aggiunse quindi, abbassando il tono della voce.
    Al sentire quel nome Charlotte si tranquillizzò appena. Era certa a quel punto che non ci fosse nulla in agenda. -Ti ha detto di che cosa ha bisogno? - domandò, mentre controllava il resto dei suoi impegni programmati per capire quanto a lungo poteva trattenersi fuori da suo ufficio. -No, ma se vuole posso chiedere. - si propose, con un tono di voce ora più allegro, come se si sentisse complice della collega per una volta e potesse quindi avvicinarsi in qualche modo a lei, ma la bionda scosse il capo prima ancora di parlare. -No, digli di aspettarmi nella sala d’attesa al piano terra, lo raggiungo io tra qualche minuto. - terminò e senza neppure attendere una risposta riattaccò. Erano trascorsi diversi mesi da quando lei e Fabian si erano incrociati per caso a un evento sportivo e tra tutte le persone che si aspettava di incontrare quel giorno lui era senza dubbio l’ultima, ma avrebbe potuto sfruttare quell’occasione per prendersi finalmente la sua pausa dal computer. Si allontanò quindi dalla scrivania, si mise in piedi, sistemò le pieghe del suo abito e si diresse verso l’ascensore, pigiando il tasto corrispondente al piano desiderato. Era curiosa di sapere che cosa lo avesse portato fino all’Istituto, ma qualcosa le diceva che si trattava del Sykdom, come per tutti gli altri. Sarebbe stato un caso troppo strano, infatti, se lui si fosse recato lì proprio quel giorno, dopo l’uscita dell’articolo incriminato, se non ci fossero stati legami con quel virus. Ad ogni modo, esattamente come aveva dato udienza agli altri, lo avrebbe fatto anche con lui. Attese che l’ascensore la avvisasse con il suo solito segnale di essere giunta a destinazione poi, lasciando che fossero soltanto i suoi tacchi a risuonare per il pavimento lucido, si diresse con aria tranquilla verso la sala d’attesa, individuando la figura dell’altro seduta lontana da tutti gli altri.
    -Fabian? - chiamò, sporgendosi appena all’interno della sala e cercando quindi di catturare la sua attenzione soltanto con quella semplice parola. Rivolse un sorriso nella sua direzione, aspettando che la notasse e che la raggiungesse. -Ho bisogno di una pausa caffè, mi fai compagnia? - domandò, indicando con un cenno del capo il lato sinistro del corridoio, che li avrebbe condotti verso un bar interno all’edificio. L’istituto era molto grande e aveva quindi un bar personale che riforniva i dipendenti e i parenti dei pazienti in cura. -Non mi aspettavo di incontrarti proprio oggi - disse, con un tono a metà tra l’incuriosito e il divertito, quando si furono ormai allontanati abbastanza dalla sala d’attesa e dalla reception. Per quanto si trovasse all’interno del suo luogo di lavoro non le faceva comunque piacere far sapere i fatti suoi in giro. Camminò con passo sicuro per diversi metri, lasciandosi indietro l’ingresso e la sala dove si erano appena visti, fino a raggiungere la parte finale del corridoio. Non si voltò verso di lui, continuò ad avanzare come se nulla fosse, la schiena dritta e il volto impettito. Aprì la porta vetrata del bar, lasciando passare l’uomo prima di lei, facendo gli onori di casa. Lo seguì poco dopo, chiudendosi la porta alle spalle e lasciò che il chiasso della caffetteria risuonasse nelle sue orecchie per qualche momento. Si accomodò a uno dei tavolini più riservati, prendendo tra le mani il menù, sebbene sapesse già che cosa prendere. -A che cosa devo questa visita inaspettata? - domandò, incuriosita, portando lo sguardo dritto sul volto di lui. Ora che si trovavano soli e in una posizione un po’ più tranquilla potevano venire al nodo della questione.
     
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    Era rimasto nella sala d'aspetto, dopo aver deciso di chiamare Charlotte tramite la segreteria dello stabile. Aveva cominciato a far vagare lo sguardo da una parte all'altra, prima di fissarlo su, sulle piastrelle bianche dell'interno dell'edificio Mordersønn a guardare le fessure come se potesse vedere cosa ci fosse oltre, tra le intercapedini tra un piano e l'altro e il silenzio delle pareti. Non aveva nulla a che fare con il suo potere, ma un edificio del genere più che calma, sicurezza e un senso di controllo, come sembrava dovesse avvicinarsi a dare ai cittadini della città, gli dava una sensazione di sconforto. Sentiva in qualche modo che non doveva essere tutto perfetto lì come poteva sembrare all'esterno, ma non sapeva perché. Astrid gli aveva detto che ipotizzava il suo potere potesse funzionare in più sensi di quanto immaginasse, e che poiché poteva vedere e sentire le persone attorno a lui che erano rimaste a metà tra il loro mondo e l'altro, poteva anche capire il loro stato d'animo. Probabilmente quel luogo poteva essere un centro di aiuto, ma accumulava anche tante persone al suo interno che potevano aver provato molto disagio con la loro particolarità, un pò come lui, che rientrava ampiamente in quella descrizione, e forse quella sensazione di stranezza era solo dovuta ad essa.
