Every time I don’t, I almost do

Fabian ft. Charlotte | Istituto Mordersønn | 05.05.2022

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  1. wanderer.
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    I love you, it's ruining my life

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    Era strano per Fabian rendersi conto di faticare a trovare il ritmo in quella connessione che aveva instaurato con Charlie, o che forse aveva solo immaginato essere esistente tra loro, o meglio ancora, che esisteva soltanto dalla sua parte, e non di lei. Fabian era amato o odiato, nonostante il carattere mite e gentile che possedeva, molte persone riuscivano a trovarlo irritante e insopportabile - da nominare a riguardo una sfilza di ex ragazze che l'avevano scaricato nelle peggior maniere tacciando di non essere adatto ad una relazione matura - e per molte altre riusciva a conquistare il primato di persona più buona, addirittura perfetta, del mondo, senza che ci fosse poi un particolare interesse di altro tipo sotto, ma solo una simpatia senza doppi fini. Fabian era davvero una persona buona, e non tanto per dire. Conservava una piccola parte pungente di se stesso quando doveva usare l'umorismo, che si sa per definizione non è possibile scindere altrimenti, ma a parte quello, gli era impossibile immaginare una cattiveria, programmarla, come anche saperla improvvisare. Forse era proprio per quel motivo che nelle relazioni non era mai riuscito ad avere la mano superiore, ad essere la parte forte, la componente migliore, quello che ama di meno dei due, gli era impossibile non lasciarsi andare ed essere solo se stesso, genuinamente folle e disgraziatamente debole. In quel caso sembrava essere assurdamente peggio, come se avesse dimenticato qualsiasi cosa avesse conosciuto delle regole di frequentazione, e della capacità di saper flirtare senza indugiare troppo in un complimento. Tutto completamente cancellato. Besaid aveva dato tanto ed aveva tolto molto, nel suo caso sembrava ancora che avesse tolto la maggior parte di quello che avesse a parte la bella soddisfazione che aveva costruito con il suo lavoro, e la squadra che stava costruendo stava diventando a tutti gli effetti la sua nuova famiglia. Lui adorava quella sensazione, perché si sentiva finalmente indispensabile per qualcuno. Per troppo tempo la sua esistenza non aveva avuto alcun significato per nessuno, e un pò lo avvertiva, gli mancava, voleva sentirsi come se, qualsiasi cosa gli fosse successa, ci fosse stato qualcuno a piangerlo o a pensarlo intensamente. Un pò come le anime che vedeva, che rimanevano legate a delle persone che non potevano dimenticare e non riuscivano ad andare oltre, così Fabian si chiedeva a chi avrebbe potuto rimaner legato se le cose fossero andate come poi tutte le storie si concludevano, ma ben prima del tempo che pensava si gli potesse concedere, o che per diritto di nascita ci si immagina spetti ad ognuno. E così Charlotte, altera e statuaria nella sua perfezione, lo guardava con gli occhi grandi e attenti, nell'ambiente che conosceva bene e che doveva colorare le sue giornate di ogni giorno, e qualche volta in quello sguardo gli sembrava, ma era tutto molto veloce, che ci fosse della compassione nel guardare Fabian, una persona che conosceva ancora troppo poco per poter dire di apprezzarlo o disprezzarlo. Per Fabian era stato molto diverso, e sapeva che conosceva solo quattro cose messe in fila di Charlotte, ma solo lui sapeva che avrebbe voluto conoscerle tutte, per