Please, save me from myself

Anna & Henrik

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    Lo strano tizio aveva deciso di non seguirla nella sua missione del divertimento e la cosa non aveva fatto altro che farla irritare ancora di più. sembrava che quel giorno nessuno volesse darle un po’ di attenzioni. Non Lev, il suo ragazzo, che era sparito chissà dove, non Gree, la sua migliore amica, che aveva purtroppo già preso altri impegni, non quel tipo Ziggy, che si era avvicinato per attaccare bottone e poi l’aveva comunque scaricata. Fece schioccare la lingua contro il palato, cercando un modo per distrarsi e non pensarci. Quando si arrabbiava molto capitava che perdesse il controllo della sua particolarità e non voleva proprio che una cosa come quella peggiorasse ulteriormente la sua serata. Era già complicato dover spiegare in giro perché se ne stava lì da sola, sarebbe stato un incubo convivere con il pensiero che gli altri la considerassero una psicopatica, del tutto incapace di gestire la sua particolarità. Aveva sempre avuto problemi a riguardo e nel tempo aveva continuato a caricarsi di ansie. Non era abbastanza brava, non era abbastanza perfetta. Perché persino la sua particolarità sembrava volerle remare contro? Era sempre stata un problema più che una cosa bella e utile. La attivava quando si arrabbiava così tanto da non riuscire più a trattenersi, sottraendo alle persone la vista o l’udito il più delle volte. In effetti dubitava di poterlo fare su tutte quelle persone insieme, non poteva certo essere così potente, ma l’idea di poterlo usare a caso, su uno chiunque di loro, la faceva agitare ancora di più. Strinse la presa delle mani sulle sue braccia, fermandosi soltanto quando il dolore le fece notare di essersi lasciata i segni delle unghie. Storse il naso, indispettita da quei segni che si era appena provocata. Philip, dall’altro lato della sala, continuava a farle cenno con il capo di avvicinarsi e di raggiungerlo, perché il gioco stava per cominciare. Si era pentita di aver detto di sì. Senza una spalla su cui poter contare non le sembrava più così divertente unirsi a quelle persone. Eppure allo stesso tempo come poteva dire di no? Proprio lei?
    Gli fece cenno con la mano di aspettare un momento, prendendo velocemente il telefono e portandoselo all’orecchio, come se avesse appena risposto a una telefonata urgente. Diede le spalle alla porta della veranda e si mosse di qualche passo, per sottrarsi alla vista almeno per qualche momento. Che cosa poteva fare adesso? Chi avrebbe potuto chiamare? Le ci volle solo qualche istante prima che una nuova immagine facesse capolino nella sua mente, suggerendole qualcuno che magari sarebbe stato disposto a raggiungerla e a salvarla da quella pessima situazione: Henrik. Il suo amico Henrik, il migliore dopo Gree, quello da cui andava quando non si sentiva in grado di sostenere un esame o, quando erano più piccoli, quando aveva paura della verifica di matematica. Quante volte lui era stato il suo porto sicuro ed era rimasto ad ascoltarla mentre lei si lamentava di questa o di quella cosa che non le stava bene. Anche lei lo aveva ascoltato, tante volte, aiutandolo a riempire il silenzio quando Gree voleva un po’ di tempo da sola con Isak, il fratello gemello che le aveva rubato il cuore. Come aveva fatto a non pensarci prima? Si guardò velocemente indietro, per essere sicura che nessuno la stesse guardando in quel momento e poi spostò il telefono dal suo orecchio, cercando la sua conversazione con l’amico. Lev è sparito chissà dove e mi ha lasciata da sola. Scrisse, inviandolo velocemente, presa dalla foga del momento. In effetti l’amico non aveva mai apprezzato molto la sua scelta sentimentale e glielo aveva fatto presente più volte, aggiungendo però che, se lei era felice, allora per lui andava bene. Di certo quel messaggio non lo avrebbe quindi fatto saltare di gioia. Vieni a salvarmi, per favore? Aggiunse poi, scattandosi anche un selfie con un’espressione piuttosto triste, che allegò al messaggio. Gli inviò anche la posizione in cui si trovava, così che potesse raggiungerla senza troppi problemi. Henrik non frequentava i nuotatori. Lui era più uno da grandi menti intellettuali piuttosto che muscoli e tanto sport. Attese qualche momento, per accertarsi che lui leggesse e potesse quindi almeno valutare la sua richiesta e poi si rimise il telefono in tasca.
    Guardò il suo riflesso sul vetro di fronte a lei, dandosi una sistemata ai capelli. Il trucco lo aveva rifatto poco prima e per fortuna non si era scomposto, quindi poteva ancora dare la parvenza di stare bene. Lisciò alcune pieghe del vestito bianco, giocando per un momento con uno dei finissimi fiori ricamati e poi si sforzò di far apparire un sorriso sul suo volto. Poteva farcela, ne era sicura. Il telefono vibrò all’interno della sua borsetta, lo prese velocemente, lesse un messaggio e sorrise. Bene, non sarebbe stata sola ancora a lungo. Quel pensiero le diede una nuova carica che riaccese un po’ il suo sorriso, impreziosito da un rossetto rosso, forse un po’ troppo acceso. Si mosse con passo sicuro verso la sala principale, a testa alta, con rinnovata sicurezza. Afferrò un bicchiere di qualche cocktail che un ragazzo stava offrendo e andò a sedersi accanto a Phil. Forse Lev non era ancora tornato, ma qualcuno doveva essere riuscito comunque a rimediare qualcosa da bere. -Ce ne hai messo di tempo. - mormorò il nuotatore, ad un soffio dall’orecchio di lei, rivolgendole un sorriso malizioso. -Era una telefonata molto importante. - rispose lei, per poi girare lo sguardo da un’altra parte e offrirgli quindi soltanto il profilo. Non le piaceva che qualcuno le dicesse che cosa poteva e non poteva fare e neppure che stesse a puntualizzare sui suoi tempi. Erano davvero poche le persone a cui permetteva di farlo e lui, di certo, non era tra queste. -Dov’è finito Lev? - chiese, approfittando del profilo per poter fare quella domanda ravvicinata senza rischiare che lei lo fulminasse con lo sguardo. Non era la prima volta che lui le faceva intendere di essere molto disponibile a sostituire la compagnia di Lev con la sua, ma fino ad allora Anna lo aveva sempre allontanato, sfruttando il fatto che il suo ragazzo fosse con lei. Ora che lui non c’era, però, che cosa poteva inventarsi? -Ha avuto un’emergenza, ma sarà qui molto presto. – disse, senza guardarlo, per evitare che lui potesse riconoscere quella come una menzogna. Non voleva dare l’idea di dover restare sola a lungo, ma neppure dover abbandonare quella festa solo perché lui era andato via. Iniziava a pentirsi però di essersi unita a quel piccolo gruppetto. -Beh? Che cosa aspettiamo? - mormorò, allungandosi con la schiena per andare a raggiungere la bottiglia e farla girare velocemente, con un sorrisetto divertito sul volto. -E’ una festa, no? Divertiamoci! - terminò, mandando giù un altro sorso dal suo bicchiere, mentre la bottiglia continuava a girare.
     
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    Si sistemò meglio la coperta di plaid sulle gambe, distendendosi sullo schienale confortevole del divano della sala degli Havbølger. Henrik non era solito disdegnare un buon pomeriggio in solitudine nel silenzio della sua residenza, le dita tra le pagine di un libro tascabile dalla quarta morbida, immerso in quel mondo ovattato che gli faceva ricordare di essere assolutamente in pace con se stesso. Rimase a dibattersi per un pò con l'atmosfera cupa della questione donazioni di Kathy e Ruth e Tommy nel "Non lasciarmi" di Ishiguro, quasi immaginandosi di essere in parte molto simile a loro, con la sua possibilità di essere una copia sputata di suo fratello Isak, una versione identica che non lasciava scampo ad inganni, e non aveva mai messo freno alla loro fantasia di improvvisarsi l'uno per l'altro. Così allo stesso modo Henrik poteva tranquillamente rendere più funzionale la vita del fratello immaginando di doversi sostituire a lui, o per lui, scambiando parti, pezzi di se stesso, che un domani non potessero essere più utilizzabili da Isak e rendergli l'esistenza più lunga. Ma in quella versione delle cose era molto difficile pensare di dover essere davvero utile ad Isak visto che era stato sempre lui quello meno forte, donare un organo più o meno a lui avrebbe mai assunto significato veritiero?