    Si guardò attorno, da una parte all'altra della stanza illuminata, in quel momento lui era solo, complice l'orario, il pomeriggio presto poteva essere un buon momento per i ricambi del personale e il via vai dei pazienti, ed il fatto che l'edificio fosse così grande da distribuire sapientemente tutte le persone all'interno. Difatti continuava a sentire squillare i telefoni delle sale, ed in primis quello della figura alla reception a cui aveva chiesto di poter chiamare Charlotte. -Miss Lien, qualcuno chiede di lei. - La sentì, con la voce ridotta di qualche tono, mentre prendeva la linea telefonica con Charlotte; lui era distante ma non così tanto da non sentire l'inizio della conversazione. Fabian si sedette meglio sul suo posto, i sedili dell'istituto, ospedale, e centro di ricerca, non erano poi così male ed in effetti potevano essere molto comodi per passarci del tempo costretti su, evitando di passare nel campo visivo della donna semplicemente restando lì e allungando meglio l'orecchio in sua direzione. Poi tutto si placò, e restò in attesa di sentire il seguito, finché un inserviente non passò velocemente da una stanza all'altra, attraverso la porta a vetri della sala rimasta aperta, facendo un gran rumore e coprendo quanto della conversazione poteva origliare. Finì prima che potesse sentire altro, il rumore si allontanò pian piano riportando il silenzio nella sala, interrotto da qualche eco di voci lontane. Si rialzò Fabian, cominciando a camminare su e giù per la stanza. Oramai la donna alla reception - Natalie - doveva aver avvisato Charlotte che era lì ad aspettarla, e si chiese se sarebbe piombata lì da un momento all'altro prima che potesse organizzare meticolosamente un discorso di senso compiuto. Cosa ci faceva lì? Beh quello ovviamente non era un mistero. E poi?
    Fabian era sempre stato un abile chiacchierone e oratore, non aveva bisogno di prepararsi molti dei suoi discorsi motivazionali ai ragazzi che allenava, né agli adulti della prima squadra, ma rivedere Charlotte dopo tutto quel tempo non gli sembrava esattamente una cosa così banale e lineare per poterle semplicemente parlare come gli dettava l'istinto. Forse ci stava facendo troppo caso e doveva soltanto tranquillizzarsi, e allora si immaginò su due piedi cosa potesse dirgli James in quel momento, ad esempio, che era sempre in grado di rassicurarlo. Niente panico. Aveva avvisato l'amico proprio poco prima che si decidesse a portare Henrik all'Istituto, e che l'uomo gli ricordasse cosa avrebbe dovuto fare o non fare, giusto per ripassare insieme le poche cose che conoscevano su quel virus, per quanto insolita fosse la conversazione che stesse avvenendo. Per ancora qualche istante non fu Charlotte a comparire, ma Natalie, i capelli lunghi scuri dritti sulle spalle, e un vestito elegante grigio di maglina, un dispositivo elettronico alla mano che doveva aver utilizzato come agenda e blocco note varie, con altre persone che scortava nella stessa sala, e che si andavano a posizionare lontano da Fabian, tutti sparsi per la sala d'attesa. « Miss Lien è in arrivo, può aspettarla qui. » Sentenziò, comparendo e scomparendo dal suo campo visivo, dopo che Fabian ebbe annuito con la testa in risposta e cominciasse a far su e giù prima di risedersi, perché farsi trovare in piedi da Charlotte non gli sembrava proprio il massimo, non sapeva neanche lui bene il perché.
    Sì, era passato del tempo da quando non l'aveva vista. Se ne rese conto quando infine la vide, nella sua mise da ufficio, un vestito colorato e studiato, affacciarsi lì per salutarlo, il suo nome sulle labbra per chiamarlo all'attenzione. « Charlotte. » Sorrise, mormorando a sua volta il suo nome in risposta, si sollevò di nuovo, e si avvicinò a lei, prima che gli dicesse che aveva bisogno di un caffé per approfittare e fare una pausa, cosa comprensibile, anche per permetterle di allontanarsi dalle altre persone che potevano aver bisogno di informazioni e chiedere di ottenerle, a lei o altri colleghi o medici del posto. « Sono capitato nella giornata peggiore, vero? » Cominciò a dirle. La osservò di sottecchi, come se potesse capire qualcosa di più su di lei mentre si muoveva nel suo ambiente. Dopo tutto quel tempo era incredibile che avesse deciso di andare lì solo perché doveva capitare l'impensabile, quando gli sarebbe piaciuto aver potuto trovare un motivo migliore, e una giustificazione impeccabile. Si incamminarono lungo il corridoio, Charlotte lo guardò a sua volta, con lo sguardo curioso di chi si chiede che cosa poi fosse successo per portarlo lì, così inaspettato. Fabian si passò una mano sulla nuca, cercando le parole più adatte per raccontarle meglio. Varcò la porta a vetri del bar, entrando prima di lei ad un suo cenno, e poi aspettando che lo seguisse. « In realtà.. ho portato uno dei miei giocatori che sta manifestando vari sintomi che sembrano indicare questo virus. » Si fermò, prima di riprendere a parlare, ricordandosi che doveva tranquillizzarla perché non pensasse di essere in difficoltà a scambiare quelle due parole con lui. « Ho preso tutte le precauzioni necessarie, non preoccuparti, non corri pericoli. » Sorrise, cercando di passarle un pò di sicurezza. Sapeva di aver adottato tutte le situazioni del caso, eppure non doveva essere facile per nessuno affrontare qualcosa di così ignoto così repentinamente. Si accomodarono insieme ad uno dei tavolini, e lì Fabian prese il menù tra le