filo e per segno. Non era estraneo a rapporti fugaci, a storie passeggere, a flirt di qualche notte insieme, senza farsi problemi, e lui poi nemmeno lo sapeva se sentiva di voler avere un legame a tutti i costi, era un'idea che poteva sembrare idonea a lui, ma poi alla fine poteva esser tutto come niente. Era Charlie che gli piaceva, ma non sapeva perché, quando la guardava e le parlava sentiva che stava facendo tutte le cose sbagliate, e che i tentativi di conoscerla erano lontani anni luce dal dove pensava sarebbero dovuti giungere. Forse era una sua impressione? Eppure erano lì, e rivederla dopo quei mesi lo aveva fatto sentire forte di poter dirle più di quanto si fosse esposto fino a quel momento. Fai le cose in grande o vai a casa, così si diceva nella sua terra, e lui non poteva esser da meno. « Grazie. So che non è facile in questo momento capire come far fronte a qualcosa di sconosciuto.. e non penso ci sia niente che possa fare io per aiutarvi. » Disse, senza lasciar andare il suo sguardo. Aveva provato in maniera gentile a rassicurarlo, a farlo sentire sicuro di quello che stavano conducendo lì al Mordersønn. In qualche modo, per quanto sarebbero potute essere anche le parole che avrebbe potuto dire ad uno sconosciuto qualsiasi che varcava la porta di quell'edificio, si sentì sicuro del fatto che fosse tutto a posto, perché le stava dicendo proprio a lui. Come se avesse potuto distinguere Fabian in qualche modo che quelle parole volevano essere chiare, che non sarebbe stato impossibile farvi fronte. Henrik poteva considerarsi in buone mani, almeno, non potevano pensare che sarebbe stato in mani migliori se fosse andato da qualche altra parte. Fu insolita quell'associazione, ma immaginò che con un potere diverso avrebbe potuto essere utile a loro, ai loro scopi, che non si sarebbe tirato indietro se fosse stato possibile che la sua particolarità poteva esser utilizzata per qualche sperimentazione. Magari gli sarebbe anche piaciuto, per quanto fosse rischioso e molto irresponsabile da pensare. Comunque, se avesse pensato che avrebbe potuto essere d'aiuto davvero poteva essere un bel momento per farlo presente, e lasciarlo intendere senza che fosse stato detto troppo tra le righe gli andava bene.
    Arrossì, come gli veniva naturale per la carnagione chiarissima che possedeva, il sangue passò a ribollire sulle guance. Cosa poteva dire se non la verità? Fai le cose in grande o vai a casa funzionava anche per quella massima, e lì non poteva tirarsi indietro se non dire le cose come stavano. « No. Non avrei potuto. » Di certo non l'aveva dimenticata. La guardò e le sorrise, come se fosse di fronte ad un panorama da lasciar senza fiato o avesse assistito a qualcosa che lo aveva lasciato in perfetto stupore. « Avevo pensato di sentirti molto tempo fa Charlie, ma non volevo sembrarti inopportuno. Ho aspettato. » Fabian si rese conto che gli erano passati velocissimamente nella mente tante cose che gli avevano messo i bastoni tra le ruote in passato. Ma nel passato era stato anche un ragazzo, e in preda a situazioni molto più strane di quella, così tanto che perfino ritrovarsi in un bar in un istituto di ricerca a chiacchierare e a dichiararsi non gli sembrava neanche così insolito, proprio perché nessuno di loro poteva sapere cosa sarebbe potuto accadere l'indomani, visto anche cosa stava accadendo attorno a loro in quella cittadina insolita. Aveva fatto passare troppo tempo, o poteva recuperarlo mettendo da parte l'orgoglio per essere sincero?