    Rimase a guardare il soffitto, di fronte al crepitio del fuoco del camino, una visione felice e rilassante di qualsiasi focolare domestico ben accogliente tanto da dare l'impressione a dirlo a parole di una casa calda e piena di amore. L'unico angolo di quiete e calore che in realtà esisteva in quella casa gigante era l'angolo vicino al camino dove si trovava spesso Henrik, la camera di Henrik, che era stata vissuta e convissuta da entrambi i fratelli quando il gemello debilitato era stato un bambino sempre malato, e la dependance dove vivevano Gree e Mariasol. Non c'era altro modo di immaginare uno spazio che avesse un significato diverso perché la sua famiglia abitava una villa moderna e solitaria, piena di oggetti belli e disposti con cura, ma che non riuscivano nel loro insieme a dare il nome di casa, per quanto ci si potesse sforzare. Allungò la mano a cercare il telefono sulla sua destra, tese le dita sulla pelle del divano prima di trovarlo e prenderlo per sovrapporlo al libro spiegazzato per leggere i suoi messaggi. Morgana comparì tra essi, in cui commentava cosa ne pensava del capitolo precedente, visto che avevano iniziato la loro maratona di lettura del libro insieme. Sorrise, scorrendo i messaggi della ragazza in cui si stupiva dell'incedere distopico del romanzo che leggevano. La loro conoscenza era stata lenta e calibrata, procedeva piano, minuziosamente, nello scorrere del tempo insieme stavano diventando amici, e la visione che aveva visto di lei in passato sembrava piano piano assumere contorni sfumati, come se contasse di meno anche nella mente della giovane. Il futuro di Henrik nel frattempo sembrava mutare ancora, ogni notte, in qualcosa di più indefinito dove Morgana era più serena e le cose procedevano in una direzione diversa dal semplice rapporto di amicizia, eppure sembrava non andare oltre il futuro immediato, non vedeva visioni del suo futuro più lontano se non di lui e di Isak e di Gree, e questo lo consolava in parte e riusciva a preoccuparlo dall'altra. Henrik rispose all'ultimo messaggio ricevuto digitando le parole lentamente, evitando l'uso di emoji, come faceva sempre, che a lui sembravano rendere tutto scritto da un dodicenne preda e pregno di incoerenza. @Morgana: «ci aggiorniamo alla fine della seconda parte e ti commento il resto.» Ci pensò, rendendosi conto che la fine della seconda parte significava leggere molto più di metà libro, e che per allora sarebbe arrivato all'ora di cena posticipandola. Quella sera, tanto, avrebbe mangiato da solo. Gree e Isak erano ad una festa, non ricordava neanche più quale ma non aveva avuto intenzione di raggiungerli, sua madre aveva una cena con le sue amiche, e suo padre era come tutti i giorni meno uno della settimana ad Oslo. Marisol si era premurata di ricordargli più tardi quando avesse voluto avvisarla che avrebbe potuto preparare qualcosa per lui e fargli compagnia, anche nella sua casa, nella dependance della villa appunto. Non aveva ancora deciso se crogiolarsi di più nella solitudine di quelle pagine o riemergere pronto per la cena, ma si disse che tanto valeva deciderlo quando sarebbe arrivato il momento, dipendeva molto da come si sarebbe sentito. Abbandonò il telefono più su, accoccolandosi più stretto all'incavo del divano, il libro tra le mani portate vicino al petto, e le gambe penzoloni, una vicino a sé e l'altra oltre il bordo del divano. Si stiracchiò, leggendo tre, quattro frasi, arrivò a finire un altro capitolo e a sovrapporre le righe tra di loro finché il sonno non ebbe il sopravvento, e nulla più.
    Henrik riaprì gli occhi stringendo le dita, e rendendosi conto che non aveva più il libro tra le mani, e la vibrazione del telefono in silenzioso emetteva uno stridore insolito sulla pelle del divano, reclamandolo alla veglia dalle braccia di Morfeo. Si sollevò di scatto, tirandosi a sedere e calciando via la coperta di plaid a scacchi e prese con la mano nodosa nuovamente il telefono tra le mani. Stropicciò gli occhi malamente, intercettò l'orario e sbuffò, erano le dieci e doveva aver dormito quattro ore saltando la cena. Lui e il sonno avevano da sempre un rapporto complicato, ma dormire la sera beatamente e svegliarsi a quell'ora significava un linguaggio universale ed erano leggi che valevano per tutti, anche per chi non aveva i problemi di Henrik: quella notte non avrebbe dormito per niente. Scorse le notifiche sullo schermo del telefono, e si rese conto che aveva perso la sua deadline con Morgana, che gli mandava un messaggio per avvisarlo di essere passata alla parte terza, e poi appena arrivate, le notifiche di Annabelle. Dovette fare velocemente mente vocale tra i pensieri per rendersi conto di dove fosse l'amica e perché gli stesse scrivendo a quell'ora. Era ad una festa della confraternita a cui apparteneva Dimitri, il suo ragazzo, che non faceva parte delle persone che Henrik vedeva di buon occhio ma nemmeno poteva dire di aver qualcosa contro il ragazzo. Tenne tra le mani il telefono per aprire la chat e visualizzare il faccione di Annabelle che gli mandava una foto triste, si preoccupò di leggere il contesto e l'unica informazione che ne venne fuori fu che il ragazzo l'aveva lasciata sola. Classico di Annabelle e Dimitri, che si faceva chiamare solo Lev. Ma Henrik sapeva un sacco di cose, che fossero relative alla vita che viveva, a quella che vedeva, alle cose che sentiva e di cui la gente non si accorgeva di rivelare, in qualche modo, Henrik era silente e sempre onniscente, e conosceva tutto, o quasi. Tra sapere davvero e sapere per aver sentito soltanto c'era anche molta differenza.
    Si passò una mano fra i capelli, rendendosi conto di cosa significava il messaggio di Annabelle, e la sua richiesta di aiuto. Tanto comunque la sua serata era bella che andata. Si avvicinò al fuoco per spegnerlo, disperse i carboni con il tizzone e li lasciò vagare in due direzione diverse, distanziandoli perché diventassero innocui. Non si chiese per nulla cosa stesse facendo, Annabelle era diventata sua amica da quando Gree l'aveva trascinata nella sua casa e avevano cominciato a studiarsi da lontano, o forse era successo prima che era stata Christine, sua madre, con il rapporto con Helga, la madre di Annabelle, ad averla frequentata e portato il gemello silenzioso e ubbidiente con sé. Qualche volta non se lo ricordava davvero e si doveva sforzare di ricordare cosa era successo prima, ma la verità era che era accaduto tutto un pò assieme, erano diventati amici per conto loro, complici tante piccole cose e tante persone che li avevano spinti anche a frequentarsi di più, capitavano sempre assieme, e qualche volta ci restavano per davvero, da soli, con le loro chiacchiere, soprattutto quando Isak e Gree diventavano loro e basta, e Henrik rimaneva in disparte, cercando di non guardare troppo più in là quando poteva e viceversa, guardarli quando non poteva, perché stessero entrambi bene. Guardò la posizione che gli aveva condiviso Annabelle, capendo esattamente quale edificio era toccato alla festa della confraternita perché potesse andarci a colpo sicuro. @Annabelle: «Vengo a prenderti. Non ti muovere.» Come sempre, perentorio e impassibile, Henrik sapeva che la ragazza sarebbe stata anche in grado di uscire dall'edificio per tornarsene a piedi, perché quando era arrabbiata diventava intrattabile e non guardava a chi avesse causato la sua irritazione. Tantovaleva avvisarla di non fare stupidaggini. Raggiunse velocemente il primo piano, la sua camera, l'armadio con il suo guardaroba, tirando giù dalle grucce un abbigliamento tutto in nero: pantaloni scuri da completo, cappotto in lana, sciarpa. Recuperò un maglione grigio che aveva lasciato sulla poltrona nella cabina armadio, indossato sopra una t-shirt la sera prima e utilizzato appena per una commissione con Isak in banca. Si sciacquò il viso togliendosi di dosso il torpore del sonno e passò le mani umide tra i capelli, solo per poco attento a come sembrasse, incrociando il suo riflesso e gli occhi verdi azzurri nello specchio. A parte i giorni in cui non era in forma, Henrik sapeva di non star mai male, e che la genetica aveva avuto molte falle nel suo fisico ma non di certo sul suo aspetto. Poteva vestirsi come gli pareva e non essere mai fuori posto, ma per una festa della confraternita aveva sentito anche lui, che era impassibile al giudizio di chiunque, che gli era necessario indossare qualcosa che lo facesse sentire adatto ad uniformarsi.
    Fece in tempo a prendere il telefono e il telecomando dell'auto, uscì a grandi passi in cortile coprendosi il collo e le labbra con la sciarpa nera. Accese il motore della sua A1, auto che il padre aveva scelto per entrambi i figli, identica a quella del fratello nel modello si differenziava solo dal colore, la sua curiosamente era molto simile alle iridi celesti di Annabelle. Il tragitto da casa a quella sede del campus durava appena dodici minuti, che passò a pensare a cosa avrebbe scritto a Morgana, in difficoltà per cosa avrebbe voluto raccontarle, quanta verità, e quanto della svolta della sua serata. Voleva guadagnarsi la sua fiducia, ed era ancora lontano dall'esserle vicino, non voleva disturbarla con informazioni che riguardassero il fatto che raggiungesse un'altra ragazza ad una festa universitaria e la portasse a casa.