mani, proprio come aveva fatto lei. Gli capitò in quel momento di vederla meglio, così vicina di nuovo dopo quei mesi, doveva aver dimenticato che fosse davvero una donna bellissima, dai lineamenti puliti e singolari. Lui aveva pensato a tutto, ma proprio a tutto prima di piombare lì, ma si rese conto che in effetti non aveva tenuto in conto se fosse necessario vestirsi in un modo piuttosto che in un altro: aveva la giacca della squadra di calcio sopra una maglia bianca, spezzata con un jeans scuro che per fortuna nell'istinto doveva aver pensato fosse meglio che vestirsi come se fosse uscito da un allenamento. Magari avrebbe attirato l'attenzione di qualcuno, fuori da occhi indiscreti, quando si fossero alzati dal loro tavolo. In quel momento invece erano soli, e potevano raccontarsi meglio senza essere disturbati. « Proprio perché non sapevamo cosa fare per aiutarlo, ho deciso di intervenire prima che i sintomi potessero peggiorare.. ho pensato che se ci fosse qualcuno in grado di aiutarlo, quel qualcuno poteva essere qui. » Era risaputo il lavoro dell'istituto, e da lunghi anni l'edificio svettava su Besaid facendosi carico dell'onere di capire come aiutare i cittadini e indagare sul perché le particolarità si manifestassero. Questo, almeno, era il loro mantra. Lui era lì in Norvegia da quattro anni circa, ma non aveva mai messo piede al Mordersønn. « Allora ho pensato di chiamarti. Non potevo non incontrarti. » Evitò di dirle che aveva il suo numero, d'altronde non aveva chiesto il permesso per averlo. Non aggiunse altro su quel frangente perché ovviamente alla segreteria aveva potuto fare il suo nome in tranquillità. Poi il resto della frase gli sembrò molto più determinato, pronunciato ad alta voce, molto più perentorio, di quanto poteva aver intuito. Era vero, arrivato fin lì non avrebbe potuto pensare di non salutarla. Finalmente. Le sorrise, rendendosi conto di sentirsi molto meno agitato di come era entrato appena varcato le porte dello stabile: il solo fatto di averla rivista lo aveva messo di buonumore, così tanto che non avrebbe avuto problemi a dirle qualche frase diretta in più di quanto avesse previsto. « Come stai? Come è andata in questi mesi? » Rimase ad aleggiare nell'aria quel puntino di sospensione sul come è andata da quando non ci siamo più visti, perché era quello che potevano pensare entrambi, senza ombra di dubbio.
    La domanda fu interrotta dal cameriere che venne a prendere le loro ordinazioni, e Fabian ordinò un caffé lungo, e dei biscotti da porzione da accompagnare. Aspettò che ordinasse anche lei prima che rimanessero soli e potessero proseguire il loro discorso.
     
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    La visita di Fabian l’aveva lasciata decisamente sorpresa. Erano mesi che i due non si erano sentiti affatto. Lei, d’altronde, non aveva fatto nulla per cercare di mettersi in contatto con lui. L’impressione che aveva avuto di quell’uomo, inizialmente molto positiva, nel corso della serata a Bergen si era piano piano spostata verso qualcosa di diverso, una sensazione di fastidio quasi. Lei non aveva mai visto di buon occhio le persone che, venendo da una buona famiglia o addirittura con una grande impresa alle spalle, finivano per ripudiare ciò che qualcuno aveva costruito anche per loro, sentendosi quasi maledetti da quel fardello che consideravano troppo pesante da portare. Lei, che il fardello aveva dovuto costruirselo da sola e ancora non poteva dire di portarlo davvero solo sulle sue spalle, avrebbe dato tutto pur di avere qualcosa di già suo prima ancora di nascere, per un’esistenza più semplice e agiata. Certo, la sua famiglia era benestante e durante la sua crescita non le era mai mancato nulla, ma una piccola pasticceria senza ambizioni di crescita era ben diversa da una famosa casa di moda o da grandi imprese con nomi che risuonavano in giro per il mondo. Era nata ambiziosa in una famiglia in cui la tranquillità aveva sempre invece avuto la meglio e ne aveva sofferto, guardando con invidia coloro che avevano avuto la fortuna di nascere in una famiglia differente, dove quella stessa ambizione e voglia di crescita doveva essere il pane quotidiano. Nonostante questo però non poteva dire di non essere rimasta colpita da Fabian e di non aver trovato interessanti almeno alcuni dei suoi discorsi e dei suoi modi di porsi. Tuttavia quei momenti non erano stati abbastanza incisivi da convincerla a cercare di avere il suo numero e poterlo così contattare. Era molto impegnata con il suo lavoro, con i suoi hobby, con lo sport e con le persone che già frequentava, più di una, dato che dopo il suo fallimentare matrimonio non aveva più cercato di avere una relazione seria e univoca. Non aveva quindi tempo per aggiungere altre frequentazioni, o almeno questo si era detta mentre cercava di relegare quell’evento a un semplice momento della sua vita, evitando che potesse avere qualche riflesso sui giorni successivi. Era stata convinta che per lui fosse stato lo stesso e che non avesse ripensato a quella sera se non nei primi giorni, finendo poi di nuovo incastrato all’interno dei suoi impegni e delle giornate che si succedevano una dopo l’altra. Ritrovarselo quindi proprio lì, nel suo luogo di lavoro, che era per lei un po’ come la sua seconda casa, era stata una strana sorpresa. E il fatto che avesse scelto proprio quel giorno, tra tutti, per recarsi all’istituto, rendeva il tutto ancora più curioso.