    Tacquero entrambi, prima di ordinare al cameriere le loro ordinazioni, e una volta completato l'ordine tornarono nel silenzio del loro tavolo, indisturbati dagli altri presenti che erano pochi e molto lontani da loro. Fabian lasciò andare il foglio del menù che aveva preso tra le mani, che il cameriere aveva mancato di portare via perché ben ancorato tra le mani del cliente che non conosceva. Ripresero il loro discorso, la conversazione fluì normalmente nello scambio di informazioni sul come erano stati, sul cosa era successo fino a quel momento. Fabian annuì quando menzionò le difficoltà che affrontava quotidianamente sul suo lavoro. « Sì, posso capirlo. Hai sulle spalle un lavoro complesso e porti parte delle sorti di questo istituto e la comprensione di quello che avviene dentro tutto su te stessa. » La capiva davvero e credeva in quello che le aveva detto. Evitò in ogni caso di dire che anche il suo lavoro era una gigantesca macchina che aveva ripercussioni più grandi di lui. Il suo lavoro era a tutti gli effetti un lusso, e non era uno sciocco: il calcio era una bellissima passione che aveva radici sconosciute e lontanissime di anni addietro quando uomini potenti erano riusciti a renderlo il gioco più famoso del mondo e a tirarci dietro una quantità e un giro di affari così gigantesco da sembrare inverosimile, ma era a tutti gli effetti una macchina per soldi ai limiti della comprensione. Nel suo caso il suo lavoro, più semplice da immaginare, era molto difficile da comprendere, perché la pressione di ogni partita significava costi per i finanziatori enormi, e i rischi per quanto fossero solo ludici significavano un costo incredibile nel caso di fallimenti, e la perdita di denaro poteva avere ripercussioni infinite sui creditori e, ad onde lontane, si propagavano fino agli spettatori, ai tifosi, che finivano per investire tempo e fatiche ed energie anche in una passione difficile da capire. Gli chiese del campionato, e questo gli diede modo di essere più aperto nella sua spiegazione. « A parte il Sykdom che ci sta mettendo i bastoni tra le ruote... » Pronunciò la parola che identificava il virus, e subito sentì mille spilli dietro le spalle, un paio di occhiatacce dei pochi commensali presenti nel locale furono rivolte a lui, e dovette ricordarsi di abbassare di più la voce, per quanto fossero vicini e stavano già utilizzando un tono di voce moderato. « .. sì, scusa, è un argomento difficile. L'ultima partita della stagione è stata sospesa, e noi siamo rimasti in bilico. Non vogliono rischiare che le cose prendano una piega più seria, e il comitato sta cercando di capire come muoversi. Una opzione per esempio sarebbe quella di far giocare le squadre in un ambiente controllato senza la presenza dei tifosi, ma hanno paura ci siano ripercussioni più gravi. » Le spiegò una parte di quel racconto, rendendosi conto che era molto poco ancora e cercò di farle presente nel suo discorso cosa intendesse. Prendere delle scelte in quel campo significava causare in effetti molte cose che non potevano prevedere. Non era solo un problema economico, le tifoserie avrebbero creato scompiglio in un clima già teso come quello che vivevano, ed era complesso prevedere l'andamento delle azioni di chiunque.
    Si interruppe di nuovo quando arrivarono le loro ordinazioni. Fabian cominciò a bere il suo caffé lungo, si rilassò nel tepore della bevanda e aspettò a mangiare i biscotti. Aveva atteso che fossero di nuovo soli e di poter riprendere il discorso di prima, che aveva interrotto con i convenevoli e il passaggio del cameriere David.
    « Sono stato bene la sera che ci siamo conosciuti. E so che non sappiamo molto l'uno dell'altra, però volevo avere l'occasione di rincontrarti. » Lo disse, e aspettò di vedere la sua reazione per capire come procedere e se sbilanciarsi oltre. C'era stata una pausa che aveva lasciato andare la tensione delle parole che le aveva confidato prima, lo sapeva, ma aveva bisogno di sentire come le avrebbe recepite. Per quanto si sentisse in difetto ad aver atteso tutto quel tempo, non poteva nascondersi davanti a quell'occasione. « So anche che ora c'è una faccenda molto più seria che mi ha portato qui e non è molto giusto per me non aver preso coraggio prima di oggi, comunque, ora lo sai. » Si spiegò meglio, in quella confessione diretta. Non erano ragazzini, e lui non rischiava nulla di più che rimanere con un rimpianto se non avesse avuto l'occasione di parlarle direttamente, senza mezzi termini.
     
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