    Arrivò al palazzo, dopo aver parcheggiato e controllato il telefono altre cento volte nel mentre in attesa di chissà quale imprevisto, raggiunse il quinto piano a piedi, dopo aver provato inutilmente a chiamare l'ascensore che sembrava essere rimasto fermo o essere fuori servizio, Henrik non lo sapeva. Si guardò intorno scrutando la sede della festa con i suoi occhi acuti, ignorando il caos spropositato della musica - orribile, ovviamente, per i suoi gusti - e cercò la figura di Annabelle immaginando di vedersi spuntare una chioma bionda da qualche parte. Qualche persona si scansò per farlo passare, qualche ragazza lo fissò attenta cercando un pattern riconosciuto a quel viso insolito. I ragazzi della festa facevano parte del corso di Annabelle e avevano in media cinque anni meno di lui. All'università come a scuola i senior erano facilmente identificabili, non c'era scampo di anonimato, perciò il bel viso di Henrik si stagliò velocemente negli occhi di molti, e il chiacchiericcio di qualcuno si interruppe per procedere in domande su chi fosse lo sconosciuto. Sapeva essere abituato e sapeva essergli indifferente, qualche volta raramente anche lui lusingato: tra i ragazzi del suo anno lo conoscevano per qualche figuraccia e brutta esperienza e un passato di malattia, ma ai ragazzi più giovani era uno dei gemelli Havbølger, e questo contava sempre qualcosa nella piccola comunità universitaria di Besaid. Rimase a guardare una figura bionda nascosta in un angolo, e si avvicinò a lei pensando di aver riconosciuto la sua Anna, fino a posarle una mano sulla spalla e rendersi conto una volta voltatasi che non era lei. Non ci pensò su due volte. « Conosci Annabelle Campbell? Sai dov'è? » Bastò quello, e la ragazza gliela indicò, a due metri da dove era Henrik, si mosse in sua direzione facendosi largo tra le figure che ballavano per arrivare a lei, seduta per terra intenta a giocare al gioco della bottiglia. Fece due passi Henrik prima di guardare la bottiglia ruotare curiosamente in direzione di Annabelle, e una ragazza dai capelli castani con un vestito rosso che chiaramente non conosceva gridare con la mano a indicarla: « Hai scelto obbligo! Ti tocca baciare Philip! » Per poi incitare con il resto della folla il bacio tra i ragazzi. Henrik si mise di fronte ad Annabelle, alle spalle della ragazza in rosso, incrociò le braccia e la guardò con fare divertito, gli bastò incontrare il suo sguardo e non aveva bisogno di altre parole con lei. Discreto ed affidabile come sempre, il viso e le labbra di Henrik parlavano per sé. Ti salvo io, o devo andarmene?
     
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    Era arrabbiata, così arrabbiata che temeva quasi di perdere il controllo. Non riusciva proprio a capire come fosse possibile che, tra tutti i ragazzi che c’erano al mondo, lei si fosse innamorata proprio di quello che sembrava non ricambiarla. Doveva esserci qualcosa che non andava in lei, una sorta di maledizione invisibile che si era attaccata alla sua pelle e che non poteva strappare via. Com’era possibile altrimenti che gli uomini della sua vita la lasciassero sempre indietro? Come se non avesse alcuna importanza? Il primo era stato suo padre, quando aveva scelto di lasciarle e di farsi una nuova vita. Aveva mantenuto i legami con sua sorella, evitando invece di conoscere lei, in un primo momento. Solo quando era stato troppo tardi aveva accettato che anche lei andasse a trovarlo, ma in fin dei conti sapeva che non sarebbe mai stata al livello della maggiore. E la stessa cosa faceva Lev, mettendola in secondo piano e prestando attenzione sempre a qualcosa di diverso, qualcosa di più interessante, di più bello. Strinse la mano a pugno con forza, mentre serrava la mascella in un’espressione seria e incollerita che durò solo per un lungo momento. Avrebbe voluto urlare e rompere qualcosa, lasciarsi andare a quella collera e farla fluire, ma non poteva farlo, non in pubblico. Chiuse gli occhi per un momento e prese quindi un profondo respiro. Si concesse un momento per cercare di recuperare un po’ di contegno e li riaprì cercando di apparire calma e tranquilla mentre dentro di lei tutto strepitava e lottava per venire fuori con tutta la furia di cui era capace. Lev gliel’avrebbe pagata quella volta, non lo avrebbe perdonato così in fretta. No, era stufa di stare dietro alle sue stranezze, di perdonargli ogni cosa. Non era questo il sogno che desiderava per se stessa. Lei meritava di più. Più dei suoi silenzi, delle lunghe assenze, degli sguardi distanti che le dedicava mentre pensava sempre a qualcosa di diverso, più del poco tempo che le riservava. Lei voleva qualcuno che la guardasse come se fosse stata la cosa più preziosa del mondo, che le facesse toccare il cielo con un dito.
    Raddrizzò la schiena, cercando di sfoderare uno dei suoi migliori sorrisi mentre si spostava appena dalla scena per non restare troppo in vista. Non le andava di restare lì senza di lui. Erano una delle coppie più chiacchierate del mondo e senza dubbio tutti avrebbero notato la sua presenza solitaria. Sarebbe stato molto meglio andare via, fingere di aver trascorso la notte insieme o inventarsi un’altra scusa per quella serata terminata troppo presto. Anzi, sarebbe stato molto meglio ricevere una risposta o vedere semplicemente il suo ragazzo ricomparire dalla porta di ingresso e restare lì, al suo fianco, mano nella mano, ma qualcosa le suggeriva che non sarebbe accaduto e che Lev non sarebbe tornato. Non sapeva che cosa dentro di lei avesse acceso quel pensiero, ma quel nodo al golo sembrava non volersi sciogliere e quel pensiero era l’unico che le riempiva la mente. Doveva trovare una soluzione, doveva fare qualcosa. Prese il telefono quindi, cercando di contattare le poche persone che Anna riteneva davvero sue amiche. Fingeva di essere una persona particolarmente socievole e sempre aperta a nuove amicizie ma la verità era che erano pochissimi quelli che riteneva davvero tali e di cui si fidava. così pochi che, in quel momento, temette che nessuno dei due le avrebbe risposto e che si sarebbe quindi dovuta salvare da sola, in qualche modo. Cercò di sviare gli sguardi di Philip, prendendosi qualche altro momento e fissando il telefono per due lunghi minuti nella speranza di una risposta. Battè un piede a terra per una decina di volte, un po’ spazientita, per poi lasciarsi andare a un sospiro. Che cosa si aspettava? Probabilmente anche Henrik aveva già degli altri piani per quella sera e non li avrebbe modificati certo per lei. Le aveva parlato di una nuova ragazza, una certa Morgana e Anna aveva notato una strana scintilla nello sguardo di lui mentre parlava di quella brunetta, come se qualcosa si fosse smosso dentro di lui. Non era gelosa del suo migliore amico, le sarebbe piaciuto vederlo felice, al fianco di qualcuno, anche se certamente avrebbe preteso di incontrarla e di dare la sua approvazione. Non che potesse davvero permettersi di lamentarsi delle sue fiamme visto che l’amico non vedeva proprio di buon occhio Lev, ma lei avrebbe comunque detto la sua, in ogni caso.
    Prese un profondo respiro, ormai sicura di doversi arrangiare da sola, quando il telefono vibrò all’interno della sua mano, mostrando il nome di Henrik. Aprì velocemente il messaggio e sorrise quando lesse che lui sarebbe arrivato, che sarebbe venuto a prenderle. Si lasciò andare a un leggero sospiro prima di tornare nella sala principale, diretta verso quel piccolo gruppetto di persone che la stava aspettando. Cercò di mostrarsi tranquilla mentre prendeva posizione accanto a Philip e invitava il primo giocatore a dare iniziò alle danze facendo girare la bottiglia. In cuor suo sperava proprio che Henrik arrivasse prima che fosse il suo turno, ma doveva fingere di non essere affatto sulle spine di essere invece piuttosto felice di trovarsi lì. Cercò di sviare le domande su Lev serrando tuttavia un pugno lungo il fianco. Avrebbe tanto preferito non sentire neppure il suo nome in quel momento, mentre continuava a maledirlo all’interno della sua mente per essere sparito senza dare alcuna notizia. Come faceva a fingere di essere tranquilla e di sapere dove fosse quando invece dentro di sé si sentiva soltanto impazzire? Puntò l’attenzione verso il centro del gruppo, osservando la bottiglia che girava per poi puntare in direzione di Cassy che emise un leggero gridolino felice. Si sporse per baciare il ragazzo che aveva dato il via al gioco, con aria piuttosto tranquilla. Lei non ricordava chi fosse quel ragazzo, forse non lo aveva mai notato prima e sperava di non doverci avere troppo a che fare. Cassy prese la bottiglia a sua volta, facendola girare con un bacio detto con aria piuttosto soddisfatta, mentre lanciava un’occhiatina in direzione di Philip. Forse c’era della chimica tra i due anche se Phil sembrava poco interessato a lei. In effetti, guardando i partecipanti con attenzione, quasi tutta le ragazze guardavano verso di lui. Era carino, anche se forse un po’ troppo appiccicoso ed egocentrico per i suoi gusti, ma in effetti avrebbe fatto forse un colpo migliore rispetto a Lev. Almeno lui sembrava interessato, quanto meno.
    Continuarono con i giri successivi e lei fu felice di riuscire a scansarne alcuni, finendo soltanto con il ricevere una carezza da parte di una sua ex compagna del liceo, Jessica, di cui aveva persino dimenticato l’esistenza. Chissà quante persone avevano incontrato il suo cammino per poi venire cancellato in pochissimi istanti. Anna non prestava mai troppa attenzione alle altre persone, a meno che queste non avessero davvero qualcosa di speciale. Voleva vivere di grandi emozioni circondata da persone di un certo livello, non essere oppressa dalla folla e spegnere anche la propria luce in una vita troppo monotona. Abbassò appena il capo mordicchiandosi il labbro con aria un po’ persa. Come avevano fatto lei e Lev a finire insieme? Perché ancora dopo un anno si ostinavano ad andare avanti se era abbastanza palese che ci fosse qualcosa che non andava? La bottiglia rallentò davanti a lei andando per fortuna a fermarsi di fronte a Phil che ricevette uno schiaffo da parte di una ragazza non molto felice che probabilmente avrebbe preferito qualcosa di diverso. Notò un sorrisetto divertito invece sul volto di lui mentre prendeva in mano la bottiglia e guardava con aria diretta nella sua direzione mormorando un bacio che non lasciava molto spazio all’interpretazione. Si pentì di aver accettato di prendere parte al gioco mentre una certa sensazione di nausea le risaliva dall’altezza dello stomaco. Guardò il cellulare, che se ne stava muto accanto a lei e poi si voltò in direzione degli altri inviati, sperando di scorgervi un volto conosciuto. Sospirò appena mentre la bottiglia continuava a girare e una strana sensazione la agitava dall’interno, facendola diventare sempre più nervosa, come se si aspettasse che stesse per accadere qualcosa che non le sarebbe piaciuto affatto. Risollevò lo sguardo e fu allora che le sue labbra si aprirono in un sorriso radioso, il primo di tutta quella sciocca serata. Era lì, era arrivato davvero.