    Decise di prendersi una pausa dai suoi impegni e sfruttare quindi quel momento per comprendere per quale motivo Fabian fosse al Mordersønn, anche se qualcosa le diceva che non fosse lì solo per lei ma che ci fosse qualcos’altro sotto. Individuò la sua figura solitaria, seduta nella sala d’attesa e persa nei suoi pensieri e si sporse quindi appena per attirare la sua attenzione. Anche lui la salutò, per poi alzarsi e avvicinarsi, seguendola verso il bar interno, dove avrebbero potuto prendere quanto meno un caffè insieme. -Diciamo che non è la migliore, ecco. -mormorò, con un sorriso divertito, quando lui le chiese se quella fosse per caso la giornata peggiore per un incontro. In effetti lui aveva ragione, era davvero la peggiore, ma non avrebbe mai ammesso ad alta voce all’interno di quell’edificio che potessero esistere delle giornate davvero difficili. Lei era piuttosto nota per essere quella che riusciva sempre a risolvere qualunque problema, facendo uscire la società pulita da ogni difficoltà, non poteva quindi mostrare alcuna preoccupazione. Forse nessuno li stava ascoltando e si sarebbe quindi potuta scoprire un po’, ma non sarebbe stato comunque da lei. Le apparenze nel suo mondo erano tutto ed era quindi sempre importante riuscire a mantenerle. Che si trattasse di uno sconosciuto, di un conoscente o di qualcuno che conosceva da una vita, a Charlotte non piaceva mostrarsi in difficoltà o ammettere di non avere tutto sotto controllo. Solo in alcune oculate occasioni si mostrava meno rigida e più tranquilla, ma anche in quel caso si trattava di apparenze, di parole scelte per ottenere qualcosa di ben preciso. Una volta seduti al tavolo lui le spiegò di essersi recato all’istituto in cerca di aiuto per uno dei suoi giocatori, che aveva iniziato a manifestare i sintomi del nuovo virus. Corrucciò appena le labbra, in maniera quasi impercettibile. Aveva sperato per un momento che quell’argomento non venisse fuori e invece, purtroppo, sembrava che ormai tutto ciò che accadeva a Besaid fosse necessariamente collegato a quel morbo. Avrebbe desiderato di poterlo debellare direttamente con le sue mani, così da togliersi da non pochi impicci, ma purtroppo non era possibile. La sua espressione mostrò forse qualcosa di troppo perché lui si preoccupò subito di farle sapere che era stato attento con le precauzioni e quindi lei non rischiava di essere contagiata.
    Sorrise appena, trovando dolce e decisamente inaspettata tutta quella preoccupazione e colse la palla al balzo per cancellare l’espressione più seria e mostrarne una invece molto più accomodante. -Ma certo. - disse quindi, soltanto, come se i suoi pensieri fossero stati immediatamente cancellati dalle parole di lui. In realtà nessuno conosceva ancora bene le modalità del contagio, o sapeva come comportarsi. I notiziari non avevano ancora diffuso notizie certe e neppure gli ospedali. Gli unici consigli che erano stati dati erano quelli di stare in casa e di limitare il più possibile il contatto con le altre persone. -Ad ogni modo, hai fatto bene a rivolgerti al nostro istituto. E’ un centro all’avanguardia per il trattamento delle particolarità. - rispose, come se fosse stato necessario convincerlo della bontà delle cure che potevano offrire. Il suo lavoro era anche quello di parlare con le famiglie dei pazienti, fare i colloqui per l’ammissione al progetto di ricerca e cercare di convincere gli investitori a finanziare i loro progetti. Era quindi molto difficile parlare dell’istituto senza un tono accomodante e a tratti propagandistico. -I nostri medici faranno tutto il possibile per venire a capo di questa faccenda e anche i nostri ricercatori. - disse, senza menzionare i vari studi che erano già partiti in merito e gli esperimenti che avevano iniziato a condurre. Quelle questioni erano top secret, faccende che non potevano essere divulgate prima del termine delle sperimentazioni. -Purtroppo la questione sembra molto complicata, ma non credo esistano faccende che la scienza non può risolvere. - aggiunse, lasciandosi trascinare per un momento dal suo stesso discorso. Aveva una grande fede nella scienza, una fede che era aumentata negli anni proprio per via del suo lavoro all’istituto. Bisognava credere molto in quello che si faceva per accettare di fare degli esperimenti su persone non consenziente e sceglierle in mezzo ai dimenticati affinchè nessuno potesse notare la loro assenza, in caso le cose fossero andate male. Nei primissimi tempi la sua coscienza aveva vacillato per qualche momento, poi aveva compreso che nessun grande passo poteva essere compiuto senza dei sacrifici.
    Si ritrovò a inarcare un sopracciglio con aria sorpresa quando lo sentì dire che, visto che si trovava lì, aveva pensato che non potesse evitare di incontrarla. Appoggiò meglio la schiena contro la sedia, guardandolo con più attenzione e cercando di comprendere il vero senso di quelle parole. -Davvero? Onestamente dopo tutti questi mesi ero persino convinta che avessi scordato il mio nome. - mormorò, con un leggero sorriso. In realtà non era del tutto vero, ma sicuramente non aveva creduto che lui volesse rivederla. Attese qualche istante prima di rispondere alle sue successiva domande, dato l’arrivo del cameriere. Lasciò che lui ordinasse per primo, poi si limitò a dire -Il solito David, grazie. - per poi lasciarlo andare a preparare le ordinazioni. Fabian aveva preso un caffè e dei biscotti, lei invece un semplice cappuccino. Era quello il suo rito durante la pausa. -Io sto bene. Sono sempre molto impegnata con il lavoro, le questioni non mancano mai in un istituto grande come questo. - disse, senza entrare troppo nel dettaglio di quali potessero essere le varie questioni che aveva dovuto risolvere negli ultimi tempi. -Ho persino dovuto abbandonare il mio percorso sportivo con il nostro amico. - aggiunse, spiegando che le occasioni per rivedersi in effetti erano mancate anche per via del suo allontanamento da Roy. L’uomo aveva esternato i suoi sentimenti e lei si era tirata indietro. Chissà se glielo aveva raccontato o se quei pettegolezzi non erano ancora stati sparsi in giro. -Tu invece? Com’è andato il campionato? - domandò, curiosa. In effetti era passato quasi un anno ormai, forse il campionato era già finito, oppure agli sgoccioli. Si era ripromessa di provare a dare un’occhiata almeno alle classifiche, ma non ne aveva mai avuto il tempo. Il suo ex marito era molto appassionato di quel genere di sport, lei invece per nulla.
