Every time I don’t, I almost do

Fabian ft. Charlotte | Istituto Mordersønn | 05.05.2022

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  1. wanderer.
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    Era rimasto nella sala d'aspetto, dopo aver deciso di chiamare Charlotte tramite la segreteria dello stabile. Aveva cominciato a far vagare lo sguardo da una parte all'altra, prima di fissarlo su, sulle piastrelle bianche dell'interno dell'edificio Mordersønn a guardare le fessure come se potesse vedere cosa ci fosse oltre, tra le intercapedini tra un piano e l'altro e il silenzio delle pareti. Non aveva nulla a che fare con il suo potere, ma un edificio del genere più che calma, sicurezza e un senso di controllo, come sembrava dovesse avvicinarsi a dare ai cittadini della città, gli dava una sensazione di sconforto. Sentiva in qualche modo che non doveva essere tutto perfetto lì come poteva sembrare all'esterno, ma non sapeva perché. Astrid gli aveva detto che ipotizzava il suo potere potesse funzionare in più sensi di quanto immaginasse, e che poiché poteva vedere e sentire le persone attorno a lui che erano rimaste a metà tra il loro mondo e l'altro, poteva anche capire il loro stato d'animo. Probabilmente quel luogo poteva essere un centro di aiuto, ma accumulava anche tante persone al suo interno che potevano aver provato molto disagio con la loro particolarità, un pò come lui, che rientrava ampiamente in quella descrizione, e forse quella sensazione di stranezza era solo dovuta ad essa.
    Si guardò attorno, da una parte all'altra della stanza illuminata, in quel momento lui era solo, complice l'orario, il pomeriggio presto poteva essere un buon momento per i ricambi del personale e il via vai dei pazienti, ed il fatto che l'edificio fosse così grande da distribuire sapientemente tutte le persone all'interno. Difatti continuava a sentire squillare i telefoni delle sale, ed in primis quello della figura alla reception a cui aveva chiesto di poter chiamare Charlotte. -Miss Lien, qualcuno chiede di lei. - La sentì, con la voce ridotta di qualche tono, mentre prendeva la linea telefonica con Charlotte; lui era distante ma non così tanto da non sentire l'inizio della conversazione. Fabian si sedette meglio sul suo posto, i sedili dell'istituto, ospedale, e centro di ricerca, non erano poi così male ed in effetti potevano essere molto comodi per passarci del tempo costretti su, evitando di passare nel campo visivo della donna semplicemente restando lì e allungando meglio l'orecchio in sua direzione. Poi tutto si placò, e restò in attesa di sentire il seguito, finché un inserviente non passò velocemente da una stanza all'altra, attraverso la porta a vetri della sala rimasta aperta, facendo un gran rumore e coprendo quanto della conversazione poteva origliare. Finì prima che potesse sentire altro, il rumore si allontanò pian piano riportando il silenzio nella sala, interrotto da qualche eco di voci lontane. Si rialzò Fabian, cominciando a camminare su e giù per la stanza. Oramai la donna alla reception - Natalie - doveva aver avvisato Charlotte che era lì ad aspettarla, e si chiese se sarebbe piombata lì da un momento all'altro prima che potesse organizzare meticolosamente un discorso di senso compiuto. Cosa ci faceva lì? Beh quello ovviamente non era un mistero. E poi?
    Fabian era sempre stato un abile chiacchierone e oratore, non aveva bisogno di prepararsi molti dei suoi discorsi motivazionali ai ragazzi che allenava, né agli adulti della prima squadra, ma rivedere Charlotte dopo tutto quel tempo non gli sembrava esattamente una cosa così banale e lineare per poterle semplicemente parlare come gli dettava l'istinto. Forse ci stava facendo troppo caso e doveva soltanto tranquillizzarsi, e allora si immaginò su due piedi cosa potesse dirgli James in quel momento, ad esempio, che era sempre in grado di rassicurarlo. Niente panico. Aveva avvisato l'amico proprio poco prima che si decidesse a portare Henrik all'Istituto, e che l'uomo gli ricordasse cosa avrebbe dovuto fare o non fare, giusto per ripassare insieme le poche cose che conoscevano su quel virus, per quanto insolita fosse la conversazione che stesse avvenendo. Per ancora qualche istante non fu Charlotte a comparire, ma Natalie, i capelli lunghi scuri dritti sulle spalle, e un vestito elegante grigio di maglina, un dispositivo elettronico alla mano che doveva aver utilizzato come agenda e blocco note varie, con altre persone che scortava nella stessa sala, e che si andavano a posizionare lontano da Fabian, tutti sparsi per la sala d'attesa. « Miss Lien è in arrivo, può aspettarla qui. » Sentenziò, comparendo e scomparendo dal suo campo visivo, dopo che Fabian ebbe annuito con la testa in risposta e cominciasse a far su e giù prima di risedersi, perché farsi trovare in piedi da Charlotte non gli sembrava proprio il massimo, non sapeva neanche lui bene il perché.