    La bottiglia si fermò proprio in quel momento, mentre lei si perdeva a guardare Henrik che la guardava con aria un po’ confusa, come se non fosse sicuro che lei volesse davvero andare via. Fece per posare le mani per terra e alzarsi, andando a raggiungere l’amico, ma una mano si posò sulla sua spalla, ancorandola a terra. -Anna? - la chiamò Phillip, scuotendola appena mentre si avvicinava a lei che d’istinto di ritrasse. -Cosa? - domandò, confusa, come se fosse appena caduta dalle nuvole. -Il bacio. - disse lui, con aria piuttosto sorniona mentre le indicava la bottiglia. Lei guardò Phil, poi la bottiglia, poi Henrik, in cerca di una via di fuga. Si sporse appena in avanti, lasciando un leggero bacio sul naso di Philip per poi mettersi velocemente in piedi. -Ehi ma cosa? - si lamentò l’altro, guardandola dal basso, con aria visibilmente delusa. Probabilmente si era sentito un po' ferito nell'orgoglio nell'essere trattato così davanti a tutti. -Non hai specificato che tipo di bacio. - rispose lei, per tirarsi velocemente fuori dalla situazione, mentre muoveva un passo all’indietro per allontanarsi. Quando voleva sapeva diventare una persona piuttosto furba e, in effetti, non c’era scritto nelle regole che il bacio dovesse necessariamente essere sulle labbra a meno che uno non lo specificasse. Si spostò appena dal gruppo, senza accorgersi che anche Philip si era alzato e la stava seguendo, lontano dal gruppo, probabilmente nella speranza di ottenere finalmente ciò che voleva. Fece giusto in tempo a raggiungere Henrik e pronunciare un -Ciao Henr… che si sentì afferrare per la mano e spingere all’indietro con una certa fermezza. Mosse quindi involontariamente un passo all'indietro, accompagnato a una giravolta che portò il suo volto di nuovo di fronte a quello di Philip. -Ehi biondina, mi devi ancora un bacio. - le disse, con un sorriso sornione e l’aria decisa di chi non aveva alcuna intenzione di mollare la presa. -A dire il vero io non ti devo assolutamente nulla. - ribadì lei, forzando un sorriso che le mise in evidenza gli zigomi, resi più arrossati dalla situazione di fastidio in cui si era appena cacciata. -Coraggio, Dimitri non è qui. Se non lo saprà non ne soffrirà.
     
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    Odiava la confusione. Odiava dover mettere ordine tra i suoi pensieri e dover relazionarsi con gli altri, perdendo tempo a soffermarsi su quello che la sua mente viveva e quello che ricordava delle sue notti confuse. Non era facile per un ragazzo come Henrik far sempre fronte a tutto considerato che il suo potere gli dava tanto, gli donava una visione sul futuro, la possibilità di cambiare il suo tracciato e deviarlo sulla base di precise decisioni, ma ovviamente gli toglieva anche molto: la facoltà di vivere un momento una volta sola, di non tergiversare sulle congetture, di vivere il presente senza immaginare le conseguenze. In quel momento aveva effettivamente sovrapposto il ricordo di qualche notte prima, un sogno che aveva fatto in cui ci aveva visto chiaramente Annabelle senza considerare di collocarlo in qualcosa di definito, e cercando di non dargli troppo peso immaginandola esattamente dove voleva essere, ad una festa, al centro dell'attenzione, libera da problematiche, felice di divertirsi. Ebbene, adesso che lo viveva meglio, che stava avvenendo tutto nel suo presente, si rendeva conto che si era perso un pezzo di quella storia, un tassello di informazioni che avrebbe potuto usare per uscire indenne dalla serata senza colpo ferire, il che significava, completando la sua missione con successo, prendendo Anna riportandola a casa e tornando al suo torpore, alla serata pianificata, a leggere il finale di "Non lasciarmi".
    Si era aggirato al piano designato per la festa del campus di quell'edificio nel complesso universitario, deciso a non chiedersi troppe cose, arrivando alla fine del suo compito senza immaginare decisioni future. Aveva chiesto molto quel giorno a se stesso, perché si era reso conto troppo tardi di aver già vissuto quella serata. Non era andata a finire nel migliore dei modi. L'incatenarsi degli eventi avrebbe innescato una reazione inaspettata di molti dei ragazzi coinvolti nel futuro di Annabelle, e soprattutto, aver coinvolto lui a quella serata aveva significato una cosa ben precisa, e lui ne avrebbe pagato il prezzo. La scena già vista del gioco della bottiglia con Annabelle nel suo vestito bianco, si stagliò con precisione di fronte a lui, e gli fece rendere conto con una consapevolezza amarissima che avrebbe dovuto fare i conti con se stesso, con la sua moralità, e quanto avrebbe deciso di volersi spingere oltre per evitare il peggio. Il male minore. Il sorriso che aveva sul volto quando aveva intercettato la figura della sua amica di sempre si raggelò, rendendosi conto di essere in trappola e che non aveva scelta se non scegliere l'unica opzione possibile. Come era amaro il prezzo da pagare per quel suo potere inestimabile.
    Aspettò, proprio come aveva visto nel suo sogno di qualche notte prima, che la bottiglia girasse in direzione di Anna, che Philip - un ragazzo che vedeva la prima volta lì davanti a lui, ma che ricordava bene dal sogno nonostante non avesse nessun legame tessuto in precedenza con lui - si avvicinasse a lei e reclamasse il suo premio. A quel punto Anna si alzò, avvicinandosi ad Henrik, lasciando solo un bacio frettoloso posato sul naso, candido e innocente, sul ragazzo in preda all'alcool e agli ormoni che non si sarebbe accontentato solo di un bacio qualsiasi. Henrik strizzò lo sguardo, si pose di fronte a Philip e alle spalle di Annabelle, si intromise nella discussione da cui era stato lasciato fuori, preda di un impeto che poté sembrare agli occhi di tutti impulsivo e privo di alcuna considerazione. Invece era pensato e calibrato, ragionato per evitare che il futuro lo portasse all'incubo confuso che si dispiegava nei suoi ricordi. «Philip, hai avuto il tuo bacio. Adesso vai a casa.» Lo disse a voce ferma, limpida, stringendo le spalle di Annabelle con un braccio attorno al suo corpicino esile, affinché la cingesse completamente e le facesse scudo, la mano andò a posarsi solidamente sulla spalla opposta di quella che aveva abbracciato. Posò il viso accanto al suo, guardando quello opposto di Philip che andava ad incollerirsi, tingendosi piano piano di una sfumatura di colore rossastro. Non gli era piaciuto quel colpo di scena, non gli era piaciuto neanche un pò. Ovviamente non piaceva neanche ad Henrik, ma seppur fosse chiaro solo a lui, non aveva avuto altra scelta.
    A quel punto strinse la mano di Annabelle, giocando una parte che lui detestava. Era un chiaro sostenitore della libertà di ogni individuo, e reclamare il corpo dell'amica in quel modo gli sembrava mettere in discussione ogni principio secondo cui una donna poteva tranquillamente farsi valere da sola, e non avesse bisogno della presenza di alcun individuo al suo fianco. Purtroppo per lui aveva esattamente visto cosa sarebbe successo se avesse giocato la carta della diplomazia. «Non è di Dimitri che devi preoccuparti. Hai tre secondi per filare via.» Aggiunse, secco e perentorio. Henrik sapeva essere maledettamente freddo, anche nei suoi momenti tranquilli, anche quando non aveva grane da fronteggiare come quella in cui si trovava in quel momento. Nonostante tutto faceva in modo da essere freddo, ma cortese, con gli altri, e di non dare mai troppo fastidio a nessuno. Quell'azione era una chiara ostentazione di potere, una scena ridicola per suo gusto, ma efficace ad incutere una reazione immediata di pericolo nel ragazzo più giovane, più basso, anche se decisamente più corpulento di lui.
    Philip si avvicinò bruscamente ad entrambi, innervosito dal fatto di essere stato ridicolizzato davanti a tutti. «Anna ha un nuovo cavaliere e non ne sapevamo nulla.» Rise, facendo oscillare lo sguardo tra i due, senza sapere come intervenire oltre. La reazione più brusca era quella più efficace, e non sapendo cosa stesse affrontando aveva vacillato. Così aveva potuto immaginare Henrik la sua seconda mossa, dovendo ostacolare la via di futuro che aveva visto se fosse stato più gentile, come era nella sua indole distaccata. «...Uno. Hai sprecato tempo.» Soffiò Henrik, allontanando Anna alle sue spalle, e spingendo con tutto il peso del suo corpo quello di Philip, che preso alla sprovvista cadde all'indietro, con i sensi offuscati dall'alcool aveva anche un equilibrio precario. Ondeggiò pericolosamente, fino a cadere rovinosamente con il sedere per terra, suscitando l'ilarità di tutti i ragazzi attorno, e le risate dei ragazzi coprirono qualsiasi altro rumore, qualsiasi altro evento accadde quella sera in quello stesso momento. Quel Philip avrebbe passato almeno tre mesi di vergogna di fronte a tutti gli studenti del suo corso, a qualsiasi classe avrebbe partecipato da quel momento in poi. Ci sarebbe voluto tanto tempo prima di dimenticare quella serata, quello che aveva provato, e per ripulire la macchia sul suo onore.