     
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    Era strano per Fabian rendersi conto di faticare a trovare il ritmo in quella connessione che aveva instaurato con Charlie, o che forse aveva solo immaginato essere esistente tra loro, o meglio ancora, che esisteva soltanto dalla sua parte, e non di lei. Fabian era amato o odiato, nonostante il carattere mite e gentile che possedeva, molte persone riuscivano a trovarlo irritante e insopportabile - da nominare a riguardo una sfilza di ex ragazze che l'avevano scaricato nelle peggior maniere tacciando di non essere adatto ad una relazione matura - e per molte altre riusciva a conquistare il primato di persona più buona, addirittura perfetta, del mondo, senza che ci fosse poi un particolare interesse di altro tipo sotto, ma solo una simpatia senza doppi fini. Fabian era davvero una persona buona, e non tanto per dire. Conservava una piccola parte pungente di se stesso quando doveva usare l'umorismo, che si sa per definizione non è possibile scindere altrimenti, ma a parte quello, gli era impossibile immaginare una cattiveria, programmarla, come anche saperla improvvisare. Forse era proprio per quel motivo che nelle relazioni non era mai riuscito ad avere la mano superiore, ad essere la parte forte, la componente migliore, quello che ama di meno dei due, gli era impossibile non lasciarsi andare ed essere solo se stesso, genuinamente folle e disgraziatamente debole. In quel caso sembrava essere assurdamente peggio, come se avesse dimenticato qualsiasi cosa avesse conosciuto delle regole di frequentazione, e della capacità di saper flirtare senza indugiare troppo in un complimento. Tutto completamente cancellato. Besaid aveva dato tanto ed aveva tolto molto, nel suo caso sembrava ancora che avesse tolto la maggior parte di quello che avesse a parte la bella soddisfazione che aveva costruito con il suo lavoro, e la squadra che stava costruendo stava diventando a tutti gli effetti la sua nuova famiglia. Lui adorava quella sensazione, perché si sentiva finalmente indispensabile per qualcuno. Per troppo tempo la sua esistenza non aveva avuto alcun significato per nessuno, e un pò lo avvertiva, gli mancava, voleva sentirsi come se, qualsiasi cosa gli fosse successa, ci fosse stato qualcuno a piangerlo o a pensarlo intensamente. Un pò come le anime che vedeva, che rimanevano legate a delle persone che non potevano dimenticare e non riuscivano ad andare oltre, così Fabian si chiedeva a chi avrebbe potuto rimaner legato se le cose fossero andate come poi tutte le storie si concludevano, ma ben prima del tempo che pensava si gli potesse concedere, o che per diritto di nascita ci si immagina spetti ad ognuno. E così Charlotte, altera e statuaria nella sua perfezione, lo guardava con gli occhi grandi e attenti, nell'ambiente che conosceva bene e che doveva colorare le sue giornate di ogni giorno, e qualche volta in quello sguardo gli sembrava, ma era tutto molto veloce, che ci fosse della compassione nel guardare Fabian, una persona che conosceva ancora troppo poco per poter dire di apprezzarlo o disprezzarlo. Per Fabian era stato molto diverso, e sapeva che conosceva solo quattro cose messe in fila di Charlotte, ma solo lui sapeva che avrebbe voluto conoscerle tutte, per filo e per segno. Non era estraneo a rapporti fugaci, a storie passeggere, a flirt di qualche notte insieme, senza farsi problemi, e lui poi nemmeno lo sapeva se sentiva di voler avere un legame a tutti i costi, era un'idea che poteva sembrare idonea a lui, ma poi alla fine poteva esser tutto come niente. Era Charlie che gli piaceva, ma non sapeva perché, quando la guardava e le parlava sentiva che stava facendo tutte le cose sbagliate, e che i tentativi di conoscerla erano lontani anni luce dal dove pensava sarebbero dovuti giungere. Forse era una sua impressione? Eppure erano lì, e rivederla dopo quei mesi lo aveva fatto sentire forte di poter dirle più di quanto si fosse esposto fino a quel momento. Fai le cose in grande o vai a casa, così si diceva nella sua terra, e lui non poteva esser da meno. « Grazie. So che non è facile in questo momento capire come far fronte a qualcosa di sconosciuto.. e non penso ci sia niente che possa fare io per aiutarvi. » Disse, senza lasciar andare il suo sguardo. Aveva provato in maniera gentile a rassicurarlo, a farlo sentire sicuro di quello che stavano conducendo lì al Mordersønn. In qualche modo, per quanto sarebbero potute essere anche le parole che avrebbe potuto dire ad uno sconosciuto qualsiasi che varcava la porta di quell'edificio, si sentì sicuro del fatto che fosse tutto a posto, perché le stava dicendo proprio a lui. Come se avesse potuto distinguere Fabian in qualche modo che quelle parole volevano essere chiare, che non sarebbe stato impossibile farvi fronte. Henrik poteva considerarsi in buone mani, almeno, non potevano pensare che sarebbe stato in mani migliori se fosse andato da qualche altra parte. Fu insolita quell'associazione, ma immaginò che con un potere diverso avrebbe potuto essere utile a loro, ai loro scopi, che non si sarebbe tirato indietro se fosse stato possibile che la sua particolarità poteva esser utilizzata per qualche sperimentazione. Magari gli sarebbe anche piaciuto, per quanto fosse rischioso e molto irresponsabile da pensare. Comunque, se avesse pensato che avrebbe potuto essere d'aiuto davvero poteva essere un bel momento per farlo presente, e lasciarlo intendere senza che fosse stato detto troppo tra le righe gli andava bene.