    Sì, era passato del tempo da quando non l'aveva vista. Se ne rese conto quando infine la vide, nella sua mise da ufficio, un vestito colorato e studiato, affacciarsi lì per salutarlo, il suo nome sulle labbra per chiamarlo all'attenzione. « Charlotte. » Sorrise, mormorando a sua volta il suo nome in risposta, si sollevò di nuovo, e si avvicinò a lei, prima che gli dicesse che aveva bisogno di un caffé per approfittare e fare una pausa, cosa comprensibile, anche per permetterle di allontanarsi dalle altre persone che potevano aver bisogno di informazioni e chiedere di ottenerle, a lei o altri colleghi o medici del posto. « Sono capitato nella giornata peggiore, vero? » Cominciò a dirle. La osservò di sottecchi, come se potesse capire qualcosa di più su di lei mentre si muoveva nel suo ambiente. Dopo tutto quel tempo era incredibile che avesse deciso di andare lì solo perché doveva capitare l'impensabile, quando gli sarebbe piaciuto aver potuto trovare un motivo migliore, e una giustificazione impeccabile. Si incamminarono lungo il corridoio, Charlotte lo guardò a sua volta, con lo sguardo curioso di chi si chiede che cosa poi fosse successo per portarlo lì, così inaspettato. Fabian si passò una mano sulla nuca, cercando le parole più adatte per raccontarle meglio. Varcò la porta a vetri del bar, entrando prima di lei ad un suo cenno, e poi aspettando che lo seguisse. « In realtà.. ho portato uno dei miei giocatori che sta manifestando vari sintomi che sembrano indicare questo virus. » Si fermò, prima di riprendere a parlare, ricordandosi che doveva tranquillizzarla perché non pensasse di essere in difficoltà a scambiare quelle due parole con lui. « Ho preso tutte le precauzioni necessarie, non preoccuparti, non corri pericoli. » Sorrise, cercando di passarle un pò di sicurezza. Sapeva di aver adottato tutte le situazioni del caso, eppure non doveva essere facile per nessuno affrontare qualcosa di così ignoto così repentinamente. Si accomodarono insieme ad uno dei tavolini, e lì Fabian prese il menù tra le mani, proprio come aveva fatto lei. Gli capitò in quel momento di vederla meglio, così vicina di nuovo dopo quei mesi, doveva aver dimenticato che fosse davvero una donna bellissima, dai lineamenti puliti e singolari. Lui aveva pensato a tutto, ma proprio a tutto prima di piombare lì, ma si rese conto che in effetti non aveva tenuto in conto se fosse necessario vestirsi in un modo piuttosto che in un altro: aveva la giacca della squadra di calcio sopra una maglia bianca, spezzata con un jeans scuro che per fortuna nell'istinto doveva aver pensato fosse meglio che vestirsi come se fosse uscito da un allenamento. Magari avrebbe attirato l'attenzione di qualcuno, fuori da occhi indiscreti, quando si fossero alzati dal loro tavolo. In quel momento invece erano soli, e potevano raccontarsi meglio senza essere disturbati. « Proprio perché non sapevamo cosa fare per aiutarlo, ho deciso di intervenire prima che i sintomi potessero peggiorare.. ho pensato che se ci fosse qualcuno in grado di aiutarlo, quel qualcuno poteva essere qui. » Era risaputo il lavoro dell'istituto, e da lunghi anni l'edificio svettava su Besaid facendosi carico dell'onere di capire come aiutare i cittadini e indagare sul perché le particolarità si manifestassero. Questo, almeno, era il loro mantra. Lui era lì in Norvegia da quattro anni circa, ma non aveva mai messo piede al Mordersønn. « Allora ho pensato di chiamarti. Non potevo non incontrarti. » Evitò di dirle che aveva il suo numero, d'altronde non aveva chiesto il permesso per averlo. Non aggiunse altro su quel frangente perché ovviamente alla segreteria aveva potuto fare il suo nome in tranquillità. Poi il resto della frase gli sembrò molto più determinato, pronunciato ad alta voce, molto più perentorio, di quanto poteva aver intuito. Era vero, arrivato fin lì non avrebbe potuto pensare di non salutarla. Finalmente. Le sorrise, rendendosi conto di sentirsi molto meno agitato di come era entrato appena varcato le porte dello stabile: il solo fatto di averla rivista lo aveva messo di buonumore, così tanto che non avrebbe avuto problemi a dirle qualche frase diretta in più di quanto avesse previsto. « Come stai? Come è andata in questi mesi? » Rimase ad aleggiare nell'aria quel puntino di sospensione sul come è andata da quando non ci siamo più visti, perché era quello che potevano pensare entrambi, senza ombra di dubbio.
    La domanda fu interrotta dal cameriere che venne a prendere le loro ordinazioni, e Fabian ordinò un caffé lungo, e dei biscotti da porzione da accompagnare. Aspettò che ordinasse anche lei prima che rimanessero soli e potessero proseguire il loro discorso.
     
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