    Esattamente come Henrik non aveva previsto, quello era il momento giusto per filarsela. Prima che quello che aveva visto potesse avere il tempo di verificarsi. Prese di nuovo la mano di Annabelle stringendo le dita sottili e si allontanò in fretta, aspettando che la seguisse con le sue gambe e che prendesse il suo ritmo di passi, anche se aveva una falcata ben più ampia della sua. Lei cominciò finalmente a parlargli, probabilmente completamente spiazzata dalla sua reazione e preoccupata di quanto fosse successo, e di quello che sarebbe successo a lei dal giorno dopo, di quanto la serata sarebbe stata chiacchierata e di cosa avrebbe comportato. «Sì, lo so. No, non avrai molti giorni sereni, ma se va tutto come immagino la tua popolarità schizzerà alle stelle.» Le disse, seccamente, tagliando corto. Non era arrabbiato con lei, ma era preoccupato, e il tono di voce aveva conservato una traccia di indecisione che non aveva ostentato di fronte a tutti gli altri. Era stato ad un passo minuscolo dal sopportare qualcosa di molto di più grave, che Annabelle non avrebbe potuto comprendere. Non sapeva quanto sarebbe stato in grado di spiegarle, anche se lei era una delle poche persone che gli era attorno da sapere del suo potere e sapere che spesso accadeva tutto due volte per Henrik. Scesero le scale, un gradino dopo l'altro, l'ascensore sembrava essere ancora inagibile al loro piano, ma mentre scendevano lungo la rampa da un piano al successivo, un rumore stridente scattò dalla cabina sospesa, invisibile oltre l'acciaio delle pareti, e poi un successivo più forte sembrò indicare che le porte dell'ascensore dovevano essersi sbloccate ad un piano sopra di loro. Beh, sarebbe servito loro per prendere tempo, perché avrebbe dato una distrazione in più a quelli che si trovavano sopra di loro. Lo disse ad alta voce, biascicando serenamente, articolando solo una piccola parte dei suoi pensieri. «Qualcosa sarà successo all'ascensore, ma meglio così, chiunque sia lì adesso sarà fuori al piano della festa.»
    Arrivarono al piano terra, e si fermarono per riprendere fiato. La musica della festa della confraternita sembrava continuare tranquillamente, e nessun rumore di passi a seguire sembrava indicare che qualcuno li stesse seguendo. Erano soli, in silenzio, e la sua missione era davvero compiuta, con un successo straordinario. «Ciao, comunque.» Sussurrò subito dopo aver preso fiato, guardandola in viso per la prima volta dopo averla abbracciata di fronte a tutti. Sarebbero potuti succedere a quel punto tantissimi punti interrogativi nella vita di Annabelle, ma una cosa era certa, quella che lui aveva escluso, e lei non l'avrebbe immaginato. Quella sera se non ci fosse stato Henrik ad agire come lui solitamente non si comportava, ma che forse rassomigliava molto il comportamento del suo gemello, avrebbe pianto qualcosa di molto più importante che il cruccio di Lev misteriosamente scomparso dalla festa. Non sapeva quanto fosse contrariata o quanto fosse sconvolta, ma la sua espressione non gli fece presagire nulla di buono. «Prima che tu dica qualsiasi altra cosa, sappi che non avevo scelta.» Mormorò, incrociando le braccia al petto e stringendosi involontariamente nel suo cappotto nero. Tirò un sospiro lunghissimo Henrik, rendendosi conto di cosa aveva appena fatto. Aveva appena dichiarato guerra ad un ragazzo junior, mettendosi contro un rivale che non gli era mai interessato avere, e tutto per il bene che provava per quella testolina bionda che aveva di fronte, che incredibile a dirsi, sapeva sempre cacciarsi sempre in un mucchio di guai. Gli ricordò il modo in cui aveva sempre avuto la possibilità di aiutarla, e tutte le volte che non si era risparmiato dal risolvere un suo grattacapo, che fosse piccolo o gigantesco come quello. Era un suo chiaro, distintissimo tallone d'achille, e per una mente calcolatrice come la sua significava avere un grandissimo svantaggio.
     
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    Annabelle amava stare al centro dell’attenzione, circondarsi di persone a cui dare la migliore idea di se stessa. Sorrideva, si mostrava sempre serena e a suo agio, o almeno ci provava. Aveva costruito con un certo sforzo un’immagine patinata di se stessa a cui non voleva affatto rinunciare. L’apparenza era tutto, ne era sicura. A nessuno importa di sapere chi sei davvero, quali sono i tuoi desideri, i tuoi sogni più nascosti. Le persone vogliono solo vedere qualcosa di bello, un’immagine rassicurante che possa farli sentire a casa. Ed era esattamente questo quello che aveva sempre cercato di fare. In alcuni momenti, però, nonostante la voglia di sembrare perfetta invadesse ogni angolo del suo corpo, c’era anche una piccola parte che avrebbe voluto gettare via tutto, nascondersi agli sguardi del mondo e trovare davvero un po’ di pace, solo per se stessa. Perché mettersi in mostra la poneva sempre in una posizione scomoda, sotto gli occhi di tutti, in luogo dove non le era mai davvero possibile essere se stessa. Si sforzava di tenere lontane le emozioni, di controllare ogni gesto, ogni reazione, ma il fatto che Lev l’avesse lasciata lì da sola, senza una spiegazione, l’aveva completamente destabilizzata, mandando in frantumi il suo castello di vetro. Cercò di mantenere la solita apparenza, di dare un freno alle emozioni e quindi anche alla sua particolarità. Il pensiero che Henrik fosse in viaggio e che presto l’avrebbe portata via da quell’incubo, le diede una spinta per tirarsi un po’ su e cercare di ributtarsi in mezzo alla folla senza mostrare alcun tipo di incrinatura. Quando lo vide cercò di sfuggire velocemente al piccolo gruppetto a cui si era unita negli ultimi minuti, deludendo Philip con un semplice bacio sul naso, molto lontano da ciò che doveva aver sperato di ottenere da quel gioco. Per quanto fosse arrabbiata con Lev e desiderasse fargliela pagare, l’idea di poter passare per una ragazza facile, che si concedeva a chiunque solo perché il suo ragazzo era via, non le piaceva affatto.
    Mosse dei passi veloci in direzione dell’amico, che si posizionò presto alle sue spalle, guardando in maniera cupa Philip che, alzatosi a sua volta, si era avvicinato a loro. Anna sollevò piano lo sguardo su di lui quando, con decisione, impose a Philip di farsi da parte, stringendo un braccio attorno alle sue spalle, come se volesse farle da scudo contro il resto del mondo. La sorprese quel gesto, così poco naturale per uno come Henrik, per lei che lo conosceva. Lo guardò velocemente con la coda dell’occhio, come per cercare di capire se stesse bene, se fosse davvero lui e se invece non avesse mandato Isak al suo posto. Di solito era facile per lei riconoscerli, le bastavano pochi gesti, ma al buio anche lei avrebbe potuto facilmente essere tratta in inganno. Il tono della voce, tuttavia, sembrava proprio quello del suo migliore amico, anche se i gesti continuavano a lasciarla senza parole. Non disse nulla quindi, lasciando che fosse lui ad agire, minacciando tra le righe il ragazzo affinchè la lasciasse in pace. Philip all’inizio sembrò resistere, avvicinandosi a loro con fare serio ma un po’ barcollante a causa del troppo alcol che doveva aver ingerito fino a quel momento. Assottigliò lo sguardo nel puntarlo verso di lui, quando la accusò tra le righe di aver già lasciato Lev per un’altra persona. Sentì il sangue ribollirle nelle vene e la voglia di dargli uno schiaffone in pieno volto, ma fu ancora una volta Henrik a precederla, allontanandosi da lei per un momento per dare un sonoro spintone al ragazzo che si ritrovò a terra in pochi istanti, tra le risate divertite di tutti gli altri invitati. Provò un moto di dispiacere per lui a quel punto, mentre tutti lo indicavano e nessuno sembrava volerlo aiutare a rialzarsi. Fu quasi tentata di farlo lei, ma l’amico prese la sua mano, facendole fare involontariamente un passo all’indietro mentre con lo sguardo sembrava volerle chiedere di seguirlo.