    Arrossì, come gli veniva naturale per la carnagione chiarissima che possedeva, il sangue passò a ribollire sulle guance. Cosa poteva dire se non la verità? Fai le cose in grande o vai a casa funzionava anche per quella massima, e lì non poteva tirarsi indietro se non dire le cose come stavano. « No. Non avrei potuto. » Di certo non l'aveva dimenticata. La guardò e le sorrise, come se fosse di fronte ad un panorama da lasciar senza fiato o avesse assistito a qualcosa che lo aveva lasciato in perfetto stupore. « Avevo pensato di sentirti molto tempo fa Charlie, ma non volevo sembrarti inopportuno. Ho aspettato. » Fabian si rese conto che gli erano passati velocissimamente nella mente tante cose che gli avevano messo i bastoni tra le ruote in passato. Ma nel passato era stato anche un ragazzo, e in preda a situazioni molto più strane di quella, così tanto che perfino ritrovarsi in un bar in un istituto di ricerca a chiacchierare e a dichiararsi non gli sembrava neanche così insolito, proprio perché nessuno di loro poteva sapere cosa sarebbe potuto accadere l'indomani, visto anche cosa stava accadendo attorno a loro in quella cittadina insolita. Aveva fatto passare troppo tempo, o poteva recuperarlo mettendo da parte l'orgoglio per essere sincero?
    Tacquero entrambi, prima di ordinare al cameriere le loro ordinazioni, e una volta completato l'ordine tornarono nel silenzio del loro tavolo, indisturbati dagli altri presenti che erano pochi e molto lontani da loro. Fabian lasciò andare il foglio del menù che aveva preso tra le mani, che il cameriere aveva mancato di portare via perché ben ancorato tra le mani del cliente che non conosceva. Ripresero il loro discorso, la conversazione fluì normalmente nello scambio di informazioni sul come erano stati, sul cosa era successo fino a quel momento. Fabian annuì quando menzionò le difficoltà che affrontava quotidianamente sul suo lavoro. « Sì, posso capirlo. Hai sulle spalle un lavoro complesso e porti parte delle sorti di questo istituto e la comprensione di quello che avviene dentro tutto su te stessa. » La capiva davvero e credeva in quello che le aveva detto. Evitò in ogni caso di dire che anche il suo lavoro era una gigantesca macchina che aveva ripercussioni più grandi di lui. Il suo lavoro era a tutti gli effetti un lusso, e non era uno sciocco: il calcio era una bellissima passione che aveva radici sconosciute e lontanissime di anni addietro quando uomini potenti erano riusciti a renderlo il gioco più famoso del mondo e a tirarci dietro una quantità e un giro di affari così gigantesco da sembrare inverosimile, ma era a tutti gli effetti una macchina per soldi ai limiti della comprensione. Nel suo caso il suo lavoro, più semplice da immaginare, era molto difficile da comprendere, perché la pressione di ogni partita significava costi per i finanziatori enormi, e i rischi per quanto fossero solo ludici significavano un costo incredibile nel caso di fallimenti, e la perdita di denaro poteva avere ripercussioni infinite sui creditori e, ad onde lontane, si propagavano fino agli spettatori, ai tifosi, che finivano per investire tempo e fatiche ed energie anche in una passione difficile da capire. Gli chiese del campionato, e questo gli diede modo di essere più aperto nella sua spiegazione. « A parte il Sykdom che ci sta mettendo i bastoni tra le ruote... » Pronunciò la parola che identificava il virus, e subito sentì mille spilli dietro le spalle, un paio di occhiatacce dei pochi commensali presenti nel locale furono rivolte a lui, e dovette ricordarsi di abbassare di più la voce, per quanto fossero vicini e stavano già utilizzando un tono di voce moderato. « .. sì, scusa, è un argomento difficile. L'ultima partita della stagione è stata sospesa, e noi siamo rimasti in bilico. Non vogliono rischiare che le cose prendano una piega più seria, e il comitato sta cercando di capire come muoversi. Una opzione per esempio sarebbe quella di far giocare le squadre in un ambiente controllato senza la presenza dei tifosi, ma hanno paura ci siano ripercussioni più gravi. » Le spiegò una parte di quel racconto, rendendosi conto che era molto poco ancora e cercò di farle presente nel suo discorso cosa intendesse. Prendere delle scelte in quel campo significava causare in effetti molte cose che non potevano prevedere. Non era solo un problema economico, le tifoserie avrebbero creato scompiglio in un clima già teso come quello che vivevano, ed era complesso prevedere l'andamento delle azioni di chiunque.
    Si interruppe di nuovo quando arrivarono le loro ordinazioni. Fabian cominciò a bere il suo caffé lungo, si rilassò nel tepore della bevanda e aspettò a mangiare i biscotti. Aveva atteso che fossero di nuovo soli e di poter riprendere il discorso di prima, che aveva interrotto con i convenevoli e il passaggio del cameriere David.