    Rimase in silenzio, completamente disorientata davanti a ciò che aveva appena visto con i suoi occhi. -Henrik? Stai bene? - iniziò a domandare, quando si furono allontanati almeno un po’ da quella folla urlante che aveva ripreso a festeggiare poco dopo. -Ma che ti è preso? - domandò accigliata, cercando lo sguardo dell’amico. Quello a cui aveva appena assistito non era un comportamento da lui e questo lo sapevano senza dubbio entrambi. Quello che non riusciva a capire era perché lui avesse deciso di agire in quel modo, uscendo da quella che era sempre stata la sua comfort zone. Tra tutte le cose che si sarebbe potuta aspettare da Henrik, vederlo rispondere in malo modo a qualcuno e dargli uno spintone era senza dubbio l’ultima della lista o meglio, forse non sarebbe neppure stata nella lista. -Cosa? Ma che? - domandò quando lui iniziò a borbottare qualcosa che per lei in quel momento aveva ben poco senso con una voce un po’ strana. Non capiva se fosse arrabbiato oppure soltanto turbato. -Che cosa centra la mia popolarità adesso? - chiese ancora, vista che quella era l’unica parte della sua frase che le era rimasta in mente. Era sempre stata lei l’unica dei due a preoccuparsi di quelle cose. Henrik aveva sempre pensato al suo, senza preoccuparsi troppo di quello che gli altri potevano pensare di lui, sempre intenzionato a tenersi ben lontano dalla folla. Anna invece aveva sempre desiderato essere al centro del mondo, divenire una persona importante, incontrando talvolta il pensiero opposto dell’amico che invece cercava di farle capire che lo sguardo del mondo non era l’unica importante. Quindi che cosa era cambiato adesso? Che fosse stato tutto legato alla sua particolarità? C’era qualcosa che non le aveva detto? Quando erano più piccoli gli aveva chiesto spesso se l’avesse mai sognata, ricevendo sempre un no come risposta. Le prime volte c’era rimasta male, credeva che bastasse che fossero amici perché quelle strane visioni si sviluppassero, poi aveva lentamente capito che doveva esserci qualcosa di più. Aveva comunque tenuto il muso per un po’ di tempo, ferita nell’orgoglio da quella rivelazione. In una maniera del tutto infantile ed egoista le sarebbe davvero piaciuto essere il centro dei pensieri di qualcuno, tanto da entrare persino nei suoi sogni. Era quello che aveva sperato persino con Lev quando si erano messi insieme, ci aveva sperato così tanto da illudersi che prima o poi sarebbe accaduto davvero, finendo invece ora con il rendersi conto che le cose non erano mai andate come lei aveva voluto.
    Quasi non si rese conto dello stridio emesso dall’ascensore fino a che non fu lui a farglielo notare. Qualcuno era caso rimasto lì dentro? Senza dubbio lo avrebbe scoperto in giro per i corridoi il giorno successivo. Se c’era qualcosa di interessante o qualche notizia piccante la voce si sarebbe sparsa in men che non si dica. Non rispose, continuando a camminare sino al piano terra, seguendo il suo passo svelto con un’espressione accigliata sul volto. Quel suo essere così sfuggente iniziava a farle dare di matto e avrebbe voluto delle risposte il più in fretta possibile. Quando quindi raggiunsero il piano terra, ormai finalmente lontani dalla musica assordante della festa, gli si parò davanti con le mani sui fianchi e un cipiglio vagamente minaccioso. -Oh beh, finalmente! - mormorò, irritata, quando lui la salutò per la prima volta nel corso di quella lunga serata, guardandola negli occhi dopo tutti i minuti che erano trascorsi dal loro primo incontro di quella giornata. -Si può sapere che cosa ti prende? Quello.. beh, quello non era certo da te. - disse, continuando a tenere le mani salde sui fianchi anche se, mano a mano che andava avanti con quel suo discorso, la sua espressione e il suo tono si erano fatti meno arrabbiati lasciando il posto a una preoccupazione sempre più evidente. -E che cosa vuol dire che non avevi scelta? - chiese ancora, sempre più confusa. Quando mai lui non aveva avuto scelte? Lo fissò, mordicchiandosi appena l’interno delle labbra mentre cercava di trattenere ulteriori domande. Era sicura che ci fosse qualcosa che non le stava dicendo, qualcosa di importante vista la sua espressione e la posizione di difesa che aveva assunto, stringendo le braccia al petto per coprirsi e mettere in maniera simbolica una barriera tra di loro.
    Sospirò, facendo scivolare di nuovo le braccia di lato, accanto al corpo e puntando lo sguardo dritto sull’amico. Probabilmente aveva usato un approccio sbagliato con lui in quegli ultimi minuti. Era venuto solo per lei, per aiutarla e lei in cambio si era arrabbiata con lui per essersi messo in prima fila in sua difesa. -Stai bene? - domandò quindi, muovendo un passo verso di lui e allungando una mano nella sua direzione sperando che lui volesse prenderla e stringerla appena. -Non è per me che sono preoccupata Henrik, ma per te. Non voglio che Philip possa decidere di prenderti di mira per colpa mia. - ammise, con un’espressione triste sul volto, abbassando lo sguardo verso il pavimento buio. -Non avrei dovuto chiamarti. Mi dispiace. - terminò, con un leggero sospiro, guardandolo di nuovo. Si sentiva in colpa per quella serie di eventi sfortunati che avevano coinvolto Henrik e che lo avevano costretto a compiere delle azioni non volute. Era arrabbiata. Con Lev, per averla lasciata lì da sola e con se stessa, per non essere riuscita a cavarsela da sola, ancora una volta. Le sembrava di essere un enorme catalizzatore per i guai e non riusciva a capire come fare a liberarsi di quella maledizione.
    Mosse un altro passo, abbracciando l’amico e stringendolo tra le sue braccia minute mentre, posando il capo contro il suo petto, cercava di nascondersi dal resto del mondo. Avrebbe volito poter avere la risposta giusta per ogni cosa, invece continuava a sentirsi la bambina impaurita di sempre, incapace di trovare il suo posto nel mondo.
     
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    Non voleva parlare del suo potere, praticamente con nessuno. Aveva difficoltà a spiegare agli altri ciò che vedeva, e non tanto perché non fosse in grado di descrivere cosa accadesse durante le sue visioni notturne, o le visioni di quando dormiva insomma, ma per quello che significavano. Henrik voleva argomentare con qualcuno quello che riusciva a vedere, ma nella realtà dei fatti ciò che accadeva lo rendeva inquieto. Tutte le persone che vivevano attorno ad Henrik infatti dovevano sapere che qualsiasi cosa fosse accaduta loro, potenzialmente, Henrik l'aveva già vista. Il patto non detto, il patto mai pronunciato a nessuno, consisteva un pò in quello: non chiedermi cosa succederà, perché potrei non dirtelo. Henrik nella sua mente lo pensava molto bene. Io non sono Dio e non giocherò mai con le vite altrui. Allo stesso modo, essendo molto concreto nelle sue decisioni, si aspettava che anche gli altri seguissero il suo ragionamento ed evitassero di chiedere cose a cui non avrebbe potuto dare risposta, perché semplicemente, per quanto avesse già visto vie del futuro, non era detto che si sarebbero verificate con esattezza come le aveva immaginate. E questo era il grande tormento del suo potere, nulla era già scritto, ma le visioni che riceveva, più erano vicine al momento in cui si verificavano, con più esattezza si svolgevano, e più probabile era che si verificassero proprio come le aveva pensate. Perciò aveva aspettato a risponderle, in realtà non aveva badato più ad Anna finché non erano arrivati al piano terra ed erano usciti dall'edificio, e il consueto freddo pungente aveva fatto il suo facendo contrasto sul viso che risentiva dell'adrenalina che Henrik aveva appena rilasciato agendo misuratamente nell'arco di quei minuti che erano appena passati. Era stata senz'altro la scelta migliore, il male minore per l'appunto, come l'aveva chiamato nella sua mente poco prima, ma non aveva affatto intenzione di dire ad Annabelle che cosa fosse successo.
    «Certo che sto bene. Sto sempre bene io.» Fece una pausa, guardando Annabelle negli occhi, le mani tornarono saldamente ancorate nelle tasche del cappotto di lana pregiata. «Nel senso che immagini.» Borbottò, completando poi dopo la sua frase e deviando lo sguardo da lei. Henrik era ovviamente di natura malaticcio, perciò dire che stesse bene era un eufemismo, ma comunque nulla feriva l'imperturbabile animo di Henrik, che appunto nella sua mente e nel suo cuore non poteva essere scalfito da cose di poco conto quali le simpatie e le antipatie che poteva farsi attribuire, e la maturità del ragazzo era incredibile per la sua età, ma non per un individuo che se proprio si guardava bene, con la sua particolarità era cresciuto plasmato da influenze incredibili, e che poi, proprio perché aveva vissuto molti anni della sua vita tra le mura della sua camera, o le pareti della stanza di ospedale di Besaid. Proprio lui per l'appunto, poteva non curarsi delle dicerie qualsiasi o delle cose di cui i ragazzi della sua età si curavano. Lui lo sapeva bene, ma solo Isak poteva sapere come altro individuo all'infuori di lui, cosa tutto quello avesse comportato, nelle notti passati a cercare di dormire, a recuperare il senno e la ragione. Perciò, sì, lui stava sempre bene. Ed era perfettamente padrone di sé.
    Poi gli si piazzò davanti, sbuffando e portando le mani ai fianchi mentre cercava di ottenere da lui una spiegazione plausibile a quello che fosse accaduto. Ma lui aveva già deciso che non le avrebbe mai detto tutta la verità, perciò tanto valeva cercare di sviarla. Come avrebbe potuto dirle che le sarebbe capitata una cosa ignobile se fosse rimasta con quel Philip alla festa, e poi avesse deciso per ripicca di rimanere e andarsene con lui, chissà dove? «Ciao.» Ripeté, guardandola, e sorrise, impassibile, mentre guardava la ruga decisa di contrappunto che si era dipinta sulla fronte di Anna. «Non potevo salutarti prima, dovevamo correre.» Si giustificò, con tono tranquillo, proprio perché era accaduto quello che aveva descritto. Non avrebbe potuto nel corso degli eventi che si erano svolti fermarsi a salutarla con calma o, assolutamente no, spiegarsi per l'accaduto.