    « Sono stato bene la sera che ci siamo conosciuti. E so che non sappiamo molto l'uno dell'altra, però volevo avere l'occasione di rincontrarti. » Lo disse, e aspettò di vedere la sua reazione per capire come procedere e se sbilanciarsi oltre. C'era stata una pausa che aveva lasciato andare la tensione delle parole che le aveva confidato prima, lo sapeva, ma aveva bisogno di sentire come le avrebbe recepite. Per quanto si sentisse in difetto ad aver atteso tutto quel tempo, non poteva nascondersi davanti a quell'occasione. « So anche che ora c'è una faccenda molto più seria che mi ha portato qui e non è molto giusto per me non aver preso coraggio prima di oggi, comunque, ora lo sai. » Si spiegò meglio, in quella confessione diretta. Non erano ragazzini, e lui non rischiava nulla di più che rimanere con un rimpianto se non avesse avuto l'occasione di parlarle direttamente, senza mezzi termini.
     
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    Non le erano mai piaciute le sorprese. Preferiva pianificare ogni dettaglio con attenzione, sapere esattamente che cosa aspettarsi da ogni situazione ed essere pronta per affrontarla. Per questo la visita inaspettata di Fabian l’aveva inizialmente destabilizzata. Perché era lì? Quale era il motivo della sua visita? Era legato al virus o a qualche altra questione di salute? Non sarebbe stata la prima volta per lei che qualcuno cercava di avvicinarsi nella speranza di ottenere un aiuto per varcare le porte della clinica. Non era semplice essere accettati al Mordersønn, un luogo di eccellenza che studiava con attenzione i propri pazienti prima di inserirli all’interno della struttura. Generalmente si trattava di individui con un nome, di figure in grado di pagare per la giusta assistenza o di personaggi con una particolarità interessante, che loro studiavano dietro le quinte, per arricchire il loro database. Per tutti gli altri esisteva l’Ospedale pubblico di Besaid. Non era raro però che alcuni individui cercassero di ottenere trattamenti di favore frequentando qualcuno che lavorava all’interno e che poteva quindi spingere con il Consiglio per facilitare l’ammissione. Nel caso di Charlotte, però, nessuno era mai riuscito nell’intento. Il suo lavoro, dopotutto, veniva sempre prima di ogni altra cosa. Prima delle relazioni, prima degli affetti, prima del suo tempo libero. Le era capitato spesso di cancellare all’ultimo minuto una cena con qualche amico perché doveva terminare di stilare degli importanti documenti per l’Istituto. Una o due volte aveva persino cancellato dei viaggi a Fløen, per andare a fare visita ai suoi genitori. Quello che aveva se lo era costruita da sola, con impegno e molta fatica e non avrebbe quindi permesso a niente e a nessuno di portarglielo via.
    Continuò a guardarlo con l’apparente sicurezza che la accompagnava in ogni momento. -No, non temere, abbiamo tutto sotto controllo. - mormorò, semplicemente, cercando di sviare l’attenzione dall’argomento più scottante del momento. In realtà ci sarebbero state tante opzioni per aiutare l’Istituto: finanziamenti, persone che si offrivano volontarie per partecipare allo studio di quel nuovo virus una volta certi di averlo contratto. Non le sembrò comunque il caso di farlo presente o di invitarlo a prendere una delle strade disponibili. Al momento avevano una lunga lista di finanziatori che li aiutava a mantenere i bilanci in verde e a investire su tecnologie sempre nuove. I volontari invece sarebbero arrivati con il tempo, senza che ci fosse il bisogno di farlo presente ed evitando così che qualcuno potesse mettersi a rischio solo perché sperava di ottenerci qualche guadagno. La gente era disposta a fare qualunque cosa per un po’ di denaro. Ne aveva visti tanti in quegli anni nei piani più nascosti dell’Istituto. Certo non pensava che Fabian potesse essere annoverato all’interno di quella lista, ma a volte bastava dire una cosa a qualcuno perché questa, involontariamente, arrivasse anche alle persone sbagliate. Aveva imparato a dosare le informazioni con grande attenzione e a fare le dovute richieste solo a chi poteva soddisfarle in quel preciso momento. Immaginava, poi, che la sua fosse stata solo una frase di circostanza, qualcosa imposto dalle regole della cortesia e nulla di più.
    Lo vide arrossire leggermente quando lei gli disse che pensava di fosse completamente dimenticato di lei. La cosa la incuriosì, non erano reazioni spontanee a cui era abituata visto che nel suo mondo era molto più importante apparire che mostrare la verità. Le sue parole successive le strapparono un veloce sorriso sincero che non riuscì a occultare in alcun modo. Era sempre piacevole ricevere dei complimenti, anche quando questi non erano espliciti. Trovò molto curioso il fatto che lui avesse desiderato a lungo di scriverle, decidendo però sempre di rimandare in attesa di un momento migliore che non era mai arrivato fino a quel giorno. Lei non si era mai messa simili problemi. Quando si era ritrovata a fare il primo passo lo aveva fatto, senza tirarsi indietro e senza chiedersi se fosse o meno la cosa opportuna da fare. Con Fabian, invece, aveva semplicemente deciso che le loro differenze erano inconciliabili e che la prima opinione che si era fatta di lui era abbastanza per lei per decidere di erigere un muro. Ritrovarselo lì quindi, in maniera del tutto inaspettata, aveva rimescolato tutte le carte e aveva acceso una piccola scintilla di curiosità in lei. Forse erano proprio quelle differenze a renderlo così particolare rispetto a chiunque altro avesse incontrato sino a quel momento. Fu sul punto di rispondere ma il cameriere li interruppe, lasciando in sospeso il discorso almeno per qualche minuto. Fu un bene, pensò, visto che effettivamente neppure lei gli aveva scritto e trovare una buona motivazione in quel poco tempo, che fosse diversa dalla verità, non sarebbe stato affatto semplice e lo avrebbe probabilmente allontanato. Si limitò quindi a raccontare come erano trascorsi i suoi giorni, tra riunioni e preoccupazioni varie legate all’istituto. -Oh, no. Dire che le sorti dell’Istituto ricadano tutte sulle mie spalle credo sarebbe troppo. Non sono poi così importante qui dentro. - aggiunse, lasciandosi andare a una leggera risata. Le sarebbe piaciuto trovarsi ancora più vicina al vertice, sentire di avere un potere così grande come quello che Fabian aveva descritto, ma in realtà sapeva che sarebbe bastato un solo passo falso perché Niko decidesse di licenziarla in tronco senza alcun ripensamento. Nessuno era indispensabile lì dentro, neppure lei. -Faccio solo il possibile per mantenere il mio lavoro. - aggiunse quindi, con un sorriso di circostanza che avrebbe potuto far pensare che con quelle parole cercava soltanto di sminuirsi, ma in realtà era la cruda verità. Quando si metteva piede in quell’Istituto, oltre la facciata luminosa che mostravano al mondo, si doveva accettare di scendere a molti compromessi per poter mantenere intatto il proprio status.