    «Non è che io non sia in grado di comportarmi da stronzo come gli altri, Anna.» Si sentì dire, e non se ne pentì, rendendosi conto che se dell'opinione degli altri non si curava, gli dava invece una punta di fastidio sentita se Anna o Gree pensassero che Henrik fosse un ragazzo completamente indifeso, o un imbecille cerebroleso alla stregua di quel Philip o tanti ventenni come quelli che popolavano quelle feste a cui Henrik andava solo raramente per far compagnia alle sue ragazze, appunto, Anna, Gree, Izzie. Lo sapeva bene che non aveva la faccia tosta di Isak - per quanto ah, avessero la stessa faccia - ma non gli piaceva che una di loro glielo venisse a dire. Che una cosa non fosse da lui non significava poi che fosse impossibile per lui da fare, solo che sceglieva consapevolmente di non farla. «No, non avevo scelta. Sapevo che dovevo agire così per tirarti via dalla festa.» Ripeté, facendo eco alle sue parole. Henrik aveva avuto quella missione perché lei gli aveva chiesto di portarla via. C'era qualcosa nell'arco della serata che era successo prima, o durante, che aveva innescato quella concatenazione degli eventi, e lui ovviamente aveva potuto capire che il problema stava tutto nel fatto che se Lev fosse stato presente alla festa, al fianco di Anna, allora lei non si sarebbe comportata così perché non avrebbe dato corda a Philip, e molte cose non sarebbero accadute. Ma Lev era scomparso, e di lui nessuno aveva più traccia.
    Allora aveva tirato su le braccia e si era posto con le mani incrociate, abbracciando le sue maniche, e cercando di capire nel mentre se fosse arrivato il momento di salire in macchina o avrebbero potuto aspettare ancora qualche minuto. C'era pur sempre una piccola probabilità che uno degli sgherri idioti di Philip lo potesse seguire per cercare di dargli fastidio, ed in effetti sarebbe stato molto meglio per entrambi Anna e Henrik se fossero andati via da quell'edificio, e di corsa. Poi Anna si era avvicinata allungando una mano in sua direzione, e si era sentito in colpa per averle risposto piccato. Allora strinse la sua mano, istintivamente, non ci pensò oltre, e sospirò, rilassando la sua postura e allungando l'altro braccio sul suo fianco. Ma la seconda risposta di Anna tornò ad accendere un pensiero che aveva sopito poco prima, perciò si irrigidì, ma evitò di lasciarle la mano proprio perché non era il tipo di persona che si offendeva e girava sui suoi tacchi abbandonando un amico, un'amica come in quel caso, o senza affrontare una discussione. Le persone che sparivano invece di spiegarsi erano individui che mai avrebbe sopportato, e non avrebbe accettato mai di comportarsi come uno di loro.
    «Non lo farà. E comunque Anna dovresti sapere che sono perfettamente in grado di badare a me stesso.» Disse, molto semplicemente, accettando la frase di Anna come quella di un'amica preoccupata, e che non aveva bisogno di aggredirla per rispondere, bastava solo essere gentile. La guardò quindi, volgendo di nuovo il capo verso di lei e puntando i suoi occhi turchesi. Si aspettava in quel momento che fosse lei a scusarsi, o magari spiegare meglio che non pensava che fosse davvero completamente inerme. Philip era pur sempre un ragazzo più giovane di lui, al primo anno del corso, e Henrik era prossimo a completare gli studi e a cercare di capire cosa voler fare della sua vita. «Hai fatto bene a chiamarmi, va bene così. Ora però andiamo via.» Disse, completando a quel punto la sua risposta dopo che lei aveva aggiunto la sua. Anna poteva contare su di lui. Voleva che fosse allo stesso modo convinta che anche lui fosse in grado di bastarsi da solo, cosa che in quel momento sembrava molto lontana dalla verità.
    Anna si avvicinò a lui e alla fine lo abbracciò, e visto che era minuscola rispetto a lui gli sembrò ancora più piccola nascosta nel suo cappotto, minuta come era. Poi ci pensò, la guardò bene, e si rese conto che nella fretta che avevano avuto era uscita senza cappotto, ed era con solo il vestito bianco che le lasciava le braccia semiscoperte addosso, e che avrebbe preso sicuramente molto freddo se fosse rimasta così. «Beh, no, il cappotto lo riprendiamo domani.» Sentenziò, oramai fermo dell'idea che dopo la loro uscita di scena non fosse proprio il caso di risalire nell'edificio per mirare al guardaroba. A quel punto si allontanò da lei, e sfilò via il cappotto che aveva indosso per porgerglielo perché lo indossasse, tenendolo aperto con la falda interna rivolta verso di lei, proprio per aiutarla a infilarlo. Lui rimase con il maglioncino grigio scuro e i pantaloni neri che aveva scelto per sé poco prima in vista. Non si accorse che aveva lasciato il proprio telefono nella tasca del cappotto, comunque in quel momento pensò solo al fatto che sarebbe stato meglio che entrassero in macchina. Le indicò l'auto, dopo che ebbe indossato il cappotto lunghissimo di Henrik, e il ragazzo ridacchiò guardandola scomparire nel cappotto enorme per lei. «Quantomeno abbiamo passato una serata migliore di chi è rimasto chiuso in ascensore.» Mormorò, mentre si avviavano vicino all'auto. Non poteva sapere tutto, per fortuna, e di certo non sapeva chi fosse rimasto chiuso nell'ascensore, ma immaginò che i due eventi, quello di Henrik e della scenata, e dell'ascensore bloccato, avrebbero sicuramente popolato i pettegolezzi a venire nei giorni successivi.
    Henrik aveva nella tasca dei pantaloni le chiavi dell'auto, premette il pulsante di apertura indovinando a casaccio quale fosse dei due che permettevano l'apertura e la chiusura del dispositivo del micro telecomando, e la A1 illuminò i fari e fece scattare la serratura, permettendo a loro di entrarvi. Anna raggiunse il suo posto e lui entrò dal lato del conducente, richiudendola alle spalle e aspettando che entrasse anche lei e richiudesse la portiera rispettiva. Avviò il motore, dopo aver posato le chiavi alla console vicino al portabevande - le auto di ultima generazione non avevano di certo bisogno di infilare una chiave nel cruscotto - e accese l'auto con il pulsante apposito. Spinse sull'acceleratore e cominciarono ad avanzare, con la coda dell'occhio nello specchietto retrovisore Henrik sorrise mentre vide spuntare i due inseparabili amici sportivi di Philip dal portone dell'edificio della confraternita.
    Non poté assolutamente chiedere nulla di Lev, visto che il suo primissimo messaggio della serata era stato un chiaro segnale di allarme al fatto che non sapesse dove si fosse cacciato, e che fosse rimasta sola. Perciò cominciò a chiederle cosa volesse fare, e poi avrebbe capito quali argomenti evitare. «Ti riporto a casa? Io non ho cenato alla fine, mi ero addormentato.» Le disse, con la risposta della verità. Nel frattempo si girò a guardarla un attimo, e poi riprese a guardare la strada silenziosa e solitaria a quell'ora della notte che si inoltrava, non si accorse perché non aveva l'orologio digitale a segnalare i suoi messaggi al polso, che il telefono aveva ripreso a vibrare ricevendo i messaggi di Morgana con gli aggiornamenti alla lettura del libro che stava portando avanti con la ragazza.
     
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    Le risposte seccate e un po’ severe di lui la indispettirono non poco. Non era vero che stava sempre bene, era a conoscenza dei problemi di salute che aveva avuto da piccolo e, sebbene cercasse di mostrarsi sempre rigido e impassibile, lei lo conosceva abbastanza ormai da sapere quando nascondeva qualcosa. Non sempre stata bene, a volte aveva dei pensieri che lo turbavano, delle preoccupazioni, anche se raramente ne parlava. Serrò le labbra, sforzandosi di mantenere il silenzio e di non lasciar andare quella parte più irrazionale e distruttiva di lei che la portava a dire tutto quello che pensava, con il preciso intento di ferire le altre persone e travolgerle nell’uragano che era capace di generare con la sua furia. Il suo egoismo la spingeva a mettere sempre prima se stessa e i suoi bisogni, incurante di quello che i suoi gesti e le sue parole potevano suscitare negli altri. Se voleva dire una cosa, se voleva essere cattiva e sfogarsi su qualcuno, lo faceva, anche se non accettava che gli altri facessero lo stesso con lei o le facessero notare di essersi comportata in maniera scortese. Eppure, alcune volte, riusciva a mettersi il silenzio, anche se questo accadeva solo davanti a quelle rare persone che avevano una grandissima importanza all’interno della sua vita. Gree, Henrik.. si chiese se Lev avesse mai fatto parte di quella cerchia ristrettissima di intimi e si disse che, sì, in un primo tempo anche lui era stato un porto sicuro, qualcuno per il quale avrebbe sacrificato molte cose, mentre ora non ne era più così sicura. Guardò Henrik salutarla di nuovo, prima di iniziare a cercare qualche scusa banale per il suo strano comportamento, per la velocità con cui l’aveva presa e portata via, senza neppure fermarsi a salutarla. La rabbia che ancora provava per Lev continuava a farle tremare le mani e mantenere un’espressione corrucciata e nervosa che si riversava ora contro Henrik, che invece non la meritava affatto. -Lo so. - rispose, dura e un po’ arrabbiata quando l’amico le disse di essere perfettamente capace di comportarsi da stronzo. Ne aveva un esempio calzante in quel momento, ma lo aveva visto anche nel modo di fare che aveva con le persone di cui non gli importava, quei tanti che non catturavano neppure la sua attenzione e ai quali non dedicava neppure uno sguardo. -Ma non era a quello che mi riferivo. - disse, ancora con il volto corrucciato e severo. Non erano le parole che aveva detto ad averla turbata, quanto il fatto che per la prima volta si fosse messo in mezzo per questioni che non lo riguardavano affatto, davanti a tantissime altre persone. -Di solito non ti interessa immischiarti in questioni inutili e tanto meno andare in cerca di botte. - continuò quindi, cercando di chiarire che non lo vedeva come una persona infinitamente buona e sempre pronta ad accettare tutto con una parola gentile, quanto piuttosto come qualcuno che preferiva vivere lontano dai problemi degli altri, concentrandosi sulla propria vita e sui propri problemi.
    Le ripetè di nuovo che sapeva di non avere altra scelta se voleva portarla via dalla festa, come se ci fosse qualcosa di molto serio di cui non voleva parlarle. -Lo hai.. - iniziò, ma non terminò la frase, abbassando invece lo sguardo verso il pavimento e mordicchiandosi appena l’interno della guancia per stare zitta. Lo hai sognato? era quello che avrebbe voluto chiedergli, come aveva fatto troppe volte quando erano ancora bambini. Aveva smesso però quando aveva capito che la cosa lo infastidiva e che lui, esattamente come lei, non voleva parlare della sua particolarità. Lei non ne parlava, anzi, a volte fingeva quasi di non averla visto che non aveva mai imparato a controllarla e finiva sempre con il combinare qualche pasticcio quando la lasciava agire. Capiva quindi cosa si provava a odiare ciò che si era e ciò che si era in grado di fare. Di conseguenza Aveva imparato a tenersi quelle domande per sé, lasciando che la tenessero sveglia la notte, fantasticando del più e del meno, dei possibili scenari che Henrik scopriva prima di qualunque altro. Non aveva mai pensato che, con quei sogni, potessero arrivare anche delle brutte notizie e che fossero proprio quelle che lo facevano stare più male. Solo in quel momento, forse, se ne era resa conto. Le cose brutte non le interessavano, non voleva saperle. A lei interessavano solo i sogni, le ambizioni. Cercò quindi la sua mano, dispiaciuta e colpevole per averlo spinto fino a quella stupida festa, solo per lei. -Il fatto che tu sappia farlo non vuol dire che devi per forza farlo. - disse, guardando a terra, rendendosi conto di non aver formulato un pensiero molto chiaro con quelle poche parole. Era il senso di colpa ad avere la meglio in quel momento, aiutato dal troppo alcol che doveva aver messo in circolo in un cocktail esplosivo che sapeva riempirle la testa di tutti quei pensieri che ogni tanto si assopivano ma che erano sempre lì, appena sotto la superficie, pronti a tornare galla. Era sempre stata un disastro su tutta la linea. Forse per questo suo padre non le aveva mai voluto bene e forse per lo stesso motivo Lev aveva deciso di andare via, di lasciarla da sola. Se ne sarebbe andato anche Henrik prima o poi? Stanco di tutte quelle sue storie e dei suoi guai? Avrebbe rovinato tutto, ancora una volta? -Soprattutto non perché io non so badare a me stessa. - sussurrò, arricciando appena le labbra e facendogli capire che, alla fine dei conti, quello che le dava più fastidio era non essere capace di gestire le cose da sola. Prima o poi mi lascerai da sola anche tu. Pensò, ma questo non lo disse. C’erano alcuni segreti che non riusciva a rivelare a nessuno, pensieri troppo difficili da sopportare persino per la sua mente. Era convinta che prima o poi sarebbe rimasta davvero sola, che anche quei pochi che le volevano bene le avrebbero voltato le spalle un giorno o l’altro, rendendosi conto che lei non valeva davvero il loro tempo. Questi pensieri la tormentavano e la rendevano spesso insicura. Cercava di combatterli, di nasconderli, ma quando qualcosa scuoteva il suo equilibrio diveniva sempre più difficile rimandarli a fondo.
    Non lo seguì quando lui la invitò ad andare via, anzi, mantenendo la testa bassa si mosse verso di lui, andando a cingere i suoi fianchi con le braccia, cercando nel calore del suo corpo un po’ di conforto. Chiuse gli occhi mentre lui la stringeva appena, avvolgendola per un momento con il suo cappotto, prima di farle notare che lei aveva dimenticato il suo e che non sarebbero tornati indietro a recuperarlo. -No, non l’ho portato. - disse, stringendosi appena nelle spalle mentre lui si allontanava per offrirle il suo. Sorrise, posandolo delicatamente contro le sue stesse spalle, facendosi aiutare da lui. Anche Lev in qualche occasione le aveva offerto la sua giacca, anche se non erano state molte. Inspirò il profumo dell’amico, così diverso da quello del suo ragazzo. In effetti non c’era nulla che si potesse dire simile tra di loro, se non il fatto che Anna tenesse a entrambi. Si mossero verso l’auto. Il cappotto di Henrik era così lungo che le arrivava quasi alle caviglie, le sembrò di essere tornata bambina per un momento, sotto una protezione maschile che invece non aveva mai avuto. Era per questo che cercava sempre i ragazzi sbagliati? Arricciò le labbra quando l’amico le fece notare che probabilmente c’era chi se l’era passata peggio di loro e allora sorrise, cercando di cogliere anche lei le cose più accettabili di quella serata da dimenticare. -Mah, dipende da cosa stavano facendo in ascensore. - disse, per poi ridacchiare appena. Non pensò neppure per un istante a lei e Lev, insieme, chiusi in un ascensore. Era certa che non ci sarebbe stato niente di romantico o di particolare da raccontare. Era da tempo che, pur trovandosi da soli in una cosa vuota, nessuna scintilla si accendeva da parte di lui.
    Salì sull’auto dal lato del passeggero, sentendosi per un istante un po’ più leggera. Ora che il chiasso della festa era alle loro spalle e che lei si sentiva finalmente al sicuro, si rese conto di avere la testa molto più leggera del previsto. Probabilmente, senza rendersene conto, doveva aver bevuto un po’ troppo. Il cellulare di Henrik vibrò all’interno della tasca del cappotto mentre Anna si appoggiava meglio contro lo schienale del sedile. Vibrò ancora ma lei non disse nulla. Non sapeva chi fosse ma non voleva che lui la riportasse a casa tanto presto. Voleva stare con lui per un po’ godersi qualche minuto di tranquillità che le permettesse di recuperare quella pessima serata. Egoisticamente non le interessava che qualcun altro potesse avere di bisogno di lui o che Henrik avesse già dei piani, lei non voleva che andasse via. -No, non voglio andare a casa. - mugugnò, voltando lo sguardo di lato, verso il finestrino, mentre il paesaggio cittadino scorreva lento intorno a loro. -Credo di avere bevuto un po’ troppo, se mia madre mi vede così mi uccide. - confessò, con un sorriso genuino, voltando la testa verso di lui mentre lo guardava, immerso nella penombra del veicolo. -Andiamo a mangiare qualcosa. - aggiunse poi, proponendo una meta che potesse fare comodo ad entrambi. Lui non aveva cenato e lei avrebbe fatto meglio a mangiare qualcosa per cercare di far scendere un po’ la sbronza e presentarsi a casa in condizioni migliori. Tornare troppo presto avrebbe invitato sua madre a farle domande, a chiederle cose fosse successo e perché fosse tornata prima del solito e lei non voleva proprio parlare con lei di quello che era accaduto con Lev. No, era meglio stare in giro ancora per un po’. -Ho voglia di un milkshake alla fragola, credo che il fast food sia l’unico posto aperto che offre del cibo a quest’ora. - aggiunse poi con un’espressione angelica sul volto per cercare di convincerla ad accettare quell’offerta e non proporre invece un posto un po’ più raffinato che servisse del cibo migliore. I fast food sapevano di fritto e vendevano solo cibo spazzatura, lo sapeva bene, ma in quel momento era troppo triste per desiderare del cibo sano e nutriente.
    Calò il silenzio per qualche momento mentre Henrik guidava e lei, con gli occhi chiusi, si lasciava cullare dal suono dell’auto. -Non so cosa fare. - mormorò, dopo un po’, spinta dall’alcol più che dalla razionalità. Non espresse apertamente quale fosse il focus del suo problema, ma probabilmente Henrik lo avrebbe compreso in ogni caso viste quelle che erano state le premesse della serata. -Non sono felice con lui. - disse, in una confessione sincera che non aveva mai fatto neppure a Gree. perché Lev le piaceva, era perfetto su tutta la linea: bello, ricco, popolare, amato da tutti. Lei voleva così tanto che le cose funzionassero che non si era mai fermata a chiedersi davvero che cosa ne pensasse lei e come si sentisse a riguardo. Si sentiva stanca, prima di forze, incapace di portare avanti una relazione che bruciava più energie di quante gliene facesse generare. -Ma non voglio stare da sola. Ho paura di stare da sola. - mormorò, abbassando appena il tono della voce, quasi un sussurro che sperava che lui non udisse nemmeno. Non le piaceva ammettere di essere fragile, insicura, spaventata, ma con la scarsa lucidità del momento le veniva difficile essere più razionale. Sentì la macchina fermarsi e allora riaprì gli occhi, sollevando la schiena e cercando di mettersi indosso la maschera di un sorriso, come se non avesse detto nulla, come se fosse di nuovo tranquilla, felice. -Bene, dove mi hai portata alla fine? - chiese, guardandosi attorno, curiosa di scoprire che cosa avrebbero mangiato in quella tarda notte.
     
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