    A quanto pare il virus aveva creato qualche problema anche nel mondo dello sport, fermando le partite prima del tempo per evitare che il numero di contagi potesse crescere esponenzialmente in occasioni come quelle. In effetti gli eventi sportivi mobilitavano molte persone e potevano rivelarsi una bomba a orologeria se non arginati correttamente. -Comprendo, sì. - mormorò, come se quel pensiero si fosse acceso in lei solo in quel momento, mentre lui parlava e le illustrava le sue problematiche. Charlie si era concentrata solo sul suo lavoro, sul suo spazio circoscritto e non aveva prestato molta attenzione al resto del mondo, che era comunque andato avanti. Aveva pensato che, visto che la sede della società sportiva si trovava a Bergen questo non avesse affatto influito sulle loro vite e invece forse la presenza di cittadini di Besaid all’interno del Consiglio di Amministrazione aveva costretto la squadra a prendere delle decisioni. Aveva sentito tuttavia che il campionato nazionale della Norvegia era andato avanti, visto che il resto del mondo era completamente esterno ai problemi di una cittadina con abitanti dotati di particolari attività. Nessuno al di fuori dei loro confini sarebbe stato intaccato da quanto stava succedendo, eppure aveva udito che anche il resto del mondo aveva dovuto arginare un male che aveva colpito una buona fetta di popolazione mondale. Chissà, forse le due cose erano collegate in qualche modo, forse lo Skykdom attaccava in maniera diversa coloro che erano del tutto privi di particolarità. Chi dei due fosse più fortunato non era ancora possibile dirlo.
    Rivolse un sorriso in direzione del cameriere quando tornò con le loro ordinazioni, posando il cappuccino di fronte a lei per prima cosa e poi il caffè e i biscotti per Fabian. Prese il cucchiaino e lo immerse dentro la bevanda calda, girando tre volte in senso orario per mischiarlo meglio, per poi depositare il cucchiaino nel piattino e prendere in mano la tazza fumante. Rimase a fissarlo mentre lui parlava del loro precedente incontro, della voglia che aveva avuto di rincontrarla ma che non aveva trovato il coraggio prima. Ammise anche che il momento non era certo quello più propizio per parlarne, visto che c’era quello spiacevole virus di mezzo che rendeva il suo lavoro e le loro vite decisamente più complicati. -Se aspettassimo sempre il momento giusto o di fare la cosa giusta, probabilmente non si riuscirebbe mai a fare nulla. - mormorò soltanto, con un leggero sorriso. Prese tempo mandando giù un primo sorso di cappuccino, mentre cercava le parole più adatte per andare avanti e rispondere a quello che sembrava un velato invito a uscire, anche se non c’era alcun piano all’orizzonte, né un giorno prestabilito. L’unica cosa che sapeva era che era davvero curiosa di conoscere quell’uomo che sembrava così puro e sincero, in mezzo a un oceano di persone che si facevano strada solo con le menzogne. Riappoggiò la tazza con il cappuccino, prendendo poi il suo telefono tra le mani e scorrendo l’agenda velocemente, per vedere quando poteva avere una sera libera che non venisse intaccata da problemi o impegni improvvisi. -Vediamo.. - mormorò, ancora con lo sguardo puntato sul display del telefono, unendo le labbra dipinte con un rossetto rosso con aria pensierosa. -Potrei essere libera martedì sera alle 20, la prossima settimana, oppure giovedì, ma potrei fare un po’ più tardi. - disse, prendendo l’iniziativa e proponendo alcune date che per lei potevano essere utili, in attesa di sapere se le loro agende fossero compatibili. -Mi piacciono i bei ristoranti, il cinema, il teatro, il mare e, quando sono del giusto spirito, anche i paesaggi naturali. - mormorò ancora, lasciandosi andare a un leggero sorriso divertito, mentre elencava alcune delle cose che avrebbe gradito fare. -Sicuramente c’è anche dell’altro, ma per il momento non metterei troppe carte sul tavolo. - aggiunse, mandando giù un altro sorso di cappuccino mentre rifletteva su un ultimo dettaglio. -Non voglio saperlo in anticipo. Sorprendimi. - disse ancora, con sguardo deciso e aria tranquilla. In realtà di norma le sorprese non facevano per lei, ma neppure gli uomini come lui l’avevano mai affascinata troppo prima di quel momento, quindi pensò che se proprio doveva inoltrarsi in un campo minato era il caso di farlo come si conveniva, fino in fondo.
    Lo guardò ancora, curiosa di sapere come avrebbe risposto a quelle proposte, se si sarebbe tirato indietro o se, anche lui, avrebbe deciso di mettersi in attacco, pronto a mettere sul campo le sue carte e vedere come sarebbe andata a finire.
     
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